Creato da giovannatilocca il 05/05/2010

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Robespierre ed altro

Post n°165 pubblicato il 20 Marzo 2013 da giovannatilocca
 
Foto di giovannatilocca

Giorni fa ho avuto modo di aprire gli occhi su un periodo storico che avevo sempre creduto di conoscere abbastanza a fondo e che è stato per me ricco di sorprese. Attraverso i personaggi principali sono entrata nel mondo della rivoluzione francese e ne sono rimasta affascinata. Due secoli ci separano da quei giorni di tumulti, di massacri, di passioni, di idee esplosive; possono essere tanti e possono annullarsi. Potrei tornare indietro di duecento anni e vivere quei momenti esaltanti e meravigliosi, quegli attimi in cui la storia si modellava secondo il pensiero e le azioni di quegli uomini che, per un insieme di circostanze, si trovarono ad avere in mano i destini prossimi e futuri del popolo francese e si proposero come modelli di un differente modo di gestire il potere.
Certo, quando sono nati, né Robespierre, né Danton, né Marat avrebbero mai potuto concepire che una forza sovversiva sarebbe riuscita ad abolire la monarchia, quando non vi era neppure la possibilità di ottenere una monarchia costituzionale. Nessuno di loro era preparato ad avere e gestire un potere così grande come quello di capo dello stato, eppure Robespierre lo ebbe di fatto, se non di nome. A scuola ci hanno parlato del periodo del terrore e delle sue numerose vittime, ma non ci hanno mai detto perché ciò è avvenuto. Si è sempre detto che uomini pazzi, esaltati, uccidevano per smania di potere, per sete di gloria, ma non hanno aggiunto che quegli uomini lottavano perché la patria fosse salva, perché la rivoluzione non morisse travolta dagli interessi dei nobili che continuamente ordivano congiure. Non ci hanno detto che quando è caduta la testa di Massimiliano Robespierre la ghigliottina ha continuato a tagliare teste per anni ed anni, e che con lui è finita anche la rivoluzione. Un popolo che il 21 gennaio 1793 ha decapitato un re, dopo pochi anni ha fatto nascere dalle sue ceneri un imperatore.
Che cosa può essere passato nella mente di Robespierre mentre la lama cadeva? È già morente per un tentativo di suicidio. Ora, tra un attimo, finirà per sempre. La fede nelle sue idee è ancora salda come quattro anni prima, quando si recava agli Stati Generali? Crede ancora che sia giusto tutto ciò che ha fatto, crede che valga la pena perdere la vita per aver cercato di diffondere la libertà, la virtù, la felicità? Oppure si è accorto anche lui che ogni lotta deve avere un limite e che non possiamo fare gli arbitri delle altrui vite, dei valori del nostro prossimo, delle idee diverse dalle nostre ... La peggior atrocità è il fatto di lottare con accanimento perché vadano avanti le idee di uguaglianza, di giustizia, e rendersi conto che le stesse persone per cui lotti, in realtà sono molto lontane da questi valori. Il popolo di Francia voleva pane, e lo voleva dal re, ma il re era troppo disinteressato agli affari di stato per capire la situazione. E quando la rivoluzione decapitò il re, il popolo chiedeva ancora pane, non voleva libertà, costituzioni, convenzioni, comitati, voleva solo pane. Una rivoluzione che aveva usato il popolo era però una rivoluzione borghese che nulla dava al popolo, ma faceva i suoi piani e le sue strategie per ottenere dal momento favorevole il più gran numero di vantaggi. Robespierre si sarà pur chiesto perché moriva, e sapeva bene di morire a causa di quei quattro o cinque nemici della patria di cui non volle mai dire i nomi. Egli fu vittima della paura che aveva suscitato nei deputati, lui, incorruttibile, accusatore di corrotti. Come deve essere triste morire con la consapevolezza che la grande idea della rivoluzione che egli aveva visto formarsi e che aveva aiutato a nascere, quell'idea che nella sua mente era cresciuta e aveva preso forza e vigore, che aveva varcato i confini della Francia, ora gli sfuggiva di mano. La sua creatura era stata carpita da altri uomini che non l'avrebbero più amata, come aveva fatto lui, ma che l'avrebbero violentata e uccisa.
Ciò che ho trovato più terribile è stata proprio questa fine e ciò che mi ha amareggiato è la constatazione dell'impossibilità per l'uomo di modellare la sua vita su valori positivi, l'impossibilità di rinunciare una volta tanto al proprio tornaconto per costruire qualcosa di valido a vantaggio della comunità. Un'altra cosa triste è rendersi conto di come gli altri, spesso, danno ragione a chi li frusta, ed uccidono chi li difende. In questo senso non è strano che l'amico del popolo, Marat, sia stato l'uomo più odiato del suo tempo. Eppure la sua vita fu totalmente sacrificata alla rivoluzione, nella maniera più completa che si possa concepire, fisicamente ed intellettualmente. Quest'odio è un'ulteriore conferma del carattere borghese che aveva assunto la protesta. Il difensore del popolo fu ucciso da una nobile di provincia che certo non poteva condividere il carattere di difesa e di incitamento popolare che permeava gli articoli del giornale e dei manifesti di Marat. Questa morte fu certo meno traumatica di quella di Danton, ucciso dai suoi stessi amici. La storia ci parla di un Danton sensibile ai piaceri, al lusso, al potere, un uomo che seppe sfruttare le sue cariche anche per vantaggi immediati personali, ma tuttavia disposto ad aiutare gli altri, ove ciò non lo compromettesse. Robespierre vide in lui un nemico della rivoluzione e lo fece eliminare; non si può dire che non avesse niente da rimproverarsi, ma forse la sua condanna fu un errore politico.
Due teste mozzate e un attentato, ecco la fine della rivoluzione. Certo, poteva forse andare in mille altri modi diversi, in milioni di diverse combinazioni. Chi sa se ciò che accade è sempre necessario e ineluttabile? A noi rimane solo la possibilità di indagare i fatti realmente avvenuti, sgombrando la nostra mente da tutti i se e i ma possibili. La storia è sempre fatta da uomini e sarà sempre carica di infiniti errori, come lo è anche la nostra vita. L'importante è rendersi conto delle cause che sono alla base degli errori, l'importante è vigilare continuamente sulle idee perché non ci sfuggano di mano e diventino più importanti di noi stessi, perché sarebbe un grosso guaio.

Spesso in questo periodo ricorre nel mio pensiero la figura di Robespierre. Sarà un caso, visti i tempi? Ho rispolverato questi vecchi appunti del 27 ottobre 2003 e li propongo nel post, anche se non li condivido più in pieno.

Nell'immagine: disegno di Luigi XVI che va alla ghigliottina 

 
 
 
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