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L'Everest e il grande giallo dell'alpinismo

Post n°86 pubblicato il 31 Gennaio 2008 da gugolet
 

Storia di sandy Irvine, lo sconosciuto alpinista 22enne che, nel 1922, fu visto per l’ultima volta mentre si avviava, insieme al famoso George Mallory, verso la cima dell’Everest. Il libro è un’ulteriore tassello dell’appassionante quesito che ancora adesso, dopo il ritrovamento del corpo di Mallory, resta senza risposta: i due raggiunsero la vetta?

Questo libbro ve lo consiglio davvero interessante

Una spedizione per scoprire se nel 1924 gli scalatori
Mallory e Irvine conquistarono la vetta prima di morire?

Tra qualche settimana il campo base sovrastato dal ghiacciaio Khumbu tornerà ad animarsi, come succede ogni anno alle soglie della primavera: la fiera delle vanità delle spedizioni commerciali che, al prezzo di settantamila dollari per persona, promette di portare in vetta all'Everest alpinisti dilettanti (ma facoltosi) di mezzo mondo. Tra telefoni satellitari, centraline metereologiche e tonnellate di rifiuti, almeno 150 scalatori si metteranno diligentemente in fila per superare la Grande Serraccata, raggiungere il Colle Sud e, attraverso quattro campi intermedi, inginocchiarsi sul fazzoletto di neve più alto del pianeta. Bufere e intasamenti all'Hillary Steep permettendo.

Insomma, l'aberrazione dell'alpinismo mirabilmente raccontata da Jon Krakauer in Aria sottile, la cronaca della tragica tempesta che nel maggio del 1996 cancellò dalla cresta sommitale dell'Everest la vita di una decina di persone, tra guide e clienti. Ma negli stessi giorni, sull'altro versante della 'Dea madre del mondo' (questo il nome tibetano dell'Everest, mentre per i nepalesi è la 'Dea del cielo'), ci sarà chi calzerà i ramponi e impugnerà la piccozza riassaporando sensazioni antiche e resusciterà per una volta quella dimensione di vera sfida che gli scalatori moderni ormai sembrano aver smarrito. Una spedizione statunitense, partita il 15 marzo, potrebbe infatti riscrivere la storia dell'alpinismo; l'obiettivo del drappello di quattordici uomini organizzato dalla guida Eric Simonson è affascinante, al limite dell'utopia: una sorta di indagine a quota ottomila metri, per scoprire se nel giugno del 1924 George Leigh Mallory e Andrew Irvine riuscirono a toccare la vetta dell'Everest prima di scomparire lungo la cresta nord-est.

Si tratta di un mistero che da oltre mezzo secolo appassiona e divide il mondo dell'alpinismo; e non potrebbe essere altrimenti visto che qualora venisse comprovato il successo della salita dei due scalatori inglesi, la data della prima conquista dell'Everest andrebbe spostata indietro di 29 anni e, soprattutto, l'onore dello storico primato verrebbe strappato a sir Edmund Hillary e allo sherpa Tenzing Norgaj (in vetta, appunto, il 29 maggio 1953).

La spedizione di Simonson cercherà ogni indizio utile a risolvere il giallo di Mallory e Irvine: sfruttando il progressivo ritirarsi dei ghiacciai, tenterà di rintracciare i resti dei due scalatori - possibilità non troppo remota, come dimostra il caso dell'esploratore inglese Maurice Wilson, precipitato nel '34, le cui ossa riemergono periodicamente dalle nevi perenni ai piedi del colle Nord - e, soprattutto, la Kodak tascabile di Mallory che grazie alle bassissime temperature dell'Himalaya potrebbe ancora conservare intatta la pellicola con le eventuali fotografie effettuate in cima al Tetto del Mondo. Un'impressionante piramide di rocce e ghiacci slanciata fino a quota 8.848 metri dove una fettuccia di neve grande come un tavolo di biliardo si affaccia sul Tibet, sul Nepal e sull'incredibile curvatura dell'orizzonte terrestre che, un tempo, era spettacolo esclusivo per piloti e astronauti.

L'Everest, oggi, è una sorta di parco giochi per alpinisti super-attrezzati, sponsorizzati e in collegamento Internet, pronti a tutto pur di poter raccontare la personale conquista della montagna più alta; niente a che vedere, quindi, con gli eroi romantici che negli anni Venti si avvicinarono alla 'Dea madre' per scoprire una via ideale di salita alla vetta. Mallory è il protagonista di questa epopea che rivive solo nelle cronache del tempo e in foto ormai sbiadite: veterano della Grande Guerra, ex maestro di scuola con idee socialiste, era dotato di un notevole talento letterario e nel suo zaino non mancava mai qualche volume di Shakespeare. Nel 1921, durante una spedizione finanziata dalla Royal Geographical Society e dall'Alpine Club, identificò insieme ai compagni un itinerario praticabile nel versante nord-est della montagna e, l'anno successivo, prese parte ad una nuova spedizione inglese che tentò senza fortuna l'assalto all'Everest.

Si arriva così all'estate del 1924 e all'ennesima spedizione britannica: Mallory, dopo un primo tentativo insieme a Geoffrey Bruce bloccatosi a quota 7.710 metri, l'8 giugno riprova l'attacco alla vetta. Questa volta sceglie come compagno di cordata Andrew Irvine, universitario ventiduenne, canottiere a Oxford: i due lasciano il campo 6 (8.170 metri) appesantiti dalle bombole di ossigeno essenziali per avanzare nella cosiddetta zona della morte, che scatta oltre gli 8.000 metri, nella troposfera, e che trasforma anche l'uomo più agile e allenato in un pugile ko. Nel frattempo sale a supporto della scalata Noel Odell che, in un improvviso squarcio tra le nuvole, è l'ultima persona ad avvistare i due alpinisti lungo la cresta nord-est, poche centinaia di metri sotto la vetta: "L'intera cresta sommitale e la cima dell'Everest - scrisse Odell in un messaggio al Times - erano finalmente visibili. I miei occhi si fissarono su una minuscola macchia nera che si distingueva sullo sfondo di una crestina nevosa sotto un gradino di roccia; la macchiolina si muoveva. Comparve allora un'altra macchia nera che, muovendosi sulla neve, si congiunse con l'altra sulla crestina. La prima si avvicinò allora al grande gradino roccioso ed emerse brevemente in cima; la seconda fece lo stesso. A quel punto, la misteriosa visione svanì, ancora una volta inghiottita dalle nuvole".

Mallory e Irvine non faranno più ritorno e quella 'misteriosa visione' alimenterà un giallo ancora oggi irrisolto: i due scalatori precipitarono prima di raggiungere la vetta dell'Everest, ormai vicinissima, oppure la tragedia si consumò dopo la conquista della montagna, sulla via del ritorno? Nel 1933 una spedizione inglese rinvenne la piccozza di Irvine vicino al filo della cresta nord-est, ma in un punto più distante dalla cima rispetto a quello indicato da Odell: una circostanza che, insieme alla constatazione (dal basso) delle enormi difficoltà tecniche per il superamento del grande gradino roccioso indicato sempre da Odell, rafforzò la tesi di chi sosteneva che i due alpinisti non avevano mai raggiunto la vetta.

Poi per quarant'anni la disputa è proseguita senza il conforto di nuovi elementi perché, in seguito all'occupazione cinese del Tibet, la cresta nord-est rimase proibita agli scalatori occidentali. Ma quando gli alpinisti tornarono finalmente su quel versante della montagna, il gradino roccioso - questa volta osservato dall'alto - si presentò molto più abbordabile, ridando fiato allo schieramento dei 'possibilisti', primo fra tutti lo scrittore e scalatore americano Tom Holzel che si recò sull'Everest per cercare, senza successo, indizi utili a risolvere il grande mistero di Mallory e Irvine.

Tra qualche giorno, dunque, toccherà alla spedizione di Simonson riaprire l''inchiesta', per cercare di restituire a Mallory il sogno che lo scalatore inglese inseguì fin dal suo primo incontro con l'Everest, in una mattina del 1921 avvolta dalle nubi dei monsoni: "Lentamente, molto lentamente, scorgemmo i giganteschi fianchi della montagna, i ghiacciai, le creste, ora un frammento ora l'altro, attraverso fenditure fluttuanti, finché nel cielo, più in alto di quanto avesse potuto osare la più fervida immaginazione, si stagliò la bianchissima e maestosa vetta dell'Everest. Così, una veduta parziale dopo l'altra, avevamo visto tutto. Non ci restava che comporre i frammenti, e interpretare il sogno...".


 
 
 
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Luglio 2008. A 6000 metri di altitudine

tre alpinisti italiani stanno aprendo una nuova via

 per risalire la ripidissima schiena del Nanga Parbat,

 uno dei giganti dell'Himalaya.

Si chiamano Karl Unterkircher, Walter Nones e Simon Kehrer.

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 nascosto dalla neve fresca.

 
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