Post n°42 pubblicato il 22 Dicembre 2005 da alfasica
Accendo il C.C. Show, Il ricordo mi scoraggi ad andare.
Donne morali Liu Jo parlano d’amore - Signore con gambaletti di nylon controllano - Lo psicologo psicotico consiglia - Il grande palinsesto dei tumori piange.
Una cinese suonatrice di fisarmonica mi dà consigli sulla ceramica Mille bambole in una cantina umida,
Lenti film di Ozo.
Spengo.
Farsi una doccia in un bagno indiano fumante, Distesa in una strada di Istanbul Il vento di sabbia mi imbianca Un lama mi sputa.
La pelle cade, Foglia a foglia, I fili argento indolenti, Discorsi tra donne Cattivi in anelli di vuoto, Sottovoce, Occhi sorrisi Me lo sento di intuito, E’ stato bello Ma non posso, Ci sono io qua, Io capisco. Parlate. Parlate. Parlate.
Silenzio sovraesposto - Stupor melanconico.
Maometto in un canto unico sale dal pavimento. Nina Simone con l’ultimo fiato ti porta sul Mississipi, Senti lenta la ruota che gira Muove l’acqua pesante, Pala a pala roca. Zolle di terra umida sollevano patate Steccati semplici in chiese bianche.
Qua: Bonito Oliva balla con un trans sul parrucchino di Andy Whorol, Dolce e Gabbana ridono, Cavalli cucina, mille donne magre camminano. Spengo.
La stanza vibra di blu profondo e velluto nero. Aerei tedeschi della grande guerra ronzano, In schieramenti geometrici necessari virano. Piccoli e precisi modellini in plastica. Segni di gesso sulla lavagna per i vincenti, Feltro pregno per i perdenti.
Strutture e cancellazioni anonime Per il Nuovo Mondo potenziato.
Posso cantare superficie e giovane bellezza Nel paradiso che è bianco come denti e monumentale!
Sorridi ai tasti interrati nelle gengive Muovi lo spazzolino con un play di polso.
Nella mia bocca una scatola di metallo. Ci pianto nuovi fiori santi e muscolosi Gli do tutti i giorni Carntina, Vitamine A-E-K, D3-C-B1,2,3,5,6 e 12. Carni forti, bianche e guizzanti. Si aprono e si chiudono sincronici come ore Pronti per essere creati li recido, Fiori freschi vivono sul mio tavolo ogni giorno.
Un’orchidea all’occhiello della giacca Per Dorian Grey e per gli idoli terrestri!
Creare tutti che nulla esiste!
Io deprivazione sensoriale, Stati schizoaffettivi e psicosi cicloidi.
Lacca rossa alle unghie e acetone E per me solo soffici nervi odoranti profumi. Una piccola Nike alata, ritagliata da una rivista Nella sua fine, una fiamma bidimensionale aspetta Accartocciamenti letterari e discorsi sensati.
La stanza scintilla come un vetro, La poltrona disinfettata, al centro Bianchi topi a tappeto invadono il loro elemento. Guardo i papaveri che si schiudono puliti dai vasi.
__Il chimico accarezzi la cavia e faccia sesso con la donna ormai morta!__ Ordina il Re al suo suddito. Obbedisco (come sempre) carte da poker in feroce quadriglia Sullo scrittoio, il telefono trilla, __Mirmiglia che è una meraviglia, Arriva veloce un treno da fuori stabiliaa…arrrt__ Non rispondo. L’eco della mia voce è sospeso. Anelli di lettere fluttuano il puzzo del bruco fumoso Del buco fangoso, del baco bavoso… Cado pesante come un arcangelo sulla moquette.
Ancora sento il corpo e vecchie sabbie bianche a Istanbul Vorticano insidiose agli occhi e suoni sessuali Contrazioni sull’altalena dal pelo bianco d’angora. Un prato di piccoli garofani rossi come occhietti voraci.
Appoggio un piede indiretto, Mediazioni e deviazioni del sistema.
Una diagonale di lama ciondolanti annusano le capsule di gelatina Bianche e viola allineate alla panca operatoria, Suture e terapie trascritte lentamente al piano.
Il respiro affannato cede sotto i cubi, Il peso di mille donne magre impastate con fango e argilla. Idoli geometrici levigati e luminosi come una pala d’altare. Sul mio letto si ricama una madonna nera.
Vapori di the, nero di velluto, raggi blu di rimando, aerei tedeschi, Virano sganciano, bombe, fiale spezzate rotolano sulla moquette, Bastoni e cilindri lucenti, Tip tap sull’olocausto. Dolce e Gabbana ancora ridono.
Spengo.
I muri imbiancati proiettano il lavoro di santi, Nuovi semidei in kevlar. Le mille donne dal grande occhio tingono la mano nell’acqua benedetta, Alzano sutra mea culpa Tramano unanimi e vibrano di ipnosi. Nevrosi alte sei metri con luce cadente Epatite saettante, voce suadente -
Strati di smalto denso impregnano la stanza. Dal cervello aperto notturne di tango in contrappunto,
Gira su se stessa la marionetta danzante ai fili sciolti Il suo canto è nenia crosciante__lapidante:
L’uomo con il cappello vestito di grigio è Individuo indisturbato Assume icastico l’identità metodica distribuita pianificata ed eventualmente modificata Un grande vetro su vista New York meccanico lo satellitizza all’insediamento abitativo Ma battezzato troppo umano per il controllo cosciente allineato ripete Robota Uomo come una rotativa
Robota uomo come una rotativa Robota uomo come una rotativa.
Sono le cinque p.m. L’ora del The è arrivata,
I passeggeri si scambiano composti Girando su tazze vuote si confondono.
Io sono il servizio che hai selezionato. Sono la tua parola di passaggio. Sono un errore procedurale. Io sono le mie connessioni neurali. Sono il superfluo pensiero.
Ascolta se ti parlo di senso,
Ti dico ora panica di follie, Tremolanti gelatine di verdearancio fanno bene al metabolismo Anni sulla formica ingiallita a cucinare pollo polifosfato Cucchiai d’acciaio non arrivano al bambino sovralimentato Dalle grosse mammelle latte sgorga a cascata sulle mattonelle della cucina Tutte le nostre case sono di un colore azzurro ione.
Io sono lo specchio sodo ed elastico. Sono l’acqua fluida nei tuoi percorsi. Sono l’elettricità del tuo cervello.
Freddo di mani umide cercare Proteo nell’onda violetta Con gli occhi d’anfibio non lo si può fermare, interrogare.
Oggi è il tempo di Yorick buffone del re, Mia unione barbara col divino e consolazione. Lo conobbi nelle acque serene, fermo e solido negli argini LCD, Si affacciò e anche lui digitò indifferentemente. -Dipingiti quanto vuoi, a questa apparenza dovrai divenire- Mi disse di riderne se potevo. Io risi, muovendo il mare d’impulsi.
Il treno e la mia onda passarono lentamente sotto gli archi. Intorno colossi stanchi e frutteti acerbi, Visioni diurne di giambi sudanti ai rami.
Sgocciolanti piombi fondono sul fornello elettrico. I muri caldi aprono scansioni termiche sulla ferita appannata. Guardo le chine, il riassorbirsi veloce sulle dense montagne, Liquidi cieli dispersi nello spazio umido. Vaghezza della mente,
Vento di mulini spogli, Cavalli stanchi di sognare. Tavoli da Bleck Jack consunti in speranza.
Donne rimpolpate fluttuano sui pavimenti, Uomini mitraglieri volano.
Visione notturna a infrarosso. Luci schemi e verde contorno Su ogni calore vede e spara.
Città deserta di gas e tutto immobile. Di tetti fitti e ponti grigi Di neon e tugseno spenti Di nebbie in strada ed echi sciolti Ridi, che ormai solo il rumore di ventole è rimasto, L’aria è già piena.
Fori ordinati sul muro passano luce come musica sulla 45° strada. I gradini affollati di gente che parte E dolce far niente aspettando che arrivi. Freschi fiori sul tavolo. Il giradischi acceso ronza di swing.
Fuori ordinati Gente che parte, gente che corre,
Solo Hitchcock guarda dalla finestra Dentro la mia scatola Sui binari con la testa tragica mi muovo, Saluto come una regina inglese la camera fissa.
I vetri sottili vibrano come ance alle pale rotanti di elicotteri, Vuoti d’aria tremano e trombe in sordina trillano, Clarini urlano, viole salgono e scendono, Bassi soffocati si alzano E il sax li persuade.
Cartelloni scoloriti di visi ariani riempiono la città, Scarpe di resina dinamiche Grandi bocche in differita si muovono.
L’agonismo socializza ai valori dominanti Ellissi d’acciaio nelle piazze chiudono il sole
Sono necessari Impegno, Volontà, Sacrificio Chiudono tutte le traiettorie del sole
A tutte le fasce della popolazione Chiudono l’oro nei laboratori dell’agonismo.
Il camminare è un’attività aerobica ritmica e dinamica dei muscoli scheletrici maggiori. L’oro per il Controllo.
Commessi efedrinici dall’iride verde nei distretti industriali, Fianco destro placcato Una coscia d’angelo alata.
Metri di capelli biondi arrotolati alla gola. Nel risveglio la dea Khali con la testa da insetto,
Un ragno sognato esplorava il mio viso. Eva dalla pancia piatta mi chiama a generare.
Delirio di delirante delirio non si placa Costa fatica tornare, Passano anni per trovare il mio corpo.
Dispersa scivolo in silenzio E’ la mia meccanica del quotidiano, Rotolo e rotolo.
Sono le cinque p.m. Giro che l’acqua mi si spegne in gola. Lenta di vasca risalgo e cammino
Nuda in echi di strade inseguita dai passi Nulla si sposta. Nemmeno sul pozzo in cemento.
Si raffredda il mio Linguaggio Piano.
Sento lento il ghiacciasi della fiammella. Gas sotto un neon invecchiato titilla E crampi alle gambe.
Vibra la piccola lampada sui libri impilati, Vestiti e cose con polvere chiara,
Madre-tv che insegna ai suoi figli a cantare,
Le cose sentite da dietro le porte e cose ad entrare. I muri e le porte e i muri e le porte. |
Post n°41 pubblicato il 21 Dicembre 2005 da alfasica
CIGLIA MOLLI Sull’incanto L’aroma di crine Ondeggiando Freddo d’inverno. Vibrano ciglia molli Sul prato d’aria e di cielo, Del vuoto Contemplo Erba ionizzata. Tra i capelli l’umido Ansare del cielo. Vento di locusta schioccante Fremendo l’intero corpo ricopre. Lotiformi Montagne, fiori Di svastiche, distese Di pentagoni neri. Risucchio il collirio dagli occhi fogliati, Con la sete di un uccello Nel ritorno becco, Becco ancora. Sgocciolano acquosi Caldi umori di corpo, Calmo mercurio. Sono blu e bagnata Come un oceano piange Anemoni. |
Post n°40 pubblicato il 20 Dicembre 2005 da alfasica
NEL GESSO Non ne uscirò mai! Ci sono due me, ora: solo molto più bianca, infrangibile e priva di magagne. Senza di me non sarebbe esistita, sicchè mi era grata. Non mi dispiaceva farmi servire, e lei adorava farlo. Ora non mi stava più così stretta addosso, si teneva sulle sue. Voleva lasciarmi, si credeva superiore, Io ero impossibilitata a liberarmi di lei. Avevo creduto che la nostra unione potesse funzionare_ Sylvia Plath, Attraversando l'acqua (1961) |
Post n°39 pubblicato il 19 Dicembre 2005 da alfasica
IL MIO DOLCE ORRORE L’orrore arriva in cucina arriva, vuole stare con me, mi tocca i capelli mi riempie di domande. A letto arriva per il bacio della notte, divino atroce allunga le antenne stride come una cimice, amoroso. Arriva e si sdraia, vuole sentirmi parlare. Tori gonfi d’acqua. Il mio dolce orrore ha paura che la morte non esista, come un bambino disincantato; me l’hanno detto, me l’hanno detto. La morte esiste, non preoccuparti. Si alza veloce per giocare con le lenzuola sgocciola sul pavimento. -avevi promesso- Lepre cornuta. Il mio dolce orrore ha paura che la morte esista come un bambino nel buio, nelle profondità delle coperte. Non esiste, non preoccuparti. Siede vicino a me, mi guarda a lungo, gira la testa, tra il mio collo, si addormenta.
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Post n°38 pubblicato il 18 Dicembre 2005 da alfasica
PAROLE COME DI MORTE Defibrillata, Abili orefici coltivano L’orto irrorato. Nel cuore Torcendosi lievi Vedo dita fiorire, Dal prato colli animati, Antenne di lumache. Battiti Nei sinistri giardini di palma. Anche una calla fiorisce Sul mio viso Piccolo orecchio carnoso; Mani di file di gobbi accucciati Mi strappano il camice, Sulla tettoia chiamano Il mio nome. Ora capisco. I verdi cadono unisoni. Rimango con l’ombrello Aperto, ebbra Come un demente, mi guardo, Mi spavento -che sciocca, ho paura di me- Canto catatonico intono sciogliendo la raucedine Cruda come una morte, Livida come un mare Decoro gli amici In ghirlande di dita mozzate - prendetele le ho infilate per voi - Loro mi guardano Senza occhi Con ciglia stupite Sciocchi si spaventano. |
Post n°37 pubblicato il 17 Dicembre 2005 da alfasica
L'ARRIVO DELLA CASSETTA DELLE API L'ho ordinata io, questa linda cassetta di legno La cassetta è chiusa a chiave, è pericolosa. Metto l'occhio nella grata. Come posso lasciarle uscire? Tendo l'orecchio a un furioso latino. Chissà se hanno fame. Potrebbero ignorarmi all'istante La cassetta è solo temporanea. SYLVIA PLATH (Ariel, 1962) |
Post n°36 pubblicato il 16 Dicembre 2005 da alfasica
DISIMPEGNO (da leggere come si vuole) Con i piedi uniti scendo le scale Trasportata tra i corrimano di Coin La stuzzicante vernice lavabile Granulosa sui polpastrelli Gente Odore di Mc Donald e pioggia Forse viene il sole, ma ormai è sera Lei mi aspetta al tavolino del bar Ho due libri Nella borsa È sparita una torre E’ possibile Fisarmonica zigagna Un euro per non estinguersi Stefanel poteva terrazzare Sopraelevare Sovrastrutturare Te cosa hai portato? Le mani mi bruciano blu Silvia Prendiamo un caffè? Andiamo a far suonare i libri Sezione bambini Manualistica di Barby I libri pianola Tlin tlin tlin Un’americano e un’espresso Accavallo le gambe Mi faccio roteare dalla sedia in plexliglass Un uomo guarda le catacombe Tre euro Passando Lascia faccio io La bambina si butta di faccia per terra La rialzano Allora stasera? La bambina si butta di faccia per terra Non so La rialzano Andiamo a sentire F. che soffia dentro il sax? Dai povero F. Vorrei buttarmi anche io di faccia per terra Qua Senza motivo Fingerei una crisi isterica Vado a chiedere un po’ d’acqua Vai io leggo Potrebbero essere più gentili Potrebbero Allora Pu come va? Guarda che livido Capisco, ancora le fix di Jhon Cena Potreste fare sesso ogni tanto Solo Wrestling Capisco La piazza fluisce nel vicolo I tavolini per turisti ordinati finiscono Odore di pesce Grembiule di gomma e carrello Lumicini per alimenti Sacchetti di plastica sformati Seppie lucenti Lo sai che M&M hanno deciso di fare il quarto reich? E l’idea del brevetto per lo zerbino elettrico l’hanno abbandonata? Li bruciano come zanzare sfrigolanti Ho consigliato l’addestramento di corvi da occhi L’idea della dittatura non mi dispiace Basta che il dittatore sei te Ma io sono Dio Profana Odore di carne macinata cotta Billy Holiday mostra i denti in bianco e nero Al tavolo il vecchio mangia Scale Mi fermo al bagno Prendo il tavolo Tenda di velluto Siamo in due Luce di ottoni Il legno della sedia vibra sotto i colpi della batteria Martini, due, con ghiaccio, senza limone, grazie Ho ordinato anche per te Muovo il bicchiere sulla tovaglia a quadri Tra i denti sale e olio di arachide F. l’antieroe Un’essenza Ciao l’Eujijì, L.! Em…R…. F. Allora stasera cosa mi dite Folata di capelli sporchi Stasera tolta la sciarpa di lana F.? La sciarpa è in macchina con il cilindro perché… Lo sai che ci siamo innamorate di te da quando ti abbiamo visto …il coniglio non voleva venire e non potevo… Sudare sotto il riflettore …mettere la sciarpa senza cilindro Abbassa il riflettore! La luce! ..non vedo! Soffoco! Senti Jejenì ieri notte sono venuto a suonare a casa tua ma non mi hai aperto Chiaro ho staccato il campanello perché ti aspettavo Ahhh Dai ditemi qualcosa in questa notte buia e sola R. si eccita con la batteria Certe vibrazioni sulla sedia Non posso rimanere insensibile Il ghiaccio sbatte sui denti Applauso. |
Post n°35 pubblicato il 15 Dicembre 2005 da alfasica
LA VAGINA DEL GIARDINO INFINITO Discesa sul mondo, Lenta e dolce, insinuarsi nel sonno. Ritmo continuo. Ascese gutturali.
L’ipnotico Canto Sacro.
Nel letto in silenzio Scambio risveglio per sogno, Apro gli occhi, pesanti piombi, oggetti massicci.
Nella mia stanza sostanziosa e ferma Ventilatore in bilico senza un piede, Sul pavimento scarpe tondeggiano.
Il Canto Stride fastidioso Nella mia Ragione.
Alzarsi, Preparare la macchinetta del caffè. Due del pomeriggio, Si alza forte il Canto Sacro.
Tutto è luce vibrante d’acqua. Il telo del terrazzo, abbassato come un’ala Sulla mia cucina, è umido d’arancia. Piante secche muovono l’aria. Io fissamente seduta, Guardo l’acciaio con occhi di gazza.
Tempo dimenticato, Incantata dalla porta armonica Poggio l’orecchio. Una conchiglia di scale Srotola ripetizioni esotiche. Legno scuro, muove sillabe di miele. Il mio orecchio le lecca fino alla fine del canto.
Lenti iperboliche e oro bizantino come nastri, Muri di buganville si arrampicano in cicli continui, Uomini ambrati, sostano nelle stanze. La Vagina del Giardino Infinito.
Sera con le cicale. Il canto nel mio pensiero si somma. Lo desidero come un uomo, Un libro, una Bibbia, le Undici.
Il suono è venuto, ancora, come gli ho chiesto. Rompe e frammenta i miei occhi imperlati. Le sabbie soffiate portano la luce bianca Del tempo fermo, lo sento scorrere omogeneo, Senza vita abbagliante, grano a grano.
Il piccolo tempio, circolare nella sua fine- Esile cupola d’avorio sospesa, Alte e sottili colonne ritorte all’aria- Mi chiama nella sua ombra. Mi incammino, cado nel sonno. Il mio amante chiama più forte. Dalla finestra una verticale d’argento, Mattino.
Forzare la volontà incollata. Gli occhi sanno già ciò che trovano, Le Cose Solide Al loro posto, quello che ho deciso- Un pavimento, un ventilatore e la sua elica-
Vedo vicino alle scarpe delle macchie non scelte, Macchie nere e veloci Si allontanano come punti corazzati. Di scatto in piedi il mio corpo teso. Lento lo scarafaggio sul mio copriletto, Fermo - non orientato.
Eliminare i repellenti neri. Mostruosi sopravvissuti delle Ere terrene, Gamberi scampati al proprio sviluppo. La specie, la vita primaria- Adatti per le condizioni di privazione Vivi in una catastrofe naturale-
Agili sotterranei Nascondersi - riprodursi a migliaia. Sotto la mia maglia, nelle gambe, controllare La loro organizzazione. Capire come ucciderli. Veleno insetticida per la casa, Veleno sul tappeto, veleno nell’armadio, veleno nel letto.
Preparare il buon pranzo. Carne sul fornello che sfrigola. Due del pomeriggio Alza forte il mio Canto Sacro.
La porta vibra al segnale. Verso di lei, la raggiungo, Voglio appoggiare il mio corpo, Congiungermi al legno sordo.
Spalanca ghiaccio nelle mani Corridoio dalla gola aperta, Un urlo lo sguardo. Finestra infinita, l’aprirsi sincronico In file di porte copula nei corridoi. Nere veloci mannaie alzate Moltiplicano squadre di uomini.
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Post n°34 pubblicato il 13 Dicembre 2005 da alfasica
500 Nel mio Giardino, volteggia veloce un Uccello, Lo fa su una Ruota sola - Dai cui raggi sprigiona vertiginosa Una Musica - un Mulino perenne - Non si ferma mai, rallenta soltanto Sulla Rosa più Turgida - Senza posarsi ne assapora l'essenza Si compiace con lei e si commiata, Ne gusta tutti gli umori speziati - Poi, e solo allora la sua Giga di Fiaba Volteggerà in più remote atmosfere - E io torno al mio Cane, Nel dubbio, io e lui ci chiediamo Ma lo sappiamo per certo, eravamo noi? - O era il Giardino della Mente Che ospitava questo Strano Scenario - Ma Lui, il migliore Logico, Rimanda il mio sguardo - opaco - Ai fiori sbocciati che vibrano ancora! Risposta di squisita Raffinatezza! (c.1862) Emily Dickinson |
Post n°33 pubblicato il 13 Dicembre 2005 da alfasica
Oggi ho deciso un’insolito approccio al mio blog, normalmente non lascio molto spazio ai commenti, per questo naturalmente mi ritengo in difetto ma un certo individualismo e a dire il vero anche una certa misoginia me lo impediscono. Questo messaggio sarà così dedicato alla risposta di un commento. Mi sono chiesta più di una volta se e quanto poteva arrivare delle afasie scritte fino ad ora -surreali cut up di visioni, intensioni ed eventi-, ieri ho avuto una reazione precisa e sintomatologica. Pubblico dunque una possibile lettura dell’alfasia n.016, Ugola salata, dando la chiave di alcuni dei suoi simboli. In questa alfasia mi sento per metà discolpata visto che ho onestamente avvisato nel suo interno dell’uso di un certo flusso, con un riferimento a Proust e al ricordo, il suo simbolo è la magdalene…splaschhh tutto liquefatto nelle acque calde e profumate della memoria. In alfasia 016 ho scritto sulle Parole dette, sul loro ricordo puro e slegato dall’evento scatenante, sul loro continuo orbitare nella mente. Le parole si appoggiano anno dopo anno sulla testa, come un velo la coprono, salificandosi, diventando cristalli paralizzanti. A volte non le si assorbono subito, diventano il velo nero di una vergine. Parole pesanti, dense come pece penetrano nelle orecchie, si fermano, si addormentano in un cono incosciente. La forma rotonda di un passaggio. Ogni giorno cercano di penetrare nel corpo silenzioso toccando, invadendo come mani sessuali lo spazio sacro dell'intima chiusura. Poi colano nella testa, al suo interno, la superficie pungente si può schiudere dopo molti anni, il gas velenoso, solforoso, inizia a invadere il pensiero. Slegate dal tempo alle azioni, diventano parole irreali e postume, escono da un alito riscaldato, nero e rabbioso; e rimangono come pietre stellari, lontane, raccolte in tempi. Immagini che arrivano dalle pupille otturate, immagini senza forma e colore. Una sottile membrana le avvolge, ne comprime il succo mantenendole in vita, una bolla di sapone che inizia la sua orbita vacua di pianeta senza spazio della memoria. Sfere di vetro che nemmeno una punta pura di diamante o uno spaccaghiaccio con la punta di specchio, te stesso contro te stesso, riescono a rompere. E allora ogni giorno le porti a passeggio, sotto braccio, le ricopri d’argento come idoli del tempo, le coltivi come le rose gioiello di una serra artificiale; e ogni sera le riponi in un portauova, bianco come una corsia d’ospedale. Al mattino le tue pillole della memoria e dell’oblio sono pronte per essere nuovamente ingerite. N.b. Le alfasie sono poesie in cui regna il simbolo e il surreale nel libero vagare del pensiero, solo nelle Cronache e negli Psicodrammi affermo l'uso del proustismo fondendo momenti in atto e momenti della memoria, usando un presente assoluto estraneo al ritmo cronologico della narrazione (ad es. Diacronia in un giorno)
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Post n°32 pubblicato il 12 Dicembre 2005 da alfasica
UGOLA SALATA Silenziosa, inleiata e divina Inabissata da decadi di incudini. Sclerotizzato da cristalli del tempo, Scaglia a scaglia, sui suoi capelli coperti Velo di sale eroso dal dito d’ago, Spaccaghiaggio dalla punta di specchio.
Santa, silenziosa e pulita Sbordando acque di stagni,
Onde equalizzate trascinate da teste di vergini, Voci esterne alte come spigoli, come mani sul corpo instancabili. Interlinee di bitume colano nel timpano otturato Incantando il sonno nella sua forma di cono. Dentro, pesci palla aperti secchi, sbruffando come geiger furiosi, Ruote d’ossa acuminate rotando alzano le nebbie gialle dei soli urlanti.
Ssplasch, bicchiere di thè caldo, Splasch, magdalene bagnata, Il condominio intero, splaschh. Meschina l'acqua spruzza sguardi di catrame, Ingoia disperde nei pozzi neri di pupille.
Splasch, Liquefatto come benzina, Sento l’odore acuto di nafta tra gli occhi. : si carica le pietre fredde, Adesso è pazza nella sua casa nuova, Nel giardino del nosocomio raccoglie fiori recisi, Scheletro di una rosa magra nella fila, Rosa ghiacciata nel suo stelo orgogliosa Soffia sulle mani di verità repulsa, Vacuità innaffiata d’argento ogni giorno parlando. Diaframmi di sapone chiudono il suo alito caldo Che le parole graffiano come punte di diamante, Timorosi e pesanti pianeti d’alito Senza orbita tra le corsie si appoggiano al suo braccio peloso, Gemme di vento sulfureo da portare a passeggio Da riporre ogni giorno nel portauova bianco Come capsule dense d’oblio e memorie Pesanti e neri intuiti. |
Post n°31 pubblicato il 08 Dicembre 2005 da alfasica
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Post n°30 pubblicato il 07 Dicembre 2005 da alfasica
(domande del pensiero fisso) LA SFINGE: Abbandonati; non tentare di irrigidirti, di resistere. Se resisti, renderai soltanto più delicato il mio compito e rischierò di farti male. EDIPO:Resisterò! (chiude gli occhi, volge la testa) SFINGE:Inutile chiudere gli occhi e voltare la testa. Non è nè con il canto nè con lo sguardo che io opero. Ma più abile di un cieco, più rapida della rete di gladiatori, più sottile della folgore, più rigida d'un cocchiere, più pesante di una vacca, più savia di uno scolaro che suda sui numeri, più attrezzata, più munita di vele, e di ancore, più equilibrata di un vascello, più incorruttibile di un giudice, più vorace degli insetti, più sanguinaria degli uccelli, più notturna dell'uovo, più ingegnosa dei carnefici d'asia, più volpina che il cuore, più lesta di una mano che bara, più fatale degli astri, più accorta del serpente che umetta la preda di saliva; io secreziono, cavo fuori da me stessa, allento, dipano, srotolo e arrotolo in tal modo che mi basterà volere quei nodi per farli, e pensarci per tenderli o stenderli; così sottile che ti sfugge, così duttile che penserai di essere vittima di qualche veleno, così tagliente che una sbadataggine da parte mia ti amputerebbe, così teso che un archetto caverebbe fuori tra noi un gemito celestiale; tortile come il mare, la colonna, la rosa, muscoloso come la piovra, macchinoso come gli scenari del sogno, soprattutto invisibile, invisibile e maestoso come la circolazione del sangue delle statue, un filo che ti allaccia con le volute dei folli arabeschi del miele che cade su altro miele. EDIPO:Lasciatemi! LA SFINGE:E io parlo, lavoro, dipano, srotolo, calcolo, medito, intreccio, vaglio, sferruzzo, intesso, incrocio, passo, ripasso, annodo, disnodo e riannodo, trattenendo i più piccoli nodi che dovrò poi scioglierti sotto pena di morte: e serro, disserro, m'inganno, ritorno sui miei passi, esito, correggo, ingarbuglio, disingarbuglio, slaccio, riallaccio, riparto; e incastro, agglutino, avvinco, tiro, intralcio, accumulo, fino a che tu senta dalla punta dei piedi alla radice dei capelli, vestito da tutte le spire d'un sol rettile, il minimo respiro del quale tronchi il tuo e ti renda simile al braccio inerte sul quale si sia addormentato un dormiente. JEAN COCTEAU- LA MACCHINA INFERNALE |
Post n°29 pubblicato il 07 Dicembre 2005 da alfasica
ABAT-JOUR Apro il computer l’accendo, mi fa da abat-jour; apro anche il libro alle piccole falene, un nido nella rilegatura. Pagine calde, pagine amniotiche, era seppellito tra i cuscini del letto. Lettere attaccate zecche vogliose, santi tentano di superarsi schiudendo il collo; il resto giace. Un dito pinnato sul bordo del libro dove è marcato: Silvia Plath- Poesie. Viola foglie con il numero tutte dormono nelle parentesi del cartoncino. -perversità in cucina- Un pesce siluro passa tra le parole. Swischhh. Il tipografo, il Mercante Avaro, Ted Hughes, il gettone per l’autolavaggio; Nietzche con il condor sulla spalla, io non lo so.
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Post n°28 pubblicato il 06 Dicembre 2005 da alfasica
LA MADDALENA SCALZA ECCITA Sulla panchina Testa in fracasso. Ssh! -Rovistare è una pratica segreta, non lo dirò a nessuno- Spargere mungendo macinando Bramosa solitudine osservando. Seni a doppia pagina Orifizi come tacchini Vagine grandi quanto una testa Mani reflex Sopra ninfette luminose: Irradiate Diaframma aperto. Una maddalena Scalza Sciolta sull’erba come uno smalto. L’unghia rosso laccata riveste triviale - Puttana come il danaro- Lenta Si ridisegna i piedi di sapone, Garofano tra la terra; Morbida Con le cosce aperte come burro al sole Un tallone tra i fiori. Colpi che tagliano il ventre Un’ascia abbandonata Netta e precisa Affonda- uccide Affonda-uccide La Maddalena scalza Con passo edenico Ignara si allontana. |
Post n°27 pubblicato il 05 Dicembre 2005 da alfasica
Il treno e i suoi vecchi vagoni Stridio di ferro e pesantezze irregolari. Sparita piangendo sassi come d’iceberg, Trascinando la catalessi del viso La mia gonna sul sedile di tela verde muschio. Finestrini di plastica opachi Occhi da trapassare Occhi ipnotici come biglie fredde, Gli angoli della bocca, Sopracciglia scure sempre immobili. Una bambola Miss Ossessione. Le scarpe di vernice iniziano a farmi male, Sono belle, Ma mi fanno male. La fotografia di copertina- Libretto Einaudi n.311. Le mani macchiate dal tempo hanno le palme nascoste Massiccio telefono nero Dietro una finestra Teatro. Una foca impazzita, Per la vista qualunque cosa. Di là dalla scenografia Un punto solo Tra le travi e i sacchi sospesi Accarezzo il cartoncino liscio. Premo il dito con la punta ormai bianca Sfrego fino a stonare stilli di luce Gli stilli di Jin Come stanotte mille e una notte Chiudendo campane di bronzo Più piccole ancora Braccialetto armonico è un dono Quando scrivo mi penso, Ancora. Appoggio una coscia sulla presa della corrente Tavolino estraibile Batteria scarica Ogni tasto una tomba Mr Q, W, E, R a Spoon River. Le edere viola si arrampicano sul nome Cancello Come il ferro Sepolture ed erba verde reticente Come la rugiada appoggia sulla vernice Entra nelle scarpe Sento i piedi umidi Il riscaldamento non funziona Ho freddo, sono nervosa Insistevo poi con il dito sul braccio di Jean Cercavo l’attenzione -Girati e guardami Dai, girati e guardami Porta scorrevole all’improvviso Vuoto d’aria e nidore Afonia di campane Chi ha aperto? Posso? Prego Succede Quando si ha un’entrata. Le dà fastidio se tolgo le scarpe e appoggio i piedi? Si accomodi io stavo per iniziare una masturbazione Mi pare di girare con le braccia a rovescia Arriva l’uomo con la testa da quotidiano Carnevale di Viareggio 1987 Maurizio Costanzo fa il nano su una Cadillac Giganti di Vinavil e cartastraccia di fanatici Piovono caramelle e coltelli I porci si ribellano. Io non me ne preoccupo. Con un mazzolino di icone appassite Senza alcuna informazione da dare. Io non so niente. Mi danno fastidio i suoi piedi Mi da fastidio il suo odore Mi da fastidio lui. Miss, vai a fumare una sigaretta. Ho un formicolio alla gamba. Corridoio percorso. Immobili e flosci marmi di poveracci Kuroi stanchi con i cappotti sulle spalle Gallerie, buio e luce, ma è notte. Ronzano i neon. Nessuno ha un viso ma tutti hanno un respiro. Il bagno ha una temperatura minore Una luce maggiore Il water ti porta direttamente a terra. Scendo con la borsa sulle spalle Stazione centrale Dlin dlin, io vedo solo i miei piedi Uno sputo ci cade vicino Figa di merda Un segno di disprezzo Anche io disprezzo Ma non sputo mai Vorrei ma non lo faccio Finirei la saliva dopo due passi in questa città Clacson, marmitte, asfalto bagnato Le luci gialle si chiudono sotto i portici Bologna è stanca, vecchia, bella, Invasa. Io lo sono con lei. Dietro la gente nei cappotti Le vetrine con i profumi Travi, funi e sacchi dondolanti Come a teatro esiste solo questa strada Svolto l’angolo Inizia la ricostruzione Veloci, veloci, stà arrivando Mettono un vecchio slavo con la fisarmonica Un banchetto di ninnoli d’argento per le gazze E una ragazza con dei volantini per la nuova occupazione della mensa Le mie scarpette di vernice ticchettano tra di loro Danno il tempo alla città I miei piedi danno il tempo alle scarpette di vernice Come lettere tra le dita costruiscono veloci i marciapiedi, i treni, i portici. Stacco la batteria dalla presa. Mi alzo con un formicolio alla gamba e ripongo il portatile, Chiudo gli occhi. Il rumore del treno mi culla. |
Post n°26 pubblicato il 03 Dicembre 2005 da alfasica
Piedi a rovescia Stanotte lui mi aspetta Prendo un martini Bianco liscio Non so se ci vado Questo locale è vuoto Si può fumare senza aspettare che chiudano le serrande Proibizionismo e guerra Scrollo la cenere in una ciotola di ceramica laccata blu Il tacco mi scivola dallo sgabello Dondolo mollemente la gamba L’accavallo sull’altra Ora dovrebbe stare ferma per un altro po La gonna mi comprime la carne Chissà se in città mettono il coprifuoco Camminare per le strade deserte L’umidità che entra dalla lana del cappotto Raffredda la camicetta Il rumore dei tacchi che ti segue Sordo rumore tra i ciotoli Morbida tra le pietre Nemmeno un soffio d’aria Suona il mio pensiero veloce e fermo Pensiero dei pensieri bianco e cavo Quando sono tutti assieme ronzare flebile e dritto Pace che il cuore assale animale Mi sento un po’ disturbata stanotte Con lui non si mostrano debolezze Lui non lo vuole Io non lo voglio Non serve Prendo la chiave magnetica dalla portineria Il letto è amplio La doccia L’acqua scroscia da dietro alla porta Da dietro la finestra Al di là delle pareti La pioggia Una diga nel fiume che non si ferma La sua onda e il mio scorrere immobile Sono un oggetto tra gli oggetti E’ delirio di onnipotenza cercare una soluzione Un paio di scarpe sulla moquette Una borsa disfatta Non sa che io ci sono Seduta silenziosa al buio Un lume rosso di sigaretta Un odore acre di tabacco Stanotte Chopin e la luna E il cielo che si appoggia sui miei capelli Sulla mia volontà Trivellata cava d’argento Vite pagate da Dio Si aggirano nel cuore della pietra Minatori con falci e dinamite Non possiedono nulla per non essere posseduti Essere un vecchio Imbarcarsi in una nave merci Con un soffio d’Ercole sulle mani Melograni d’ottobre e Novecento colto Giorni anni di rose ormai mature tra dita Dall’Olimpo cadono fiori che puzzano morte Sul letto in cotone Affondata Ancora un bacio l’universale mesce E il respiro divide le salive Calde acque amniotiche Sugli ombrelli della città Stivali in pozze sporche indicano le direzioni Mi scusi signora, non l’avevo vista Con l’ombrello non si vede nulla Mi scrollo la spalla dal contatto improvviso Sgradevole senso dell’altro Quando riguardo la strada sono nel posto sbagliato Non so che ore siano Il cielo d’autunno è grigio tutto il giorno Continuo a camminare Non dovevo andare in nessun posto Nessuno mi sta aspettando Quando sarò stanca mi fermerò Il ritmo dell’orologio Dieci secondi ogni minuto Dodici volte cinque minuti ogni ora Sei volte dieci minuti ogni ora Un quarto di ora Un quarto di ora Un quarto di ora Un quarto di ora Ventiquattro ore che si inseguono Ogni giorno Tutti i giorni L’orologio ticchetta nelle teste Con i muri e i vicoli che da secoli nello stesso giorno ci deridono Mi chiedo dove cazzo corrono Perché cazzo raggiungono il tempo Lo inghiottono famelici di arrivare alla sua fine Perché il tempo per voi ha una fine E io lenta nel passaggio Ferma da secoli tra i vostri passi Sfuggo agli occhi come un alone Ho deciso di vivere un giorno solo Come i muri e i vicoli Come il mio posacenere pieno di sigarette Vicino al portatile aperto Non ho fretta di arrivare alla fine Mi puoi ascoltare nella pausa di una voce Tra un battito di mani a teatro Mi puoi vedere piegata sul tuo viso prima di chiudere gli occhi Mi puoi vedere se cammini osservando il corso di luce sull’asfalto Mi puoi vedere quando ti siedi in silenzio nella tua stanza Sono nella prima e ultima pagina di ogni libro, bianca attaccata al cartoncino Sono registrata in ogni concerto, sospesa tra il play e l’overture Sono qua ora tra le lettere e intorno alle lettere Le mie mani sui tasti stanno per fermarsi E il vostro sguardo scorrerà nel labirinto alfabetico Per cercarmi un’ultima volta. |
Post n°25 pubblicato il 03 Dicembre 2005 da alfasica
MARCIA NUZIALE DEL POETA EBETE Sono diventata ebete, il pastore della processione comatosa. Un passo, una benedizione. Mi accompagna il corteo: tacchini glugolanti, l’oca madre porta la croce per me. E’ la lampara funebre del villaggio. Oggetti di campagna: pale. Con il forcipe precidere: due sedie e un nastro flesso. Vive di terra e umide di respiro le patate librano alle mie parole, un aratro si trascina, benedico anche lui. Case d’acqua si rilassano, il viale torna fiume di venti; in onde pulite di gas l’asfalto si alza. Pesci di piombo bianco come l’alba affondano, con loro i miei piedi. Sbocciate interrate, nel campo delle melanzane inchino la testa: viola, sante, distese. Faccio deporre la croce. Tra loro e insieme l’oca spiumata. |
Post n°24 pubblicato il 02 Dicembre 2005 da alfasica
COMMEDIOLA IN DUE ATTI atto I- PRIMO PANICO Sono sensibile, non sono una sentimentale, sono egoista, generosa, sono insicura, non sono facile, sono semplice …perchéèè… perché, perché,perché, w,w,w,w, non respiro non respiro. Ecco ci sono ora, è il MOMENTO. Cazzo, cazzo non sono pronta, non mi sono depilata. che figura, che figura, - peccato, che bella ragazza, così giovane ma cosa…sono…questi, …però! Guarda che peli ha questa. Questa a chi? Come QUESTA. Finitela! - Predi le gambe e mettiamola in cella, e…attento a non pungerti. Dove ho messo la lametta. Lametta!lametta! Mammaa vieni in bagno, sto per morire e… - O Dio! Cosa hai fatto! Questa si è tagliata le vene! QUESTA? Questa chi, come Questa. No…mamma NON MI SONO… non respiro… cercavo solo di.. Non respiro perchéè, perché, perché, perché proprio a me, perché ora. No. Respira, respira, reeespira. Le gocce, gocce, piccole benefiche gocce, le gocce che sciolgono il mercurio, gocce d’acero, gocce sante. Medico. Ricetta. Subito. |
Post n°23 pubblicato il 02 Dicembre 2005 da alfasica
atto II- La cura - Ah! Sei tu, vieni, siediti Come TU… TU chi? Avranno ragione, forse io… non ci sono, IO? Come Io, Io chi. Re-reespira. Controllati se no sparisci: il Fù, l’Innominabile, Capitano Nemo, Nessuno. Dondolati sulla sedia senza farti vedere. Troppo. Tieniti. Però che belle mani che ho, una, l’altra… - Dimmi. Non so, non ricordo, troppo tempo. Potrei ritorno ora scusi, esco; apro la porta ed esco. Quanta gente nella sala d’aspetto! Tutti mi guardano. Con le funi di stoffa annodate in gola, sapere, capire: IMPOSSIBILE. Occhi sfavillanti corpi bui, bui bui pieni di vestiti borse parrucche di martora mani, piedi, protesi testa, protesi. Per questo portano orologi e calzetti. L’uomo bionico salta cinque metri. Loro, fermi. Guarnizioni, decorazioni sulla torta come sposi impolverati sotto l’arco di tulle. - Signorina… Sentilo! Signorina! Io che ero vecchia da bambina adesso sono giovane. O… non mi sono mai sposata. Sarà bene? Sarà male? Almeno saprei chi sono, tutti saprebbero cosa sono Io! Smetterei di annoiarmi, stare al mio posto con la mia gonna di placenta, farmi guardare, ogni tanto un dito nella panna! Perchèè, perché, perché w,w,w, respira, respira - avrei bisogno… di una cura, mi sembra di non sentirmi troppo bene di funzionare come una macchina, rotta. La mia testa dalla finestra. Paradossi lapillanti per il cervello cicalando la logica…. LOGICA? Quale logica ho Io? Io che sono solo una lineetta nera piegata come un foglio. Quale logica può esistere. Guardali Loro, con i loro corpi… smaniare. Forse ho un bug, anche Dio sbaglia, si distrae. Genetico. No, no… - vorrei qualche esame sa alle volte… qualche virus dall’esterno passa tutto, entra a volte rimane lì, dentro. Un lago rosso arrotolato in gola a un vulcano dorme da secoli.
- Signorina…capisco. Lei è già in cura da me da un anno. Lei è in cura da me.
- Lo so, lo so, …qualche virus. Stenditi, stai bene? Potrei non so. Magari giaccio un attimo, mi riposo. Sono stanca. - dottore Complimenti bello l’orologio… se lo tolga, mi faccia vedere.
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Inviato da: cassetta2
il 17/08/2021 alle 20:44
Inviato da: alfasica
il 04/12/2011 alle 14:07
Inviato da: dissolvenza2010
il 28/10/2011 alle 12:48
Inviato da: BENNIE
il 29/04/2009 alle 18:16
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il 29/04/2009 alle 18:15