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Post n°291 pubblicato il 21 Febbraio 2009 da gugolet
BUENOS AIRES, Argentina -- "Con un video di due minuti non è possibile valutare il lavoro di un’unità di 80 persone e 15 ore di volo ininterrotto dell’elicottero". Questa la secca risposta delle autorità argentine, sotto accusa dopo la diffusione del video shock che mostra sei soccorritori abbandonare sull'Aconcagua la guida alpina Federico Campanini. Stremato, ma ancora vivo. Ma intanto, il soccorso alpino finisce nella bufera: il caposquadra della zona dell'Aconcagua è stato sollevato dall'incarico, mentre gli uomini filmati nel video vengono interrogati dalla Procura. “Erano dodici ore che lavoravamo per salvare gli italiani - si è difeso Eduardo Ibarra, uno dei soccorritori filmati nel video shock dell'Aconcagua -. C’erano 30 gradi sotto zero, c'era bufera. Non ce la facevamo più. E il video è stato girato su ordine del nostro capo, José Luis Altamirano, solamente per avere una prova dell'autorizzazione giudiziaria a interrompere l'operazione di soccorso". Ibarra, 42 anni, gestisce il rifugio Plaza de Mulas sull'Aconcagua, a 4.500 metri di quota, e ha 25 anni di esperienza come guida alpina. Ieri, con gli altri soccorritori filmati nel video, è stato convocato dal procuratore della città di Mendoza Luis Correa Llano, per gli interrogatori che dovranno stabilire se esistono gli estremi per l'accusa di omicidio colposo. Accusa che, secondo i soccorritori e secondo Guillermo Carmona, assessore all’Ambiente della regione di Mendoza, non sta in piedi. "E' un video troppo breve per valutare un'operazione così lunga e complicata come quella condotta sull'Aconcagua", ha detto ieri alla stampa Carmona, incaricato di farsi portavoce delle autorità locali su questo caso. Opinione sulla quale concordano anche molti esperti locali di alpinismo, ma che non allevia l'orrore delle immagini nè spiega le contraddizioni tra quanto si vede nel video - Campanini, stremato, che tenta di arrancare verso la salvezza - e la versione raccontata dai soccorritori l'indomani della tragedia - Campanini che sarebbe stato trovato morto dai soccorritori -. Oggi, poi, spunta un'altra agghiacciante contraddizione, che riguarda proprio la presunta "autorizzazione giudiziaria" ottenuta dai soccorritori per l'abbandono di Campanini. A concederla, infatti, avrebbe dovuto essere il procuratore Claudia Rios, incaricata di seguire l'operazione di soccorso. Ma, secondo quanto riferito dai media argentini, dagli uffici della Rios sarebbe arrivata una secca smentita: il procuratore non avrebbe dato alcun via libera all'abbandono della guida alpina. Non sarà facile, per gli inquirenti, chiarire questo spinoso caso, che sta gettando nella bufera tutta l'organizzazione del soccorso alpino argentino, accusato di inefficienza e gravi mancanze di mezzi ed esperienza. Una polemica che ha già portato a gravi provvedimenti. Ieri Armando Parraga, responsabile dei soccorsi nella zona dell'Aconcagua, è stato sollevato dall'incarico e mandato in pensione. Per la verità, Parraga non ha partecipato all'operazione dello scorso gennaio, in cui sono morti Campanini e l'italiana Elena Senin, perchè in quei giorni era in licenza. E il soccorso alpino argentino ha precisato che il pensionamento era già stato deciso nel mese di dicembre. Ma il fatto che la decisione sia stata resa operativa proprio in questi giorni, lascia pensare. Secondo indiscrezioni, Parraga sarebbe stato allontanato per non essere riuscito ad impedire la diffusione del video, un "materiale strettamente riservato". "Lo stato guadagna milioni di dollari grazie all’Aconcagua - ha tuonato Carlos Campanini, padre di Federico, in un'intervista ai giornali argentini -. Ma questi soldi non vengono reinvestiti per i soccorsi. Deve esserci un prima e un dopo Federico Campanini". Tratto da montagnatv: Articolo di Sara Sottocornola Rimango sempre della mia idea si sono comportati da bestie... rispetto sempre e comunque per la vita e la morte altrui.. |
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Luglio 2008. A 6000 metri di altitudine
tre alpinisti italiani stanno aprendo una nuova via
per risalire la ripidissima schiena del Nanga Parbat,
uno dei giganti dell'Himalaya.
Si chiamano Karl Unterkircher, Walter Nones e Simon Kehrer.
Dopo un complicato passaggio sotto un seracco, improvvisamente,
senza dire una parola, Unterkircher scompare dentro un crepaccio
nascosto dalla neve fresca.
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