Creato da ciapessoni.sandro il 21/02/2010

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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°196 pubblicato il 13 Ottobre 2012 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore Guido da Verona.

 

 

Immagine: Il castello di Lourdes

[...] Davanti a noi, sopra un viluppo di strade anguste, che parevano scendere verso una profondità, si alzava la collina di Lourdes, con la bruna macchia del suo Castello, che aveva ceduto a sovrane Confraternite il vassallaggio della guelfa Contea.

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XIX° Parte del romanzo (seguito del post 195)

Ed io vi amo, rondini, perché la vostra fedeltà è nell'esilio, e due volte nell'anno voi stringete il male della strada, e la distanza brilla in voi, come nel cuore mio di navigante brilla, o rondini, la poesia...

- Bilbao? preferite Bilbao?

- Sì, andiamo a Bilbao.

Questa risoluzione fu presa due giorni dopo. Litzine era tornata a Biarritz; l'avvocato Claude, con la celebre cantante M.me de Lonard, erano ripartiti per Nimes; la contessa Fellner aspettava di giorno in giorno l'arrivo del suo amico parigino, ricco sfondato e pazzamente innamorato di lei...

Quanto a Lord Pepe, egli non aveva nemmeno pensato a mandare un telegramma; vera indelicatezza da parte d'un uomo al quale avevamo dato entrambi tante prove d'amicizia.

Un caldo sole d'autunno dorava l'indolenza del glorioso Atlantico, quando l'automobile mosse dal peristilio dell'albergo, svoltò e corse quasi cantando lungo i dorati alberi della Zurriola.

In breve la città regale di Maria Cristina scomparve dietro il lontano Monte Urgull.

Addio, città radiosa dei Baschi di Guipuzcoa!... qualcosa di noi moriva per sempre, là indietro, in quella bianca distanza... forse non udirò mai più, nelle profumate albe, l'Urumea cantare...

Io mi sentivo profondamente male, quasi affascinato e sommerso nella eccessiva luce di quella mattinata sfolgorante. In me, nelle mie stesse vene, sentivo battere la pulsante furia del motore, godevo l'urto, la potenza, di quella inebriante velocità.

La miss-cameriera, seduta a fianco del meccanico, tutta seria, quasi elegante, molto ben pettinata, portava con disinvoltura un cappellino delle Galeries Lafayette. Madlen, col suo pechinese accovacciato nel grembo, la testa un po' rovesciata sotto la forza ed il profumo del vento, guardava la variata campagna sciorinarsi come una stoffa morbida e scintillante.

In un largo anfiteatro di colline vedemmo ridere Zaraùz. La spiaggia formicolava di bagnanti mattutini; l'onda era cosparsa d'imbarcazioni leggere; le figlie superbe delle matrone cristianissime, gli snelli e bruni adolescenti che più tardi porterebbero con sontuoso squallore i blasoni dei Grandi di Spagna, le procaci ed incipriate dame d'onore della Corte di Madrid, i magnifici dignitari di cappa e di spada, erano là, discinti, nella chiara onda, e liberamente nuotavano.

Un soverchiante profumo di gaggìe vampava dai giardini di Zaraùz.

Pompon fece tre o quattro ridicoli starnuti, imperlando il velo che doveva riparare dalla polvere i suoi occhi rotondi e lucenti come agate scurissime. Davanti al pericolo che il nobile cane prendesse una volgare infreddatura, Madlen avvolse nel plaid il decadente Pompon ed inoltre lo ricoperse con un lembo del suo proprio mantello.

Madlen, voi siete una bella donna davvero incomprensibile.

Oggi mi sembrate una superba miss, terribilmente inglese, che dietro la sua gelida e splendente bellezza nasconda una specie di sorda ostilità contro il genere umano, - me compreso, che sono con voi, e parto, provvisoriamente, con voi.

Abbiamo dunque deciso di andare a Bilbao. Per quale scopo veramente non saprei. Lasciato il numeroso nostro bagaglio all' hôtel de la Reina Maria Cristina con poche valige andiamo a Bilbao. Ieri, nel pomeriggio, camminando lungo la Zurriola, abbiamo scoperto entrambi che San Sebastiano era divenuto un luogo estremamente noioso. Io vi dissi: - Volete fare con me un piccolo viaggio? Voi, senza nemmeno riflettere, mi rispondeste:

- Volentieri.

Avrei desiderato condurvi a Pamplona; invece preferiste Bilbao. Avrei voluto rivarcare il Passo di Roncisvalle e riveder la muraglia ove cadde ferito il giovine condottiero Iñigo Lopez de Recaldo, che fu più tardi il monaco Sant'Ignazio da Loyola. E voi, Madlen, or che siamo giunti su la piazza di Motrico, volete fermarvi a guardare con i vostri occhi lionati come due belle agate il monumento marmoreo del generale Cosme Damian de Churruca, grande stratega d'oceano, che trovò l'abisso e la gloria nella battaglia di Trafalgar. Lo avete guardato abbastanza, Madlen? Sì? Ebbene ripartiamo. Ecco la funzione dei grandi uomini: servir da pretesto a quegli orribili ornamenti architettonici che nelle piazze pubbliche sorvegliano la circolazione degli affaccendati borghesi.

Madlen, in questa bella mattina così gonfia di sole non mi ricordo più se vi amo e nemmeno se vi desidero ancora. Nella mia irritazione, profondamente esasperata, v'è qualcosa che non trema più, non trepida più, quando la vostra bellezza mi guarda, lo sono quasi un complice, ormai, del vostro tormentato vizio. Ma un complice rimasto con le mani pure, su l'orlo e quasi nella perdizione della vostra magnifica impurità. Litzine... Vi ricordate che bocca innocente aveva la bionda Litzine? Ora io vedo sempre, dappertutto, le vostre braccia così bianche, su la coltre, avviluppate; sento ancora in me la gioia del nodo che vi strinse... Poi, la mattina dopo, voi eravate bella come ogni giorno siete, calma come ogni giorno siete. Con un passo agile, tra un rumore di gioielli, passavate nell'atrio dell'albergo, senza nemmeno degnarvi di guardare quella povera piccola gente.

Litzine fece colazione con noi, tranquilla, come una signorina molto per bene. Aveva gli occhi leggermente cerchiati, e di ogni cosa, mangiando, rideva col suo bel riso d'adolescente. Più tardi comandò l'automobile, discusse, pro forma, sul prezzo della camera; il segretario le portò un gran mazzo di fiori, ed ella fece ritorno a Biarritz. Ecco la vera innocenza: non ricordarsi nemmeno del peccato.

Ma voi, Madlen, voi, suppongo, ve ne ricordate. Voi, Madlen, non siete una stordita fanciulla di vent'anni, che si abbandona o si regala, senza nemmeno comprendere il piacere che dà.

Oh, vi prego, vi prego, lasciatemi dimenticare che vi amai... Bilbao, regina di Biscaglia, città fortissima e serenissima, tra verdi montagne adagiata su le rive di un largo fiume. E voi, belle ragazze di Biscaglia, che parlate un idioma incomprensibile, facendo splendere nel riso i denti saldi e limpidi, voi, giovanissime figlie di una gente senza origine, larghe di spalle, di seno e di bacino, con occhi brillanti e fine caviglie, con trecce senza forcelle aggrovigliate su la nuca rotonda, voi bianche di pelle come lini mondi nel bucato, voi, senza goccia di sangue arabo stirpe antichissima del divino Atlantico, il mio cuore di eterno viandante, in questo giorno di gran sole, felicemente vi saluta.

Era passato mezzogiorno; su le due rive del Rio Nervión la città insoggiogabile, che invano assediò per fame la dura pazienza dei Carlisti, si adagiava intorno al suo calmo fiume, pressoché taciturna, sotto una dorata nuvola di calore. Su la riva destra del Nervión un groviglio di vicoli senza fondo si arrampicava tra case decrepite, ove i panni sciorinati tra finestra e finestra pendevano in file innumerevoli come arazzi di mille colori. Alte barche, stracariche di legnami e di cereali, scendevano la pigra corrente muovendo su l'acqua liscia le barre dei loro immensi timoni. Poi, d'un tratto, il fiume svoltava, come se volesse invadere la città, e su la riva destra si apriva in tutta la sua magnificenza l'indimenticabile Paseo del Arenal.

O Paseo del Arenal, fresco ed ombroso, che non potrò nelle mie sere d'esilio, nell'errante mio sogno dimenticare!... La bellezza vera del mondo è giungere dove ancora non si giunse, guardare alle finestre delle case dove non si conosce chi abita, essere per la prima volta nei giardini di una città sconosciuta, frammezzo ad una gente straniera, com'ero fra i tuoi dorati alberi dolce Paseo del Arenal...

La miss cameriera prese in braccio Pompon e scomparve nell'ascensore del Grand’ hôtel de Vizcaya, dopo che il segretario dell'albergo ci ebbe destinate due belle camere vicine, con mosquiteros sui larghi letti, en el iso principal, cioè al secondo piano.

Madlen aveva molta fame, io pure; le proposi un almuerzo di color locale in una casa de comidas, e cioè in un ristorante veramente biscagliese.

Da Bilbao avevamo rimandata a San Sebastiano la cameriera di Madlen, perché s'incaricasse de' nostri bagagli e quindi ci attendesse, con Pompon, alle Bagnères de Bigorre. Colà preferivamo alloggiare, anzichè nei pericolosi alberghi di Lourdes, infestati ormai dalle cancrene di tutti i pellegrinaggi.

Noi, con l'automobile, (che un esperto ma non economico guidatore avventava su le ripide strade maestre, assicurandoci che il suo robusto motore non avrebbe fallato un battito neanche nel valicare i selvaggi Pirenei), bene incappucciati, ben serrati l'uno presso l'altra, ilari e curiosi come due giovini amanti, ci recammo da Bilbao a Pamplona, la dura capitale dell'antica Navarra, ove il condottiero Ignazio da Loyola prima conobbe la spada che il saio lunga strada. Un ceppo enorme ardeva su la cenere del vecchio focolare, spargeva, col suo rumore di fiamma umida, nella stanza piena di sole un colore d'autunno. Qualche ospite silenzioso rompeva con le sue mani bianche il pane infarinato. Nessuno parlava; i bicchieri, le stoviglie facevano poco rumore; radi passanti traversavano la strada silenziosa; la grande piazza di «pelota» era quasi deserta. Larghi pezzi di montone, cotti con salvia e rosmarino, venivano dai fornelli rossi dell'antica locanda, fumavano su le tovaglie immacolate. Chi le portava era una bella montanara, svelta e forte come una cavalcatrice della Camargue, pallida, senza ombre nel viso, con gli occhi duri, le trecce ravvolte al capo, le anche magre, il seno piccolo, che tremava leggermente sotto il grembiule di fino merletto. Era difficile farla parlare; non rispondeva che pochi vocaboli, con una pronunzia francese dura e cadenzata. C'era in lei qualcosa di primordiale, una specie di lontananza da noi, quasi un'antichità giovanissima sigillata nella sua razza splendente. Camminava su le scarpe di corda; era attenta, veloce; i suoi occhi immobili sorvegliavano la nostra mensa con una specie di vigilante severità.

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Poi, di nuovo, la strada; la strada bianca e lampeggiante, stesa fra immense praterie, che scendevano dagli alti Pirenei come larghi tappeti scossi dal vento, cosparsi di fiori, chiusi da foreste che brulicavano di ciclamini; la strada chiara e violenta, bella come una creatura viva, che batteva nei cancelli delle case, cantando, e lontano spariva, tra gli alberi, in un vortice di azzurrità...

Arrivammo a Lourdes un pomeriggio del mese d'Ottobre, nella più alta ora del sole. Avevamo percorsa in pochi giorni la più bella e felice strada che forse ricordino i miei occhi di viandante.

Ora entravamo in Cristo. L'ala di Dio ricopriva noi, reduci dai luoghi di perdizione. Dove la carne pentita si mondava dalle sue piaghe insanabili, noi entravamo con la nostra infernale anima di peccatori, noi, coi nostri abiti e coi nostri gioielli comperati alle vetrine del diavolo, noi, che andavamo al Santuario come ad un mistico teatro di fanatismo e di esasperazione.

Portavo ad immergere nella sacra Fontana le dita bianche di una vergine offesa da tutto l'amore. Vedrei le sue luminose trecce, bionde e buie, risplendere nella Grotta dei Miracoli. Udrei, nel silenzio della Basilica ove si eterna il sogno di Bernadette, ove a migliaia brillano i voti appesi dagli umili e dai potenti udrei, fra il bisbiglio delle preci, suonare il mazzo dei suoi braccialetti, la sottile musica degli ori e delle sete, che fin presso l'altare scintillante confonderebbero nella voce grave degli organi l'eco delle canzoni di Montmartre...

C'era, in un tale contrasto, qualcosa di profondamente iniquo: la gioia perversa dell'incredulo che vuol immergersi nel mistico dolore, intingere le sue dita eretiche nella fontana dell'acqua miracolosa, fissare con i suoi occhi pieni d'infernalità il simulacro della Vergine che fa camminare gli storpi, urlare i mutoli, sorgere i paralitici, tremare in Cristo i lontani da Dio.

Nella terribile città del dolore, ove giungono gli inguaribili di tutta la terra, noi entravamo sopra una macchina di lunga strada, gagliarda e sottile, avvolti nel rombo del suo motore possente, noi, che venivamo dall'aver danzato su le musiche dei pazzi violini, noi, reduci dall'altra vita, quella che alza la coppa, rompe il bicchiere...

Dissi al meccanico: - Férmati.

E scendemmo.

Davanti a noi, sopra un viluppo di strade anguste, che parevano scendere verso una profondità, si alzava la collina di Lourdes, con la bruna macchia del suo Castello, che aveva ceduto a sovrane Confraternite il vassallaggio della guelfa Contea.

Fine XIX° parte del romanzo.

Buona lettura.


 

 
 
 

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°195 pubblicato il 10 Ottobre 2012 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore: Guido da Verona

 

 

Immagine: La tentazione.

[…] Cosicché, insieme ragionando, ben tosto capirono che tu eri, vecchio Adamo, un debole gigante, il quale, se ancor tutti governava col peso della sua dura forza, indi a poco avrebbe sottomesso l'Eden ai capricci della signorina Eva, ed avrebbe continuato più che mai a sudare grosse gocciole di sudore, a divellere tronchi centenni, a smuovere macigni e rivolger glebe, onde far lei camminare sovra l'erba fiorita.

- Come dovrò io comportarmi? - domandava, perplessa, la innocente signorina Eva.

Ed il serpente, muovendo piano piano le sue belle spirali a squame di smeriglio, rispondeva con quella voce modulata che riesce tanto bene a persuadere le donne: […]

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XVIII° parte del romanzo (seguito del post 194)

I loro polsi, ugualmente fini, si allacciavano, per dormire in pace. Il sonno le avvolgerebbe, così belle, così nude, sul medesimo guanciale. Sovra i loro grandi occhi orlati di khôl scenderebbero le palpebre scure. La gioia che potrebbero dare a chiunque le vedesse rimarrebbe sepolta, addormentata, in quella femminile promiscuità.

I loro polsi, ugualmente fini, si andavano sempre più allacciando, vena contro vena, per dormire in pace. Così l'una sentirebbe dell'altra il cuore delicato battere.

La bocca rossa di Madlen s'immergeva, con una specie di semiriso ebbro, nel respiro di Litzine.

Dalle cortine alte filtrava una trepidazione d'alba incerta e lontana; la stanza, fra quelle due luci, pareva sommersa, dispersa, in un fumo d'irrealità, radunava nei suoi confusi cristalli un pallido colore d'infinito.

Vedevo, sotto le camice diafane, i loro seni dolcissimi gonfiarsi nei calmi respiri. Qualche parola breve, non afferrabile, nasceva tra quel caldo silenzio. Era forse la voce di una, o d'entrambe, che bisbigliava nel tepore del sonno, tra il fumo del vino biondo, qualcosa di non dicibile, di soffocato quasi con paura nelle trecce calde, voluminose.

Erano stanche d'aver portato gioielli splendenti, stoffe impalpabili, fiori e piume; - questa, nel mondo, era la loro fatica; - -stanche di aver sollevato con mani trasparenti calici troppo leggeri; stanche di musica e di profumi, di lievi pericoli e di sottili tentazioni: - ora potevano dormire.

Dormire nella gioia perfetta di sé medesime, quasi allacciate, forse innamorate, sentendo il riposo incominciare con una specie di voluttuosa ebrietà. Il desiderio d'amore, la tendenza naturale di tutte le cose belle, muoveva con una specie d'insidia le loro mani profumate, istigava in loro, con lenti lamenti, la gioia femminile del conoscersi con esitazione. Gonfie di peccato carnale come il favo maturo è gonfio di caldo miele, sentivano il riso della loro giovinezza nascere, tremare profondamente, nei loro corpi formati con un raggio di sole...

***

Vecchio Adamo, tu eri, col tuo serpente, un personaggio biblicamente necessario nel primordiale giardino zoologico denominato il Paradiso Terrestre. Quell'impudica signorina Eva, che ogni sera, quando, stanco della caccia, ti stendevi sotto alberi fragranti e l'Eden calmo si addormentava sotto il fuoco delle sue stelle primaverili, quella gentile «midinette» preistorica, dai seni rotondi come grappoli d'alveari e dai fianchi snodati come anche di leopardesse, che veniva presso te, odorosa di giaciture selvatiche, risciacquata la sua pelle fulva nei rivoli delle primitive sorgenti, e così tentava persuaderti a ricercare la costola perduta, quella pettegola signorina Eva, che non stava mai zitta da mattino a sera, e si cambiava pettinatura, e portava collane di lapilli splendenti, - vecchio Adamo, non t'illudere! - nella storia del genere umano quella fraschetta incorreggibile poteva benissimo fare a meno di te.

A que' tempi tu eri, vecchio Adamo, un onesto cacciatore d'irsuti bufali e di gazzelle innocenti; pago del grappolo che il sole maturava su le vigne selvatiche, nemmeno pensavi ad inumidire i tuoi labbri nella polpa del frutto proibito né alcuna tentazione sentivi della compagna che stava con te. Può darsi che già ti piacessero le sue ginocchia dorate come ghiande, le sue braccia esili e deboli appresso alla forza dei tuoi bicipiti; forse ti piaceva udire la sua voce garrula imitar nelle selve il trillo delle capinere, e quando i suoi piedi leggeri camminavano su le foglie cadute, nella tua sorda potenza di maschio forse pur tu sentivi una specie di trepidazione oscura.

Ma ella si mise d'accordo col saggio ed astuto serpente, il quale, nel Paradiso Terrestre, faceva un mestiere certamente poco onorevole. Cosicché, insieme ragionando, ben tosto capirono che tu eri, vecchio Adamo, un debole gigante, il quale, se ancor tutti governava col peso della sua dura forza, indi a poco avrebbe sottomesso l'Eden ai capricci della signorina Eva, ed avrebbe continuato più che mai a sudare grosse gocciole di sudore, a divellere tronchi centenni, a smuovere macigni e rivolger glebe, onde far lei camminare sovra l'erba fiorita.

- Come dovrò io comportarmi? - domandava, perplessa, la innocente signorina Eva.

Ed il serpente, muovendo piano piano le sue belle spirali a squame di smeriglio, rispondeva con quella voce modulata che riesce tanto bene a persuadere le donne:

- Fate com'io dico, signorina Eva. Questa sera, verso il tramonto, quando il coraggioso Adamo tornerà con gli omeri a sangue per le spine dei rovi e carchi di bestie uccise, voi levatevi piano piano, facendo muovere il vostro sottile corpo, ed abbiate, vi prego, nella treccia un bel fiore scarlatto, e ditegli con la voce più soave della vostra gentile favella:

- «Signore mio, come siete questa sera pieno di polvere! Venite presso me, inginocchiatevi, ch'io possa con un fascio d'erba intrisa nel ruscello rinfrescarvi dalla fatica della caccia e spegnere l'arsura che vi diede il sole.».

Adamo s'inginocchierà. E gli farete sentire, nel dargli questo buon refrigerio, leggermente, contro il petto villoso, le cocche dure e calde dei vostri seni, e passerete le dita, leggermente, fra i suoi capelli ispidi, e vi attorciglierete a lui piano piano, come il tralcio s'inerpica sul tronco, e di tutta voi gli darete, leggermente, il peso e la fragranza da sentire, finché vedrete i suoi occhi ardere, la sua fronte accendersi di rossore; poi gli direte: -

«Signore mio, levatevi...» E andrete via, su l'erba, senza volgervi, camminando piano.

La signorina Eva subito corse in cerca del fiore scarlatto. Lo trovò, tornò, e il saggio serpente le disse:

- Ora, signorina Eva, nei capelli avete messo un fiore. Questo fiore vi sta molto bene. Vi rende più leggera e più alta. Siete bella ora come non foste mai. E vi prego di ricordarvi che la donna deve sempre avere su la sua nudità per lo meno un fiore. Ma io vi dirò, signorina Eva, che dovrete poi attendere l'ora delle stelle.

Nel colore azzurro della notte meglio si prova il fuoco della tentazione.

- La tentazione? - mormorò la fanciulla. - Cosa è mai questa parola che io non conosco?

- Ebbene, - le rispose il serpente, - io vi dirò ch'essa è la vostra forza ed è come il profumo della primavera. Dunque, all'ora delle stelle, voi dolcemente vi coricherete presso il grande uomo supino, metterete un piede fra le sue ginocchia e farete in guisa di respirare, dolcemente, vicino alla sua bocca. Poi gli direte: -

«Signore mio, le foglie secche stridono e la terra è dura; ponete, vi prego, un braccio sotto la mia nuca, piegatelo, e fate ch'io m'addormenti appoggiata su di voi.» Se la capigliatura v'ingombrasse, buttatela contro la sua bocca. E state ferma; non parlate; chiudete gli occhi; lasciatevi così coprire dal tremore delle stelle.

- Oh, signor serpente, - mormorò la signorina Eva, - io provo già il bisogno di fare tutto quello che voi dite...

- Allora, - concluse il serpente - non importa ch'io vi dica di più.

E raccolte l'una su l'altra le sue belle spirali smerigliate, questo vecchio libertino preistorico pensò al diletto ch'egli avrebbe, la notte prossima, nello starli a vedere...

***

Ma questa vecchia parabola - direbbe l'avvocato Claude, - appartiene alla letteratura provinciale. Nei paradisi del ventesimo secolo le donne di una certa sensibilità troverebbero mediocri ed inefficaci le astuzie del vecchio serpente. Queste leggere cose io medesimo pensavo, presso la coltre di Madlen, nella stanza ove ancora ondeggiavano i fumi del vino biondo, pesava l'irritazione di quella vita artificiale, di quella vita prestigiosa e logorante che si conduce presso le tavole da giuoco, negli alberghi di tutte le frontiere, tra le orchestre che ridono e trillano, mentre saltano i tappi delle bottiglie di Sciampagna, in quella vita ove tutto brucia, urla, splende, si consuma, e non v'è più amore, non v'è più dolore, ma solamente la gioia di vivere, che diventa ogni giorno più inafferrabile, ove i piccoli pregiudizi, tanto gravi per l'anima dei borghesi, fan sorridere come storielle per i bimbi, e soltanto rimane ancor bello ciò che nasconde un più tremante brivido, -vita che lascerà in noi, dopo tanta fiamma, null'altro che un pugno di cenere...

E voi che sentite ne' miei libri cantare questa irritata crudeltà, fervere questo rogo micidiale, splendere questa povertà infinita, voi direte forse di me che il mio cuore ha camminato per nulla, e per nulla è passato fra gli uomini a ricercare il loro fuggente iddio, e per nulla fu rosso come l'estate, per nulla consumò sé stesso nel rogo della sua folle inquietudine.

Direte allora di me quel ch'io penso d'ogni cosa nel mondo, e troverete il senso della vita in questo freddo e morto peso ch'è la fine di tutte le vicende, la conclusione di tutti i pensieri, la storia di tutte le anime, quel nulla, che ogni cosa riduce lentamente in un pugno di cenere.

Ma or non sentite nell'alba cantare il pallido fiume Urumea? Sì, canta, canta... E questa è la musica della giovinezza, il rumore delle cose vive, la forza passeggera ed inestinguibile che ha per unica sua meta quella di scendere un pendio. Come ora canta, nelle origini cantava. Di qui passava e passerà, nei secoli, una riviera lenta. In ciò che da noi si allontana, uomini, è la musica della vita.

E tu, Madlen, se il tuo cuore di donna perduta vuol conoscere questa femmina bionda, sii veracemente quello che sei, chiudi nel semiriso dello sperdimento le tue palpebre scure, muovi su lei con lentezza le tue braccia innamorate, fa che di te si strugga, e fa di te stessa, Madlen, la perduta che sei...

Nel colore della notte, nel fumo della trasparente oscurità, mi pareva che un suo piede si andasse allacciando, piano piano, alle caviglie di Litzine...

Perché ... Le voleva bene?... Si consideravano forse come due buone sorelle?...

Nell'alba lontana - io pensavo - muoiono le bianche stelle.

Qualcosa è laggiù, nello spazio, che gli uomini ancora non hanno definito. Qualcosa avvince tutte le creature all'eterna distruzione, all'eterna aurora. E il mondo si piega, si torce, nel dolore della sua gioia troppo lieve: nulla in sé trova pace; ogni desiderio cerca ulteriori possibilità; la creatura e l'infinito, l'ombra e l'alba, tutto finirà, sparirà... Muoiono le stelle. E comporranno un giorno, Madlen, la tua treccia bionda e buia, per la eterna supinità, nel grembo della terra santificata; gli anelli mortuari opprimeranno le tue dita spente.

Nell'alba lontana - io pensavo - una vela è partita sul mare. Va per le onde; quasi brilla; incontrerà, fra poco, un raggio di sole. E il mio dolore se ne va con lei, per le distanze che ancora non vidi; ésula, nella trepidazione dell'alba, da questa povera cosa che io sono, e porta me stesso lontano da me, verso il cuore degli altri uomini, e navigando fra stelle troverà, su le criniere delle onde, un raggio di sole.

Nell'alba grigia canta il pallido fiume Urumea.

E suoneranno fra poco le alte campane dorate, al dio mattutino che incendierà le splendenti basiliche... Una vela è partita sul mare.

Madlen, inquieta, parlava con l'altra sottovoce, sottovoce...

Cosa diceva non so. La sua calda bocca, un po' crudele, un po' amara, le sue narici sottili come le fenditure dei boccioli, vellutate come l'addome delle vespe, mobili ed ebbre, quasi ché fiutassero un profumo troppo forte, si andavano avvicinando, avvicinando alla bocca di Litzine...

Fuori, laggiù, nell'alba, era la distanza infinita; nel mio cuore di navigante saliva, brillava, scintillava la spuma del vino biondo, cantava in me, non distinta, la folle musica dei bicchieri, la poesia felice, ingannatrice, che trilla su gli archi dei violini e scuote via dall'anima la polvere del buio dolore. In me, per ogni atomo, penetrava la gioia della carne umana, lo spasimo del grembo che si contorce, la viva e tremante furia della voluttà inesaudita.

Hai una treccia che ti veste, Madlen, come il fiocco abbrunito dal sole veste la pannocchia del grano.

E le rondini - pensavo - della bianca terra di Guipuzcoa, si levano tutte a stormo e trillano, questa mattina, per andare. Con l'ala tesa e ferma traverseranno il cielo infinito. Nelle bufere di luce, nelle burrasche di stelle, andranno per le vie dell'alto mare. E canterà lo spazio, e i turbini dei maestrali canteranno, lassù, nell'alta musica, dove la strada è bella. Rondini, e l'amore vi porterà verso la stella ultima; vi ucciderà, nel vento, la distanza implacabile; forse vedrete splendere il sole della terra più lontana.

Fine parte XVIII° del romanzo

Buona lettura!


 
 
 

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°194 pubblicato il 06 Ottobre 2012 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore: Guido da Verona.

 

 

Immagine: La treccia dei capelli di Maria di Magdala…

Si chiamava Maria Maddalena, ed era la cortigiana di Mágdala, splendente in amore fra tutte le donne perdute, bella come la rosa che nasce nei fragranti giardini del Libano, l'intrisa di tutti i peccati, l'amica dei centurioni prepotenti, la danzatrice ignuda nei conviti ove rideva il buon vino delle vigne di Galaad...

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XVII° Parte del romanzo (seguito del post 193)

E nel guardarle pensavo all'infinito gregge perpetuo delle madri di famiglia, le opache femmine d'un solo padrone, sovente a lui avverse, umili e pazienti come bestie da lavoro, piegate al giogo domestico da una fredda e necessaria fedeltà. Pensavo a tutta la gioia che si disperde nella soffocante abitudine della coltre familiare, alla distruzione d'ogni poesia che governa le astiose lussurie dei talami coniugali, e mi pareva che qualcosa d'ingiusto fosse ancora nella sorte della umana famiglia, dove un uomo ed una donna, condannati a patirsi per l'intera vita, erano costretti a rifugiare nel silenzio di oscure tentazioni l'insoffocabile amore della ubriacante novità.

E pensavo al triste adulterio, alle buie camere pomeridiane ove si consuma il tradimento; pensavo ai talami provvisori, dietro i subdoli usci dei quartieri senza portineria, nei calmi vicoli crepuscolari, dove l'infedeltà nasconde con paura i suoi mediocri paradisi.

Ma queste che invece io guardavo, non erano forse le cortigiane sacre delle canzoni primordiali, quelle che le religioni d'Oriente custodirono nei templi scintillanti, quelle che Atene illuminò di gloria nell'apogeo del suo secolo d'oro ed Efeso fece brillare da lungi agli erranti navigatori, ed Alessandria, folle di sapienza, inghirlandò negli immortali conviti, quelle che Roma offerse alla genuflessione dei suoi Cesari e l'Impero cadente circonfuse di più alto miracolo, quando, nella fatale Bisanzio, già tutta pervasa di mollezza asiatica, gli eterni dèi mediterranei cedevano le are fumanti ai pallidi violatori dell'Ellesponto?

Sì, erano ancora le medesime, ed appartenevano a quella dinastia della bellezza che diede le splendide imperatrici, le indimenticabili etere, la rossa fiamma, il sogno delle eterne peccatrici. Da esse nasce la bella poesia di cui vive il mondo, la sorgente piena di natività ove ogni labbro si disseta, ove la febbre dionisiaca del creatore attinge la sua divina inquietudine. Da esse venne la luce dei secoli; nel loro vizio immortale tramontò lo splendore di tutte le dominazioni. Fecero costruire i templi, cantare le più alate leggende, illuminarono dei loro occhi dipinti la storia delle babeliche città; con leggere dita piegarono gli scettri dei monarchi; una d'esse fu anche la più innamorata fra tutte le donne, la più vera fra tutte le amanti, - e si chiamava Maria Maddalena.

Si chiamava Maria Maddalena, ed era la cortigiana di Mágdala, splendente in amore fra tutte le donne perdute, bella come la rosa che nasce nei fragranti giardini del Libano, l'intrisa di tutti i peccati, l'amica dei centurioni prepotenti, la danzatrice ignuda nei conviti ove rideva il buon vino delle vigne di Galaad, quella che diede il suo corpo al delirio di tutte le contaminazioni, la femmina bionda, coperta di gioielli abbaglianti come l'estate, la più soave di tutte le peccatrici, la fontana della bianca rugiada, il fiore della terra di Galil.

E quando la portarono davanti al bel Dio, che predicava per gli umili nella purità del battesimo, davanti al pallido Viandante che appariva la sera su le rive del lago di Genezareth, ella con amore gli disse:

- «Ti amo, forestiero che vieni dal paese d'oltre monte. Prendimi! la strada è bella; e tu scioglierai la mia treccia per farne il tuo guanciale profumato...».

Poi andò con Lui, perdutamente, una sera d'estate.

E camminarono per la dolce Galilea, nella terra dei cedri e dei carrubi, ove ridono bianche fontane fra i cespugli del mirto selvatico. La sera, presso i campi dei legionari, dormivano sotto il chiarore delle stelle.

Ed un uomo era con essi, che amava la cortigiana di Mágdala e guardava con occhi sinistri la luce dei suoi capelli così biondi; un ruvido maschio di Giudea, taciturno come l'uomo che ha patito, rugginoso come il pugnale che s'insanguinò; un uomo che non trovava parole se non fra le sommosse dei suburbi, nelle tetre taverne, fra i vicoli clandestini, dietro i banchi dei mercati forensi, e là tramava le sue congiure, contro i centurioni, contro il Procuratore di Giudea, contro la moneta imperiale che intascavano i venduti a Roma, contro il peso della forza di Cesare, contro il vile Tetrarca.

Ed egli da tutto il suo cuore amava la cortigiana di Mágdala, quella che i citaredi cantavano più bella fra le donne di Galil, quella che non sapeva liberarsi dall'odore delle sue fine ciprie, dal peso dei suoi fulgenti braccialetti, quella che tentava di sé il vero liberatore degli uomini, e lui guardava, ed a lui parlava con la sua voce profumata come il vento, e sempre gli diceva con amore: -

«Préndimi, baciami, forestiero del paese d'oltre monte... Vieni; la strada è bella; e tu scioglierai la mia treccia per farne il tuo guanciale profumato...».

Allora, nel popolo di Israele, stava per nascere oscuramente la rivoluzione cristiana. Rumoreggiava, in un mondo piegato sotto la forza delle spade, l'eterna rivolta dei miserabili. Ed era in Giuda che il rumore nasceva, nel focolare di tutte le ribellioni, nella stirpe creatrice d'ogni terribile idea. Quando, nei rossi crepuscoli, più ebbre al cielo salivano le canzoni di Tiberiade e Roma lontana esercitava il suo tirannico potere su tutto il mondo conosciuto, la più splendente cortigiana del Tetrarcato di Giudea, la figlia di Mágdala piena di rosai, la etera che negli alti palazzi dalle sale di cedro aveva udito parlare del pallido Nazzareno, scendeva per le strade maestre a camminare coi sollevatori di plebe, con l'uomo che il folle Giovanni aveva detto essere il liberatore da tutte le miserie della vita.

E i credenti nel battesimo erano già mille per tutte le strade, e Roma lontana, quasi barbara, per questa gente che trascinava nella sua paziente anima tanti secoli d'incatenata civiltà, Roma costruttrice d'anfiteatri e di codici, di templi e di strade militari, non vedeva sorgere questa immensa bufera di anime, che infine soverchiò la sua medesima potenza. Ma col disprezzo che Roma aveva per il linguaggio, per le tradizioni, per il terribile Dio semitico urlante dalle bibbie decrepite, Roma ubriaca di potenza, non si fermava nemmeno ad ascoltare le innocenti parabole di fraternità, che la sera, camminando coi discepoli, narrava il pallido Galileo.

Ma egli aveva con sé la bionda peccatrice di Mágdala e con sé l'altro uomo insonne, il ruvido maschio d'Israele quegli che fedelmente lo seguiva dall'alba fino alla sera e parlava sottovoce, quando parlava, ed era così perduto nel Maestro da nulla vedere né conoscere in fuori da lui, e coglieva dai rami le pesche mature per dissetare le sue labbra riarse, e gli dava il suo mantello di lana quando le rugiade cadevano dagli elevati picchi dell'Hermòn, ed era il compagno di tutte le ore, il fedele di tutte le comunioni, quegli che sapeva e taceva, l'uomo dal tetro amore, il silenzioso che più tardi parlò: - Giuda Iscarioth...

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

E Litzine disse:

- Crois-tu, Mad, que je puisse laisser tomber ma chemise devant ce jeune homme, dont les yeux m'inquiètent?

- Voilà un cas de conscience, ma chère Litzine! Moi, à ta place, je lui dirais: «Monsieur, voulez-vous avoir l'obligeance de fermer pour un instant vos yeux?».

- Ma foi, que tu as des idées intelligentes! Avoir l'esprit si éveillé, à quatre heures de la nuit, voilà ce que j'appelle être une femme supérieure!

Poi si volse a me, con le mani incrociate sul petto, più nuda che se fosse nuda, nella camicia incredibilmente fina, e ripeté con la sua voce piena di un adorabile pudore:

- Monsieur, voulez-vous avoir l'obligeance de fermer pour un instant vos yeux?

Madlen era inginocchiata sul letto e stava per entrare sotto la coltre. Le risposi:

- Mon précepteur m'a appris, lorsque j'avais douze ans, qu'il ne faut jamais éviter de rendre service à une dame.

E chiusi gli occhi. Mi pareva così di essere perfettamente in pace con la mia coscienza e di poter continuare, fra me stesso, a trarre conclusioni su gli usi ed i costumi del secolo. Pensai con fervore ai benemeriti Soci e Patronesse della Lega per la Morale Pubblica, personaggi che, dovunque io vada, mai si dipartiscono dalla castigata mia memoria. Pensai con vero conforto alla timoratezza protocollare di questo secolo, nel quale non è lecito scriver libri ove bruci l'ardore dei sensi e dove l'anima dei buoni credenti non trovi pane per la propria elevazione, secolo d'innocenza e di timore in Dio, del quale soltanto un feroce umorista potrà più tardi essere il fedele dipintore.

Fatta questa lieve riflessione, pensai che soltanto la giustizia è bendata, non il buon senso; per il che provvidi a riaprire gli occhi.

Litzine e Madlen eransi coricate; una dolcissima coltre nascondeva l'eterna forma del peccato. Sui guanciali di pizzo, disciolte, si arruffavano le loro dissimili capigliature. Una entrava nell'altra, come il fieno scuro nella paglia bionda.

Spensero il lume. Nella camera, che parve per un attimo buia, vidi la finestra divenire fortemente azzurra: mi levai e la chiusi. Il lampione ad arco del teatro Eugenia Vittoria faceva dondolare, con un lento ronzio di corde elettriche, il suo globo spento.

Lasciai cadere le tende. Fra l'alba e noi ridiscese pesante la notte. Una lampadina, dietro l'uscio semichiuso dello spogliatoio, mandava nella camera torbida il suo mitigato chiarore. Sentivo in me salire a ondate, a folate, con una specie di voluttuosa lievità, il fumo del vino biondo, la spuma dorata che brilla sul vertice d'ogni pensiero della vita, quel tremore dell'anima e dei sensi che i poveri di spirito non osano chiamare poesia.

Parlavano. Le loro braccia nude, libere dal peso dei braccialetti, si muovevano con lentezza, con insidia, tuffandosi nel tepore della coltre. Madlen era dalla mia parte; i suoi piedi congiunti sollevavano appena la seta leggera del piumino. Il lenzuolo delineava la sua lunga forma, come la tela umida si avvolge al rilievo d'una statua supina. Litzine, con voce un po' sonnolenta, raccontava una storia veramente noiosa: la storia d'un Commodoro Americano, ch'era giunto a Biarritz con il suo yacht, e portava al guinzaglio un certo suo giovine leopardo, che nell'atrio del Casino aveva morso non so chi...

La luce nella stanza era divenuta così morbida, così trasparente, ch'io vedevo anche un piccolo neo, quasi fulgente, sul braccio sinistro di Litzine. Vedevo bene il diverso colore dei loro capelli. Quelli di Madlen erano pieni di riflessi torbidi, violastri, tessevano sul guanciale una specie di gualdrappa disordinata, nella quale passavano guizzi di oscurità, come nella foltezza di un pesante velluto; quelli di Litzine brillavano compatti, lucidi, pieni di trasparenze, quasi per avvolgere la sua perduta nudità in un colore d'innocenza.

Fine della XVII° parte del romanzo

Buona lettura.

 

 
 
 

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°193 pubblicato il 03 Ottobre 2012 da ciapessoni.sandro
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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore: Guido da Verona.

 

 

Immagine: Biarritz (Francia)

Siamo sempre a… Biarritz!

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***

XVI° parte del romanzo. (seguito del post 192)

Allora, con un altro sospiro, M.me Fellner disse:

- Oh, com'è tardi, amici miei! Vi prego, lasciatemi andar via... - Sì, avete ragione, contessa. Ora verremo noi pure. Vedo che Litzine e Madlen hanno bisogno di raccoglimento. Questo giovine signore, che purtroppo non è il vostro tipo, le aiuterà probabilmente a spogliarsi, ed è opportuno che noi provinciali, noi, gente a modo, non assistiamo a questi gravi disordini...

- Provinciale io? - brontolò M.me Fellner, gialla di stizza. – Per vostra norma son vent'anni che ho il mio appartamento in Boulevard Hoche!

- Non dico di no, cara contessa. Ma le donne che al giorno d'oggi si contentano ancora di andare a letto con un uomo – voglio dire semplicemente con un uomo - voi, di grazia, come le chiamate? Per conto mio le chiamo provinciali, mentre giudico addirittura prive di educazione quelle che ancora si permettono di avere un figlio... Dopo ciò, non mi rimane altro che augurare a tutti quanti la buona notte!

Restammo soli, Madlen, Litzine ed io. Apersi una finestra perché si diradasse il fumo, ed uscii sul balcone.

Un incerto chiarore d'alba scendeva dal promontorio verso il mare; correva giù con impeto, a grandi folate, avvolto in voluminose bufere di nebbia, che si sfasciavano contro l'ondata. Il molo della Zurriola si perdeva nel buio colore del vento. Su lo zoccolo del suo monumento l'Ammiraglio de Oquenda pareva un grand'uomo. Il lampione ad arco del teatro Eugenia Vittoria faceva dondolare con un lento ronzio di corde elettriche il suo globo spento. Una d'esse mi chiamò:

- Eh bien, monsieur le poète, que faites-vous là? Inspectez vous les airs à la découverte d'une nouvelle planète?

- Non, mesdames; cette vieille terre me suffit. J'observais l'Amiral de Oquenda; il vient de s'enrhumer; la rosée matinale dégoutte de son nez historique.

- Mais vous allez bientôt nous quitter, je suppose... - Jamais de la vie!

- Vous dites?... Ah, par exemple! on appelle ça une violation de domicile.

- Eh bien, soit! En fait de viol, quelle est, dites-moi, la femme qui oserait s'en plaindre?

Risero. Vennero entrambe sul terrazzo, si affacciarono, una contro il mio braccio destro, l'altra contro il mio braccio sinistro. E Litzine disse:

- N'exagerez donc pas, cher poète!... L'aube est froide, et vous allez vous refroidir vous-même par ce brouillard couleur de taupe... Madlen soggiunse:

- Dieu! que la nature devient banale... Même les brouillards se choisissent désormais des couleurs à la ode!...

Volsi la bocca verso Madlen e le diedi un bacio; le diedi con irritazione un bacio su la nuca, dove i capelli premuti sul cuscino leggermente si arruffavano. Madlen non si mosse; rimase a guardare con una specie di fissità nella notte lontana.

- Embrasse-le donc... - la esortò Litzine, con la sua voce carezzevole, premendosi contro la mia spalla.

- Les Anglaises ne savent pas embrasser. I do not. Embrasse-le toi d'abord.

- Voyons! Je ne suis pas sa maîtresse.

- Ni moi non plus.

- Tu as peut-être tort...

- Peut-être.

Il vento mi avvolgeva nel loro indivisibile profumo. Una piccola striscia di cielo divenne in quel momento azzurra. Ma era laggiù, sul mare, al confine dello spazio, e pareva uno spiraglio di eternità nella infinita ombra.

- Dis-lui qu'il s'en aille, Litzine; j'ai très sommeil... l'aube est froide... fermons la fenêtre.

Tornammo nella camera, senza chiudere i vetri. Confidai a Litzine tutto quello che accadeva tra noi da lunghe settimane. Litzine si mise a difendermi.

- Tu es cruelle, Mad. Oui, tu es vainement cruelle. A quoi bon exaspérer un homme? On cède toujours, à la fin des fins... Vois tu? même la comtesse Fellner, ce vieux perroquet, nous le disait tout à l'heure... Car, ma petite Mad, si c'est vrai que la nature est banale, rien n'est plus banal que de ne pas vouloir lui obéir. Et enfin, moi aussi, toi aussi, nous tous, la nuit, vers quatre heures, quand on a bu du Pommery...

- Mais alors, puisque tu le défends si bien, couche donc avec lui! - l'interruppe Madlen battendo il piede. Poi soggiunse: - Moi je vous regarderai...

E rise.

Litzine aperse più che poteva i suoi chiari occhi d'educanda, mi guardò, la guardò, poi disse:

- Mais... c'est de toi qu'il veut, ma petite Mad; sans ça... évidemment!

Madlen, con un atto repentino, buttò le braccia al collo di Litzine, mise la bocca vicino alla sua bocca e ripeté, alterata nel viso e nella voce: - Couche donc avec lui... veux-tu, Litzine?

 

Questa, con molta pulizia, con molta educazione, rispose:

- Je ne vois pas quel plaisir cela puisse te faire...

Poi, dopo una riflessione, osservò senza il minimo rancore:

- Si c'est pour te débarrasser de lui, je veux bien te rendre ce petit service.

- Non, ma foi, non! C'était pour autre chose... Tu me connais,

Litzine; j'ai parfois des idées irréalisables...

- Rien n'est irréalisable dans ce sens, Mad. Et, d'ailleurs, Monsieur Claude avait parfaitement raison: nous ne sommes pas des provinciales... voilà tout! Mais enfin, mol, chers amis, je vous dis bonsoir.

- Bonsoir, Litzine...

Ma nonostante questo commiato Litzine non se n'andava. Mi domandò una sigaretta, che io le diedi. Poi, nell'accenderla, toccai la sua mano. La sua mano era morbida, calda, profumata; la sua mano era lieve come un piumino per la cipria. Forse non ho mai veduti occhi di fanciulla più limpidi e più calmi dei suoi. Era gentile come l'innocenza. Il suo labbro superiore non le chiudeva bene la bocca; vi rimaneva sempre nel mezzo uno spiraglio di sorriso. Non so perché la guardavo, e Litzine guardava me.

Suonarono le quattro di notte. Dal balcone aperto veniva il profumo del mare. Mi ricordo ancora le sue braccia; mi ricordo con precisione la forma delle sue nude braccia. Nel muoversi facevano pensare agli steli dei narcisi, nelle praterie alte, quando il vento di primavera incurva tutto il campo. Madlen si era sciolta i capelli; ora si spogliava. La sua lunga treccia, colore di vecchia tartaruga, nasceva oscura e diveniva intensamente bionda. Il pettine vi cigolava, sollevando furiosi disordini tra quella ricchezza buia ed incendiata. Disse a Litzine:

- Tâchez de vous rendre utile, mon ami! Allez vite chercher le sac de Litzine.

Vi andai. E feci tutto questo con diligenza, con docilità, senza produrre strepito, come un uomo desideroso di bene compiere quanto gli si richiede.

La borsa d'automobile della bionda Litzine era molto grande, ma pesava poco. Nel portarla vi si udiva un rumore di sottili boccette. Dalla sua fodera si sprigionava un buon odore di cuoio fino e d'Acqua di Lavanda. Ritornato nella camera di Madlen posai quella borsa nella poltrona di M.me de Lonard, ove la gloriosa cantante aveva lasciata cadere una sua piccola forcella.

- Oui... mais vous n'allez pas assister à notre toilette, j'espère...

- Pourquoi pas?

Anche Litzine si andava ora sbottonando la camicetta; il suo pudore non le concedeva di lasciar cadere l'abito, perciò camminava nella stanza con un visibile impaccio.

- Tout de même j'ai honte! - esclamò ridendo Litzine. – Les poètes surtout m'intimident, lorsque je me déshabille.

- Les poètes?... Oui, je comprends ça. Quand vous leur montrez une épaule très blanche, eux ils ne pensent qu'à l'orner d'une rime décrépite. Oh, je les plains, ces idéalistes! Mais, quant à moi, chère Litzine, je ne serai au pis aller qu'un poète du vingtième siècle, pour qui Orphée n'est plus qu'un mediocre tzigane, Mercure un employé du téléphone, Apollon un chansonnier de Montmartre et la voluptueuse Vénus une belle fille comme vous.

- Oh! mais alors il ne nous reste qu'à suivre l'exemple de cette Déesse, qui dépensait très peu pour ses toilettes, préférant se promener toute nue sur les plages que fréquentaient les Athéniens. Fermez donc les volets, monsieur le poète! Madlen est assez belle pour laisser tomber sa chemise, et moi, si vous atténuez la lumière, je vous avouerai tout bas que, pour mon compte, la Grèce n'a eu qu'un poète: ce poète était une femme, son nom était Sapho...

Così parlando Litzine frugava nella borsa mezzo vuota; Madlen scioglieva il suo leggero busto. Un profumo di nudità femminile riempiva la soave stanza. Chiusa la finestra, mitigato il fulgore delle numerose lampadine, or nuovamente ci fasciava la notte scura e colpevole, ci avvolgeva il suo torbido silenzio, che in sè custodisce ogni folle peccato.

Forse non ho mai vedute insieme due così belle creature. A poco a poco mi dimenticarono. Solamente le donne timorose dei propri difetti si rassegnano mal volentieri a lasciarsi veder discinte. Il pudore non è per la donna che un dubbio di natura estetica, in contraddizione con la sua fondamentale propensione ad essere impudica ed a giacere ignuda. La forma femminile è ciò che deve aver suggerito ai primitivi artefici la tentazione di esprimere un'idea con note musicali. Poiché la musica viene dall'amore. Viene da quell'amor sensuale, da quella tendenza verso l'amplesso, cui tutto l'universo ubbidisce.

Nulla nel mondo è così degno di religione come la bellezza del corpo femminile. La voluttà è sublimazione d'intelletto, stupenda e grave, poiché affaccia verso desiderî ulteriori, che non appartengono alla umana vita. In verità la gioia dei sensi non è mai totale né perfetta, poiché s'inoltra verso l'ingaudibile. Così pensavo, guardando lo splendore di nudità che sbocciava dalle tenui biancherie delle due bellissime cortigiane. Que' trasparenti involucri di fino batista si scioglievano dai loro dolci corpi come da un fiore l'involucro; per qualche istante rimanevano pregni e gonfi del loro profumato calore. Un po' assorto nel sogno e nella tentazione, avvolto io pure nella ebbrezza musicale del vino biondo, sommerso in quel profumo di capelli odorosi e di stoffe leggere, di fragranze carnali e di ciprie imponderabili, non udivo che un rumore confuso d'acqua e di braccialetti, un fruscìo di vestaglie, un ridere di parole sommesse, di qua, di là, tra l'urto continuo dei pettini e dei cristalli; tutto ciò nel caldo peso della notte, nel silenzio rumoroso delle mie battenti vene, tra il fuoco delle rifrazioni minutissime che l'unica lampadina ripercoteva nelle specchiere luccicanti.

Erano due perfette cortigiane, due creature gloriose di tutto lo sfarzo che può essere nella bellezza umana, ed avevano dato sé stesse al piacere altrui. Traverso i loro corpi formati con un raggio di sole era passato il desiderio degli uomini come l'impeto lirico in una concitata poesia. Erano forse due donne vendute, ma professavano la loro sottomissione con una specie di stupenda regalità, esercitavano la bellezza, dispensavano il perfetto piacere, come l'artefice d'un'opera d'ingegno regala sé stesso nel suo felice capolavoro.

Il Codice di Diritto Civile, questo grottesco libro di satira sociale, non possedeva un certo numero di articoli destinati a disciplinare la loro vita insolente, come invece ne ha per incatenare la triste obbedienza delle donne maritate. Nessuno le poteva costringere ad esser madri, nessuno poteva imprimere su la loro nudità scintillante il marchio dell'assoluta proprietà. Nel secolo di tutti i cataloghi e di tutte le classificazioni esse vivevano, libere da ogni casta, franche da ogni servitù splendenti come i loro gioielli, meravigliose come i loro vizi, tuffando crudelmente nel denaro altrui la mano inanellata o regalandosi al primo venuto, se questi era un uomo che poteva, per qualche notte, impadronirsi del loro generoso piacere.

Fine XVI° Parte del romanzo.

Buona lettura.


 

 
 
 

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°192 pubblicato il 29 Settembre 2012 da ciapessoni.sandro
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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore: Guido da Verona

 

 

Immagine: Biarritz (Francia)

Luogo dove prevalentemente si svolgono gli avvenimenti di questa puntata.

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XV° parte del romanzo (seguito del post 191)

Aveva trovato invece quell' orribile «trente et quarante, - «où jamais je n'ai été fichue de gagner une thune!...» Si era messa a giocare verso le sei e terminava ora, senz'aver mangiato che qualche «sandwich», con un bicchiere di Porto, nell'intervallo fra un mazzo e l'altro.

- Pense donc! - ella diceva a Madlen; - j'avais sur moi plus de huit mille francs, et je les ai perdus en vingt minutes. Blanche m'a prêté mille francs; Garigou, tu sais, Garigou le tenor, m'en a prêté encore mille... J'ai voulu taper la Direction, mais le caissier, ce vilain chameau, m'a dit qu'il n'y avait pas le Directeur. Penses tu!...

Pour me prêter cinquante louis il fallait déranger le Roi d'Espagne! Alors Blanche a été tout ce qu'il y a de plus gentil; n'ayant plus le sou elle-même, elle a demandé vingt-cinq louis à un monsieur qu'elle connaît à peine. Ça m'a fait encore vingt-cinq louis de dette, mais Blanche est tout de même un noble coeur. En voyant ma déveine, elle a fini par taper de quinze louis le maîtred'hôtel; puis elle m'a dit: «Fiche-les donc à inverse! Il va y avoir une série.» La série vint en effet: douze inverse! J'avais tout rattrapé, avec du bénéfice... mais, zut! pourquoi n'ai-je pas écouté Blanche? Il fallait à ce moment quitter la table et m'en aller dîner avec elle. Non: j'ai voulu faire sauter la banque, pour voir la tête du caissier, ce mufle à lorgnon... et voilà! je sors à présent sans une pièce dans mon sac. Regarde donc, Madlen: quarante sous et ce guignard de fétiche.... c'est gai! Avec ça, le chauffeur qui m'attend à l'hôtel, tandis que je me meurs de faim, n'ayant pas déjeuné le matin ni dîné le soir... charmante journée!»

Per l'allegria si mise a ballare in mezzo alla strada, facendo risuonare i quaranta soldi che le restavano nella borsetta vuota.

Madlen le disse:

- Non penserai tuttavia di ritornare a Biarritz durante la notte, Litzine?

- Ma certo lo penso!

- È una pazzia.

- Forse; ma cosa vuoi che faccia qui ora? Non ho portato neppure una camicia da notte, e domani dovrei far colazione al Carlton con Crisòpulo, il Greco e pranzare con Ned, l'Americano.

- Ma neanche per sogno, Litzine! Rimani qui a dormire. Ti darò io tutto ciò che ti occorre, anche il denaro per rifarti domani, se vuoi. Quanto a Ned, gli puoi telegrafare di venire a prenderti. È molto più semplice, non ti pare?

- Credi?... - fece Litzine, dubitosa ed allettata.

- Ma certamente.

- Bene, facciamo così. È infatti più semplice. Ti rimanderò il denaro da Biarritz per telegrafo, - et je te dis merci, chère...

- Mais, voyons, quelle blague!

La contessa Fellner fece una piccola smorfia, perché forse aveva già premeditato di chiedere un prestito a Madlen, e Litzine complicava le cose. Allora, sotto un lampione, si mise a rivedere il cartoncino d'una «taglia» di «trente et quarante» ove c'erano state quattordici intermittenze. - «Voilà où je devais me faire une fortune, l'imbécile que je suis!...»

Frattanto l'avvocato di Nimes continuava il suo bisticcio con la celebre cantante, M.me de Lonard, la quale, dall'alto del suo bel portamento, guardava con indulgenza il piccolo uomo testardo e cavilloso. La leggiadra cameriera camminava qualche passo dietro la nostra comitiva, seria seria, fissando il marciapiede.

Credo ella stesse facendo il suo tirocinio di futura bella donna; ormai non le mancava che d'incontrarsi con il protettore di buona volontà. Nel giardino dell'albergo il meccanico di Litzine aspettava pazientemente, fumando.

- Oh, voilà Madame! - fece con tranquilla impazienza. - Je suis là depuis 10 h. du soir, ainsi que Madame m'avait dit.

- Vous avez bien raison de vous plaindre, mon pauvre ami! - disse Litzine, con un tono commosso. - Voyez-vous, c'est la vie!... Allez à présent garer votre voiture et vous coucher de suite, car je reste.

- Ah... très bien, Madame! Bonne nuit, Mesdames et Messieurs! - rispose il meccanico, senza ombra di malumore.

Ciò mi fece pensare che vi son uomini fatti come il tassametro, come l'ascensore, come i becchi dell'acqua potabile, come i cavalli di piazza, - uomini che vanno e stanno, salgono e scendono, aspettano e camminano, senza perdere mai la pazienza. Non sono forse i più infelici. Hanno capito che il tempo ha una ragione d'essere, ha un pregio, solo in quanto serve a far guadagnare il prezzo che costa la vita. Perciò, guadagnarlo stando fermi, è certo il miglior sistema.

Una camera fu trovata per Litzine, non lontana da quella di Madlen; ma difficile fu commuovere il custode notturno spiegandogli che Litzine non aveva pranzato, perciò moriva di fame; anzi avevamo fame in parecchi e si desiderava cenare. Dopo avere sollevate mille difficoltà, il custode rispose infine che sarebbe andato a frugare nella dispensa.

- Porterete in camera mia tutto quello che troverete, - gli disse Madlen, mentre l'avvocato di Nimes protestava d'aver sonno e di volersene andare a letto, non senza, beninteso, la compagnia della celebre cantante, M.me de Lonard. Però venne anch'egli nella camera di Madlen; anzi tutti vennero, fuorché la giovine cameriera.

Questo avvocato si chiamava Claude; era spiritoso cattivo e maldicente come un perfetto avvocato meridionale. Quello che fece per prima cosa fu di sedersi familiarmente sul bellissimo copri piedi che occupava quasi per intero la coltre di Madlen. Là si mise a contare con iracondia i biglietti ch'erano rimasti nel suo portafogli. Litzine si era sdraiata sul divano e canticchiando fumava; M.me de Lonard aveva chiesto il permesso d'entrare un momento nella stanza da bagno, della quale serrò l'uscio. La contessa Fellner, toltasi il cappello davanti allo specchio, si dava un po' di cipria sul mento e si ricomponeva con civetteria la capigliatura tinta.

- Dio mio!... - sospirava - cosa direbbe ora il mio amico di Parigi se mi vedesse in uno stato simile?

- Poiché vi ama, egli direbbe innanzi tutto: «Quanto hai perduto stasera, carina mia?» - rispose, chiudendo il portafogli, l'avvocato di Nimes.

- E Pepe? - fece allora, improvvisamente, Litzine.

- Pepe... - volle rispondere Madlen, con un certo impaccio, - come, non sai? È partito proprio questa notte, poche ore fa.

- Per dove?

- Per Londra. È andato a Londra ove dimora suo padre.

Tornerà, credo, fra una decina di giorni. Ma non più con me. Siamo divorziati. Era deciso da un pezzo, come ti avevo già detto.

- Sì, mi ricordo... mi ricordo. - Litzine fece una pausa, poi soggiunse: - Tanto meglio.

Allora si mise a guardarmi con curiosità, pensando probabilmente di scoprire in me il successore. Io conoscevo pochissimo Litzine; a Biarritz avevamo giocato alla medesima tavola qualche rara volta. Ed un giorno, appunto al Casino di Biarritz, mentre stavo per prendere la mia mano ella mi aveva detto, come spesso accade fra giocatori: - «Cinq louis dans votre main, Monsieur?» - «Si vous voulez, Madame...» - Ed avevamo perduto.

Questa era la nostra piccola storia. Breve, lieve, sfortunata. Ma non si sa mai cosa possa accadere fra un uomo ed una donna i quali abbiano perduto insieme un colpo di baccarà.

M.me de Lonard, tra un rumore d'acqua corrente, rientrava nella camera con aria più soddisfatta. Si era tolta ella pure il cappello ed ora sedeva in una poltrona con posa meditabonda. Accese una sigaretta, poi disse:

- Dans un mois je serai en Amérique...

La cosa non fece colpo su alcuno. Onde ella soggiunse con un sospiro:

- Ah, les concerts classiques!... je me sens née pour les concerts classiques!...

Allora l'avvocato di Nimes, dopo qualche minuto di raccoglimento, espose questa ferma convinzione:

- Les concerts classiques, c'est la chose la plus bête qu'il y ait au monde.

- Vous croyez?... - rispose con benevolenza l'angelica M.me de Lonard.

Intanto sopraggiungeva il custode notturno, con un vassoio pantagruélico. E nomenclò: - «Uova, carne fredda, formaggio, burro, frutta, pasticceria. Pomméry Gréno, extra-sec.».

Fece verificare l'«extra-sec» sul collo delle bottiglie non ancora sturate: al che l'avvocato di Nimes rispose con irritazione:

- Io dunque berrò l'acqua del rubinetto, perché questa marca di Sciampagna mi dà i crampi allo stomaco.

- Poverino, com'è delicato! - lo compianse Litzine. E presa una coscia di pollo, si mise ad imprimervi con avidità la sua bella dentatura luccicante. L'avvocato Claude neghittosamente si provvide d'un paio d'uova sode e tornò sul letto.

- Ebbene, - disse Madlen, - non mangerete sovra la mia coperta? Venite, vi prego, a sedervi con noi.

- E dove?

In verità non c'era posto; ma l'angelica M.me de Lonard lo invitò a sedere sul bracciolo della sua poltrona. L'avvocato di Nimes era piccolo; ci stava. Sbocconcellò sbadigliando le uova sode, poi ne prese altre due. Avvenne questo: ch'egli solo mangiò per quattro e si bevve quasi tutta una bottiglia di quel Pomméry extra-sec che gli dava i crampi allo stomaco.

La contessa Fellner, dopo il gioco e la cena, si lasciava prendere da non so quale desiderio di sensazioni ulteriori.

- Oh... - sospirava - quanto mi struggo e mi sciupo in questo maledetto paese! Non solo perdo al giuoco tutto quello che possiedo, ma purtroppo sono anche disperatamente casta fin dalla vigilia del mio arrivo: ecco a momenti due settimane...

- Appunto lo s'indovina dai vostri occhi, povera contessa! - rispose con malizia l'avvocato di Nimes. - Per una donna di temperamento la solitudine costituisce un vero guaio... Ma infine, perché no?... - soggiunse, facendo segno alla mia persona. – Ecco un giovinotto che certo aspetta solo una strizzatina d'occhi...

La contessa Fellner arricciò il naso.

- -Prima di tutto, caro signor Claude, io non sono per vostra regola una donna così facile!... Poi questo signore non è il mio tipo.

- Oh! oh!... illustrateci dunque il «vostro tipo», - la incitò l'avvocato, che ancora stava trincando.

- Io credo quasi di conoscerlo, - rispose Litzine. - Voi, contessa, amate il tipo di Ned, il tipo Americano del Nord, non è vero?

- Oh, oui... - confessò, con un brivido artificiale ma prolungato, la casta M.me Fellner. - Sì, è vero, è vero! Amo il tipo di Ned: biondo, sbarbato, molto solido, molto energico...

- Molto ricco! - soggiunse l'implacabile Claude.

- Insolente!

- Che insolenza c'è nel dire che Ned è molto ricco? Ma infine, cara contessa, poiché fra voi e Ned c'è una frontiera, mentre fra voi ed il signore non vi sarà, suppongo, che un mezzo corridoio... spegnete i lumi e pregatelo di parlare inglese.

- Andiamo, andiamo, caro avvocato... - lo ammonì la contessa Fellner con una voce grave; - non sapete forse che a Parigi ho un amico il quale mi adora e che io adoro?

- Noi sappiamo tutto questo!... - le accordò l'avvocato con enfasi declamatoria.

- E quanto poi al signore, - aggiunse la contessa, guardandomi e guardando Madlen, - egli è molto occupato altrove...

- Vous croyez, madame? - fece Madlen, con una voce tagliente.

- Ah... je ne crois rien, je suppose...

Litzine si mise a ridere. M.me de Lonard mi contemplava con occhi svenevoli, forse perché avevo ascoltato per un quarto d'ora le storie dei suoi trionfi americani.

M.me Fellner si rovesciò contro la spalliera della seggiola, gonfiando il suo seno vedovile, poi disse con il suo più profondo sospiro:

- Ah, mio Dio, che buona cosa è stringersi accanto ad una persona di fiducia, la sera, quando ci si addormenta... Solamente, volete credere? io sono ormai avvelenata... sì, proprio avvelenata! Nel momento più decisivo dell'amore, quando si perde la testa, mi accade spesso di udir la voce del mazziere, che annunzia d'un tratto: - Rouge perd et la couleur...

- Alors, assurément, le coup est perdu! - fece, con diabolica prontezza, l'avvocato di Nimes.

Pudica, M.me de Lonard si coverse gli occhi; ma Litzine, Madlen, la contessa ed io ne ridemmo di gran cuore.

Frattanto il custode notturno era venuto a sparecchiare la tavola dai magri avanzi della nostra cena. Litzine era distesa sul divano, leggermente ebbra, e fumava. Fumava con gli occhi sperduti nei circoli azzurri, nelle ondeggianti nuvole della sua profumata sigaretta. Poiché teneva le ginocchia un po' sollevate, si vedevano nell'ombra della gonna le sue belle caviglie delinearsi come lunghi fusi. Que' capelli così biondi, così leggeri, davano al suo viso d'educanda un non so che di celestiale. Madlen le sedeva presso; il capo d'entrambe affondava nel medesimo cuscino.

L'avvocato di Nimes, dal bracciolo della poltrona, era sdrucciolato nel grembo di M.me de Lonard, che, sebbene fingesse di respingerlo, pur si lasciava con benevolenza perquisire dalle sue mani curialesche.

Fine XV° parte del romanzo

Buona lettura.


 

 
 
 

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°191 pubblicato il 26 Settembre 2012 da ciapessoni.sandro
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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore: Guido da Verona.

 

 

Immagine: Galanterie…

Il baciamano

 

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***

XIV° parte del romanzo (seguito del post 190)

- Cos'è il Segretario Galante?

- Non lo sapete, Madlen? Oppure questo libro non si trova nelle biblioteche d'Inghilterra? Può darsi. La vecchia Inghilterra è certo un paese molto ragionevole. Ma l'Italia, penisola piena di fuoco, possiede fra l'altre dovizie anche un amabile prontuario delle frasi d'amore. Siccome in Italia il parlarsi d'amore è un'abitudine nazionale come quella di giocare al Lotto, così capita che la persona più eloquente finisca una volta ogni tanto con rimanere senza parole. In questo caso un tale che, per esempio, ha un'innamorata e non sa più cosa dirle, si compera il suo bravo Segretario Galante, vi dà un'occhiata prima di abboccarsi con lei, quindi le snocciola tutto il più dolce frasario, le più infocate e pittoresche immagini che mai seppe mettere in carte l'ardente fantasia dei poeti d'amore. Non solo; ma dovete per esempio sedurre qualche bella recalcitrante con mandarle una epistola gonfia di sospiri? - Ebbene, guardate l'indice: - a pagina tale, eccovi la lettera conveniente al caso vostro, una lettera che struggerà il cuore della donna più agghiacciata e produrrà un effetto altrettanto rapido quanto infallibile.

- Oh! - disse Madlen - come deve essere comodo far l'amore nel vostro paese!

- Così è di fatti, amica mia. Non solo comodo, ma variato e pieno di originalità. Le frasi d'amore che dicono le donne italiane, come del resto quelle che si leggono ne' libri dei romanzieri d'Italia, son dolci come la liquirizia, profumate come il muschio, ed hanno tal forza di persuasione che, per resistere alla loro seduzione, bisogna proprio possedere un cuore sette volte impermeabile. È per questo che noi Italiani abbiamo all'estero la fama di far bene all'amore, come gli Inglesi hanno quella di bene giocare al foot-ball.

- E, ditemi: voi pure vi considerate un «champion»?

- Non ancora, Madlen. Pur troppo non ho mai saputo far uso del Segretario Galante. Questo è il mio difetto. E siccome non riesco a farne uso neppure nei libri che scrivo, così da molti è vituperata la leggerezza ed il mal costume della mia letteratura.

- Vi compiango, mio povero amico.

- Oh, non importa, Madlen! Chi ama le proprie idee, può anche far a meno di vederle applaudite; come si può far a meno di tutte le cose davvero superflue, tra cui l'amore.

- Dunque non datemi il braccio... preferisco.

Le case che dormono sembrano tutte uguali. Gli uomini che dormono tengono i piedi verso le finestre, il capo al muro, per vedere in faccia il sole non appena tornerà. Anche le umili case, nella notte, sembrano solenni. Il loro colore invade lo spazio. Il respiro di chi dorme trema nelle finestre. La notte confonde ogni fisonomia, distrugge i limiti, che consistono sempre nei colori; cerca in tutte le cose il loro profondo scheletro.

- Dove mi conducete, amico mio?

- Non so; perdiamoci.

Si fermò a guardare dentro un vicolo, dove la notte, la luna, il silenzio, davano l'impressione che si dovesse d'un tratto vederne sbucare l'ombra d'un assassino. Poi disse:

- Chissà quante persone fanno l'amore in questo momento su la faccia della terra...

E disse queste parole senza un brivido, senza riso, ma con una specie d'angustia involontaria, di tentazione opaca. Io risposi:

- È questo un vizio antichissimo della razza umana. Bisogna credere che ciò diverta gli uomini, e, qualche volta, anche le donne.

- Diverte anche voi?

- Forse... ma non sempre. E voi?

- Non vi saprei dire con esattezza la mia opinione.

- Peccato! È la sola che oggi vorrei conoscere.

- Le opinioni cambiano...

- Beninteso, Madlen. Ed è ridicolo, in tutte le cose, avere un'opinione costante. La bellezza del mondo è nella sua mutabilità. I desiderî hanno un valore perché sono provvisori. Ma dove andremo a finire camminando così? Volete che torniamo?

- Sì, torniamo.

Il rumore dell'ondata rotolava su la Zurriola deserta; l'oceano scuro, immobile, se ne andava sempre più in là, in là, e continuava dopo l'ultima stella. Le nostre ombre camminavano sotto gli alberi, davanti a noi. Pensavo al treno di Lord Pepe, sfavillante come un lungo proiettile d'acciaio e di cristallo, che su bianche rotaie perpetue come la distanza traversava le dune del litorale di Francia. Forse anch'ella pensava con un po' di dolore, con un po' di sogno, al veloce treno di Lord Pepe. Sentimmo entrambi ch'egli era necessario al nostro amore; partendo aveva lasciata fra noi una grande solitudine. La sua scomparsa uccideva un poco del nostro desiderio, ci abbandonava, liberi e soli, davanti all'improvvisa cessazione di un divieto. Questo, in ogni cosa, è delusione.

La Zurriola bianca si perdeva tra gli alberi distanti; la città di Maria Cristina pareva uno scenario di cartapesta elevato contro il mare. Questo solo era grande, vivo, eterno: si vedeva con esattezza la disparità fra l'opera della natura e quella dell'uomo. Una ondata conteneva più sogno che le infinite case bianche, i ponti dalle aquile d'oro, i monumenti superbi e ridicoli degli uomini vittoriosi. Ed anche noi, anche noi, eravamo due piccole figure tracciate su quel delebile scenario, grotteschi eroi da melodramma, sui quali pesava l'artifizio, l'intreccio, il dialogo di quel vecchio libretto d'opera che si chiama l'amore. Oh, che noia dover ripetere, con qualche perifrasi più o meno elegante, queste vecchie due parole, sciupate da tutte le bocche, melense di tutti i sospiri, consumate come i sedili dei trams, sfiducianti come le viole del pensiero, false come la cassa d'un rémontoir di oro doublé, queste vecchie due parole che i parrucchieri dicono, le commesse dicono, i fattorini del telegrafo le adultere i dentisti e perfino le poetesse dicono: - «Ti amo!...».

«Ti amo...» Ah, che noia! Si apre un libro, e, dopo una ventina di pagine, se non prima, eccoci arrivati a queste vecchie due parole: «Ti amo...» Un povero diavolo carico di grattacapi vuole svagarsi, va a teatro, dove si recita una commedia; egli ascolta un paio di scene: c'è un uomo, c'è una donna, i lumi si spengono... eccoci arrivati a queste vecchie due parole: «Ti amo...» Altrove si scopre un delitto, un bel delitto, un tenebroso delitto; si poteva sperare che l'uomo avesse ucciso per imbrattarsi di sangue fino al gomito... No! Fruga e fruga, l'uomo ha di nuovo ucciso per queste vecchie due parole: «Ti amo...»

Ah, basta per l'amor del cielo! Liberate noi, poveri uomini, da questa eterna freddura! Salvate noi peccatori da questo malanno inestirpabile! Basta, per l'amore del cielo!... non scrivete più, mai più, queste vecchie due parole: «Ti amo...» Ed allora la guardai. Non si vedeva, nel suo volto impenetrabile, che una specie d'irritazione calma, di crudeltà sigillata e splendente. Passammo davanti alle finestre del nostro albergo. La facciata impallidiva di smorta e fredda luna; certi vetri parevano convessi come globi d'elettricità. Di nuovo le presi un braccio, e camminammo nel dedalo delle vecchie strade, verso l'altra spiaggia di San Sebastiano, la bella Concha, ove pensai che fosse più vita.

Là il mare dormiva; dormiva nella custodia del golfo serenissimo, tra beate ville, sotto i poggi calmi che tremolavano di nascosti lumi. Non la più piccola frangia di spuma orlava il lento fruscìo dell'onda notturna su l'arena di velluto. Laggiù, dietro gli alberi, un orologio illuminato segnava un quarto alle due; sui terrazzi del Casino ancora si muoveva gente; le sale da gioco sfavillavano nel mezzo dell'edificio, come le bocche di una rossa fucina. I Baschi di Guipuzcoa traversavano la Concha senza far rumore, con le loro scarpe di corda, bianche, soffici, sotto i calzoni di velluto scuro. Il piccolo faro, annidato su la torre dell'isola di Santa Clara, girava il suo fascio di elettricità sul distante oceano, forse cercando le paranze dei contrabbandieri.

- Vi prego, non andiamo al Casino, - disse Madlen.

- No? E dove andremo?

- Non saprei. Ho sete.

Lungo la Calle de Alameda le terrazze dei caffè rigurgitavano ancora di pubblico rumoroso. Là c'incontrammo con alcune persone, le quali tornavano dal Casino ed erano dirette verso l'albergo Maria Cristina. Ci unimmo a questa comitiva: quattro donne con un uomo.

Costui era un Francese, avvocato a Nimes, piccolo di statura, molto largo di spalle, con la cravatta nera svolazzante, come usano i poeti che fanno il bardo nazionale nei cabarets di Montmartre. Egli ora tormentava la sua amante, incolpandola di aver giocato male. - «Vous avez joué comme un pied, ma chère... oui, comme un pied!»

La sua amante, M.me de Lonard, si professava per una celebre cantatrice; subiva le rimostranze dell'avvocato di Nimes solfeggiando qualche leggera nota. Era molto alta, un po' matronale, non bellissima8 di lineamenti, però con una stupenda capigliatura. Vicino a lei camminava una piccola donna, dalla faccia viziosa ed artefatta, che certo era passata senza volersene avvedere oltre l'età canonicale, anzi aveva l'aria di credersi ancora molto vezzosa, molto appetibile. Non lo era. I tacchi esagerati rialzavano la sua piccola statura; un busto ingegnoso cercava di costringere all'obbedienza i suoi mal conservati centri di gravità.

Parlava un francese duro ed ingrato, nel quale ogni tanto faceva capolino qualche residuo di un caparbio accento tedesco. Perciò la contessa Fellner si diceva russa di nascita, come in genere si dicono russe rumene o scandinave tutte le tedesche stabilite in Francia. Ma la contessa Fellner era un'assidua delle case da giuoco; avrebbe saputo far a meno del cibo, non delle carte.

Pretendeva di avere a Parigi un amico serio ed altolocato, un ricchissimo finanziere, innamorato di lei come un pazzo...

La terza donna della comitiva era la sua cameriera, tanto bellina e tanto giovine quanto la contessa invano pretendeva di essere ancora. Ho detto contessa, poichè sopra il suo astuccio per le sigarette, legato al polso, figurava una corona di diamanti con nove punte. Nelle case da giuoco e negli alberghi eleganti è difficile incontrare personaggi che non portino titoli di nobiltà. Certo è questa una nobiltà creata dagli albergatori e che finirà lentamente con invadere l'Almanacco di Gotha. I domestici, quando ricevono buone mance, non sanno far a meno di rispondere: - «Merci, madame la Comtesse; à vos services, Monsieur le Marquis!» - A furia di sentirsi attribuire questi lusinghieri appannaggi, un tale finisce poi con scoprire tra i suoi bisavoli un glorioso Cavaliere delle Crociate. Il suo patriziato figura con eleganza nell'albo dei forestieri, ed in fin dei conti anche la nobiltà è un'opinione, come tutto il resto.

L'ultima era Odette Litzine, la quale aveva da qualche anno perduto il suo illustre e munifico protettore; però di lui conservava, con i vestigi della sua liberalità, l'ultime sillabe del suo nome: un principe Galitzine. Era una squisita giovine creatura, molto bionda, con la carnagione trasparente come se fosse in porcellana di Sèvres. Aveva due magnifici occhi, appassionati come gli occhi d'una educanda la quale si strugga di solitario amore; il suo corpo era esile ma ben formato, voluttuoso più de' suoi occhi, attraente come la sua pericolosa innocenza. Quel giorno era venuta in automobile da Biarritz verso l'ora del tè; anch'ella, come Socorrito fiore di Siviglia, sperava che si giocasse alla «roulette».

Fine della XIV° parte del Romanzo

Buona lettura.


 
 
 

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°190 pubblicato il 21 Settembre 2012 da ciapessoni.sandro
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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore: Guido da Verona

 

 

Immagine:

Descrizione dell’immagine. L’Espresso Parigi-Londra

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Parte XIII° del romanzo (seguito del post 189)

Da ultimo il capotreno si volse ad un impiegato che passava, e gli disse con l'aria più serena del mondo:

- Fous-moi que'que part ce sacré diable d'Alboche!

Un cuoco enorme, il quale sporgeva con tutta la pancia dalla finestrucola della sua cucina, sfogliava un numero dell'Assiette au beurre, fumando con regale voluttà un eccellente sigaro Avana.

Trofei di bandiere appese dappertutto ostentavano le sigle unite del Regno Iberico e della Repubblica Francese; - tra pochi giorni il Primo Cittadino di Francia, con i suoi Ministri, avrebbe traversato i selvaggi Pirenei per volgere a profitto delle tariffe doganali e del «Mediterraneo lago francese» quella simpatia che il giovine Re Alfonso, nel frequentare le regate ed i five o' clock di Biarritz, aveva saputo inspirare alle belle donne che governano la Francia.

La Compagnie Internationale des Wagons Lits mi sembra, nel ventesimo secolo, un organismo sociale d'importanza e di significazione per lo meno equivalenti a quelle ch'ebbe nei secoli trascorsi la benemerita Compagnia di Gesù. Essa è davvero una forza, una ruota, un'ala della vita moderna, come l'altra era una catena ed una potenza della vita medioevale.

Quel treno lungo, sottile, snello, fatto d'acciaio terso e di legno levigato, che trascinerebbe nel cuore delle montagne ciclopiche una fantasmagoria di specchi e d'elettricità, che brucerebbe la distanza come il fuoco arde la miccia d'una mina, quel treno pressoché ingioiellato, carico di belle donne, d'uomini ricchi e di bagagli costosi, per cui le frontiere dei regni più non divengono che fermate frettolose, quel treno dove corrono tutte le monete, dove si parla ogni linguaggio, dove s'intrecciano avventure veloci, e che al mattino si profuma nel suo tepido corridoio di soave cipria e d'Acqua di Lavanda, era, per chi bene sapesse intendere, un segno dei tempi nostri, della vita nostra, di quella nuova e transitoria bellezza verso la quale ora cammina il mondo.

Roma costruiva con la pietra millenaria, noi costruiamo con la delebile velocità: - e questo mi pare più grande.

Per quanto gli spiriti amici del palinsesto, coltivatori instancabili della polvere di museo, trovino che su la terra nulla di nuovo accade, ma tutta la bellezza e tutto l'esempio a noi provenga dagli antichi, pure io sono profondamente persuaso che nessuno fra quei sapienti selvaggi che a noi diedero la seccatura di possedere una tradizione poté mai concepire l'eleganza, o nulla d'equivalente all'eleganza d'una lady inglese che saluta il proprio amante con un semplice shake hand sotto i finestrini di un velocissimo express.

Cleopatra e l'amica di Petronio mi fanno sorridere quando penso a Madlen Green. Povere belle donne d'una volta!... ormai servite al cinematografo, per sollazzare gli ozi domenicali delle nostre ancelle, che al buio sopportano con brividi la mano dell'innamorato contrabbandiere...

Lord Pepe indossava, per traversare la Manica, un soprabito da viaggio così ampio e così adatto all'emigrazione, ch'era impossibile chiedere alla fantasia d'un sarto qualcosa di più conforme alla fuliggine dei treni ed alla inclemenza dell'acqua marina. Portava inoltre un berretto scozzese, ben calzato fino ai sopraccigli, una camicia floscia, un collettino di seta chiuso da una spilla doppia, che lasciava dondolare con il voluto disordine la gala d'una cravatta ferroviaria.

Lord Pepe rappresentava in quel momento l'uomo che viaggia; perfino le sue ghette sembravano fatte apposta per andare in treno; chiunque l'avesse veduto in quel perfetto abito da grand’ express, avrebbe detto senz'altro: - Ecco un uomo che traverserà l'Europa.

Egli teneva tra le sue la mano di Madlen, senza dirle cosa alcuna, e tuttavia sembrava turbato. In lui nulla esprimeva il turbamento, fuorché la sua bocca ben rasata, che si stringeva ogni tanto come per formulare una impronunciabile parola.

Allontanarsi da una donna è sempre cosa triste, perché ogni donna possiede un poco della nostra gioventù. Quello che fu con una, certo non sarà con altre; l'amore che finisce è un'illusione perduta, un gioiello che non si ritroverà mai più. E lo sentono anche le anime semplici, se pure non comprendono il senso di questa grave tristezza.

La cosa più amara che sia nell'amore non è forse l'abbandono in sé stesso, quanto il suono indefinibile della parola: addio. Si può talvolta essere giunti fino alla sazietà, fin quasi all'avversione, ma nel momento in cui ci si dice addio, nel momento in cui la donna che fu nostra ridiviene per noi la forestiera, e quando pensiamo che l'amore d'un altro l'inseguirà, la gioia d'un altro la possiederà, ecco, ritorna in mente un bacio, una parola, una musica del passato, e nasce nell'anima di chi parte una desolata voglia di piangere.

Povera piccola Madlen!... s'era innamorata di lui per avergli veduto ballare il tango argentino con una ragazza della Pampa, in una sala del Rat Mort - e questa era senza dubbio una cosa molto gentile; - povera piccola Madlen!... aveva cambiati al suo fianco centinaia d'abiti uno più bello dell'altro, stritolate coi suoi dentini scintillanti un infinito numero di «crevettes grises», sorseggiate con le sue rosse labbra tante coppe di amaro Sciampagna, giocato vicino a lui, con una storditaggine ammirevole, tanti e poi tanti fasci di que' larghi biglietti da mille, che a lui mandava il suo ricco sfondato padre, banchiere a Londra... povera piccola Madlen!... aveva inoltre fatto con lui tanti gentili capricci, tante adorabili sciocchezze, tante piccole civetterie... si era lasciata per così lunghe notti baciare, stancare da lui... tutto questo non valeva dunque la pena ch'egli sentisse, nell'abbandonarla, una piccola malinconia?...

Sì, certo; poiché queste cose per l'appunto sono l'amore; sono l'amore di tutti gli uomini e di tutte le donne, anche se la forza del buon senso cerca di reprimere in noi questa insoffocabile poesia.

Forse Lord Pepe se ne sarebbe dimenticato in poche ore, perché il suo cuore non aveva memoria, i suoi sensi non avevano fedeltà; ma in quel momento era triste; io lo vedevo. Ed infine le disse:

- Ecrivez-moi une lettre, Madlen, si vous n'avez rien de mieux à faire...

- Yes, dear.

- Je serai votre ami tout de même...

Le dava del voi, con un rispetto sincero. Fece tuttavia un movimento, come se volesse baciarla su la bocca; ma il braccio di lei, teso, lo trattenne. Egli piegò il capo sovra la sua mano inguantata, vi pose leggermente le labbra, e salì nel treno.

Ella disse ridendo:

- Ecco, il treno parte in ritardo.

E non so perché ridesse, non so perché ripetesse ancora due volte questa osservazione, che non era nemmeno esatta: - Il treno parte in ritardo.

Lord Pepe, venuto al finestrino, si abbottonava i guanti. I suoi guanti erano color fuliggine; gli stavano bene. Mentre le ruote cigolavano, accese una sigaretta. Io vidi a poco a poco allontanarsi, biancheggiare nell'ombra il cuoco del Salone restaurant, che fumava con regale voluttà un eccellente sigaro Avana. Poi non vidi altro, laggiù nella notte, che un fanale rosso trascinato verso il mare di Francia; un fanale rosso, un po' d'amore, nulla: un punto sottile come l'oblio, pallido come la distanza, che disperdeva la cenere d'un amore nella polvere della strada infinita...

Rimanemmo lì, noi due, silenziosi, a guardare le bianche rotaie. E la voce di Madlen ripeteva nel mio cuore un po' deserto:

- Good bye, Friend...

- Cosa facciamo alla stazione ora?

- Nulla; andiamocene.

- Sì, e dove?

- Ritorniamo a piedi, se volete.

- Ritorniamo.

- Che ore sono?

- Le undici.

Il vento agitava le stelle disseminate nel lontano spazio; un odore forte d'ondata marina investiva la terra buia. Nel passare frammezzo a due nuvole un filo di luna batteva su qualche fredda invetriata.

Le diedi il braccio; e camminammo. Si muoveva con leggerezza, quasi con gioia, rovesciando un po' la fronte all'indietro per immergere la bocca nel vento profumato. Era stranamente simile a qualcosa che avevo già veduto, ad una sensazione che avevo già provata. Non so dove, non so quando, forse ne' miei lontani anni, quando credevo all'amore; all'amore come ad un miracolo che ogni giorno può nascere per via, all'amore come ad un profumo che venga da fuori di noi.

E pensavo: - «Adesso è tardi; la fontana che in me cantava ora si è spossata; il mio cuore non è più così giovine; per troppe strade ho trascinata questa mia deserta anima di navigatore.»

La città era sepolta sotto un grande velario di stelle; nuvole azzurre, trasparenti, vi correvano sopra, si urtavano, si sfasciavano, senza riuscire a spegnerle. Gli alberi, gonfi di notte, carichi d'autunno, facevano stridere sotto i nostri piedi qualche foglia gialla. Nei giardini della terra di Guipuzcoa la vecchia estate si andava consumando in nuvole di profumo.

E allora Madlen si fermò, chiuse gli occhi, mi tese la bocca.

Un orlo di leggera umidità bagnava la sua fina veletta. Mi disse:

- Non dovete credere che vi ami...

- Appunto non lo credo; ma che importa? C'è forse bisogno d'essere innamorati per provare tutto quello che può essere nell'amore?

- Ecco, voi dite assai bene. Voi dite come si dice da noi: «to be in Love - essere nell'amore.» Questo mi piace. Vivere con un poco d'ansietà, fra il desiderio e l'immaginazione; stare con l'anima e coi sensi nel pericolo di provare un grande brivido. In fondo è sempre l'immaginazione quella che dà le gioie meno volgari e più sottili. Ma io non vi amo, siate certo, non vi amo. Anzi voi siete qualche volta così lontano da me...

- Questo è preferibile. Così non correremo il rischio di abbandonarci alle ineleganze del vero amore. Due persone come voi e me, se per caso provano un sentimento hanno anche il dovere di nasconderlo. È il dovere della nostra buona educazione, il senso di quella giusta misura in tutte le cose che deve a noi proibire l'uso del «sempre», del «mai» - le due famose parole tanto ridicole, che fanno somigliare i dialoghi di tutti gli innamorati alla prosa del Segretario Galante.

Fine XIII° parte del romanzo.

Buona lettura!

 

 

 
 
 

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°189 pubblicato il 18 Settembre 2012 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore Guido da Verona

 

 

Immagine: Treno Espresso Madrid - Paris

L'express Paris-Madrid allungava sotto la tettoia della stazione imbandierata le sue vetture luccicanti, collegate insieme da un passaggio a mantice; nel mezzo del treno il salon-restaurant sfavillava di luce come una sala da ballo.

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XII° Parte del romanzo (… seguito del post 188)

Il Russo lungo lungo, amico del Belga piccino piccino, aveva una sorella di media statura. Questa era una signorina ben fatta, poco seria, che andava pazza per il ballo ed era dalla fronte alle caviglie cosparsa di quella indefinibile seduzione che si chiama il fascino slavo. Sopra i suoi fianchi molto ben disegnati già pericolava una minaccia di pinguedine, come una vera spada di Damocle della quale un marito romperebbe il filo.

Non so bene di quali cose in particolar modo si occupasse la signorina Anastasia Mikailovna, figliuola d'un Boiardo ucraino; certo è che tutti gli scapoli dell'albergo, di giorno e di sera, molto volentieri stavano con lei. E la signorina Anastasia Mikailovna, per un senso d'altruismo quanto mai lodabile, trovava il mezzo di regalare ad ognuno qualche bríciola del suo fascino slavo.

Non rimase a mani vuote neanche Lord Pepe; il quale sapeva, beato lui, comprendere il fascino slavo di tutte le nazioni. Quando una signorina russa nata nella pingue Ucraina balla con un giovine spagnolo vestito a Picadilly, gli altri popoli della terra non devono far altro che radunarsi all'intorno e tacitamente guardare. Io, per l'appunto, seduto vicino a Madlen, contemplavo le perfette eleganze tersicoree dell' hidalgo Lord Pepe, mentre vedevo dipingersi nella fisionomia di Madlen quella sottile ironia tutta particolare del carattere inglese.

Ciò accadeva pochi giorni or sono. Ma oggi la signorina Anastasia Mikailovna, con la racchetta da tennis in mano, si era invece rifugiata nel più intimo salottino dell'albergo e stava con molta lassitudine appoggiata contro una scrivania; le sue trecce scure brillavano sopra un golf color viola del pensiero, e, forse per pudore, forse per indecisione, guardava con occhi bassi le sue belle scarpette di daino molto fino. Lord Pepe, con una posa da seduttore altrettanto blasé quanto irresistibile, dolcemente le andava parlando, non saprei dire se con le mani oppure con le ginocchia. Le parlava, è probabile, di cose attinenti al fascino slavo e delle pieghe certo involontarie che sul corpo della signorina Anastasia Mikailovna, figlia di Boiardo, prendeva il golf di lana color viola del pensiero.

Ciò avveniva in una piccola sala di lettura; luogo adatto, come ognun vede, a leggere I Fioretti di San Francesco, od a scrivere lettere alla propria famiglia su carta intestata con il regale stemma della Reina Maria Cristina.

Quando entrai nella sala di lettura, fecero entrambi un movimento repentino, poi Lord Pepe baciò la mano della signorina Anastasia Mikailovna, e con il viso ancora compenetrato di fascino slavo venne a prendermi allegramente sotto braccio. Anzi mi propose - fatto molto singolare, data la sua naturale pigrizia - di fare con lui una passeggiata.

- Volentieri, Lord Pepe - gli risposi. - Ma dove andremo? verso la Concha?

- Sì, verso la Concha, como quiere Usted.

Allora, mentre camminavamo sotto il pallido sole ancor soffuso di nebbia, Lord Pepe mi fece con amabilità questo leggiadro discorso, che tenterò di riassumere in breve, saltando, poiché prive d'importanza, le mie numerose interruzioni. Disse Lord Pepe:

«Voi siete un molto simpatico ed amabile giovinotto, anzi vi confesso che ho molta simpatia per Usted. Voi avete un carattere che va molto bene con il mio, solo vi consiglio di non lavorare troppo la notte, perché avete spesso la faccia stanca, e non c'è bisogno di prendere la letteratura tanto sul serio quando se ne può far a meno. Poi non dimenticatevi che i libri, tanto quelli di scienza come quelli d'amore, servono sopra tutto alle persone che non sanno trovare altro mezzo per uccidere il tempo. Que sì, caballero!... La donna è poi come la letteratura: più si legge e meno la si comprende. - Pausa - Io mi sono accorto che a voi piace molto la mia piccola amica Madlen. Questo mi fa piacere. Madlen è una donna molto elegante, muy fina, muy dispendiosa, e che ha fatto apposta a lasciarsi fare la corte da Usted, perché la donna gode mezzo mondo se può vedere il suo amante consumarsi di gelosia. Ma con me questo gioco non riesce, pauvre petite, por que soy un hombre qui s'en fiche! - Pausa – La sola cosa davvero importante è questa: che in otto mesi mi ha fatto spendere un mezzo patrimonio; ragione per la quale mio padre, banchiere a Londra, mi ha telegrafato; «Mas nada.» Le due parole irrevocabili che ogni tanto mi telegrafa in tutte le lingue, secondo il paese dove mi trovo. «Rien plus.» «No more.» In Italia si dice: «Niente più.» Mio padre, banchiere a Londra, quando scrive telegrammi, ha una forza di carattere davvero inflessibile. «Quando invece parla con suo figlio capisce sempre di aver torto. Dunque bisogna ch'io vada a Londra. Ciò mi secca, per la traversata della Manica, che in questi mesi non è del tutto conforteable, come dovrebbe essere un canale degno del popolo Inglese. - Pausa - Mio padre, banchiere a Londra, con un ordine di Borsa rifà in due giorni quello ch'io sciupo in un anno; quindi potrei benissimo rimanere con Madlen fino al principio dell'inverno, ed anche dopo, se ne avessi urgente necessità. Ma questa mia risoluzione dispiacerebbe forse a Usted, e non divertirebbe affatto il vostro amico don Josè de Higuera, che in amore come in tutte le cose preferisce sempre all'abitudine la novità. È stato un errore innamorarmi di Madlen, ed è la prima volta che ubbidisco per otto mesi ai capricci di una sola donna. Ma il mio amore per fortuna è fatto in modo che solo dura finché non mi avvenga d'incontrare un'altra donna la quale non sia peggiore della precedente. Ed io posso dire a Usted che questo è il solo modo ragionevole d'innamorarsi. Claro? Dunque volevo riferire a Usted che domani parto per Parigi, e dopodomani traverserò la Manica. Fra otto giorni – poiché ci vuol sempre circa una settimana prima che mio padre voglia riconoscere i suoi torti - sarò di nuovo a Biarritz, con una deliziosa attrice del Vaudeville, ch'essendo amica nel medesimo tempo di un deputato marsigliese e di un sarto parigino, costerà lo stesso a mio padre, banchiere a Londra, ma forse a me, in privato, permetterà di fare una certa economia. - Pausa - Ora penso di aver fatto il mio dovere, informando voi per il primo di questo mio viaggio a Londra. Viaggio che a voi farà piacere, ne sono certo, mentre a me dispiace moltissimo di allontanarmi da un simpatico amico y distinguido caballero como Usted.»

Sul mare sonnolento si adagiava una striscia di sole, vaporosa e calma; lungo il Paseo de la Concha ferveva un corso animatissimo. E noi tornammo indietro, allegri, senza la più piccola ombra di disagio, per comperare dal primo tabaccaio che incontrammo quelle grosse ed aspre Elegantes emboquilladas, delle quali entrambi eravamo sprovvisti.

Su la soglia della tabaccheria mi parve necessario dirgli, prendendolo a braccetto:

- Cher ami... non ho purtroppo un padre, banchiere a Londra, né una Manica da passare con tanta facilità; ma se quello che il «trente et quarante» finora non mi ha tolto può esservi utile per qualche settimana, vi prego di trattare con me come fareste con un vecchio amico...

Egli rifiutò indiscutibilmente, con un sorriso da Grande di Spagna.

Ella tese a Lord Pepe la sua lunga mano inguantata, con un saluto sobrio e semplice, come se quella partenza definitiva non dovesse durare che lo spazio di ventiquattro ore. A piè del treno, presso il montatoio, ella stava immobile vicino all'amante, lasciandogli nella mano la sua mano aperta e guardandolo negli occhi senza il minimo segno di dolore.

- Good bye. Friend. Kiss for me London...

Non v'era in lei turbamento visibile, ma neanche la più piccola simulazione. Otto mesi d'amore o di giornaliera intimità finivano per lei senza una lacrima, invece con una stretta di mano, con un sorriso da signorina, da miss inglese, limpido, illibato, sarcastico.

- Good bye, Friend. Kiss for me London...

Il marciapiedi bianco d'elettricità rifletteva la sua lunga ombra; il cappellino frivolo e serio, l'abito a giacca, gli stivaletti luccicanti, parevano stranamente adatti ad accrescere la sua impassibilità. In quel momento era più che mai onesta, più che mai signora, e signora inglese in tutta l'estensione del termine; tantoché ripensavo, quasi per amore del contrasto, alla sua bella camicia di linon, fina come un ragnatelo.

L'express Paris-Madrid allungava sotto la tettoia della stazione imbandierata le sue vetture luccicanti, collegate insieme da un passaggio a mantice; nel mezzo del treno il salon-restaurant sfavillava di luce come una sala da ballo. I pranzi ormai erano finiti, le tavole sparecchiate; nel lunghissimo corridoio del treno molte cuccette chiuse custodivano il sonno dei viaggiatori già coricati. Altre lasciavano intravedere dagli sportelli aperti i preparativi notturni d'una coppia inglese che ammobiliava il proprio home, d'una parigina irrequieta che trasformava il suo scompartimento in un profumato boudoir, con bagaglio ad armacollo e piuma tirolese, infine d'un diplomatico turco in perpetua vacanza, che avrebbe offerto molto volentieri alla sua vicina di parete una bottiglia di Champagne...

Ormai, pare impossibile, non v'è treno di lusso che solchi l'Europa in qualsiasi direzione senza contenere la Parigina e il diplomatico Turco, questi due esponenti così caratteristici dell'umanità del ventesimo secolo.

Gli eleganti controllori della Compagnie Internationale des Wagons Lits, bei giovani, che talvolta, nel cuore della notte, una viaggiatrice solitaria chiama con romantiche scampanellate, ora ciarlavano fumando a piè dei montatoi; altri andavano preparando i lettini candidi, altri esaminavano fasci di tessere o facevano saltare il tappo d'una bottiglia di Pale Ale. Sopravvenne un Herr Doctor bavarese, viaggiatore di seconda classe, con occhiali a stanghetta e fasce di lana verde ai polpacci, uno di quelli che il Creatore stampò con la creta che gli rimase dall'ippopotamo.

Costui andava da una vettura all'altra agitando uno scontrino dell'Agenzia Cook. Dopo aver seccata molta gente, alla quale non spettava occuparsi di lui, trovò finalmente un capotreno che gli diede retta, ed osservato il numero dello scontrino, gli disse in un tedesco irreprensibile che la sua cabina era stata riservata per un Ispettore Generale della Compagnia - sede di Bruxelles – qualcosa come il vice-padrone di tutti i treni a dormitoio che ansano e volano traverso l'Europa. Altro dunque non rimaneva per lui che rassegnarsi alla suprema ragion di Stato.

Fine XII° parte del romanzo.

Buona lettura.

 

 
 
 

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°188 pubblicato il 14 Settembre 2012 da ciapessoni.sandro
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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore: Guido da Verona.

 

 

Immagine: Fiume Urumea.

L'Urumea porta nel mare, con la sua lenta ondata grigia, le foglie che l'autunno fa cadere giù...

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***

XI° Parte del romanzo. (Seguito del post 187)

Lord Pepe è tornato assai tardi e si è presa la libertà di pranzare in abito grigio, dopo aver impiegato solamente mezz'ora per lavarsi le mani e lisciare i suoi brillanti capelli. Ormai son divenuto il loro commensale d'ogni giorno, ed anzi, da qualche tempo, la più cordiale intimità regna fra noi.

Ben tornato, Lord Pepe! Se il mio calunnioso intuito non m'inganna, voi dovete oggi, a Biarritz, aver presa una tazza di tè molto intima nella camera ospitale d'un'amica di Madlen. Forse Yvonne Le Hannec? forse Darclea Thibaud, l'attrice del Vaudeville? Forse, Lord Pepe, l'indiavolata Baldwin?... È ancora quel ch'io vado investigando. Me l' hanno fatto supporre alcune vostre celie garbatamente ironiche, poi quello sguardo, affettuoso e compassionevole insieme, con cui l'uomo suole avvolgere la propria amante dopo averla tradita. Voi siete inoltre fra quelli che hanno quasi un bisogno fisico di lasciar sospettare le proprie infedeltà, e dal principio alla fine del pranzo altro non faceste che cercare sottili espedienti per provocare la gelosia di Madlen.

Invece, Lord Pepe, voi attizzate la mia, nel timore che un simile gioco possa rinfocolare verso di voi la sua tepidezza.

Il prestigio che vi conferisce in tutta la Repubblica di Francia essere l'amante, l'unico amante, l'invidiato amante di Madlen Green, è tale, che certo nessuna, per quanto ben custodita camera di Biarritz può rimaner chiusa alle vostre nocche irresistibili, quando, Lord Pepe, voi bussate. Inoltre, per un appassionato e negligente amatore della bellezza quale voi siete, nulla in amore supera la varietà.

Su le avventure della vostra gita Madlen vi ha chiesto ragguagli con una voce un po' sardonica. E voi rispondevate sul medesimo tono, anzi alludendo senza ombra di rancore all'innocente flirt che noi due, sotto i vostri benevoli occhi, andiamo intessendo. Grazie al cielo voi siete un uomo del tutto moderno, e pieno di spirito, il quale considera come una mancanza di buon gusto la volgare gelosia. Ma il fatto strano è questo: ch'io sono invece molto geloso di voi.

Dopo il pranzo siamo andati al cinematografo. Si rappresentava un dramma di oltre duemila metri, dov'erano esibite in azione le truffe colossali di un finanziere tipo Rochette, con la bellissima riproduzione dal vero della Borsa di Parigi pervasa dal panico, un giorno in cui precipita il Rio Tinto.

Non erano però queste le sole attrattive del ben architettato dramma. Si vedeva, nella prima parte, un buon numero di vittime innocenti pagare con le proprie lacrime le ricchezze dell'empio frodatore. Indi si vedeva un ponte inabissarsi al passaggio d'un treno, e ciò era fatto in modo che il cuore di tutta la sala per un istante cessava dal battere. L'ignobile Rochette eseguiva poi un tentativo di stupro su la persona d'una bella dattilografa, incredibilmente onesta. Né il denaro né la violenza né la promessa di vestirla da Paquin riuscivano a sedurre questa fanciulla preistorica.

Il finanziere ladro andava, com'è immaginabile, su tutte le furie. Poiché era un uomo potente, macchinava orribili vendette. Così assistemmo all'arresto arbitrario del fidanzato di costei, cassiere onesto con fisionomia del giovine povero.

Si svolgevano in séguito infinite altre peripezie, poliziesche drammatico-sentimentali, così ricche di fantasia e di pathos da potere assai bene reggere al confronto con tutto quanto produce la fertile romanzatura del nostro secolo; - finché , un bel giorno, verso gli ultimi cinquecento metri, l'audace filibustiere viene preso nei lacci delle sue proprie rapine; la vendetta covata negli animi per tanto chilometraggio scoppia in modo esauriente; la dattilografa-premio-di-virtù sventa in pochi secondi una rete d'affari assai più complessa che il traffico mondiale della Casa Rotschild; il cassiere onesto con fisionomia del giovine povero esce alfine di prigionia, mentre, al sopravvenire dei gendarmi, il rovinato ingoiatore di beni altrui apre con mano brancolante il cassetto della scrivania, consegna tremando alla bella dattilografa un grosso fascio di documenti, le domanda perdono con un viso da intenerire i sassi, e negli ultimi cinquanta metri, con una pistola enorme, si fa saltare le cervella...

Esce un gallo che muove il collo, con la scritta: «Pathé Frères» Lord Pepe ha preso parte vivissima alle alternative di questo palpitante dramma, spesso mormorando improperi contro l'operatore, il quale cancellava dallo schermo con troppa fretta i lunghi titoli che illustravano l'avvicendarsi delle scene.

Lord Pepe è un uomo di principî onesti; quando vide il pseudo-Rochette farsi giustizia, non seppe trattenere il grido verace dell'anima sua e proclamò ad alta voce:

- Que muera el ladron!

È singolare come gli uomini, che son quasi tutti nel loro intimo rubatori e furfanti, amino a teatro e nei libri vedere il vizio punito e premiata la virtù. La letteratura del buon fine manda sempre a casa convinti e soddisfatti gli spettatori. Ciò proviene dal fatto che ogni ladro si crede un altruista e quella che va in letto col primo venuto si considera una donna quanto mai difficile a lasciarsi debellare. In fatto di morale, questo ventesimo nostro secolo si avvia, nelle sue retoriche, ad incarnare il verbo della perfetta francescanità. Il cinematografo, che per noi tiene luogo delle commedie di Plauto e Terenzio, già è sottomesso alle ferule di una illuminata censura. V'è poi chi cincischia e gracchia perché di uguali cilici si affliggano le disoneste lettere. Per conto mio dubito assai delle persone che hanno in tasca la morale stereotipata, come di quelle che ogni dieci parole vi buttano lì un principio inconfutabile; diffido assai di chi arriccia il naso tutte le volte che vede alcuno vivere in guisa diversa dalla propria, e sospetto gravemente gli uomini integerrimi, le donne incoricabili, tutti coloro che nulla vogliono perdonare al loro prossimo; - per ultimo tengo in accigliata e particolare diffidenza quelle persone davvero spudorate le quali si ascrivono a Leghe di Pubblica Moralità.

Essere onesti è cosa tanto intima e tanto involontaria, che mi sembra impostura il farne pubblico mestiere. Sarebbe, a mio giudizio, altrettanto ridicola una Lega per la universale modestia, o per conoscer bene la sintassi, o per mostrarsi gentili con le proprie mogli, o per reprimere la maldicenza, il pettegolezzo e la bugia.

Nondimeno, poiché una Lega per la Pubblica Moralità esiste in Italia, e si occupa ogni giorno più di cose deliziosamente amene, vuol dire che io m'inganno, e la moralità è cosa da raddrizzare con buoni opuscoli e con avvisi ne' giornali, fra i prodigi del pneumatico Michelin ed i cachets digestibili del miracoloso Tot.

Ma ecco dove può condurre un dramma veduto al cinematografo, l'odissea del cassiere onesto e della dattilografa premio-di-virtù!... Corrono tempi ove tutto passa traverso gli apparecchi scientifici, dal siero che guarisce l'avaria fino a quel sentimento ancora in voga tra gli uomini, che i nostri antenati avevano la dabbenaggine di chiamare amore.

Un guaio grave, questo cinematografo, che riproduce le cose dal vero e minaccia di tramandarle ai più remoti secoli, come troppo fedeli testimonianze della nostra fuggente vita. Esso purtroppo uccide la leggenda, e la leggenda è poesia, che fa risplendere di eterna bellezza l'irrevocabile passato. In verità noi ammiriamo gli antichi, per il fatto che ad essi mancava il cinematografo, quindi non sappiamo com'essi erano esattamente né di quali realtà, forse umili, si componesse la loro distante vita.

Ma come potranno i posteri ammirare noi, ora che la funesta pellicola eternerà davanti ai loro occhi la vicenda e la storia delle gloriose nostre ridicolaggini?

Siamo noi ben certi che un operatore di cinematografo rintanato al passo delle Termopili non potesse bastare a mettere in quarantena la immortale gloria di Leonida? E chi dunque non sorriderebbe rivedendo il macchinario quanto mai scricchiolante del coreografo che inscenò il Cavallo di Troia? E cosa mai fu il secolo d'oro di Atene, retto insomma da un demagogo e da una prostituta? Osereste voi rivedere Babilonia quale in verità doveva essere: una immensa città di caravanserragli, con un palazzo imperiale sontuoso e balordo, costrutto da ingegneri che falsificavano il vecchio Egitto? E la gloriosa Tebe dalle Cento Porte, e Menfi, e la figura di Ramsete II, che forse, come ideatore di imperialismi, non superava in furfanteria il principe di Bismarck? E ditemi, di grazia, che mai sarebbe avvenuto dei venti secoli di vita cristiana, se un operatore della Casa Pathé avesse potuto assistere alla scena della crocifissione di Cristo?

Quale sarebbe la nostra opinione su Roma signora delle genti, se ancora vedessimo in pieno Foro Cicerone declamare le sue Catilinarie, o Cesare, il Lord Kitchener dell'Impero, l'amante di Nicomede, cadere sotto il pugnale di Bruto?

Quando penso alla creazione dei futuri musei cinematografici e rifletto che, magari fra duemila anni, i figli lontanissimi dei nostri più remoti figli andranno a teatro la sera per veder riesumati sul telone commemorativo i calzoni a mantice dell'ex-Presidente Fallières, le cacce africane dell'intrepido Teodoro Roosewelt, le statue che diede a Berlino il genio artistico di Guglielmo II, l'ossario dannunziano di Ida Rubinstein e la faccia minossiana del parlamentare Filippo Turati, quando penso ch'essi rivedranno due milioni di spettatori assistere al match di boxe tra il pallido Geffries ed il negro Jack Johnson, e tutta Parigi straripare nelle strade in tumulto la sera dell'arresto di Madame Steinheil, e vedranno le Terme di Caracalla divenute il Palais de Glace o le bighe del Circo Massimo tagliare il traguardo al Derby di Epsom, e vedranno Aristotile tenere una prolusione sul Tango all'Accademia di Francia e San Pietro dormire su lo strame nelle undicimila stanze del Vaticano, quasi quasi temo che i figli remotissimi dei nostri più remoti figli quella sera torneranno a casa dicendo con tutto il rispetto: «Che buffoni, poveri noi, que' nostri venerabili antenati!...»

Pertanto eravate assai dolce questa sera, Madlen. Nella sala quasi perfettamente buia, nell'angusto palco, mi stavate vicina con morbidezza, come la vergine appena sposata si preme al fianco del suo defloratore. Vi sentivo respirare contro la mia persona, come se il vostro calmo respiro prendesse origine in me.

Avevate su le spalle una stola d'ermellino, ch'era fredda quasi come l'apice delle vostre dita. Nulla io potevo dirvi, né voi a me.

Quel ronzio del proiettore sembrava una musica la quale andasse frugando, frugando, nell'oscurità, in cerca di un'anima dalla quale farsi comprendere. Avevate, credo, un profumo diverso dal consueto, ed io mi sentivo malato di voi sino alle radici dell'essere, ma così deliziosamente malato, che non avrei fatto alcuno sforzo per guarirne; anzi mi affondavo nel mio male come in uno stordimento bello e voluttuoso. Eravate stata così vicino ad esser mia, che già mi pareva di conoscere il suono, il profumo, la musica del vostro più perduto bacio; eravate in me confusa, come s'io portassi qualcosa di voi nelle mie tormentate vene. Sentivo che una piccola grande cosa era nata fra noi: l'intimità, la complicità, la memoria d'essere stati proprio su l'orlo, proprio al confine di quell'istante meraviglioso che scioglie fra due vite ogni paura e le confonde in una.

Ed io non mi sentivo più un errante, perché la mia casa eri tu; non un solitario, non un deluso, non un disperso da tutte le famiglie, perché tu divenivi la mia solitudine, e la mia strada e la mia compagna eri tu. Adesso mi si destava nell'anima una grande malinconia, quasi una bontà nascosta, che non sapevo di portare in me. Avevo trovata un'anima nel tuo corpo giovine come il sole; e stando così presso alla tua bocca profumata, meravigliosamente sentivo che la mia bellezza eri tu.

Adesso, mentre scrivo e ti attendo, una chiara notte s'è alzata nel cielo che non piove più. Dai giardini della Zurriola sale ad intervalli un odore voluttuoso d'alberi stillanti. L'Urumea porta nel mare, con la sua lenta ondata grigia, le foglie che l'autunno fa cadere giù...

 

Fine della XI° parte del Romanzo.

Buona lettura.

 

 
 
 

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°187 pubblicato il 10 Settembre 2012 da ciapessoni.sandro
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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello Scrittore: Guido da Verona.

 

 

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Sandro Ciapessoni:

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***

X° Parte del romanzo.

- Francamente Lord Pepe non giustifica una simile calunnia. Però, al mondo, mai nulla è impossibile.

- Dunque raccontate.

- Cosa?

- I particolari; i più sottili, i più intimi particolari della vostra avventura. Non rifiutate, vi prego, non ditemi di no. È forse un capriccio, un cattivo capriccio... ma raccontatemi ogni particolare con esattezza: mi farete piacere.

- Bene, se mi offrirete una sigaretta nella vostra camera, ve li racconterò fedelmente. Qui, mi sembra impossibile.

- Dunque andiamo.

Raccolse Pompon, che ascoltava con un orecchio diritto le nostre parole riprovevoli, e traversammo rapidamente l'atrio affollato. Madlen mi diede Pompon su le braccia, con mille raccomandazioni, e sparì nell'ascensore.

Due bambinelle assai leggiadre, con le gambe nude, mi vennero incontro, curiose dell'arcigno animaletto. Una delle due già sorrideva come una donna che vuol piacere; l'altra, più timida, era molto bellina.

- ¿Caballero, que raza de perro es?

- Un perro de la China, nenita; un perro muy raro.

- Come se llama, caballero?

- Se llama Pompon, chiquita.

Ambedue, quella sfacciata e l'altra bellina, salirono con me su per le scale, fin davanti all'uscio di Madlen.

Ella venne ad aprirmi con le mani ancor umide, avvolte in un asciugamano. La stanza era quasi buia solo dal bagno entrava luce. L'argenteria cesellata, l'avorio dei suoi molteplici pettini, brillavano sul vetro; della pettiniera. Si udiva la pioggia battere sul terrazzo con uno scroscio continuo, pieno di sorda musicalità; nella voluminosa nebbia un lampione ad arco brillava davanti al teatro Eugenia Vittoria.

Mi offerse una sigaretta, una delle sue bionde sigarette profumate, nelle quali c'era forse qualche traccia d'oppio, e mi sgomberò il divano dicendomi:

- Sedete.

Io pensavo che un uomo non si sente mai tanto straniero ad una donna come presso il letto ove ella dorme con il suo amante. Invece di esprimerle questa mia sconsolante sensazione, le dissi vagamente che mi pareva di aver freddo.

- Freddo?

- Sì, nell'anima.

Era seduta contro la pettiniera; qualche filo dei suoi capelli pareva prendesse fuoco. E disse:

- Non muovetevi di lì; finisco di curarmi le mani, poi, se permettete, mi cambierò d'abito.

- Va bene. Anzi va molto bene.

- Intanto raccontatemi le cose che voglio sapere. Ma ditele con delicatezza, vi prego, e senza costringermi a provare il desiderio di arrossire.

- Oh, Madlen! perché volete ancora tormentarmi con queste memorie delle quali non mi ricordo più?

Allora mi venne accanto, e si piegò, e si mise a ginocchi fra le mie ginocchia, e tutto il peso della sua dolce persona, tra quella penombra, si raccoglieva contro la mia persona. Diceva:

- Non credete voi che nell'amore la cosa più bella, più delicata, sia forse il parlarne? Immaginare, tormentarsi, avvolgersi nel peccato fino alla gola, rimanendo quasi puri? Contaminarsi piano piano, squisitamente, con un po' di sogno, con un po' d'esitazione, stando così, come noi siamo, non proprio nell'amore, nel faticoso amore, nel pesante amore, ma su l'orlo di esso, quasi nel profumo di esso, ravvolti nella gioia infinita che il vero abbandono forse non dà?

Ed il suo viso, con tutti i capelli, con tutto il respiro, si empiva di un terribile pallore; la sua bocca si orlava di vizio; nella sua voce, in tutta la sua carne, in lei, entrava una voluttà inesprimibile, quasi un dolore.

Mi pareva d'avere indosso una calda pelliccia, una morbida pelliccia di zibellino; il colore dei suoi capelli somigliava molto a questo colore, la sua pelle mandava il profumo denso, caldo, soffice, che in inverno, quando si esce dai balli, nelle stanze troppo riscaldate, su le spalle troppo nude, mandano le pellicce di zibellino. E diceva:

- Essere amanti non è forse dolce come il pericolo di poterlo divenire. Io cerco un uomo che abbia la pazienza e l'immaginazione d'intendere l'amore come io l'intendo. Non sono fra quelle che possono far dono dei propri sensi al primo venuto e che vuotano il bicchiere d'un fiato, regalando sé stesse all'uomo che per cinque minuti le desidera, poi s'addormenta, o fuma, e pensa con orgoglio di averci fatto conoscere il divino paradiso...

Oh, voi dovete perdonarmi se io non sono fra queste! Amo invece l'amore che tormenta i sensi fino all'esasperazione, poi li esaudisce con lentezza, li addormenta, li avvolge in una specie di meravigliosità, nella quale si sente la piccola gioia di noi stessi divenire infinita...

Parlava con un po' d'angoscia, con un po' di febbre, come chi raccontasse la storia d'un suo lungo ed inesaudibile sogno; vedevo battere piano piano, con insidia, l'orlo delle sue ciglia quasi dorate; vedevo della sua bocca brillare, in un sorriso pieno di sofferenza, la rossa umidità; vedevo, sotto la camicetta quasi diafana, correre il nastro azzurro della sua camicia molto scollata, sbocciare da essa, come dall'involucro d'un fiore calmo e pallido, il disegno voluttuoso della sua felice nudità. E diceva:

- Se volete che sia vostra, non cercate di afferrarmi con ruvidità, come si rovescia e si possiede una piccola cameriera. Invece tormentatemi un poco, fatemi un poco male, persuadetemi sottovoce, parlatemi sottovoce, poiché amo, amo infinitamente, la lussuria delle parole... Ora tacete. Io sola parlerò con voi. Ho molte cose a dirvi, e quasi non me ne ricordo più... Sì, me ne ricordo. Ascoltate. La prima sera, quando eravamo seduti presso la tavola da gioco, e vi domandai un fiammifero per accendere la sigaretta, ho capito subito che qualcosa poteva nascere fra voi e me. Provavo una irritazione singolare nel sentirvi così vicino, e fu allora, non dopo, ch'ebbi di voi la tentazione più forte. Quella sera voi eravate veramente un uomo senza cuore, gelido e sciupato, al quale restava negli occhi, forse nell'anima, qualcosa di terribilmente lontano, che altre portarono via, qualcosa di aspro, di amaro, d'insensibile... mi piacevate allora, e dopo di allora non più. Dopo, anche voi, come tutti, non foste altro che un uomo, sì, un comune uomo, che ubbidisce ai suoi piccoli vizi. Quand'ero fanciulla, passavo le notti leggendo libri di voluttà e costringevo i miei nervi disperati a non sentirne alcun fremito. Certe notti mi addormentavo così, fredda e bruciante, con i polsi avvinghiati al guanciale, con le ginocchia, le caviglie irrigidite, come se le stringesse un laccio tormentoso, eppure senz'avere pacificato il mio corpo nemmeno con la più leggera carezza. Più tardi, nei giorni d'estate, andavo per i campi e mi piaceva battere su la loro carne bruna i fanciulli di dodici anni... Anche oggi sono rimasta, come allora, una donna che teme il piacere, forse perché non trova mai nulla che le possa dare una gioia veramente pacificatrice. Ora, se non vi muovete, se non dite nulla, vi darò un bacio; io sola vi darò un lungo bacio, e non voi, su la bocca...

Fina fina, la pioggia del mese di Settembre batteva sui vetri, nel vespero buio. Il lampione ad arco del teatro Eugenia Vittoria ogni tanto si oscurava, come se vi passasse davanti un continuo volo di rondini.

Sì, avete ragione, Madlen: «Only as long as we are strangers, can Love be a sweet spleen...» - solo fin quando si rimane stranieri può essere l'amore un soave splene...

Se potesse contare il mio solo desiderio vorrei anche spegnere il lume dell'altra stanza, restare con voi nel buio. Taciturni, e quasi navigando nel soave splene, - a sweet spleen - ascoltare sui vetri opachi la pioggia del mese di Settembre, sapere che il vostro bel corpo è mio, conoscere il vostro respiro, ma non averne bevuto che un sorso, l'ultimo sorso ancor mai...

Ed ora si faceva tardi; le prime campane dell'ora di cena suonavano per i corridoi dell'albergo. Madlen si levò e disse:

- Accendete il lume; ora devo spogliarmi; andate via.

- Non ancora; lasciate che v'aiuti a sciogliere i ganci del vostro abito, le fibbie della vostra cintura.

- Sì, provate.

Nel premere fra le mie due mani l'incavo dei suoi fianchi, perché si slacciassero i ganci, mi pareva di stringere fra le dita il bel collo di un levriero, focoso e docile. In quella fragilità sentivo scorrere una grande vita. La sottana cadde, producendo una specie di soffio, che agitò le frange della gonnella di seta. Portava un busto leggero, quasi una fascia da educanda, che le teneva i fianchi senza premerli, come una bella guaina. Poi slacciò e si tolse la camicetta, molto piano, guardandosi le braccia. Quelle sue braccia splendevano d'impurità, senza un'ombra, senza una incavatura, perfette. Ma in lei c'era qualcosa d'indefinibile, che mi fece pensare alla sua vecchiezza; certo una vecchiezza non d'anni, ma di anima sciupata, ma di carne troppo goduta, ma di lascivie troppo dolorose. Non so perché , in quel momento la immaginai qualora fosse morta, morta nella sua giovinezza, ed immaginai di vederla giacere sovra un letto pieno di trine, seminuda, coi suoi capelli ancor segnati dall'ondulazione, con tutti i suoi vizi ancora evidenti su la pelle incipriata, - e pensai come sarebbe stato lieve il peso di quel corpo da mettere nella bara...

Ma era viva, e diventerebbe vecchia - una piccola vecchia gialla, col mento aguzzo, lo scheletro accartocciato. Il giorno del suo funerale, quando la porterebbero via, forse da tutti dimenticata, forse in miseria, qualcuno direbbe ch'era stata una prostituta; le darebbero, per marcire, due metri di terra santa... Era stata un capolavoro, e nessuno se ne ricorderebbe più. Ebbi una immensa pietà, un immenso dolore di questa che doveva morire; avrei voluto in quell'istante farle un dono, dirle qualcosa che la facesse almeno sorridere...

Ma ella d'un colpo sciolse tutti i suoi capelli, e questa magnificenza la vestì. Disse:

- Non vi muovete, non parlate; voglio darvi un bacio tutt'intorno alla bocca... No, vi prego, vi prego, non toccate i miei capelli. Essi mi fanno così male... Chiudete gli occhi, vi prego, e non guardatemi; tanto più che sono quasi nuda... vedete bene che sono quasi nuda... Oh, lasciate stare, vi prego, i nastri della mia camicia; non li toccate, ho freddo... V'impolvero con la mia cipria?... Sì, v'impolvero. Però amo arrampicarmi su voi... no, lasciatemi stare... non carezzate i miei seni... essi mi fanno più male ancora... E poi v' ho detto: mi occorre lungo tempo, lungo tempo, innanzi d'essere innamorata... Bisogna che nulla di voi mi dispiaccia, né di me a voi. Ho sognato tutta la vita di poter amare un uomo che fosse nel medesimo tempo un maschio veramente superbo ed un'anima veramente chiara. Ma l'uomo non è mai che una cosa o l'altra: ecco perché innamorarsi è difficile. Se vi dicessi «tu», sarebbe assai più dolce, anche per una Inglese. Ma non posso ancora dirvi «tu». È molto più facile darvi un bacio su la bocca e dire «voi», e seguitare a chiamarvi, come si chiamano tutti gli uomini, «voi...» Ma ora, vi prego, andate via. È tardi. Quando un uomo parte in automobile non si sa mai a che ora può essere di ritorno. È meglio non ci trovi così... vi pare? Forse non darebbe alla cosa una grande importanza, ma osserverebbe senza dubbio che potrei anche mettere una vestaglia per ricevere i miei amici... E, del resto, vi prometto che durante la notte cercherò di salire da voi. Se non potessi, vi scriverò una lunga lettera...

Sapete? scrivo molto bene, anche in francese. Per quasi otto anni fui chiusa in un educandato vicino a Parigi. Mio padre aveva un castello; mia madre, prima d'essere la moglie di un Lord, era stata la più acclamata, certo la più bella, fra le attrici dei teatri metropolitani. Ma tutto questo non importa, poiché oramai è così distante... In quell'educandato c'era una maestra, una bella monaca di ventisei anni, molto bionda, molto pallida, un'Alsaziana, e quand'erano le fredde sere dell'inverno ella veniva molto spesso a ravvolgersi nella mia coltre, perché , diceva, ho la pelle così fina...

E la pioggia cadeva, cadeva, con un rumore continuo, con un piccolo ridere, con un sottile stridere; là fuori batteva, cantava, sui vetri opachi, la buona e profumata pioggia del mese di Settembre...

FINE X° Parte del Romanzo

Buona lettura.


 

 
 
 

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