Creato da alfasica il 21/11/2005

UNDATED BAR

racconti isterici, criminali e patologiche storie

 

LO PSICODRAMMA

Post n°42 pubblicato il 22 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

Accendo il C.C. Show,

Il ricordo mi scoraggi ad andare.

 

Donne morali Liu Jo parlano d’amore -

Signore con gambaletti di nylon controllano -

Lo psicologo psicotico consiglia -

Il grande palinsesto dei tumori piange.

 

Una cinese suonatrice di fisarmonica mi dà consigli sulla ceramica

Mille bambole in una cantina umida,

 

Lenti film di Ozo.

 

Spengo.

 

Farsi una doccia in un bagno indiano fumante,

Distesa in una strada di Istanbul

Il vento di sabbia mi imbianca

Un lama mi sputa.

 

La pelle cade,

Foglia a foglia,

I fili argento indolenti,

Discorsi tra donne

Cattivi in anelli di vuoto,

Sottovoce,

Occhi sorrisi

Me lo sento di intuito,

E’ stato bello

Ma non posso,

Ci sono io qua,

Io capisco.

Parlate.

Parlate.

Parlate.

 

Silenzio sovraesposto -

Stupor melanconico.

 

Maometto in un canto unico sale dal pavimento.

Nina Simone con l’ultimo fiato ti porta sul Mississipi,

Senti lenta la ruota che gira

Muove l’acqua pesante,

Pala a pala roca.

Zolle di terra umida sollevano patate

Steccati semplici in chiese bianche.

 

Qua: Bonito Oliva balla con un trans sul parrucchino di Andy Whorol,

Dolce e Gabbana ridono, Cavalli cucina, mille donne magre camminano.

Spengo.

 

La stanza vibra di blu profondo e velluto nero.

Aerei tedeschi della grande guerra ronzano,

In schieramenti geometrici necessari virano.

Piccoli e precisi modellini in plastica.

Segni di gesso sulla lavagna per i vincenti,

Feltro pregno per i perdenti.

 

Strutture e cancellazioni anonime

Per il Nuovo Mondo potenziato.

 

Posso cantare superficie e giovane bellezza

Nel paradiso che è bianco come denti e monumentale!

 

Sorridi ai tasti interrati nelle gengive

Muovi lo spazzolino con un play di polso.

 

Nella mia bocca una scatola di metallo.

Ci pianto nuovi fiori santi e muscolosi

Gli do tutti i giorni Carntina,

Vitamine A-E-K, D3-C-B1,2,3,5,6 e 12.

Carni forti, bianche e guizzanti.

Si aprono e si chiudono sincronici come ore

Pronti per essere creati li recido,

Fiori freschi vivono sul mio tavolo ogni giorno.

 

Un’orchidea all’occhiello della giacca

Per Dorian Grey  e per gli idoli terrestri!

 

Creare tutti che nulla esiste!

 

Io deprivazione sensoriale,

Stati schizoaffettivi e psicosi cicloidi.

 

Lacca rossa alle unghie e acetone

E per me solo soffici nervi odoranti profumi.

Una piccola Nike alata, ritagliata da una rivista

Nella sua fine, una fiamma bidimensionale aspetta

Accartocciamenti letterari e discorsi sensati.

 

La stanza scintilla come un vetro,

La poltrona disinfettata, al centro

Bianchi topi a tappeto invadono il loro elemento.

Guardo i papaveri che si schiudono puliti dai vasi.

 

__Il chimico accarezzi la cavia e faccia sesso con la donna ormai morta!__

Ordina il Re al suo suddito.

Obbedisco (come sempre) carte da poker in feroce quadriglia

Sullo scrittoio, il telefono trilla,

__Mirmiglia che è una meraviglia,

Arriva veloce un treno da fuori stabiliaa…arrrt__

Non rispondo.

L’eco della mia voce è sospeso.

Anelli di lettere fluttuano il puzzo del bruco fumoso

Del buco fangoso, del baco bavoso…

Cado pesante come un arcangelo sulla moquette.

 

Ancora sento il corpo e vecchie sabbie bianche a Istanbul

Vorticano insidiose agli occhi e suoni sessuali

Contrazioni sull’altalena dal pelo bianco d’angora.

Un prato di piccoli garofani rossi come occhietti voraci.

 

Appoggio un piede indiretto,

Mediazioni e deviazioni del sistema.

 

Una diagonale di lama ciondolanti annusano le capsule di gelatina

Bianche e viola allineate alla panca operatoria,

Suture e terapie trascritte lentamente al piano.

 

Il respiro affannato cede sotto i cubi,

Il peso di mille donne magre impastate con fango e argilla.

Idoli geometrici  levigati e luminosi come una pala d’altare.

Sul mio letto si ricama una madonna nera.

 

Vapori di the, nero di velluto, raggi blu di rimando, aerei tedeschi,

Virano sganciano, bombe, fiale spezzate rotolano sulla moquette,

Bastoni e cilindri lucenti, Tip tap sull’olocausto.

Dolce e Gabbana ancora ridono.

 

Spengo.

 

I muri imbiancati proiettano il lavoro di santi,

Nuovi semidei in kevlar.

Le mille donne dal grande occhio tingono la mano nell’acqua benedetta,

Alzano sutra mea culpa

Tramano unanimi e vibrano di ipnosi.

Nevrosi alte sei metri con luce cadente

Epatite saettante, voce suadente -

 

Strati di smalto denso impregnano la stanza.

Dal cervello aperto notturne  di tango in contrappunto,

 

Gira su se stessa la marionetta danzante ai fili sciolti

Il suo canto è nenia crosciante__lapidante:

 

L’uomo con il cappello vestito di grigio è Individuo indisturbato

Assume icastico l’identità metodica distribuita pianificata ed eventualmente modificata

Un grande vetro su vista New York meccanico lo satellitizza all’insediamento abitativo

Ma battezzato troppo umano per il controllo cosciente allineato ripete Robota

Uomo come una  rotativa

 

Robota uomo come una rotativa

Robota uomo come una rotativa.

 

Sono le cinque p.m.

L’ora del The è arrivata,

 

I passeggeri si scambiano composti

Girando su tazze vuote si confondono.

 

Io sono il servizio che hai selezionato.

Sono la tua parola di passaggio.

Sono un errore procedurale.

Io sono le mie connessioni neurali.

Sono il superfluo pensiero.

 

Ascolta se ti parlo di senso,

 

Ti dico ora panica di follie,

Tremolanti gelatine di verdearancio fanno bene al metabolismo

Anni sulla formica ingiallita a cucinare pollo polifosfato

Cucchiai d’acciaio non arrivano al bambino sovralimentato

Dalle grosse mammelle latte sgorga a cascata sulle mattonelle della cucina

Tutte le nostre case sono di un colore azzurro ione.

 

Io sono lo specchio sodo ed elastico.

Sono l’acqua fluida nei tuoi percorsi.

Sono l’elettricità del tuo cervello.

 

Freddo di mani umide cercare Proteo nell’onda violetta

Con gli occhi d’anfibio non lo si può fermare, interrogare.

 

Oggi è il tempo di Yorick buffone del re,

Mia unione barbara col divino e consolazione.

Lo conobbi nelle acque serene, fermo e solido negli argini LCD,

Si affacciò e anche lui digitò indifferentemente.

-Dipingiti quanto vuoi, a questa apparenza dovrai divenire-

Mi disse di riderne se potevo.

Io risi, muovendo il mare d’impulsi.

 

Il treno e la mia onda passarono lentamente sotto gli archi.

Intorno colossi stanchi e frutteti acerbi,

Visioni diurne di giambi sudanti ai rami.

 

Sgocciolanti piombi fondono sul fornello elettrico.

I muri caldi aprono scansioni termiche sulla ferita appannata.

Guardo le chine, il riassorbirsi veloce sulle dense montagne,

Liquidi cieli dispersi nello spazio umido.

Vaghezza della mente,

 

Vento di mulini spogli,

Cavalli stanchi di sognare.

Tavoli da Bleck Jack consunti in speranza.

 

Donne rimpolpate fluttuano sui pavimenti,

Uomini mitraglieri volano.

 

Visione notturna a infrarosso.

Luci schemi e verde contorno

Su ogni calore vede e spara.

 

Città deserta di gas e tutto immobile.

Di tetti fitti e ponti grigi

Di neon e tugseno spenti

Di nebbie in strada ed echi sciolti

Ridi, che ormai solo il rumore di ventole è rimasto,

L’aria è già piena.

 

Fori ordinati sul muro passano luce come musica sulla 45° strada.

I gradini affollati di gente che parte

E dolce far niente aspettando che arrivi.

Freschi fiori sul tavolo.

Il giradischi acceso ronza di swing.

 

Fuori ordinati

Gente che parte, gente che corre,

 

Solo Hitchcock guarda dalla finestra

Dentro la mia scatola

Sui binari con la testa tragica mi muovo,

Saluto come una regina inglese la camera fissa.

 

I vetri sottili vibrano come ance alle pale rotanti di elicotteri,

Vuoti d’aria tremano e trombe in sordina trillano,

Clarini urlano, viole salgono e scendono,

Bassi soffocati si alzano

E il sax li persuade.

 

Cartelloni scoloriti di visi ariani riempiono la città,

Scarpe di resina dinamiche

Grandi bocche in differita si muovono.

 

L’agonismo socializza ai valori dominanti

Ellissi d’acciaio nelle piazze chiudono il sole

 

Sono necessari Impegno, Volontà, Sacrificio

Chiudono tutte le traiettorie del sole

 

A tutte le fasce della popolazione

Chiudono l’oro nei laboratori dell’agonismo.

 

Il camminare è un’attività aerobica ritmica e dinamica dei muscoli scheletrici maggiori.

L’oro per il Controllo.

 

Commessi efedrinici dall’iride verde nei distretti industriali,

Fianco destro placcato

Una coscia d’angelo alata.

 

Metri di capelli biondi arrotolati alla gola.

Nel risveglio la dea Khali con la testa da insetto,

 

Un ragno sognato esplorava il mio viso.

Eva dalla pancia piatta mi chiama a generare.

 

Delirio di delirante delirio non si placa

Costa fatica tornare,

Passano anni per trovare il mio corpo.

 

Dispersa scivolo in silenzio

E’ la mia meccanica del quotidiano,

Rotolo e rotolo.

 

Sono le cinque p.m.

Giro che l’acqua mi si spegne in gola.

Lenta di vasca risalgo e cammino

 

Nuda in echi di strade inseguita dai passi

Nulla si sposta.

Nemmeno sul pozzo in cemento.

 

Si raffredda il mio Linguaggio Piano.

 

Sento lento il ghiacciasi della fiammella.

Gas sotto un neon invecchiato titilla

E crampi alle gambe.

 

Vibra la piccola lampada sui libri impilati,

Vestiti e cose con polvere chiara,

 

Madre-tv che insegna ai suoi figli a cantare,

 

Le cose sentite da dietro le porte e cose ad entrare.

I muri e le porte e i muri e le porte.

 
 
 

ALFASIA 019  (fogli di amanite)

Post n°41 pubblicato il 21 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

CIGLIA MOLLI

Sull’incanto

L’aroma di crine

Ondeggiando

Freddo d’inverno.

Vibrano ciglia molli

Sul prato d’aria e di cielo,

Del vuoto

Contemplo

Erba ionizzata.

Tra i capelli l’umido

Ansare del cielo.

Vento di locusta schioccante

Fremendo l’intero corpo ricopre.

Lotiformi

Montagne, fiori

Di svastiche, distese

Di pentagoni neri.

Risucchio il collirio dagli occhi fogliati,

Con la sete di un uccello

Nel ritorno becco,

Becco ancora.

Sgocciolano acquosi

Caldi umori di corpo,

Calmo mercurio.

Sono blu e bagnata

Come un oceano piange

Anemoni.

 
 
 

LA VOCE DI SYLVIA PLATH

Post n°40 pubblicato il 20 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

NEL GESSO

Non ne uscirò mai! Ci sono due me, ora:
questa nuova persona, bianchissima, e la vecchia e gialla,
e la bianca è certamente superiore.
Non ha bisogno di cibo, è un'autentica santa.
All'inizio la odiavo, non aveva personalità:
era lì, a letto insieme a me, come una morta
e mi metteva paura, perchè era fatta tale e quale a me

solo molto più bianca, infrangibile e priva di magagne.
Per una settimana non ho chiuso occhio, tanto era fredda.
La incolpavo di tutto, ma lei non rispondeva.
Non riuscivo a spiegarmi quello stupido contegno!
Quando la picchiavo se ne stava ferma, una vera pacifista.
Poi ho capito che quel che voleva era che io l'amassi:
ha cominciato subito a scongelarsi e ho scoperto i suoi vantaggi.

Senza di me non sarebbe esistita, sicchè mi era grata.
Le ho dato un'anima, sono fiorita da lei come una rosa
fiorisce da un vaso di porcellana di non grande valore.
Ed ero io che attiravo l'attenzione di tutti,
non il suo biancore e la sua bellezza, come lì per lì mi era sembrato.
Ho fatto un pò la superiore e lei c'è stata, eccome_
lo si capiva subito che aveva una mentalità da schiava.

Non mi dispiaceva farmi servire, e lei adorava farlo.
Al mattino mi svegliava di buon'ora, riflettendo il sole
sul suo candido torso, e io non potevo fare a meno di notare la sua precisione, la sua calma, la sua pazienza:
assecondava la mia debolezza come la migliore delle infermiere,
tenendo a posto le mie ossa perchè si aggiustassero per bene.
Col tempo il nostro rapporto è diventato più intenso.

Ora non mi stava più così stretta addosso, si teneva sulle sue.
Sentivo che pur senza volerlo mi criticava,
come se le mie abitudini la offendessero in qualche modo.
Lasciava entrare gli spifferi, era sempre più distratta.
La mia pelle prudeva e veniva via in morbide squame
solo perchè lei non si prendeva più cura di me.
E' stato a questo punto che ho capito: si credeva immortale.

Voleva lasciarmi, si credeva superiore,
me ne voleva perchè l'avevo tenuta nell'ombra_
sprecare i suoi giorni a servire un mezzo cadavere!
In segreto ha cominciato a sperare che morissi
per potermi coprire la bocca e gli occhi, coprirmi tutta,
e indossare la mia faccia dipinta, così come un sarcofago di mummia
reca la faccia del faraone, benchè fatto di fango ed acqua.

Io ero impossibilitata a liberarmi di lei.
Mi sosteneva da tanto tempo che ero diventata floscia,
avevo persino dimenticato come si cammina o come si sta seduti,
perciò stavo bene attenta a non offenderla o irritarla
e a non vantarmi anzitempo di come mi sarei vendicata.
Vivere con lei era come vivere con la mia bara,
eppure, mio malgrado, dipendevo da lei.

Avevo creduto che la nostra unione potesse funzionare_
in fondo, vista la vicinanza, era un pò come un matrimonio.
Ma adesso è chiaro che o via lei o via io.
Sarà anche una santa, e io brutta e pelosa,
ma scoprirà ben presto che questo non ha la minima importanza.
Stò raccogliendo le forze; verrà un giorno che potrò fare a meno di lei
e allora deperirà per il vuoto e sentirà la mia mancanza.

Sylvia Plath, Attraversando l'acqua (1961)

 
 
 

ALFASIA 019  (fogli di amanite)

Post n°39 pubblicato il 19 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

IL MIO DOLCE ORRORE

L’orrore arriva

in cucina arriva,

vuole stare con me,

mi tocca i capelli

mi riempie di domande.

A letto arriva

per il bacio della notte,

divino atroce

allunga le antenne

stride come una cimice,

amoroso.

Arriva e si sdraia,

vuole sentirmi parlare.

Tori gonfi d’acqua. 

Il mio dolce orrore

ha paura che la morte non esista,

come un bambino

disincantato;

me l’hanno detto,

me  l’hanno detto.

La morte esiste,

non preoccuparti.

Si alza

veloce

per giocare con le lenzuola

sgocciola sul pavimento.

-avevi promesso-

Lepre cornuta.

Il mio dolce orrore ha paura

che la morte esista

come un bambino 

nel buio, nelle profondità

delle coperte.

Non esiste,

non preoccuparti.  

Siede

vicino a me,

mi guarda

a lungo,

gira la testa, tra il mio collo,

si addormenta.

 

 
 
 

ALFASIA 018 (fogli di amanite)

Post n°38 pubblicato il 18 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

PAROLE COME DI MORTE

Defibrillata,

Abili orefici coltivano

L’orto irrorato.

Nel cuore

Torcendosi lievi

Vedo dita fiorire,

Dal prato colli animati,

Antenne di lumache.

Battiti

Nei sinistri giardini di palma.

Anche una calla fiorisce

Sul mio viso

Piccolo orecchio carnoso;

Mani di file di gobbi accucciati

Mi strappano il camice,

Sulla tettoia chiamano

Il mio nome. Ora capisco.

I verdi cadono unisoni.

Rimango con l’ombrello

Aperto, ebbra

Come un demente, mi guardo,

Mi spavento

-che sciocca,

 ho paura di me-

Canto catatonico intono sciogliendo la raucedine

Cruda come una morte,

Livida come un mare

Decoro gli amici

In ghirlande di dita mozzate

- prendetele

le ho infilate per voi -

Loro mi guardano

Senza occhi

Con ciglia stupite

Sciocchi si spaventano.

 
 
 

LA VOCE DI SYLVIA PLATH

Post n°37 pubblicato il 17 Dicembre 2005 da alfasica

L'ARRIVO DELLA CASSETTA DELLE API

L'ho ordinata io, questa linda cassetta di legno
squadrata come una sedia e quasi troppo pesante da sollevare.
La direi la bara di un nano
o di un bambino quadrato
se non ci fosse dentro un tale chiasso.

La cassetta è chiusa a chiave, è pericolosa.
Devo tenerla con me per questa notte
e non riesco a starne lontana.
Non ci sono finestre, non posso vedere quel che c'è dentro.
Ha soltanto una piccola grata, nessuna uscita.

Metto l'occhio nella grata.
E' buio, buio,
c'è come un brulichio di mani africane
minuscole, rimpicciolite per l'esportazione,
nero su nero, un arrampicarsi rabbioso.

Come posso lasciarle uscire?
E' il rumore soprattutto ad atterrirmi,
le sillabe incomprensibili.
E' come plebe romana,
piccole, se prese una ad una, ma tutte insieme, mio dio!

Tendo l'orecchio a un furioso latino.
Non sono un Cesare.
Ho solo ordinato una cassetta piena di pazze.
Si possono rimandare indietro.
Possono morire, basta che non dia loro da mangiare, sono la  padrona.

Chissà se hanno fame.
Chissà se si dimenticherebbero di me
se tirassi i chiavistelli e mi scostassi diventando un albero.
C'è il laburno, con i suoi biondi coonnati,
e le gonnelle del ciliegio.

Potrebbero ignorarmi all'istante
nel mio vestito lunare col velo funebre.
Non sono una fonte di miele,
perchè dunque prendersela con me?
Domanni farò il Buon Dio e le libererò.

La cassetta è solo temporanea. 

SYLVIA PLATH   (Ariel, 1962)

 
 
 

CRONACHE-

Post n°36 pubblicato il 16 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

DISIMPEGNO (da leggere come si vuole) 

Con i piedi uniti scendo le scale

Trasportata tra i corrimano di Coin

La stuzzicante vernice lavabile

Granulosa sui polpastrelli

Gente

Odore di Mc Donald e pioggia

Forse viene il sole, ma ormai è sera

Lei mi aspetta al tavolino del bar

Ho due libri

Nella borsa

È sparita una torre

E’ possibile

Fisarmonica zigagna

Un euro per non estinguersi

Stefanel  poteva terrazzare 

Sopraelevare

Sovrastrutturare

Te cosa hai portato?

Le mani mi bruciano blu

Silvia

Prendiamo un caffè?

Andiamo a far suonare i libri

Sezione bambini

Manualistica di Barby

I libri pianola

Tlin tlin tlin

Un’americano e un’espresso

Accavallo le gambe

Mi faccio roteare dalla sedia in plexliglass

Un uomo guarda le catacombe

Tre euro

Passando

Lascia faccio io

La bambina si butta di faccia per terra

La rialzano

Allora stasera?

La bambina si butta di faccia per terra

Non so

La rialzano

Andiamo a sentire F. che soffia dentro il sax?

Dai povero F.

Vorrei buttarmi anche io di faccia per terra

Qua

Senza motivo

Fingerei una crisi isterica

Vado a chiedere un po’ d’acqua

Vai io leggo

Potrebbero essere più gentili

Potrebbero

Allora Pu come va?

Guarda che livido

Capisco, ancora le fix di Jhon Cena

Potreste fare sesso ogni tanto

Solo Wrestling

Capisco

La piazza fluisce nel vicolo

I tavolini per turisti ordinati finiscono

Odore di pesce

Grembiule di gomma e carrello

Lumicini per alimenti

Sacchetti di plastica sformati

Seppie lucenti

Lo sai che M&M hanno deciso di fare il quarto reich?

E l’idea del brevetto per lo zerbino elettrico l’hanno abbandonata?

Li bruciano come zanzare sfrigolanti

Ho consigliato l’addestramento di corvi da occhi

L’idea della dittatura non mi dispiace

Basta che il dittatore sei te

Ma io sono Dio

Profana

Odore di carne macinata cotta

Billy Holiday mostra i denti in bianco e nero

Al tavolo il vecchio mangia

Scale

Mi fermo al bagno

Prendo il tavolo

Tenda di velluto

Siamo in due

Luce di ottoni

Il legno della sedia vibra sotto i colpi della batteria

Martini, due, con ghiaccio, senza limone, grazie

Ho ordinato anche per te

Muovo il bicchiere sulla tovaglia a quadri

Tra i denti sale e olio di arachide

F. l’antieroe

Un’essenza

Ciao l’Eujijì, L.!

Em…R…. F.

Allora stasera cosa mi dite

Folata di capelli sporchi

Stasera tolta la sciarpa di lana F.?

La sciarpa è in macchina con il cilindro perché…

Lo sai che ci siamo innamorate di te  da quando ti abbiamo visto

…il coniglio non voleva venire e non potevo…

Sudare sotto il riflettore

…mettere la sciarpa senza cilindro

Abbassa il riflettore! La luce! ..non vedo! Soffoco!

Senti Jejenì ieri notte sono venuto a suonare a casa tua ma non mi hai aperto

Chiaro ho staccato il campanello perché ti aspettavo

Ahhh

Dai ditemi qualcosa in questa notte buia e sola

R. si eccita con la batteria

Certe vibrazioni sulla sedia

Non posso rimanere insensibile

Il ghiaccio sbatte sui denti

Applauso.

 
 
 

ALFASIA 017 (cronache)

Post n°35 pubblicato il 15 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

LA VAGINA DEL GIARDINO INFINITO

Discesa sul mondo,

Lenta e dolce, insinuarsi nel sonno.

Ritmo continuo.

Ascese gutturali.

 

L’ipnotico Canto Sacro.

 

Nel letto in silenzio

Scambio risveglio per sogno,

Apro gli occhi, pesanti piombi, oggetti massicci.

 

Nella mia stanza sostanziosa e ferma

Ventilatore in bilico senza un piede,

Sul pavimento scarpe tondeggiano.

 

Il Canto

Stride fastidioso

Nella mia Ragione.

 

Alzarsi,

Preparare la macchinetta del caffè.

Due del pomeriggio,

Si alza forte il Canto Sacro.

 

Tutto è luce vibrante d’acqua.

Il telo del terrazzo, abbassato come un’ala

Sulla mia cucina, è umido d’arancia.

Piante secche muovono l’aria.

Io fissamente seduta,

Guardo l’acciaio con occhi di gazza.

 

Tempo dimenticato,

Incantata dalla porta  armonica

Poggio l’orecchio.

Una conchiglia di scale

Srotola ripetizioni esotiche.

Legno scuro, muove sillabe di miele.  

Il mio orecchio le lecca fino alla fine del canto. 

 

Lenti iperboliche e oro bizantino come nastri,

Muri di buganville si arrampicano in cicli continui,

Uomini ambrati, sostano nelle stanze.

La Vagina del Giardino Infinito.

 

Sera con le cicale.

Il canto nel mio pensiero si somma.

Lo desidero come un uomo,

Un libro, una Bibbia, le Undici.

 

Il suono è venuto, ancora, come gli ho chiesto.

Rompe e frammenta i miei occhi imperlati.

Le sabbie soffiate portano la luce bianca

Del tempo fermo, lo sento scorrere omogeneo,

Senza vita abbagliante, grano a grano.

 

Il piccolo tempio, circolare nella sua fine-

Esile cupola d’avorio sospesa,

Alte e sottili colonne ritorte all’aria-

Mi chiama nella sua ombra.

Mi incammino, cado nel sonno.

Il mio amante chiama più forte.

Dalla finestra una verticale d’argento,

Mattino.

 

Forzare la volontà incollata.

Gli occhi sanno già ciò che trovano,

Le Cose Solide

Al loro posto, quello che ho deciso- 

Un pavimento, un ventilatore e la sua elica-

 

Vedo vicino alle scarpe delle macchie non scelte,

Macchie nere e veloci

Si allontanano come punti corazzati.

Di scatto in piedi il mio corpo teso.

Lento lo scarafaggio sul mio copriletto,

Fermo - non orientato.

 

Eliminare i repellenti neri.

Mostruosi sopravvissuti delle Ere terrene,

Gamberi scampati al proprio sviluppo.

La specie, la vita primaria-

Adatti per le condizioni di privazione

Vivi in una catastrofe naturale-

 

Agili sotterranei

Nascondersi - riprodursi a migliaia.

Sotto la mia maglia, nelle gambe, controllare

La loro organizzazione.

Capire come ucciderli.

Veleno insetticida per la casa,

Veleno sul tappeto, veleno nell’armadio, veleno nel letto.

 

Preparare il buon pranzo.

Carne sul fornello che sfrigola.

Due del pomeriggio

Alza forte il mio Canto Sacro.

 

La porta vibra al segnale.

Verso di lei, la raggiungo,

Voglio appoggiare il mio corpo,

Congiungermi al legno sordo.

 

Spalanca ghiaccio nelle mani

Corridoio dalla gola aperta,

Un urlo lo sguardo.

Finestra infinita, l’aprirsi sincronico

In file di porte copula nei corridoi.

Nere veloci mannaie alzate     

Moltiplicano squadre di uomini.

 

 
 
 

LA VOCE DI EMILY DICKINSON

Post n°34 pubblicato il 13 Dicembre 2005 da alfasica

500

Nel mio Giardino, volteggia veloce un Uccello,

Lo fa su una Ruota sola -

Dai cui raggi sprigiona vertiginosa

Una Musica - un Mulino perenne -

Non si ferma mai, rallenta soltanto

Sulla Rosa più Turgida - 

Senza posarsi ne assapora l'essenza

Si compiace con lei e si commiata,

Ne gusta tutti gli umori speziati -

Poi, e solo allora la sua Giga di Fiaba

Volteggerà in più remote atmosfere -

E io torno al mio Cane,

Nel dubbio, io e lui ci chiediamo

Ma lo sappiamo per certo, eravamo noi? -

O era il Giardino della Mente

Che ospitava questo Strano Scenario -

Ma Lui, il migliore Logico,

Rimanda il mio sguardo - opaco -

Ai fiori sbocciati che vibrano ancora!

Risposta di squisita Raffinatezza!

(c.1862)  Emily Dickinson

 
 
 

Messaggio (da leggere solo a chi frega qualcosa)

Post n°33 pubblicato il 13 Dicembre 2005 da alfasica

Oggi ho deciso un’insolito approccio al mio blog, normalmente non lascio molto spazio ai commenti, per questo naturalmente mi ritengo in difetto ma un certo individualismo e a dire il vero anche una certa misoginia me lo impediscono. Questo messaggio sarà così dedicato alla risposta di un commento. Mi sono chiesta più di una volta se e quanto poteva arrivare delle afasie scritte fino ad ora -surreali cut up di visioni, intensioni ed eventi-, ieri ho avuto una reazione precisa e sintomatologica. Pubblico dunque una possibile lettura dell’alfasia n.016, Ugola salata, dando la chiave di alcuni dei suoi simboli.

In questa alfasia mi sento per metà discolpata visto che ho onestamente avvisato nel suo interno dell’uso di  un certo flusso, con un riferimento a Proust e al ricordo, il suo simbolo è la magdalene…splaschhh tutto liquefatto nelle acque calde e profumate della memoria.

In alfasia 016 ho scritto sulle Parole dette, sul loro ricordo puro e slegato dall’evento scatenante, sul loro continuo orbitare nella mente.

Le parole si appoggiano anno dopo anno sulla testa, come un velo la coprono, salificandosi, diventando cristalli paralizzanti. A volte non le si assorbono subito, diventano il velo nero di una vergine. Parole pesanti, dense come pece penetrano nelle orecchie, si fermano, si addormentano in un cono incosciente. La forma rotonda di un passaggio. Ogni giorno cercano di penetrare nel corpo silenzioso toccando, invadendo come mani sessuali lo spazio sacro dell'intima chiusura. Poi colano nella testa, al suo interno, la superficie pungente si può schiudere dopo molti anni, il gas velenoso, solforoso, inizia a invadere il pensiero. Slegate dal tempo alle azioni, diventano parole irreali e postume,  escono da un alito riscaldato, nero e rabbioso; e rimangono come pietre stellari, lontane, raccolte in tempi.  Immagini che arrivano dalle pupille otturate, immagini senza forma e colore. Una sottile membrana le avvolge, ne comprime il succo mantenendole in vita, una bolla di sapone che inizia la sua orbita vacua di pianeta senza spazio della memoria. Sfere di vetro che nemmeno una punta pura di diamante o uno spaccaghiaccio con la punta di specchio, te stesso contro te stesso, riescono a rompere. E allora ogni giorno le porti a passeggio, sotto braccio, le ricopri d’argento come idoli del tempo, le coltivi come le rose gioiello di una serra artificiale; e ogni sera le riponi in un portauova, bianco come una corsia d’ospedale. Al mattino le tue pillole della memoria e dell’oblio sono pronte per essere nuovamente ingerite.

N.b. Le alfasie sono poesie in cui regna il simbolo e il surreale nel libero vagare del pensiero, solo nelle Cronache e negli Psicodrammi affermo l'uso del proustismo fondendo momenti in atto e momenti della memoria, usando un presente assoluto estraneo al ritmo cronologico della narrazione (ad es. Diacronia in un giorno)  

 

 
 
 

ALFASIA 016 (fogli d'amanite)

Post n°32 pubblicato il 12 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

UGOLA SALATA

Silenziosa, inleiata e divina

Inabissata da decadi di incudini.

Sclerotizzato da cristalli del tempo,

Scaglia a scaglia,  sui suoi capelli coperti

Velo di sale eroso dal dito d’ago,

Spaccaghiaggio dalla punta di specchio.

 

Santa, silenziosa e pulita

Sbordando acque di stagni,

 

Onde equalizzate trascinate da teste di vergini,

Voci esterne alte come spigoli, come mani sul corpo instancabili.

Interlinee di bitume colano nel timpano otturato

Incantando il sonno nella sua forma di cono.

Dentro, pesci palla aperti secchi, sbruffando come geiger furiosi,

Ruote d’ossa acuminate rotando alzano le nebbie gialle dei soli  urlanti.

 

Ssplasch, bicchiere di thè caldo,

Splasch, magdalene bagnata,

Il condominio intero, splaschh.

Meschina l'acqua spruzza sguardi di catrame,

Ingoia disperde nei pozzi neri di pupille. 

 

Splasch,

Liquefatto come benzina,

Sento l’odore acuto di nafta tra gli occhi.

: si carica le pietre fredde,

Adesso è pazza nella sua casa nuova,

Nel giardino del nosocomio raccoglie fiori recisi,

Scheletro di una rosa magra nella fila,

Rosa ghiacciata nel suo stelo orgogliosa

Soffia sulle mani di verità repulsa,

Vacuità innaffiata d’argento ogni giorno parlando.

Diaframmi di sapone chiudono il suo alito caldo

Che le parole graffiano come punte di diamante,

Timorosi e pesanti pianeti d’alito

Senza orbita tra le corsie si appoggiano al suo braccio peloso,

Gemme di vento sulfureo da portare a passeggio

Da riporre ogni giorno nel portauova bianco

Come capsule dense d’oblio e memorie

Pesanti e neri intuiti.

 
 
 

AIKU

Post n°31 pubblicato il 08 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

AIKU NELLA BOTTIGLIA

Allegro il tintinnio

di una mosca nera

chiusa nella mia bottiglia.

 
 
 

LA VOCE DI JEAN COCTEAU

Post n°30 pubblicato il 07 Dicembre 2005 da alfasica

(domande del pensiero fisso)

LA SFINGE: Abbandonati; non tentare di irrigidirti, di resistere. Se resisti, renderai soltanto più delicato il mio compito e rischierò di farti male.

EDIPO:Resisterò! (chiude gli occhi, volge la testa)

SFINGE:Inutile chiudere gli occhi e voltare la testa. Non è nè con il canto nè con lo sguardo che io opero. Ma più abile di un cieco, più rapida della rete di gladiatori, più sottile della folgore, più rigida d'un cocchiere, più pesante di una vacca, più savia di uno scolaro che suda sui numeri, più attrezzata, più munita di vele, e di ancore, più equilibrata di un vascello, più incorruttibile di un giudice, più vorace degli insetti, più sanguinaria degli uccelli, più notturna dell'uovo, più ingegnosa dei carnefici d'asia, più volpina che il cuore, più lesta di una mano che bara, più fatale degli astri, più accorta del serpente che umetta la preda di saliva; io secreziono, cavo fuori da me stessa, allento, dipano, srotolo e arrotolo in tal modo che mi basterà volere quei nodi per farli, e pensarci per tenderli o stenderli; così sottile che ti sfugge, così duttile che penserai di essere vittima di qualche veleno, così tagliente che una sbadataggine da parte mia ti amputerebbe, così teso che un archetto caverebbe fuori tra noi un gemito celestiale; tortile come il mare, la colonna, la rosa, muscoloso come la piovra, macchinoso come gli scenari del sogno, soprattutto invisibile, invisibile e maestoso come la circolazione del sangue delle statue, un filo che ti allaccia con le volute dei folli arabeschi del miele che cade su altro miele.

EDIPO:Lasciatemi!

LA SFINGE:E io parlo, lavoro, dipano, srotolo, calcolo, medito, intreccio, vaglio, sferruzzo, intesso, incrocio, passo, ripasso, annodo, disnodo e riannodo, trattenendo i più piccoli nodi che dovrò poi scioglierti sotto pena di morte: e serro, disserro, m'inganno, ritorno sui miei passi, esito, correggo, ingarbuglio, disingarbuglio, slaccio, riallaccio, riparto; e incastro, agglutino, avvinco, tiro, intralcio, accumulo, fino a che tu senta dalla punta dei piedi  alla radice dei capelli, vestito da tutte le spire d'un sol rettile, il minimo respiro del quale tronchi il tuo e ti renda simile al braccio inerte sul quale si sia addormentato un dormiente.    

           JEAN COCTEAU- LA MACCHINA INFERNALE

 
 
 

ALFASIA 014 (fogli d'amanite)

Post n°29 pubblicato il 07 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

ABAT-JOUR

Apro il computer

l’accendo,

mi fa da abat-jour;

apro anche il libro alle piccole falene,

un nido nella rilegatura.

Pagine calde,

pagine amniotiche,

era seppellito tra i cuscini del letto.

Lettere attaccate

zecche vogliose,

santi tentano di superarsi schiudendo il collo;

il resto giace.

Un dito pinnato  

sul bordo del libro dove è marcato: Silvia Plath- 

Poesie.

Viola foglie

con il numero tutte dormono

nelle parentesi del cartoncino.

-perversità in cucina-

Un pesce siluro passa tra le parole.

Swischhh.

Il tipografo,

il Mercante Avaro,

Ted Hughes,

il gettone per l’autolavaggio;

Nietzche

con il condor sulla spalla,

io non lo so.

 

 
 
 

ALFASIA 013  (fogli d'amanite)

Post n°28 pubblicato il 06 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

LA MADDALENA SCALZA ECCITA

Sulla panchina

Testa in fracasso.

Ssh!

-Rovistare è una pratica segreta,

non lo dirò a nessuno-

Spargere mungendo macinando

Bramosa solitudine osservando.

Seni a doppia pagina

Orifizi come tacchini

Vagine grandi quanto una testa

Mani reflex

Sopra ninfette luminose:

Irradiate

Diaframma aperto.

Una maddalena

Scalza

Sciolta sull’erba come uno smalto.

L’unghia rosso laccata riveste triviale

- Puttana

come il danaro-

Lenta

Si ridisegna i piedi di sapone,

Garofano tra la terra;

Morbida

Con le cosce aperte come burro al sole

Un tallone tra i fiori.

Colpi che tagliano il ventre

Un’ascia abbandonata

Netta e precisa

Affonda- uccide

Affonda-uccide

La Maddalena scalza

Con  passo edenico

Ignara si allontana.

 
 
 

CRONACHE- IO & j.c.

Post n°27 pubblicato il 05 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

Il treno e i suoi vecchi vagoni

Stridio di ferro e pesantezze irregolari.

Sparita piangendo sassi come d’iceberg,

Trascinando la catalessi del viso

La mia gonna sul sedile di tela verde muschio.

 

Finestrini di plastica opachi

Occhi da trapassare

Occhi ipnotici come biglie fredde,

Gli angoli della bocca,

Sopracciglia scure sempre immobili.

Una bambola Miss Ossessione.

 

Le scarpe di vernice iniziano a farmi male,

Sono belle,

Ma mi fanno male.

La fotografia di copertina-

Libretto Einaudi n.311.

Le mani macchiate dal tempo hanno le palme nascoste

Massiccio telefono nero

Dietro una finestra

Teatro.

 

Una foca impazzita,

Per la vista qualunque cosa.

Di là dalla scenografia

Un punto solo

Tra le travi e i sacchi sospesi

Accarezzo il cartoncino liscio.

Premo il dito con la punta ormai bianca

Sfrego fino a stonare stilli di luce

 

Gli stilli di Jin

Come stanotte mille e una notte

Chiudendo campane di bronzo

Più piccole ancora

Braccialetto armonico è un dono

Quando scrivo mi penso,

Ancora.

 

Appoggio una coscia sulla presa della corrente

Tavolino estraibile

Batteria scarica

Ogni tasto una tomba

Mr Q, W, E, R a Spoon River.

Le edere viola si arrampicano sul nome

Cancello

Come il ferro

Sepolture ed erba verde reticente

Come la rugiada appoggia sulla vernice

Entra nelle scarpe

Sento i piedi umidi

Il riscaldamento non funziona

Ho freddo, sono nervosa

Insistevo poi con il dito sul braccio di Jean

Cercavo l’attenzione

-Girati e guardami

  Dai, girati e guardami

 

Porta scorrevole all’improvviso

Vuoto d’aria e nidore

Afonia di campane

Chi ha aperto?

 

Posso?

Prego

 

Succede

Quando si ha un’entrata.

 

Le dà fastidio se tolgo le scarpe e appoggio i piedi?

Si accomodi io stavo per iniziare una masturbazione

 

Mi pare di girare con le braccia a rovescia

 

Arriva l’uomo con la testa da quotidiano

Carnevale di Viareggio 1987

Maurizio Costanzo fa il nano su una Cadillac

Giganti di Vinavil e cartastraccia di fanatici

 

Piovono caramelle e coltelli

I porci si ribellano.

 

Io non me ne preoccupo.

 

Con un mazzolino di icone appassite

Senza alcuna informazione da dare.

 

Io non so niente.

 

Mi danno fastidio i suoi piedi

Mi da fastidio il suo odore

Mi da fastidio lui.

 

Miss, vai a fumare una sigaretta.

Ho un formicolio alla gamba.

Corridoio percorso.

 

Immobili e flosci marmi di poveracci

Kuroi stanchi con i cappotti sulle spalle

Gallerie, buio e luce, ma è notte.

Ronzano i neon.

Nessuno ha un viso ma tutti hanno un respiro.

 

Il bagno ha una temperatura minore

Una luce maggiore

Il water ti porta direttamente a terra.

 

Scendo con la borsa sulle spalle

Stazione centrale

Dlin dlin, io vedo solo i miei piedi

Uno sputo ci cade vicino

Figa di merda

Un segno di disprezzo 

Anche io disprezzo

Ma non sputo mai

Vorrei ma non lo faccio

Finirei la saliva dopo due passi in questa città

 

Clacson, marmitte, asfalto bagnato

Le luci gialle si chiudono sotto i portici

Bologna è stanca, vecchia, bella,

Invasa.

Io lo sono con lei.

 

Dietro la gente nei cappotti

Le vetrine con i profumi

Travi, funi e sacchi dondolanti

 

Come a teatro esiste solo questa strada

 

Svolto l’angolo

Inizia la ricostruzione

Veloci, veloci, stà arrivando

Mettono un vecchio slavo con la fisarmonica

Un banchetto di ninnoli d’argento per le gazze

E una ragazza con dei volantini per la nuova occupazione della mensa

 

Le mie scarpette di vernice ticchettano tra di loro

Danno il tempo alla città

I miei piedi danno il tempo alle scarpette di vernice

Come lettere tra le dita costruiscono veloci i marciapiedi, i treni, i portici. 

 

Stacco la batteria dalla presa.

Mi alzo con un formicolio alla gamba e ripongo il portatile,

Chiudo gli occhi.

Il rumore del treno mi culla. 

 
 
 

CRONACHE- Diacronia in un giorno

Post n°26 pubblicato il 03 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

Piedi a rovescia

Stanotte lui mi aspetta

Prendo un martini

Bianco liscio

Non so se ci vado

Questo locale è vuoto

Si può fumare senza aspettare che chiudano le serrande

Proibizionismo e guerra

Scrollo la cenere in una ciotola di ceramica laccata blu

Il tacco mi scivola dallo sgabello

Dondolo mollemente la gamba

L’accavallo sull’altra

Ora dovrebbe stare ferma per un altro po

La gonna mi comprime la carne

Chissà se in città mettono il coprifuoco

Camminare per le strade deserte

L’umidità che entra dalla lana del cappotto

Raffredda la camicetta

Il rumore dei tacchi che ti segue

Sordo rumore tra i ciotoli

Morbida tra le pietre

Nemmeno un soffio d’aria

Suona il mio pensiero veloce e fermo

Pensiero dei pensieri bianco e cavo

Quando sono tutti assieme ronzare flebile e dritto

Pace che il cuore assale animale

Mi sento un po’ disturbata stanotte

Con lui non si mostrano debolezze

Lui non lo vuole

Io non lo voglio

Non serve

Prendo la chiave magnetica dalla portineria

Il letto è amplio

La doccia

L’acqua scroscia da dietro alla porta

Da dietro la finestra

Al di là delle pareti

La pioggia

Una diga nel fiume che non si ferma

La sua onda e il mio scorrere immobile

Sono un oggetto tra gli oggetti

E’ delirio di onnipotenza cercare una soluzione

Un paio di scarpe sulla moquette

Una borsa disfatta

Non sa che io ci sono

Seduta silenziosa al buio

Un lume rosso di sigaretta

Un odore acre di tabacco

Stanotte Chopin e la luna

E il cielo che si appoggia sui miei capelli

Sulla mia volontà

Trivellata cava d’argento

Vite pagate da Dio

Si aggirano nel cuore della pietra

Minatori con falci e dinamite

Non possiedono nulla per non essere posseduti

Essere un vecchio

Imbarcarsi in una nave merci

Con un soffio d’Ercole sulle mani

Melograni d’ottobre e Novecento colto

Giorni anni di rose ormai mature tra dita

Dall’Olimpo cadono fiori che puzzano morte

Sul letto in cotone

Affondata

Ancora un bacio l’universale mesce

E il respiro divide le salive

Calde acque amniotiche

Sugli ombrelli della città

Stivali in pozze sporche indicano le direzioni

Mi scusi signora, non l’avevo vista

Con l’ombrello non si vede nulla

Mi scrollo la spalla dal contatto improvviso

Sgradevole senso dell’altro

Quando riguardo la strada sono nel posto sbagliato

Non so che ore siano

Il cielo d’autunno è grigio tutto il giorno

Continuo a camminare

Non dovevo andare in nessun posto

Nessuno mi sta aspettando

Quando sarò stanca mi fermerò

Il ritmo dell’orologio

Dieci secondi ogni minuto

Dodici volte cinque minuti ogni ora

Sei volte dieci minuti ogni ora

Un quarto di ora

Un quarto di ora

Un quarto di ora

Un quarto di ora

Ventiquattro ore che si inseguono

Ogni giorno

Tutti i giorni

L’orologio ticchetta nelle teste

Con i muri e i vicoli che da secoli nello stesso giorno ci deridono

Mi chiedo dove cazzo corrono

Perché cazzo raggiungono il tempo

Lo inghiottono famelici di arrivare alla sua fine

Perché il tempo per voi ha una fine

E io lenta nel passaggio

Ferma da secoli tra i vostri passi

Sfuggo agli occhi come un alone

Ho deciso di vivere un giorno solo

Come i muri e i vicoli

Come il mio posacenere pieno di sigarette

Vicino al portatile aperto

Non ho fretta di arrivare alla fine

Mi puoi ascoltare nella pausa di una voce

Tra un battito di mani a teatro

Mi puoi vedere piegata sul tuo viso prima di chiudere gli occhi

Mi puoi vedere se cammini osservando il corso di luce sull’asfalto

Mi puoi vedere quando ti siedi in silenzio nella tua stanza

Sono nella prima e ultima pagina di ogni libro, bianca attaccata al cartoncino

Sono registrata in ogni concerto, sospesa tra il play e l’overture

Sono qua ora tra le lettere e intorno alle lettere

Le mie mani sui tasti stanno per fermarsi

E il vostro sguardo scorrerà nel labirinto alfabetico

Per cercarmi un’ultima volta.

 
 
 

ALFASIA 012- (fogli d'amanite)

Post n°25 pubblicato il 03 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

MARCIA NUZIALE DEL POETA EBETE

Sono diventata ebete,

il pastore della processione comatosa.

Un passo,

una benedizione.

Mi accompagna il corteo: tacchini glugolanti,

l’oca madre porta la croce per me.

E’ la lampara funebre del villaggio.

Oggetti di campagna: pale.

Con il forcipe precidere:

due sedie e un nastro flesso.

Vive di terra e umide di respiro

le patate librano alle mie parole,

un aratro si trascina, benedico anche lui.

Case d’acqua si rilassano,

il viale torna fiume di venti;

in onde pulite di gas

l’asfalto si alza.

Pesci di piombo bianco come l’alba affondano,

con loro i miei piedi.

Sbocciate interrate,

nel campo delle melanzane

inchino la testa:

viola, sante, distese.

Faccio deporre la croce.

Tra loro e insieme

l’oca spiumata.

 
 
 

PSICODRAMMI

Post n°24 pubblicato il 02 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

COMMEDIOLA IN DUE ATTI

atto I- PRIMO PANICO

Sono sensibile,

non sono una  sentimentale,

sono egoista, generosa,

sono insicura,

non sono facile, sono semplice

…perchéèè…

perché, perché,perché,

w,w,w,w,

non respiro

non respiro.

Ecco

ci sono

ora,

è il MOMENTO.

Cazzo, cazzo

non sono pronta,

non mi sono depilata.

che figura, che figura,

   - peccato, che bella ragazza, così giovane

     ma cosa…sono…questi,

     …però!

     Guarda che peli ha questa.

Questa a chi?

Come QUESTA.

Finitela!

   - Predi le gambe e mettiamola in cella,

      e…attento a non pungerti.

Dove ho messo la lametta.

Lametta!lametta!

Mammaa

vieni in bagno,

sto per morire e…

   -  O Dio!

     Cosa hai fatto!

     Questa si è tagliata le vene!

QUESTA?

Questa chi,

come Questa.

No…mamma NON MI SONO…

non respiro…

cercavo solo di..

Non respiro perchéè,

perché, perché,

perché proprio a me,

perché ora.

No.

Respira, respira,

reeespira.

Le gocce, gocce,

piccole benefiche gocce,

le gocce che sciolgono il mercurio,

gocce d’acero, gocce sante.

Medico.

Ricetta.

Subito.

 
 
 

COMMEDIOLA IN DUE ATTI

Post n°23 pubblicato il 02 Dicembre 2005 da alfasica
Foto di alfasica

atto II- La cura

      -  Ah! Sei tu, vieni, siediti

Come TU…

TU chi?

Avranno ragione,

forse io…

non ci sono,

IO?

Come Io,

Io chi.

Re-reespira.

Controllati

se no sparisci:

il Fù, l’Innominabile, Capitano Nemo,

Nessuno.

Dondolati sulla sedia

senza farti vedere.

Troppo.

Tieniti.

Però che belle mani che ho,

una, l’altra…

    - Dimmi.

Non so,

non ricordo,

troppo tempo.

Potrei

ritorno

ora

scusi,

esco;

apro la porta

ed esco.

Quanta gente nella sala d’aspetto!

Tutti mi guardano.

Con le funi di stoffa annodate in gola,

sapere,

capire:

IMPOSSIBILE.

Occhi sfavillanti

corpi bui,

bui

bui

pieni di vestiti borse

parrucche di martora

mani, piedi, protesi

testa, protesi.

Per questo portano orologi e calzetti.

L’uomo bionico salta cinque metri.

Loro, fermi.

Guarnizioni,

decorazioni sulla torta

come sposi

impolverati

sotto l’arco di tulle.

-  Signorina…

Sentilo!

Signorina!

Io che ero vecchia da bambina adesso sono giovane.

O…

non mi sono mai sposata.

Sarà bene? Sarà male?

Almeno saprei chi sono,

tutti saprebbero cosa sono Io!

Smetterei di annoiarmi,

stare al mio posto

con la mia gonna di placenta,

farmi guardare,

ogni tanto un dito nella panna!

Perchèè, perché, perché

w,w,w,

respira, respira

-  avrei bisogno… di una cura,

    mi sembra di non sentirmi

    troppo bene

di funzionare come una macchina,

rotta.

La mia testa dalla finestra.

Paradossi lapillanti per il cervello

cicalando la logica….

LOGICA?

Quale logica ho Io?

Io che sono solo una lineetta nera

piegata come un foglio.

Quale logica può esistere.

Guardali  Loro,

con i loro corpi…

smaniare.

Forse ho un bug,

anche Dio sbaglia,

si distrae.

Genetico.

No, no…

-  vorrei

   qualche esame

   sa alle volte…

   qualche virus

dall’esterno passa tutto,

entra

a volte rimane lì,

dentro.

Un lago rosso

arrotolato in gola a un vulcano dorme da secoli.

 

-  Signorina…capisco.

   Lei è già in cura da me

   da un anno.

Lei è in cura da me.

  

   - Lo so, lo so,

     …qualche virus.

     Stenditi,

     stai bene?

Potrei

non so.

Magari giaccio un attimo,

mi riposo.

Sono stanca.

-  dottore

   Complimenti bello l’orologio…

   se lo tolga, mi faccia

   vedere.

 

 
 
 

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