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ELISABETTA CANALIS

 

 

SS-HAUPTSCHARFHURER GUSTAV SCHREIBER

Post n°1462 pubblicato il 27 Marzo 2009 da SANDRONE.Vg
 

Gustav Schreiber. Deutsches Bundesarchiv

Gustav Schreiber nacque il giorno di Natale del 1916 a Selm (Nord Westfalia), nel periodo centrale della Grande Guerra.

Nel 1939 faceva parte delle SS-Verfugungstruppe nella 7./SS-Infanterie-Standarte “Germania”. La sua spiccata attitudine per la vita militare venne subito alla luce, tanto che alla fine della guerra verrà considerato tra gli uomini della Westfalia più decorato nelle Waffen-SS. Il battesimo del fuoco di Schreiber avvenne in Polonia nel 1939, cui fecero seguito i combattimenti nel 1940 in Francia ad Arras e lungo la Marna. Nell’agosto del 1940 arrivano le prime decorazioni: la Croce di Ferro di seconda classe ed il Distintivo in bronzo per assalto della fanteria, insieme alla promozione a SS-Rottenführer. Nel 1941 il Reggimento di Schreiber venne motorizzato e andò a far parte insieme ad altri due Reggimenti (Nordland e Westland) della nuova divisione SS “Wiking”, divisione nella quale militavano oltre che tedeschi e austriaci, anche volontari stranieri provenienti dal Belgio, Danimarca, Norvegia, Svezia, Svizzera, Finlandia e più tardi anche volontari baltici, diventando nel corso della guerra la Divisione delle Waffen-SS più europea.

All’inizio dell’operazione “Barbarossa” la Wiking insieme alle divisioni corazzate dell’esercito avanzò rapidamente nel settore meridionale del fronte orientale, da Lemberg a Tarnopol poi Uman e a nord della Crimea. L’SS-Scharführer Schreiber era a quel punto della guerra già un esperto veterano, figura di esempio per il suo plotone, un coraggioso e valoroso guerriero. Nell’agosto del 1941 il comandante della sua compagnia lo decorò con la Croce di Ferro di prima classe. Durante la conquista di Rostov ed i successivi combattimenti difensivi lungo il fiume Mius, Schreiber rimase ferito. Al comando della Divisione c’era il carismatico SS-Gruppenführer Felix Steiner, il quale riceverà “Le Spade” dopo l’offensiva nel Caucaso nell’estate del 1942.

Nel dicembre del 1942 la Wiking si ritrovò trincerata lungo il fiume Mius ed al comando del II° Battaglione del Germania venne nominato l’SS-Hstuf. Hans Juchem. Con il suo viso da fanciullo non venne preso all’inizio troppo sul serio dai suoi soldati, induriti da tante battaglie. Ma durante le settimane successive dovettero ricredersi e Juchem ricevette rispetto ed ammirazione dai suoi uomini in quanto partecipò in prima persona e da esempio a molti combattimenti corpo a corpo arrivando addirittura a essere decorato con la Spilla in oro per il combattimento corpo a corpo e la Croce di Cavaliere (postuma) dopo un’eroica azione di guerra a Izjum nell’estate del 1943, azione durante la quale trovò la morte.

Pur essendo soltanto un SS-Scharführer Schreiber ed un comandante di plotone, aveva comunque accumulato numerosi giorni di combattimento corpo a corpo durante i combattimenti difensivi lungo il Mius e a Stalino. Al suo plotone vennero assegnati spesso compiti difficili, come difendere importanti crocevia stradali o posizioni trincerate di vitale importanza. In tutti questi compiti a lui assegnati Schreiber si comportò sempre con grande coraggio, senso del dovere dimostrando innegabili doti di comando. Il 2 dicembre del 1943 Schreiber venne decorato con la Croce di Cavaliere, per essersi comportato valorosamente nell’immediato contrattacco lungo la linea difensiva Karkov-Poltava. Il 1° novembre era stato già promosso al grado di SS-Hauptscharführer e dopo solo 5 giorni dal 2 dicembre ricevette con grande sorpresa anche la Spilla in oro per il combattimento corpo a corpo, meritandosi una citazione del suo comandante come esempio di valore e di abnegazione.

La sacca di Korsun-Cerkassy

Conquistata Kiev e consolidata la testa di ponte sul fiume Dnieper, i sovietici si prepararono ad una nuova grande offensiva. L’attacco per la nuova offensiva venne fissato per il 25 gennaio del 1944: le forze sovietiche ammassate ad ovest del saliente di Cerkassy, dopo un fuoco di preparazione dell’artiglieria e sostenuti dall’aria da centinaia di aerei, attaccarono. L’assalto nemico si sviluppò lungo due direttrici, che dovevano confluire sulla posizione di Shenderovka. L’attacco riuscì e chiuse in una sacca circa 53.000 uomini, compresa la SS-Panzer-Grenadier-Division “Wiking”. All’interno della sacca erano rimasti intrappolati il XLII.Armee-Korps della 1.Panzer-Armee e l’11.Armee-Korps dell’8.Armee. Inoltre erano presenti unità dell’8.Flieger-Korps. L’Armata Rossa aveva a disposizione 12 Divisioni incluse formazioni di élite e di provata esperienza, ma nonostante queste soverchianti forze gli uomini all’interno della Sacca respinsero tutti gli assalti, animati anche dalla speranza che i reparti corazzati accorsi in loro aiuto avrebbero prima o poi spezzato l’accerchiamento. Quando il 16 febbraio 1944 si diffuse tra i soldati la parola d’ordine: libertà (Freiheit!), tutti capirono che quella era l’ultima opportunità per sfuggire dalla sacca di Cerkassy, e malgrado una temperatura di 15 gradi sottozero e 60 centimetri di neve gli uomini erano pronti a vendere cara la pelle pur di sfuggire da quell’inferno. La parola d’ordine arrivò quando i reparti mandati in soccorso erano a soli pochi chilometri dalla Sacca e a pronunciarla fu il GeneralFeldmarschall von Manstein, comandante in Capo e responsabile del Gruppo di Armate operante in quel Settore del fronte russo. Sul fianco sinistro dell’area un piccolo gruppo di uomini si preparò per l’operazione di sfondamento: furono distribuite le rimanenti munizioni, le bombe a mano ed ogni uomo si attrezzò come meglio poteva con ogni sorta di arma utile per il corpo a corpo.

L’SS-Hauptscharführer Schreiber guardò i suoi uomini, facce emaciate, sporche e barbute; in tutti quei giorni non una sola interruzione dei combattimenti ed il suo plotone della 7.Kompanie dell’SS-Panzer-Grenadier-Regiment Germania si era ridotto a soli 24 uomini, tutti comunque dei veterani che avevano combattuto lungo i fiumi Mius, Terek e a Kiev, totalizzando dozzine e dozzine di giorni di combattimento. Schreiber, che già era stato decorato con la Croce di Cavaliere e la Spilla in oro per il combattimento corpo a corpo, si trovava ad essere tra quei pochi soldati di fanteria più decorati operanti in quel settore del fronte. La battaglia per uscire dalla sacca di Cherkassy durò fino al 18 febbraio del 1944. Per meglio coordinare le operazioni all’interno della sacca, venne creato un comando unico per tutte le forze tedesche, assegnato al Generale Stemmermann. Contemporaneamente venne organizzato un ponte aereo dalla Luftwaffe, ma il cattivo tempo e l’aggressività dei caccia sovietici, resero difficili le operazioni aeree. Malgrado tutto in 15 giorni di voli sulla sacca si riuscirono a lanciare 2.026 tonnellate di materiale e a riportare indietro 2.835 feriti. Schreiber, veterano di tante battaglie, era abituato a combattere contro un nemico notevolmente superiore sia in uomini che in mezzi e quando il 16 febbraio del 1944 arrivò la parola d’ordine: libertà, si preparò con i suoi uomini a combattere per uscire dalla trappola di Cerkassy.

Alle 23,00 iniziò la manovra di rottura contro le posizioni sovietiche a nord e a sud di Shenderovka; la rottura ebbe successo e si concluse, come già detto, il 18 febbraio con il ricongiungimento con le unità tedesche poste al di fuori dalla sacca. I reparti tedeschi difesero la testa di ponte fino al 19 mattina, per permettere agli ultimi fuggitivi di mettersi in salvo. Il bilancio finale fu di 35.000 uomini salvati dall’annientamento mentre 18.000 finirono invece inghiottiti nella sacca. Tra i prigionieri anche l’SS-Hauptscharführer Gustav Schreiber insieme a 13 superstiti del suo plotone. Schreiber passò sei anni di prigionia nei campi di concentramento sovietici e tornò in Patria nel 1950. Morì il 5 marzo del 1995 nella sua città natale Selm nella Vestfalia settentrionale.

Decorazioni
Croce di Ferro di II classe
Croce di Ferro di I classe
Croce tedesca in oro
Croce di Cavaliere il 2 dicembre 1943
Spilla per il combattimento corpo a corpo in bronzo nel 1943
Spilla per il combattimento corpo a corpo in argento nel 1943
Spilla per il combattimento corpo a corpo in oro il 7 dicembre 1943

Distintivi
Distintivo in argento per assalto della fanteria
Distintivo per feriti di guerra in nero

* * *

Questo articolo è stato tratto, con la gentile concessione dell’autore e del direttore della rivista Max Afiero, da Ritterkreuz Anno 1 numero 1 - Gennaio 2009.

 

Gustav Schreiber. Deutsches Bundesarchiv

 
 
 

CIAVARDINI IN SEMILIBERTA'

Post n°1461 pubblicato il 27 Marzo 2009 da SANDRONE.Vg
 

ciavardini-e-innocente

ROMA - Potra’ lasciare Rebibbia al mattino per andare al lavoro e rientrare in cella la sera. Concessa la semiliberta’ a Pierluigi Ciavardini, l’ex terrorista del Nar condannato a 30 anni di carcere per aver avuto un ruolo nella strage di Bologna del 2 agosto 1980. La ha deciso il Tribunale di Sorveglianza di Roma. Ciavardini si e’ sempre detto innocente.

 
 
 

SANTO SUBITO!

Post n°1460 pubblicato il 27 Marzo 2009 da SANDRONE.Vg
 

lovogliocopia
Tratto da Thule-blog Lo urliamo a gran voce: vogliamo Karol Racz (alias faccia-da-pugile) santo e pure subito.
Siamo pronti ad istituirci in associazione per promuovere questa battaglia di civiltà.
Cosa importa se ancora bisogna comprendere come mai il primo biondino abbia tirato in ballo Karol, ciò che ha rilevanza civile è che faccia-da-pugile (ora faccia d’angelo!) sia stato ingiustamente tratto in arresto.
Siamo tutti romeni! Vabbè, un po’ romeni.

 
 
 

SALIDARIETA' AGLI AGGREDITI ALLA FACOLTA' DI LETTERE DAL BLOCCO STUDENTESCO

Post n°1459 pubblicato il 27 Marzo 2009 da SANDRONE.Vg
 

blocco1

Palermo, 26 marzo - Il Blocco Studentesco esprime sconforto e preoccupazione per l’aggressione ai danni di tre ragazzi dell’ass. Studenti di Lettere da parte di una ventina di militanti di sinistra, avvenuta mercoledì mattina davanti la facoltà di Lettere mentre raccoglievano delle firme per la regolamentazione degli appelli.
“Scene come quelle viste ieri all’università ricordano l’orrendo clima persecutorio degli anni di piombo, quando gli accoliti dell’antifascismo militante terrorizzavano le scuole e le facoltà - dichiara Francesco Vozza responsabile cittadino del Blocco - “Esprimiamo totale solidarietà agli studenti aggrediti e invitiamo il Preside Guarrasi ad intervenire una volta per tutte sgomberando il box dentro la facoltà occupato abusivamente dal Collettivo, essendo divenuto ormai da tempo una pericolosa fornace di violenza politica ai danni di tutti gli studenti liberi”.Francesco Vozza
Blocco Studentesco Palermo
www.bloccopalermo.tk

 
 
 

OMICIDIO SANDRI, I TESTIMONI: SPACCAROTELLA SPARO' CON DUE MANI A BRACCIA TESE

Post n°1458 pubblicato il 27 Marzo 2009 da SANDRONE.Vg
 

Un testimone ha visto il poliziotto a gambe divaricate, braccia tese, impugnare la pistola con due mani, e poi ha udito lo sparo, l'altro lo ha visto a braccia tese e ha assistito allo sparo. È quanto è stato raccontato stamani in aula da due testimoni d'accusa, l'imprenditore Fabio Rossini e un suo dipendente, Fabrizio Galilei, che l'11 novembre del 2007 videro il poliziotto Luigi Spaccarotella nei momenti in cui venne ucciso il tifoso laziale Gabriele Sandri. Rossini ha ricordato il poliziotto che «correva, cercava la posizione, aveva entrambe le braccia tese, impugnava l'arma con entrambe le mani: ho un flash, ho visto la fumata bianca dopo lo sparo». Poco più tardi, rispondendo al pm che gli ricordava che nella testimonianza resa i giorni successivi all'omicidio non aveva specificato se l'agente sparasse con due mani, Rossini ha risposto: «Ho la visione di braccia tese parallele al terreno, non sono in grado di specificare se impugnasse la pistola con due mani».


Un teste non ricorda lo sparo.
 «Impugnava la pistola con il braccio teso in avanti ma non con due mani. Era una scena in movimento. Non ho visto, però, la fase dello sparo». Lo ha detto Emanuele Fagioni, uno dei testimoni d'accusa. Fagioni, quel giorno si trovava nell'Autogrill da dove sparò l'imputato, il poliziotto Luigi Spaccarotella, accusato di omicidio volontario. Il testimone ha raccontato di aver visto il poliziotto camminare velocemente, correre, poi rallentare «aveva la pistola nelle mani, puntava dall'altra parte». Al Pm Giuseppe Ledda che ha ricordato al testimone che nelle dichiarazioni rese a verbale i giorni successivi all'omicidio aveva detto che l' agente impugnava la pistola con entrambe le mani, il testimone ha risposto: «No, impugnava la pistola con il braccio teso in avanti, ma non con due mani».

Testimone giapponese: si è fermato 5 secondi poi ha sparato. «Il poliziotto puntava la pistola con entrambe le mani e le braccia tese» verso la macchina dall'altra parte della carreggiata e «si è fermato cinque secondi e poi ha sparato». Così la guida turistica giapponese Keiko Horikoshi ha descritto gli attimi immediatamente precedenti alla morte di Gabriele Sandri. La donna è stata ascoltata in aula, in Corte d'Assise ad Arezzo, durante la quarta udienza del processo all'agente Luigi Spaccarotella, accusato di omicidio volontario.

Spaccarotella risponde con gli sms. Luigi Spaccarotella oggi non si è presentato in aula, in corte d'assise ad Arezzo. Sollecitato dal proprio avvocato, Federico Bagattini, l'agente gli ha inviato un sms di risposta per chiarire un aspetto delle testimonianze rese stamani in aula. In particolare, un imprenditore che il giorno dell'omicidio era nell'area di servizio Badia al Pino, dove si trovava anche l'agente, ha detto di averlo visto correre impugnando la pistola con la mano sinistra. Bagattini ha così chiesto via sms a Spaccarotella se fosse mancino: l'agente ha risposto di no.
 
Manganelli assente. Stamani in apertura di udienza il presidente della Corte di Assise, Mauro Bilancetti, ha comunicato che domani il Capo della polizia Antonio Manganelli, citato come testimone dalla difesa, «per impegni istituzionali già programmati non sarà presente». Bilancetti lo ha reso noto alle parti leggendo in aula una comunicazione inviata dallo stesso Manganelli.
 
Il padre di Gabbo: per me processo finisce qui. «Mi sembra molto impaurito. Non ricorda più nulla, è in stato confusionale». Lo ha detto Giorgio Sandri, padre di Gabriele. Giorgio Sandri ha commentato la testimonianza di Fagioni con i giornalisti, sottolineando che è stata in gran parte diversa da quanto lo stesso Fagioni rese a verbale i giorni successivi all'omicidio. Sulle altre tesimonianze Giorgio Sandri ha detto: «Giusta la ricostruzione, anche sull'impugnatura della pistola. Infatti l'agente, impugnava la pistola con due mani». Poi Giorgio Sandri ha concluso dicendo: «Per quanto mi riguarda il processo potrebbe finire anche oggi. Vorrei ringraziare questi testi per la loro onestà civica, la mia sensazione è che abbiano detto quello che avevano detto gli amici di Gabriele ieri. E vorrei rispondere all'avvocato che sono attendibili anche quei ragazzi. Tutti dicono la stessa cosa. Per quanto mi riguarda il processo potrebbe finire anche oggi. Spaccarotella? Lui non mi interessa, mi interessa solo il processo».

La difesa: versioni contraddittorie. «Versioni contrastanti e contraddittorie», così l'avvocato Federico Bagattini, uno dei difensori del poliziotto Luigi Spaccarotella, ha definito le testimonianze rese oggi in aula. Bagattini ha espresso dubbi, su tutte le testimonianze, in particolare su quella dell'imprenditore che ha detto di aver visto l'agente sparare e la pistola fumante e della guida turistica che ha raccontato di aver visto mirare Spaccarotella per 5 secondi. «Testimoni parlano di braccia tese - ha risposto Bagattini ai giornalisti - ma nessuno vede la pistola. Questo è un dato fondamentale».



 
Gambe divaricate e braccia tese. Un dettaglio che invece è rimasto impresso all'altro testimone, Fabrizio Galilei. «Ho visto il poliziotto che iniziava a puntare - ha raccontato - Aveva le gambe divaricate e le braccia parallele al suolo. Teneva la pistola con due mani. Capivo che puntava un'automobile. Poi sono entrato nell' autogrill e ho sentito lo sparo, ma io non potevo più vedere cosa stesse succedendo». Galilei ha poi aggiunto di aver visto nelle fasi precedenti allo sparo un'auto chiara parcheggiata nell'area di servizio della parte opposta con alcune persone vicine. Rispondendo alle domande del pm ha detto di non sapere se al momento dello sparo il veicolo fosse in movimento. Anche l'accompagnatrice turistica Keiko Horikoshi, conferma quanto aveva già detto: «Ho visto due poliziotti correre, uno ha puntato la pistola con entrambe le mani, aveva le braccia tese e si è fermato cinque secondi, poi ha sparato». Rispondendo alle domande del pm, Giuseppe Ledda, la testimone ha mimato anche il gesto stendendo le braccia avanti e congiungendo le mani. Ha poi spiegato, però, di aver visto l'agente di spalle. «Non ho visto la pistola, ma ho capito la posizione. Ho dedotto che l'arma c'era dal rumore dello sparo». La testimone ha poi spiegato che l'agente «puntava verso una macchina che stava per uscire dal parcheggio e che era in movimento. Non ha sparato subito, è rimasto fermo qualche secondo».

 
 
 

PRESENTE E FUTURO DELLA ROMA: UN INTRECCIO NEL SEGNO DI CAPITAN TOTTI

Post n°1457 pubblicato il 27 Marzo 2009 da SANDRONE.Vg
 

di Alessandro Angeloni

ROMA (26 marzo) - Idee e sogni per la prossima stagione. Praticamente preso Stefano Guberti (1984), gioca attualmente nel Bari (in prestito dall’Ascoli). A fine stagione si svincola, sul suo arrivo non dovrebbero esserci grossi dubbi. Il ruolo: ala offensiva. Da Lecce potrebbe arrivare invece Andrea Esposito, classe ’86. Difensore esterno e centrale. Sempre per la difesa l’obiettivo principale è il riscatto (della metà) di Marco Motta. E ci saranno partenze? La Roma spera di no. Di sicuro i difensori appetiti dai grandi club sono Mexes e Juan. Il primo è corteggiato dal Milan, il secondo ha ricevuto dei segnali dalla Spagna (Madrid e Barcellona). Il francese può utilizzare la clausola entro la terza settimana dalla fine del campionato (ma non ha intenzione di farlo), altrimenti il prezzo lo farà. Juan invece - a meno di rinnovo - si svincola per sei milioni di euro. Un ritorno sicuro è quello di Marco Andreolli, ora al Sassuolo. Dall’estero può arrivare Ivica Križanac (1979), centrale croato dello Zenit. Si segue anche Luca Antonini (1982) del Milan, terzino.

Altre cessioni? I giocatori che stanno trattando il rinnovo e in più seguiti da club importanti, sono a rischio partenza. E parliamo di Aquilani (che può partire anche dopo aver rinnovato), Doni (se va via il brasiliano, l’obiettivo è Marchetti del Cagliari, oppure si tornerà a puntare su Curci, anche se questi non è convinto di tornare; in più andrà preso un “altro” Artur, destinato ad andare via) Mexes (che non deve prolungare il contratto) e Vucinic. Quella di Mirko è la situazione più difficile da risolvere, lui vuole minimo due milioni a stagione. Da non sottovalutare la questione contratto Totti: qualche intoppo c’è stato, la situazione è ferma, la società non è troppo convinta di fargli un quadriennale a certe cifre. Inoltre c’è Pizarro, che non ha firmato ancora il rinnovo del contratto. Può succedere di tutto in caso di non Champions. Discorso che vale per tutti. Anche per Spalletti?

Altro giocatore che la Roma conosce bene e che sta pensando di prendere è Simone Pepe (1983). Ora ha trovato il suo ruolo, quello di esterno destro. Inutile dire quanto Pepe sarebbe felice di tornare nella capitale, lui che è nato calcisticamente a Trigoria e abita ai Castelli. Sempre a Udine è stato individuato l’attaccante: vice Totti o suo compagno ideale, Fabio Quagliarella (1983). L’ex sampdoriano costa dodici/quattordici. Con il quarto posto, l’attaccante azzurro dell’Udinese si potrà prendere con la formula Motta. Per prenderlo a titolo definitivo, bisognerebbe aspettare l’esito dell’eventuale preliminare. In caso di qualificazione la Roma potrebbe anche acquistare Quagliarella. Che però non aspetterebbe sino a fine agosto. Questo per dire che anche con il quarto posto il budget sarà, in partenza, almeno dimezzato e si useranno solo i milioni incassati dalla o dalle cessioni. La Roma può decidere di prenderlo anche in caso di solo piazzamento in Uefa. Significherebbe puntare tutto su un unico acquisito. Difficile, però. Quagliarella ha dietro la Juve, decisa a vendere Trezeguet (verso la Spagna) e/o Iaquinta. Quest’ultimo piace sempre a Trigoria. Il calciatore dell’Udinese ieri dal ritiro della nazionale ha parlato del suo futuro. «Io non sto facendo di tutto per andare via da Udine, ho ancora tre anni di contratto. Certo, sapere dell’interessamento di grandi club come la Roma e la Juventus per me è un onore. Se dovessi andare via? Non saprei. Dipenderà dal progetto».

Come noto, l’alternativa a Quagliarella è Sergio Floccari (1981), bomber dell’Atalanta. Tra gli altri calciatori “studiati”, Jeda del Cagliari (1979). Lui costa ancora meno. Poi, Floro Flores (1983), Udinese.

Dagli obiettivi più o meno concreti ai sogni (utopie?): per l’attacco, Carlos Tevez del Manchester e per la difesa Lucio del Bayern. Ma ci vogliono parecchi soldi. Tra gli svincolati spicca il nome di Mikel del Chelsea. Sogni, dicevamo.

 
 
 

ANARCHICI DI MUSSOLINI

Post n°1456 pubblicato il 27 Marzo 2009 da SANDRONE.Vg
 

anarchici_muss

Tratto da http://augustomovimento.blogspot.com/ Allo scoppio della I guerra mondiale vi furono, in seno alle correnti anarchiche, alcune personalità che si staccarono dall’orientamento non interventista del movimento. Sull’argomento è interessante il lavoro svolto da Alessandro Luparini nel suo libro Anarchici di Mussolini.
Il primo tra i vari interventi “eterodossi” fu un articolo di Mario Gioda per il periodico “Volontà”, nel quale veniva notato l’improvviso e devastante fallimento dell’Internazionale e veniva dichiarata la necessità che, in caso di invasione austriaca dell’Italia, anche gli anarchici impugnassero le armi. A questo primo intervento seguì quello della “già paladina dell’antimilitarismo” Maria Rygier che in un altro articolo, questa volta per “Il libertario” di La Spezia, si entusiasmò per la fine della triplice alleanza e auspicò la guerra. La presa di posizione della Rygier non fu che la prefazione del “Manifesto degli anarchici interventisti” di cui ella stessa fu ispiratrice. Tra i firmatari dell’appello, oltre a esponenti del sindacalismo, a socialisti dissidenti e ai repubblicani, figurava una personalità che rivestirà un ruolo centrale nella corrente anarco-interventista: Massimo Rocca.
Già da tempo staccatosi dall’Anarchismo “ortodosso” perché favorevole all’intervento in Libia e avvicinatosi alla causa del sindacalismo rivoluzionario, Rocca non fu considerato mai un anarchico in senso stretto, ma più un individualista. La sua visione concettuale dell’Anarchismo era estetizzante e fortemente elitaria, concezione cui restò sempre fedele nel tempo. La propaganda per la guerra, oltre che a generare cazzotti e lanci di sedie nelle conferenze da lui tenute, fece sì che i suoi rapporti con l’ “Avanti” di Mussolini si intensificassero fino alla firma degli articoli sul “Resto del Carlino” che spinsero il futuro Duce ad accelerare i tempi del suo strappo interventista.
Il patrimonio ideale dell’anarco-interventismo era, senza ombra di dubbio, un individualismo stirneriano revisionato nella sua concezione velleitaria e amoralistica, volgarizzazione cui Rocca sostituì una valutazione storica e “sentimentale” che sarà principio fondante del “liberismo rivoluzionario” (o “novatorismo”). Fu questo individualismo rivoluzionario che, oltre a rappresentare un riferimento ideale, fece anche da collante tra gli anarco-interventisti e le correnti più radicali della cultura italiana, prime fra tutte le avanguardie futuriste il cui ruolo nella campagna interventista fu tutt’altro che marginale.
Con l’avvento del conflitto si assistette a un allargamento dei magli coesivi tra le varie individualità anarco-interventiste che generò un periodo di caos interno. Così, mentre la Rygier puntava (non riuscendo nell’intento) a far confluire nel Partito Repubblicano Italiano (PRI) il movimento, Rocca sposava nel 1916 le rivendicazioni dei nazionalisti su Istria e Dalmazia, e da questo momento in poi si assistette al suo totale distacco dal sinistrismo e al suo progressivo approdo verso un conservatorismo “illuminato”.
La fine del conflitto ristabilì ordine e riserrò i magli precedentemente allentati. Alcuni esponenti del movimento, come la Rygier, sparirono nell’ombra, altri riallacciarono i contatti con l’Anarchismo “ortodosso”. Altri ancora, come Gioda, Malusardi e Rocca, aderirono al nascente movimento fascista, occupando un ruolo di rilievo al suo interno.
L’avvicinamento di Rocca al Fascismo fu dovuto a comunanza di posizioni in primis sulla questione adriatica, e in secundis sulla sua concezione politico-economica, che si configurava come un misto di liberismo, sindacalismo e produttivismo di stampo mussoliniano. Al pari di Mussolini, anche Rocca auspicava una «matura collaborazione tra capitale e lavoro» volta all’emancipazione dei lavoratori tramite la compartecipazione al ciclo produttivo. Compito della borghesia era mostrarsi autentica classe dirigente capace tanto di opporsi al bolscevismo dilagante quanto di responsabilizzare il proletariato. Difensore dell’ordine monarchico, Rocca intravisava nell’attuale situazione politica la sopraffazione della burocrazia sulla borghesia, e il suo auspicio era quello che si realizzasse una rivoluzione, compiuta la quale, la borghesia aveva l’obbligo di realizzare un rivolgimento aristocratico della società italiana. Approvava lo Squadrismo come strumento di difesa contro le prepotenti orde bolsceviche, e vedeva una forma di dittatura pro tempore l’unica soluzione di governo capace di far cessare ” l’orgia di tutti i disordini”.Altro “anarco-fascista” fu Mario Gioda che, con l’ex sindacalista rivoluzionario Attilio Longoni, fu tra i promotori del Fascio di combattimento torinese del quale assunse la segreteria. Per Gioda il Fascismo doveva essere l’antipartito, motivo per il quale desiderò che al Fascio torinese accorressero tutte le forze «sane, giovani, italiane» senza distinzione di parte o colore politico, individuando il nemico non nel proletariato ma nel bolscevismo. Tuttavia, nonostante il suo punto di vista fosse volto al superamento delle logiche destra/sinistra, il Fascio torinese fu sempre inclinato verso destra (salvo una parentesi in cui si tentò una più ampia apertura verso i lavoratori delle fabbriche) al punto che la leadership di Gioda fu sostituita, nel maggio del 1920, dal monarchico De Vecchi (in foto).

Altra interessantissima personalità anarco-interventista fu Edoardo Malusardi, che nel Fascio veronese occupò un ruolo di primo piano fondando anche il giornale “Audacia”. Proveniente dall’esperienza fiumana, Malusardi aveva come riferimenti la Carta del Carnaro e il Sindacalismo Rivoluzionario di Corridoni. Il Fascismo doveva essere, a detta sua, antimonarchico e sensibile alla questione sindacale, puntando a far crescere il valore dei lavoratori in termini tecnico-intellettuali. Riguardo agli scioperi, la sua concezione era quella di prendere decisioni “volta per volta”. Godendo del rispetto e della compattezza del Fascio veronese intorno alla sua figura, Malusardi fu l’unico che disertò il Blocco Nazionale scaturito dall’unione tra i Fasci di combattimento e l’Associazione Liberale Democratica, che si venne a creare in vista delle elezioni del 1921. Questa coerente scelta gli valse l’assenso di Mussolini che si complimentò con lui per aver agito «fascisticamente» poiché, se mancavano «certe elementari condizioni di probità politica», necessitava «non bloccare [...] ma sbloccare».
Rimanendo sempre un “novatore”, differentemente da Rocca che andava sempre più sintonizzandosi su frequenze conservatrici, Malusardi riaffermò sempre la sua fede sindacalista intendendola su parametri di sindacalismo/corporativismo dannunziano, fede la sua che lo portò anche a criticare apertamente le politiche del partito (si compì nel mentre la trasformazione del movimento in Partito Nazionale Fascista PNF) dal quale, però, non perse mai il rispetto.

Compiuta la rivoluzione fascista (Marcia su Roma, 28/10/1922) iniziò per gli anarco-interventisti il periodo revisionista.
Il primo ad esprimersi fu Malusardi che rilevò lo Squadrismo, legittimo e giustificabile nel periodo movimentista e pre-rivoluzionario, ora da disciplinare in virtù di una ricostruzione sana e legale dello Stato: «lasciate stare, dunque, o amici, il manganello, l’olio di ricino, la gradassata inutile, e chiedete invece delle biblioteche e delle scuole di cultura».
Rocca, dal canto suo, fece propria la concezione bottaiana di sostituzione del vecchio ceto dirigente fascista con una nuova élite, e fu proprio con Bottai che iniziò una collaborazione scrivendo articoli su “Critica Fascista”. Uno di questi mise Rocca in aperta polemica col fascista intransigente Farinacci (in foto), il quale vedeva nelle teorie revisioniste una minaccia a quel Fascismo provinciale da lui considerato “l’anima pura” della fase movimentista e rivoluzionaria. In virtù di una siffatta visione, il Fascismo delle province meritava l’immunità da ogni tipo di attacco o revisione. La risposta di Rocca fu esageratamente prosopopeica e suonò così: il rassismo era un fenomeno che andava superato. Essendoci ora un governo e una legge, anche il più anziano e autorevole fascista che fosse contravvenuto ad essa meritava la galera.
Superato un periodo di sospensione a seguito di queste dichiarazioni, i toni del revisionismo di Rocca si fecero più filosofici e concettuali, ed ebbero l’effetto di far allontanare l’opinione pubblica dalla sua “battaglia”, che veniva ora percepita come una “bizzarria intellettuale” e nulla più.
Nell’aprile del 1924 Rocca riaprì un fronte revisionista di stampo accusatorio sia nei confronti del Fascismo provinciale che verso il neo ministro dell’economia De Stefani, accusato di corruzione. In realtà l’accusa verso De Stefani non avvenne mai in maniera diretta, e questa vicenda appare ricca di equivoci; tuttavia questa seconda “ondata revisionista” costò a Rocca l’espulsione dal PNF.

Nel 1925 lasciò l’Italia per la Francia. Qui mantenne nei confronti del regime un atteggiamento altalenante pur non dichiarandosi mai antifascista.

 
 
 

NASCE LA NOSTRA RIVISTA!

Post n°1455 pubblicato il 27 Marzo 2009 da SANDRONE.Vg
 

 

Foto di azione.nuova

Società Italiana, mensile di informazione, attualità, politica, cultura, sport !!!

http://blog.libero.it/societaitaliana

disponibile in pdf dal blog della rivista il primo numero, aprile 2009...

...buona lettura !!!

 
 
 

UN CIMITERO A CIELO APERTO, ATTENTATO DELLE ISTITUZIONI ALL'IGIENE PUBBLICA

Post n°1454 pubblicato il 27 Marzo 2009 da SANDRONE.Vg
 

villa_026

Percorrendo la strada provinciale n.16 non ci si può non accorgere dell’impietoso scenario a cui siamo costretti ad assistere; carcasse di animali morti, soprattutto cani, sul ciglio della strada, quando va bene, o ancor peggio nel mezzo della carreggiata.
Oltre che attentare alla sicurezza stradale di chi percorre questa strada è davvero inaccettabile che animali ormai morti debbano restare fino a quando ve ne siano tracce sul ciglio delle nostre strade.
Le istituzioni in tutto ciò che ruolo hanno? In cosa consiste la pulizia e la manutenzione delle strade? quali sono gli uffici preposti alla pulizia delle strade? La provincia regionale di Ragusa e i Comuni non dovrebbero effettuare la dovuta pulizia delle strade per evitare di scansare carcasse in stato avanzato di putrefazione?
Alle associazioni ambientaliste chiediamo:questi animali hanno il diritto di essere difesi solo da vivi? Non hanno il diritto ad una sepoltura o per lo meno al non vedersi spappolati dalle auto che inevitabilmente e involontariamente non possono che passarci sopra più volte?
Le istituzioni devono provvedere immediatamente alla rimozione di questi animali per evitare a chi percorre questa strada, oltre che uno scempio inaccettabile, pericolo alla salubrità dell’aria.
Il rispetto per gli animali non può manifestarsi solo nelle campagne di sensibilizzazione volte ad evitare abbandoni meschini nelle strade, ma il rispetto per gli animali dovrebbe manifestarsi anche garantendo a questi animali dopo la morte il diritto di non essere spappolati dal traffico degli autoveicoli.
Ci auguriamo che questo scempio abbia una fine, sembra banale la questione, questo perché siamo ormai assuefatti, abituati ad assistere a questi massacri a cielo aperto.
Chiediamo dunque alle istituzioni di provvedere immediatamente alla rimozione di questi animali per garantire la pubblica sicurezza sia nel percorrere la strada, sia per ciò che riguarda l’igiene; e se ci è concesso essere un po’ più sensibili di quanto non dimostrino le nostre istituzioni, per lasciarli riposare in pace.Gioventù Italiana
Federazione provinciale di Ragusa

 
 
 

I SERVIZI SEGRETI NELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA

Post n°1453 pubblicato il 27 Marzo 2009 da SANDRONE.Vg
 

copertinalibro

Di Daniele Lembo
“I Servizi Segreti nella Repubblica Sociale italiana”.
GRAFICA MA.RO. Editrice - 172 pagine - costo 28 euro
Strada Vicinale della Pieve, 11
27010 Copiano (PV)
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