Creato da marina1811 il 04/01/2009

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Water

Post n°3 pubblicato il 04 Gennaio 2009 da marina1811
Foto di marina1811

Come sempre...

...Una questione di soldi in nome della religione. 

Un film che tocca il cuore ma anche la mente; un turbinio di emozioni, lacrime e rabbia!

"Water", della regista DEEPA MEHTA, fa commuovere e riflettere, piangere e pensare.

Pensare soprattutto alla condizione delle donne nel mondo, sempre ultime, sempre svantaggiate, spesso maltrattate, sfruttate o segregate in nome di una fantomatica inferiorità, in nome di false religiosità ipocrite e ottuse, ma in fondo sempre in nome dei soldi e della violenza prevaricatrice, frutto dell'ignoranza e dell'egoismo più deletereo.

«Un familiare in meno da sfamare, un sari, un letto, più spazio dentro casa. Una questione di soldi in nome della religione. Come sempre», questo dice uno dei personaggi della pellicola e subito introduce il punto della questione, una questione politica, quindi, materiale, che viene spacciata per fatto religioso, divino, e che, nonostante il film sia ambientato nel 1938, rimane purtroppo ancora aperta.

Purtroppo la questione non riguarda solo la condizione delle donne ma una marea di altre drammatiche situazioni dove gli interessi fanno da padroni e ignoranza e violenza fanno il resto; basti pensare ai popoli africani o alle caste indiane, ai fondamentalisti o ancora al popolo cinese etc...ci sarebbe da parlare per ore sull'argomento quindi per ora mi fermo qua, lasciando il pensiero legato solo al bel film che ho appena visto.India, 1938: Chuyia è una bambina di otto anni, con lo sguardo, la spontaneità, la voglia di giocare di qualsiasi coetanea. Solo che lei è diversa, è una baby-sposa. A cui, per colmo di sfortuna, muore il marito: così, come prescrivono i rigidissimi rituali religiosi indù, la piccola è costretta a lasciare la famiglia, l'adorata mamma, per essere segregata in una "Casa delle vedove". Una sorta di lager dove - tra amicizie, umanità dolente, prostituzione occulta, divieti di ogni genere - finirà, dopo l'ennesimo trauma, per perdere definitivamente l'innocenza. Tutta la luce che aveva negli occhi.
Succedeva nell'India di quasi settant'anni fa, succede anche nell'India di oggi: secondo un censimento del 2001, nell'immenso subcontinente ci sono 34 milioni di vedove, e almeno 12 milioni vivono nelle "Case". A fornire questi dati è la regista indiana (trapiantata in Canada) Deepa Mehta: è lei ad aver scritto e diretto Water, l'intenso, toccante film (nelle sale da venerdì 6 ottobre) che racconta - appunto - la storia di Chuyia. Personaggio di finzione, certo, nato dalla fantasia dell'autrice; ma che simbolizza il destino infame di tantissime donne, emarginate e perseguitate. E non solo in quel paese: secondo Amnesty International, ogni anno nel mondo ci sono 80 milioni di matrimoni con spose bambine.
Ma Water non è solo la denuncia di un fenomeno inquietante, e che esiste tuttora. E' anche un film molto rifinito, con una bella fotografia, musiche suggestive e un gruppo di interpreti notevoli. Acclamato al festival di Toronto, candidato del Canada agli Oscar, e amato da molti personaggi celebri. Tra cui un uomo che di India e di fondamentalismi religiosi se ne intende, Salman Rushdie: "E' un'opera magnifica - ha detto - che affronta un argomento serio e difficile ma dall'interno, attraverso gli occhi delle protagoniste. Toccando irrimediabilmente il nostro cuore".
Eppure, malgrado le qualità cinematografiche, è inevitabile che la presentazione italiana di Water diventi soprattutto un'occasione per denunciare quanto c'è ancora da fare, in tema di diritti civili. Specie al femminile. La prima a sottolinearlo è il ministro del Commercio estero, Emma Bonino, testimonial della pellicola (così come Amnesty International, che la patrocina): "La cosa che più mi ha colpito del film - racconta la storica leader radicale - è che tratta un tema molto attuale: il rapporto tra religione e società. O meglio, tra interpretazioni particolarmente reazionarie della religione e società. E questo non vale solo per l'induismo, ma anche per la nostra religione e per l'Islam". Da qui l'impegno del ministro: "Nel 2007, l'India sarà il punto focale della mia attività. E non si tratta di occasioni solo commerciali: cercherò di avere con gli amici indiani un dialogo franco anche su altri temi".
La Bonino, dunque, sottolinea un punto importante: a rendere "esplosivo" Water non è solo il riferimento alla crudeltà di certe tradizioni, ma anche il mostrare senza reticenze l'orrore a cui può condurre il fanatismo religioso. Un'interpretazione avallata dalla regista, Deepa Mehta: "Il cuore del film - spiega - è il conflitto tra coscienza e fede: se non si ascolta la propria coscienza, ma di obbedisce pedissequamente alla fede, si rischiano cose disumane".
A dimostrarlo, c'è anche la travagliata lavorazione del film. Come spiega il produttore, David Hamilton: "Abbiamo tentato di girare Water nel 2000, in India. Il set era già pronto, ma poi, a pochi giorni dalle riprese, il movimento dei fondamentalisti ha bruciato il set. Allora abbiamo cominciato a girare nell'hotel dove alloggiavamo, ma fuori la gente urlava e bruciava foto di Deepa. Per due anni lei ha dovuto avere la scorta". Conseguenza: il film è stato girato solo quattro anni dopo, ma nello Sri Lanka. E quasi clandestinamente.
Del resto, Mehta non è nuova alle minacce dei fanatici: già un suo film precedente, Fire, fu oggetto di proteste furiose e ritirato dalle sale, perché parlava di donne lesbiche. E adesso, in novembre, toccherà a Water uscire nei cinema indiani. Una pellicola che, almeno vista con occhi occidentali, presenta tutti i personaggi con molto rispetto: la piccola Chuyia, certo (interpretata dalla debuttante dello Sri Lanka Sarala); ma anche la bella Kalyani (Lisa Ray), vedova-prostituta che si innamora del laureato in legge Narayan (John Abraham), seguace di Gandhi; e la religiosissima sadananda (Kulbhushan Kharbanda), che vive sulla sua pelle il conflitto tra fede e coscienza.
Ma è proprio Gandhi - di cui in questi giorni si celebra il centenario della nascita - a chiudere il film, in una scena intensa e un po' a sorpresa: "Lui è il simbolo della nostra liberazione - conclude Mehta - per questo ho deciso di farlo apparire in un film come il mio. Che non vuole mostrare solo le discriminazioni delle vedove, ma denunciare qualsiasi oppressione contro gli esseri umani: in nome della tradizione, della religione, del colore della pelle". 
(trama e commento tratti da Repubblica)

 
 
 
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