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Post n°1271 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da DgVoice
Ieri sera, durante la consueta diretta domenicale del programma "Di Voce In Voce", abbiamo aperto una finestra sulla notte degli Oscar, che di lì a poco avrebbe avuto inizio in America. A fine programma radiofonico ho seguito via internet gli sviluppi della serata ma non sono riuscita a resistere fino alla fine per cui ho chiuso e sono andata a letto. Da discreta cinefila quale sono, stamane tra le prime cose sono andata a leggere le varie notizie riportate dalla stampa internazionale, ammetto che per questo specifico argomento la mia attenzione è rivolta in modo particolare alla stampa statunitense. In questo articolo ho tradotto, riassunto e rivisto alcuni stralci, arricchendoli con considerazioni personali. E' il caso però di accendere un faro sul pluripremiato "The Artist" in quanto il suo trionfo alla notte degli Oscar è un evento che resterà negli annali per almeno due ragioni: non solo perché si tratta di un film muto, ma anche perché è un film francese. Per la primissima volta nella storia, il più prestigioso premio per miglior film è stato assegnato ad un film né americano né inglese o comunque anglosassone (in queste ore molti hanno scritto "non english-speaking", ma non si riesce a leggerlo senza sorridere trattandosi, in realtà, di un film semplicemente "non-speaking"). Venerdì scorso sul sito di Foreign Policy - testata che di norma non ospita articoli dedicati al cinema o al mondo dello spettacolo in genere - è uscito un insolito pezzo dal titolo "Come Hollywood ha conquistato il mondo (ancora una volta)" dedicato proprio a questo risvolto "geopolitico" della faccenda. Vi si narra di una "curiosa battaglia" che avrebbe avuto luogo dietro le quinte negli ultimi giorni "per convincere Hollywood che 'The Artist' è un film americano, nonostante sia stato scritto e diretto da un francese, prodotto da un francese con soldi francesi, e recitato da due attori francesi nei due ruoli principali". Non è solo una questione di "nazionalismo": è anche una questione commerciale, perché solitamente i film non-americani incassano poco non solo sul mercato americano, ma anche nel resto del mondo: storicamente, tutti i 100 film campioni d'incassi a livello mondiale sono tutt'ora film a stelle e strisce. A questo link l'intera classifica: http://www.imdb.com/boxoffice/alltimegross?region=non-us Eppure, fa notare l'autore del pezzo, questa novità va letta più come un ennesimo caso di "importazione di cervelli" che non come una sconfitta in favore di concorrenti esteri. Siamo quindi alle prese con la solita vecchia verità: la forza dell'America è anche quella di saper essere una "immigration nation". Il che è tanto più vero ove si consideri che "The Artist" è stato prodotto dalla americanissima Weinstein Company, la società del già co-fondatore della Miramax Harvey Weinstein; e che il regista Michel Hazanavicius è sì francese, ma pur sempre un francese con il suo bravo status di "permanent U.S. resident", e pronto a dichiarare di non sentirsi "né un regista francese né un regista americano: un regista e basta"; e, soprattutto, che si tratta di un film su Hollywood, che racconta Hollywood ed oltre ad essere ambientato ad Hollywood è stato interamente girato proprio lì. Infine, non dimentichiamo che si tratta di un film che - anche grazie al suo lieto fine tipicamente hollywoodiano - non manca dell'ingrediente ideologico essenziale della cultura americana: l'ottimismo. Scusate se è poco. Tra gli attori protagonisti di The Artist troviamo anche un simpatico jack russell di nome Uggie, che proprio alla notte degli Oscar ha fatto il suo ultimo inchino in quanto Uggie andrà in pensione. Lo aveva annunciato il suo addestratore, Omar Von Muller, il giorno dopo che l' Academy for Motion Pictures Arts and Sciences aveva premiato la pellicola francese in bianco e nero con ben dieci nomination all'Oscar. |
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