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Verranno per conquistarlo, e lo conquisteranno popolandolo con i loro figli. E’ il ventre delle nostre donne che ci darà la vittoria”.

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IL CUCULO

... quando si schiude l’uovo del cuculo, il piccolo intruso sbatte fuori dal nido i suoi “fratellastri” caricandosene sul dorso le uova e gettandole fuori, o spingendo giù gli altri uccellini del nido se sono già nati...

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TUTTI I COSTI DELL'IMMIGRAZIONE (2° parte)

Post n°877 pubblicato il 20 Maggio 2012 da lecasame

TUTTI I COSTI DELL'IMMIGRAZIONE

(2° parte)

 

«L’immigrazione pone rimedio alla nostra denatalità»
Da noi c’è troppa gente. La penisola è affollata. In alcune parti la soglia di preoccupazione è stata superata. Oggi i livelli di popolamento della Padania, area in cui si concentra più del 61% dell’immigrazione extracomunitaria, sono altissimi: ci sono 254 abitanti regolarmente censiti per chilometro quadrato, contro i 158 del resto d’Italia. In Europa ne hanno di più solo Olanda e Belgio senza nessun territorio montuoso, neppure una collinetta. In Lombardia ci sono 382 persone (esclusi ospiti e clandestini) al chilometro quadrato: al mondo sono messi peggio solo il Libano, la Corea del Sud e il Bangladesh. Nella provincia di Monza e Brianza ci sono 2.033 persone per chilometro quadrato, inferiore al mondo solo a Monaco, Singapore e alla striscia di Gaza. L’affollamento si ripercuote drammaticamente sulla qualità della vita, sull’inquinamento, sul traffico, sulla produzione di rifiuti e sui livelli dei servizi.

 

É del tutto comprensibile che, in una situazione del genere, la nostra gente cerchi spontaneamente di diminuire la propria concentrazione, “sfollando” quando possibile verso aree meno costipate di campagna o collina, oppure – più semplicemente – facendo meno figli. Se abbiamo deciso di diminuire di numero è una scelta libera e responsabile: abbiamo uno dei tassi di natalità più bassi del mondo e sono fatti nostri. Se abbiamo deciso di restare più larghi è per nostro vantaggio e non per fare posto ad altri. Non siamo affatto in via di estinzione ed è comunque un problema che dovremo – se mai si porrà – risolvere per conto nostro. La denatalità è strettamente collegata con il rifiuto dell’affollamento eccessivo, ma anche con l’insicurezza, con le difficoltà economiche, e con la mancanza di prospettive di libertà. Negli anni ’60 il Sud Tirolo sembrava avviato verso quella che veniva chiamata “la marcia della morte” della comunità autoctona: con l’acquisizione di larghe autonomie, la provincia di Bolzano è balzata ai vertici dei tassi di rinnovata natalità. Il giorno in cui le nostre comunità dovessero disporre di maggiori autonomie e libertà si riprodurrebbe inevitabilmente lo stesso andamento.

Oggi l’immigrazione crea ulteriore insicurezza e quindi minore natalità fra i padani a vantaggio dei foresti di qualsiasi provenienza. Non ha neppure senso spingere verso tassi più alti per evitare la formazione di vuoti e l’arrivo di ultronei: non avremmo alcuna possibilità di vincere la devastante guerra dello spermatozoo. Il tasso di natalità delle donne italiane è di 1,29 contro il 2,13 delle immigrate: quest’ultimo tende a diminuire nel tempo ma resta alto per le ultime arrivate, in un circolo senza fine. Nel terzo mondo i livelli sono da tre a cinque volte superiori ai nostri: è un confronto dagli esiti scontati. La nostra gente deve essere libera di scegliere i propri tassi demografici, di pilotare la propria crescita o decrescita, anche senza che lo Stato si intrometta con incentivi economici che finiscono per implementare ulteriormente l’altrui natalità a spese nostre. Un popolo libero deve potersi regolare senza paura di intromissioni esterne, deve potersi alzare da tavola senza la paura che qualcuno gli freghi il posto. Quello che sta succedendo da noi ha invece assunto caratteri davvero preoccupanti.

Vale la pena di provare a ipotizzare gli scenari futuri della nostra condizione demografica. Oggi gli abitanti della penisola (fra residenti regolari e clandestini) sono circa 62 milioni. Il 35% circa è costituito da cittadini italiani residenti nelle otto regioni settentrionali, il 53% nelle regioni centro-meridionali, e il 12% circa da immigrati stranieri di vario genere, regolari, irregolari e naturalizzati. I tre gruppi, ai fini di questo calcolo, vanno considerati come entità omogenee: con “padani” si intendono gli abitanti delle regioni padane (compresi gli immigrati meridionali e i loro discendenti) e con “italiani” quelli di tutte le restanti parti della Repubblica italiana.

Confrontando gli attuali tassi di natalità dei tre gruppi, sommando il numero di ingressi clandestini e regolari, e gli effetti delle norme sui ricongiungimenti famigliari, si arriva a ipotizzare che nel 2075 circa gli stranieri saranno la maggioranza assoluta degli abitanti. Nel 2100 essi saranno circa il 68% del totale. In termini numerici assoluti, ci potrebbero essere 73 milioni di abitanti nel 2050 e 118 milioni nel 2100. L’Istat, per non diffondere allarmismi e far passare sotto traccia il problema, dice che nel 2050 gli stranieri saranno circa 12 milioni, cioè accredita una piuttosto improbabile crescita di 6 milioni (il 100%) in 38 anni, quando questi hanno avuto una crescita del 1.200% in meno di vent’anni. La situazione è descritta dal Grafico 2, che riporta la stima dei valori percentuali e assoluti della variazione di popolazione. La Padania presa separatamente potrebbe trovarsi in una situazione ancora più drammatica. Dei 28 milioni di abitanti attuali, quasi 4 milioni (il 15% circa) sono extracomunitari. Nel 2030 gli stranieri potrebbero essere anche un terzo del totale. Nel 2045 i foresti potrebbero già essere la maggioranza dei probabili 30 milioni di abitanti; nel 2060 il 60%, nel 2080 il 70% e nel 2100 l’80% dei probabili 50 milioni di abitanti della Padania del tempo.

I dati sono costruiti sugli attuali tassi di incremento dei popoli padani, degli italiani in generale e sulla media di incremento degli stranieri. In particolare, giova ricordare che, accanto a una immigrazione di genti relativamente poco prolifiche (slavi) o mediamente prolifiche (sudamericani, cinesi, filippini), gli “ospiti” provengano in larga parte da paesi con propensione all’alta o altissima prolificità, come africani, nordafricani, cingalesi e albanesi. Questi ultimi hanno – ad esempio - a casa loro un tasso di incremento annuo del 2,7%, che è il più alto d’Europa, con il 52% della popolazione inferiore ai 19 anni, e tutto lascia pensare che non abbiano molta fretta di modificare le loro abitudini. Nella elaborazione dei dati si è anche tenuto conto degli effetti di moltiplicazione nel tempo degli attuali incrementi, dei dati tendenziali di immigrazione regolare e clandestina, degli effetti dei ricongiungimenti famigliari, ma anche della possibile diminuzione dei tassi di crescita di tutti gli immigrati una volta stabilizzati e adattati alle nuove condizioni di vita meno “terzomondiste”. Dall’analisi di tutti questi numeri risulta piuttosto evidente come l’immigrazione non costituisca un correttivo alla denatalità italiana ma un vero e proprio processo di sostituzione.

 
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