164 chili
Ho finito l’arrosto. Ho finito tutto.
Ho leccato dal piatto il sughetto che quella carne inaspettatamente dolce ha rilasciato dopo la cottura, la lingua piatta, ben schiacciata contro la ceramica a raccogliere quanto più gusto possibile. Il piatto era sporco di mille altre pietanze, alcune vecchie abbastanza da non staccarsi più.
Ho anche mangiato uno scarafaggio che cercava di scappare tra i piatti sporchi. Era duro e sapeva di immondizia. E' stato difficile prenderlo. L'ho visto lì, tra un piatto e una casseruola, muoveva quelle stupide antenne cercando chissà cosa, ho abbattuto una delle mie enormi mani e l'ho bloccato. Sentire quell'essere muoversi sotto il mio palmo mi ha dato una sensazione di gioia selvaggia. Ancora di più sentirlo muovere in bocca, prima che i miei denti provocassero un irreparabile crack. L'ho masticato a lungo anche se non era buono. E poi ho leccato via dai denti ogni più piccolo residuo.
Anka non risponde nemmeno ai miei messaggi, non tornerà più. Quella piccola stronza rumena mi ha lasciata qui a morire di fame. Peccato, se riuscissi ad attirarla in qualche modo potrei nutrirmi per un paio di giorni. Ma non ho più credito nel telefono.
Mi aggiro tra i resti della cucina e i resti della mia vita.
Non mi resta più nulla.
Non resto che io.
Inizierò dai piedi.
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