Creato da Marvelius il 21/08/2012

Marvelius

Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

Bella...

Post n°58 pubblicato il 29 Luglio 2013 da Marvelius
 

 

 

Abitava in un carrozzone vecchio e malmesso

brandelli di tende e stracci consunti ne celavano

l'ingresso ed era come un puzzle di toppe e rabberci

cuciti con cura e seguendo anche un certo ordine,

tuttosommato l'intimità del suo ingresso era stata

preservata.

La vidi uscire la prima volta sul fare del giorno

un alba imbelle nel vento smorzato che la precedette,

e nella luce pallida e fredda dell'algore uscì dal suo carro.

Aveva i capelli sfatti e un viso tirato e ambrato,

gli occhi ancora pieni di sonno e mi sembrava scendesse

i gradini del carro più per inerzia e abitudine che

mettendovi un minimo di senziente metodo.

 

 

Ma era bella...dannazione se lo era.

Chiusa nel suo shalle nero sopra un vestito a fiori

senza pretese ma che sfacciatamente mostrava la

rotondità dei suoi seni, i suoi fianchi generosamente

custoditi nelle cuciture del vestito sempre in bilico

tra il resistere e il cedere alla spinta delle anche.

La vita stretta e la curva delle natiche un monte troppo

arduo da scalare e troppo liscio da poter

discendere senza rischiare di morirne affascinati.

Mi venne incontro accigliandosi un po' ma io feci finta

di nulla, seduto vicino ai resti del suo bivacco mescevo

un po' di caffè in un bicchiere di latta.

Aveva un sapore insapore anzi di sapore ne aveva

fin troppo ma acre e mefistofelico da far attorcigliare lo

stomaco ma lo trangugiai come fosse nettere d'ambrosia.

Poi presi la sua chiatarra e feci scorrere le dita su di essa.

Quando mi fu davanti mi girai e alzandomi la salutai

 


 

"Buongiorno Bella ... ti ricordi di me?"

E guardandola fissa negli occhi le feci un lieve inchino.

Lei rimase come un sasso lanciato nel terreno fangoso

le orbite  le si spalancarono come avesse visto un

fantasma e i suoi occhi smeraldo vibrarono nella luce

del mattino trascinando dentro di sè i riverberi delle

fiamme del bivacco e ...null'altro.

Io potei vedermi nelle sue pupille, nel suo specchio

incantato

come lei non avrebbe potuto ma vedeva me davanti a lei

e questo le bastava e le faceva sussultare il cuore.

Lo sentivo battere come tamburi nel folto della foresta,

un ritmo crescente quasi furente, ascoltavo lo scorrere

vorticoso del suo sangue sulle anse delle sue vene,

il gorgoglio del flusso nelle sue arterie, le ondate di calore

sulla sua pelle  come vento e calura d'estate.

Avvertivo i suoi pensieri farsi materia, le sue emozioni

trasmutare in affetto e un ritrovato amore, affollarsi nei

meandri piu remoti della sua testa e negli spazi più

abbandonati riconciliarsi con se stessa.

Poi staccò le mani che avevano stretto fino ad allora

lo shalle sul petto e mi parlò...

"Ti ho atteso per tre anni ...tre anni oggi da San Germain".

 

 

Vidi le prime  lacrime sbocciare tra gli occhi, indugiare tra le

ciglia rigate di bistro e poi staccarsene come coltre di neve

cristallina dalle fronde dei pini, scorrere come acqua di

sorgente dalle cascate su tra i monti e adagiarsi sulle gote

turgide e calde e poi dipartire fendendo l'aria fino a

concimare e dissetare

la terra...

Dalle prime goccie  germogli di fiori di loto,

le altre le raccolsi nel palmo trasmutandole nel brillìo

di piccole pietre scintillanti , gingilli così cari a tutti i mortali ...

La strinsi tra le braccia e lei si sciolse dentro me come

neve al sole, le sue braccia cercarono nell'abbraccio

un calore dimenticato dal tempo e la sua bocca si aprì

ad accogliere la mia lingua e le mie labbra nel respiro che

avrebbe bruciato in eterno ed insieme ad esso la mia anima

dannata, costretta a vagare in quel corpo immortale.

La sentii ripetere il mio nome chiuso nelle sue labbra,

imprimerlo come un calco sul suo cuore e serrrarlo

in uno scrigno nel fondo della sua anima per custodirlo

per sempre.

 


 

Nel fuoco che stava morendo altre fiamme divamparono

nei corpi che andavano spogliandosi e che riflettevano 

sulla pella la luce pallida del giorno che stava nascendo.

Baci si rincorsero tra la mischia dei corpi, muscoli tesi

tra umori e sapori mai dimenticati e in quel congiungersi

anche le ultime tenebre cedettero il passo, in quel nascere

 e morire, finanche il vento placò la sua sete e volse oltre

i propri occhi nel fruscìo soave tra le cime degli alberi .

Poi, quando quella lotta di corpi ebbe fine, raccogliemmo

la nostra passione, i nostri baci strappati con impeto e

 dolcezza alla notte bugiarda e lentamente

ci immergemmo nel buio ovattato  della sua

alcova...

Marvelius







 

 

 
 
 

Oltre...

Post n°57 pubblicato il 23 Luglio 2013 da Marvelius
 

 

Una parte di me avrebbe voluto restare   

ma tutto mi portava via da quel mare …

Immersi i piedi nella schiuma tra le piccole

pieghe delle acque, riccioli d’onda chiare e

fresche e nel mio sguardo ancora lei …

I suoi occhi castani e l’ovale di un viso

perfetto.

Il nero crine mosso dal vento e la grazia

delle sue mani sul mio corpo.

Senza accorgemene mi ritrovai nelle

profondità delle acque tra l’ azzurro

smagliante e i riverberi caldi del sole.

Mi scioglievo tra le gocce come

pulviscolo d’aria e lei era lì con la sua

timidezza a celare le sue forme con lembi

di corrente e vortici d’ombra ma per

quanto l'amavo quel suo essere delicato

tanto me ne staccavo.

 

 


Con me era stata sempre misurata,  dubbiosa

come unuccello sul ciglio di un ramo che non

riesce a librarsi  in  volo.

Un timore costante di non essere bastevole,

inadatta a soddisfarmi ma anche

impossibilitata a farlo per le sue paure, 

eppure quella sua timidezza sembrava 

scomparire in mezzo agli altri.

Quel suo ritegno si dileguava come

una serpe tra i fili d’erba  alta,

quel suo  freno si scioglieva se non ero

io quello con cui parlare confidando

ansie e segreti.

La moderazione e il controllo sparivano

d’incanto fuori dalla mia presenza e lei

diveniva normale, un cigno che incanta

nel cuore di un lago libera di danzare.

 Mezze parole mi erano destinate, torsoli

di lusinghe, brandelli masticati di moine

senza il nerbo di quella lussuria che

pure sapeva appartenermi.

Quella discrezione cosi controllata non era

forse la misura delle nostre distanze, il

bisogno di porre un limite ad un rapporto

che stava morendo o forse non era mai nato.

La ritrovavo nei discorsi degli altri, la vedevo

 leggiadra esprimersi in disinvolti pensieri,

entusiasmarsi per ciò che leggeva nelle

persone, nei loro scritti, nei loro occhi  

d’estraneo.

Ma quando restavamo insieme tutto questo

sembrava spegnersi e tornava l’ansia di un

non detto, il soffoco incepparsi di un

espressione, l’incarto delle frasi, l’incertezza

di passi troppo prudenti sul selciato

del mio viale.

Eppure qualcosa dentro di lei

pulsava incessante come tamburi nella

notte ma trovava sulla su strada

i tronchi divelti di una fiducia che

si stemperava nella lontanza

degli echi deisuoi battiti.

 

 


All'orizzonte piccole barche segnavano

con le loro scie bianchi sentieri di spuma

e i gabbiani strillavano nel vento

stagliandosi nell'indaco del cielo.

Una parte di me avrebbe voluto restare

Ma tutto mi portò via da quel mare …


Marvelius

 

 
 
 

Vuoi Giocare Con Un Immortale ...Lumil?

Post n°56 pubblicato il 22 Luglio 2013 da Marvelius
 

Post Dedicato

 

 

 

 

 

Ho il potere e la ricchezza che viene disprezzata, quando ostentata e invidiata e non nascondo che ciò crea quella misteriosa miscela di fascino e interesse. Ho eleganza nei modi e so muovermi in ogni ambiente, tra i vicoli

di Calcutta o la le casbe magrebine, nei saloni di palazzi principeschi di antiche 

e decadute nazioni,  fin negli esclusivi circoli della nobiltà esangue.

Ho accumulato una cultura sterminata tra i porti di città marinare e le biblioteche di Bisanzio anche se ciò è

solo un briciolo di sapere nell’immenso calderone del tempo.

 

 


Conosco i segni occulti dei pagani e il linguaggio criptico dei sapienti, ho appreso la cabala e il fine nascosto dei numeri, sono stato un mistico e un monaco guerriero, un encratico Dominus e un Lord lussurioso, sono un esoterico  quanto un occulto dispensatore di piacere.

La mia mente si è affinata nel tempo, 

un fine cervello  cesellato dalla scienza e

dal pensiero, modellato sui crocicchi di un libero pensare, tollerante e indagatore.

Penetrante arguzia popola gli spazi

del mio vedere come un grimaldello

nelle pieghe della terra, ma mai sono punto dall’arroganza, dal piglio superbo di uno spocchioso  millantatore, né

dalla maldicente incontinenza dei costumi.

Mi muovo tra gesti misurati ma non’è

il calcolo che li sostiene, solo vento e  zefiro di mare,  così la mia natura è sciolta e tutto sembra un batter d’ali,

un guizzo tra le onde e le acque di un pelago profondo, uno scatto felino tra

il folto della boscaglia o un salto sontuoso di uno stallone impaziente.

Non rinnego i piaceri che colmano gli occhi di bellezza e incanto né disprezzo l’ingegno di un umanità che sa creare e affinare il bello e il terribile costrutto dell’arte, ma non mi guidano le sirene

di un forziere di gioie diamantine, non placo l’anima di gingilli, non mi piega il peso dei metalli né mi incatena la carne malnutrita di sangue e di intelletto.

Amo quel tanto la materia quantunque sia forgiata nei vecchi crogioli di armaioli chiusi nelle officine di un vulcano ma è

lo spirito che mi avvince e rende nobile

e pulsanti  i corpi che vibrano al tocco

delle dita .

 

 

Mi muovo nella danza dei miei passi soffici come Colui che si accompagna al vizio con morbidi calcesi sull’erba di un prato e come un serpente tentatore scivolo intorno al collo bisbigliando gemiti e profferte dissolute. 

Con voce calda e ferma cucio merletti

di parole e  trini suadenti,  lego col comando spiriti indomiti e dolci delizie come funame e stralli ai legni di una nave.

Suono col timbro della voce cetre e arpe d’oltre mare, violini dal petto e fiati dalle remote regioni alpestri,  così  plano coi gesti e le labbra sulle verdi colline dove sugge l’ape il  nettare

e le corolle in fiore d’estro

si vestono cedendo il ventre

al  soffio gravido di seme,

così finanche il vento arrossisce

e cova bolso gelosie e rancore.

Nel vizio nuoto come nel fuoco ardo,

nei mie occhi il colore dei prati,

nelle mani la roccia dei monti,

nel cuore rive di un amore cristallino

e nella mente fuochi perenni

e bastioni di un carapace inespugnabile.

Vuoi dunque ancora  giocare  Lumil ?  …  Un gioco ardito fin oltre le mura di Tiro vuoi provare ?

Tra corse di carri trainati da leoni e lotte senza sosta  fra la seta di  lenzuola complici e pudiche, tra pizzi sciolti sui lastroni di marmo  e tra l’organza delle tende violate dal vento dimorerai,  nei  deliri e nei  fremiti disinvolti di vestali e baccanti sosterai.

Sarai legata dai fili  invisibili delle voglie, sui tuoi occhi come un sudario di piacere scenderà un velo di lussuria , torbidi  e incestuosi pensieri nei domini dei sensi, mentre  l’ombra delle labbra disegnerà sulla tua pelle riccioli d’ambra  e nel calore del respiro brucerai dentro come fiammella che s’agita nello spasmo della carne e nel tremore del sangue le tue brame mai si spegneranno …

Nuda nell’anima come roccia che imbianca

al sole rovente d’agosto

e lucida sotto  l’onda che l’infrange

costantemente …

incessantemente …

ripetutamente …

come un dolce maglio

nella schiuma che la bagna …

Sicura ancora di voler giocare  con un  Immortale Lumil ?…


Marvelius

 

 


 

 
 
 

TRA LE OMBRE...

Post n°53 pubblicato il 20 Luglio 2013 da Marvelius
 

 


Vi incontro ancora Messere mi seguite come un falco che
attende di ghermire la sua preda
.
Facciamo la stessa strada Milord … forse è solo il frutto
di una fortunosa  coincidenza che ci
porta entrambi verso questo rosso tramonto
Può essere messere e può non essere
così ma libero è il cammino, tutti i  fiumi vanno al loro mare
e a volte  mischiano le loro acque gorgogliando tra le anse

Allora nulla avete da temere Milord, vedo la vostra lunga
spada far bella mostra intorno al vostro nero mantello,
luccica l’argento della sua elsa come la luna che qui spande
le sue carezze e la vostra maschera quantunque celi parte
del vostro viso ne lascia trasparire il luccichio degli occhi che
nel cupo languore di un melanconico passato da il senso
di quanto sapreste essere glaciale a sprezzo della vostra vita
Leggete bene uno sguardo e date un prezzo congruo al
carattere di un uomo con solo un fugace sguardo?
Ma la verità è molto vicino a quanto dite, solo la tristezza
non mi appartiene e ciò che solitudine e pensiero scolpiscono
sul mio viso non trova il giusto appiglio sulla riva del vostro

fiume messere”


Don Juan… milord … Don Juan de Marcus...questo il mio nome
per servirla  e diradare i dubbi ricordando il passato

Don Juan … credo di avervi già incontrato lungo il mio
cammino, sento il peso di un ombroso ricordo e le nebbie
del
mio passato ben potrebbero contenere i segni che vi
portate dietro, anche nascosto sotto una maschera che vi
consegna al mistero e a chi nasconde non una metà dell’anima
ma la sua interezza… Lord Gadriel
  è il mio nome

 

 

Oh certo Milord … le brume dei ricordi si schiudono e vi
parlano di me, eravamo giovani tra i vicoli del Borgo Antico,
porto ancora il Sigillo sopra il braccio, così come nella mia
mente il Giuramento come marchio stampato a fuoco e
in ogni anfratto del mio petto arde una fiammella di quel
che l’Ordine ci ha impresso per essere degni portatori di
quella Sacra Fiamma...
Fortiter Et Fideliter…..Sapevo di avervi già incontrato,
l’ho capito al primo sguardo, non solo per l’anello che portate.
Chiamatemi Gadriel d’ora innanzi e datemi il braccio affinché
la presa delle mie dita  sia quella dell’astore che cinge il
dorso del suo falconiere…

Ben lieto il mio si fonde col vostro Gadriel e su questa
nuda roccia giuro che l’ombra mia sarà la vostra …”“

E la mia la vostra Juan. Siamo randagi dispersi come pula
nel vento su un mondo che si sbriciola a ogni sussulto di vento,
 lo sfacelo dei costumi riempie queste  vie come i crepacci
sotto la coltre che imbianca.
Le ho attraversate anche io Gadriel, respirandone l’aria
putrescente , indossato un mantello di polvere in attesa del
risveglio che non è giunto. Tra questi sentieri ho trascinato
i miei metalli, visto quanta costrizione chiude
gli uomini nel loro cubicolo circondato da effimere
forme, simboli di un perduto andare che rendono schiavo
l’animo tra catene rose dalla ruggine.
Juan ne sento l’odore  ... si sparge come veleno
tra i profumi di questi campi bordati di fiori, vedo persino
gli alberi piegarsi non per il vento ma per il fardello di tanta
finzione, ma mi ergo come un mago davanti ai
bastioni del mio tempio e non cedo alle pieghe di questo
lungo inverno.



Cosa riserberà il giorno oltre questo buio Milord, questa
fosca bruma  celerà ancora  i contorni delle nostre pietre?

Non so…Messere ... il futuro è un spazio pieno di possibilità.
Noi terremo alto il vessillo e lo isseremo sulla torre più alta
del nostro maniero come sull’albero di maestra del naviglio

che dorme tra le acque della fonda o ne faremo una veste
per una donna che possa indossarla insieme alla purezza
che l’adombra…Ricordo quante donne  vi giravano intorno
negli anni del vostro noviziato, vi vantavate di averne
amato a centinaia e forse in questo non siete migliorato…
l’avidità rende gli uomini insoddisfatti e ruba loro la capacità
di guardare nel profondo ogni piccolo fiore..

Non giudicatemi Gadriel, conosco la vostra fama e non credo
siate stato mai un uomo che ha chiuso i cancelli all’amore né
un encratito Signore e giudicarmi non serve a farvi assolvere
da un tribunale di licenziosi inquisitori, l’amore viene come il
soffio di primavera e  trovo sia un inutile artificio  il
porgli resistenza.
Conoscete, mio erudito Signore, altra forma di conoscenza
dell’essere umano se non quello che scorre come un fiume in
piena tra i boschi resinosi delle alture, che nuota come pesci
nei placidi laghi o che cresce come un giardino fiorito nei
rigogliosi prateggi? Questa è un era che bandisce come un
errante cipiglio il valore del nostro braccio, che rinnega lo
spirito e il coraggio e serra ogni cancello all’uomo che vive di
ideali e allora cosa resta se non il puro pensiero e l’universo
che  si stempera nel crogiolo di una donna, la passione e la
ragione, l’ardimento dei corpi al posto di un campo di battaglia
e il chiuso riflettere dentro noi stessi piuttosto che il dibattere
della futilità del tempo con un mondo che si piega su se
stesso e ne rimane esule  prigioniero.
Vi scopro pensatore  ancor più che amante Juan e  forse
avete ragione nel consegnare ad una donna ciò che resta
del nostro valore e dei nostri pensieri,  nel dialogo dei corpi
tra i silenzi di bocche avide e concupiscenti, si comprende quanta
fame vi sia ancora di accompagnarsi l’un l’altro, ma
dimenticate che ciò non ‘è amore bensì desiderio di possesso
o brama di carne e voluttà concupita che rende grazie al
corpo ma scioglie i nodi della mente per renderla ancor
più affamata e incerta sul senso e le ragioni che ne
fanno tempio e magione.

Chi vi dice che io non abbia amato ogni donna come fosse
l’unica stella del firmamento milord? Come potete pensare
sia un cosi prosaico Signore che cede all’istinto della carne
per rendersi satollo il ventre e svuotare i principi dello
spirito, scardinare i cardini della perfezione senza dare
tutto me stesso fin nell’intima essenza che stilla linfa e
sangue dalla sua cella?


Nessuno mi suggerisce ciò e vi chiedo venia mio caro  Juan solo
che amiamo in modo diverso, la mia ragione retta dall’orgoglio
e da un ego smisurato a volte è restia a guardare oltre il suo  orizzonte,
cosi  tengo in conto il numero delle vostre amantitroppo distante  dal
mio e l’intensità del mio sentimento come
un  insondabile diamante al quale ogni uomo piega il suo o si
ispira senza mai raggiungerne i limiti e le distanze. Così in questo
errore mi attorciglio come un ofide tra le sue spire e e non vedo quante
ragioni avrei per vedermi cosi tanto simile a voi.

Lo dite ancora con un senso di fastidio...Lord.
Avete amato con intensità ogni donna che ha solcato i gradini del
vostro castello, i giardini del vostro serraglio, il ponte del vostro
naviglio.
Ne avete decantato lodi e virtù, combattuto tenacia e irruenza
come su un campo di battaglia, tra baci e carezze, strette tra le vostre
braccia bisbetiche di Bisanzio e valchirie normanne,
dolci gemme del sol levante e odalische dai rotondi fianchi che
si sono arrese alla forza delle vostre labbra e alle solide e
fascinose profondità del pensiero di cui tanto sembrate
prendere le distanze, ma non credo siamo  tantodiversi,
ombra di un ombra e corpo di un corpo se lasciate
vivere questa espressione. 
Anche io le ho amate, Milord, nel libero arbitrio della loro volontà
cangiante, le ho adorate e me ne sono fatto Signore, leale è stata
la mia presa come nell’armistizio del mio assedio alle torri di quel
desiderio che si scioglie nei loro capelli profumati, della loro pelle
liscia come seta, del suono dolce e sensuale della  voce simile
a zefiro di mare sul fare del mattino. Ho raccolto gocce di brina
 sulle corolle in fiore , portato alla bocca per
suggerne la linfa che mi restituiva all'eliso empireo, ho
incontrato l’ebbrezza della vita nell'ebbro scuorsi dei sensi, non
per piacere di un desiderio che consuma e dana ,ma per la sete
di cogliere quell’idea di perfezione e
di equilibrio che dà la morte e la vita come uno stallo che
sorregge e precipita tra l’inferno e il paradiso su questa Terra.
Ora vi riconosco fino in fondo Messere … siete ancora
quell’adolescente che rincorreva sottane e trecce di donna
e siete ancora  il giovane alla ricerca di un accento cristallino
sconosciuto al vostro udito, lingua di donna lo chiamavate e
suono di sirene … e in esso vi perdevate come in un bosco tra tenebre
orfane di  luna, mi meraviglio che abbiate ancora la vita chiusa
nelle vostre mani, ma l’Ordine vi ha salvato,
vi ha insegnato  l'arte di una spada, dato una  morale a cui
attingere quando il tartaro inverno vi ghermisce e il senso di
lealtà che vi sorregge nelle notti come questa
.
Invece a  voi cosa  ha lasciato Gadriel, quale morsa tenace vi
ha stretto tra le maglie di un cuore che non trema e un polso che
chiude il pugno della vostra scienza come l’arte che vi ha infuso
il vostro Maestro.
Me lo chiedo spesso Juan….le vostre stesse
cose suppongo ma non si è mai sicuri di ciò che crediamo senza
un confronto reale e a volte più si sale sopra un monte più ci si
avvicina al
ciglio del burrone, quell’abisso  a cui si deve guardare
fino in fondo e che ti guarda dentro con la stessa intensità.
Ho amato molte donne, avete ragione e chissà quante ne amerò,
e loro hanno amato me  forse più di quanto io potevo in quel momento,
ma mai mi sono risparmiato in questo. Cosi hopercorso tante vie,
stretto amicizie nei recessi più preclusi agli uomini
d’arme, ai pensatori della specula più ardita. In questa curiosità
che  mi assilla e mi spinge oltre ho nuotato come tra i
flutti di un mare in burrasca, nella visione del mio
tempio mi sono spinto a conoscenze che potete appena
immaginare e in questo, altro amore ho profuso, per la
conoscenza e  l’arte più segreta e nascosta.
Qui le nostre vie si dividono amico mio senza che l’uno abbia
più merito dell’altro, senza che voi  abbiate meno credito di me.
Le vostre vie incontreranno sempre una donna affinché possiate
placare la sete del vostro vivere, io trovo anche in altro l’essenza

della vita e nell’amore la cuspide e il bacolo per raggiungere un
cammino che mi tempri e mi renda allo stesso tempo germoglio
e tenera giunchiglia.
Vivo dell’essenza che muove il vento, nella corrente che trascina
le onde...Guardate quelle alture amico  mio, niente le smuove
nemmeno il rombo tumultuoso che giunge dalle fondamenta
della terra, ma basta una goccia d’acqua per penetrare la sua
roccia, per scendere nel cuore che dorme nel suo ventre e
carpirne segreti inconfessati trascinandoli a valle del suo
coriaceo petto.
Così nel silenzio della rive del mio fiume mi siedo per trovare
ascolto e nello sguardo che segue le acque al loro muto viaggio
mi perdo e sono goccia che trasuda sulle anse agghindate di
rossi cespugli e nel greto del suo letto stride sui sassi come a
farne scoccare una scintilla. Mi inebrio di questo Juan come
degli occhi di una donna, profondità senza fine come un
oceano di cristallo, mi perdo nei suoi seni come tra le braccia
del mio mare e nel suo ventre come nel calore del vento che
penetra tra il folto della boscaglia. Ne sento il bisbigliare delle
fronde tra i soffi vespertini che rendono tremule le foglie e

in esso acquieto la mia brama, suggo il nettare da un fiore
come a sentirne vibrare la caule fin dentro ogni virgulto di
radice tra l’umido sentore della carne e in ogni anfratto poso
la mano in cerca del mistero che mi desta i sensi e mi riempie
di affanno .
 L’ardimento non mi manca, come un cercatore di tesori su
spiagge deserte, o un marinaio  che tuffandosi tra le onde
tumultuose apre gli occhi nel buio delle acque e trova la sua
luce
come la lanterna di un faro.


Tarda è l’ora Gadriel amico mio, le tenebre già avvolgono i nostri volti
come inchiostro a cui attinge il pennino, asticella informe delle nostre
parole, venite Milord le fiamme ci chiamano col loro
tremore prima che la nera sagoma di un lupo si stagli al biancore della
luna, torniamo a essere ombra e maschera nel rito della finzione, lasciamo
cadere inostri affanni intorno al bivacco che
ci attende, che i sogni e le speranze si incontrino dove nasce
l’algore con la sua bianca luce …

Marvelius

 

 
 
 

SABBIE II

Post n°52 pubblicato il 18 Luglio 2013 da Marvelius
 

 

Sabbie attraverso negli spazi sconfinati della mente,

mari dorati e montagne senz'ombra nel sole che  brucia

brandelli di pelle .

Negli occhi un orizzonte senza fine e i rossi riflessi di un

astro impietoso.

 


Le mani  artigliano le redini di una cavalcatura che

arranca  affondando gli zoccoli in questo lago di

filigranate biglie,  riarse come la mia gola che brucia di

un avidità di fonte.

Desidero le fronde di alberi maestosi che sogno a occhi

aperti sulle infuocate distese di questi spazi sconfinati

che sembrano inghiottire ogni rumore, persino il mio

respiro m'appare come un ramingo pellegrino perso nel

suo sostare nel buio di queste sue stanze.

Così il pensiero si plasma tra il sogno degli  immensi

querceti delle mie pianure  o le grandi faggete

di superbe montagne, tra i passi ghiacci e sentieri battuti

 dalla pioggia  nel richiamo di giovani sorgenti

d'acqua cristallina,  i verdi e lussureggianti prati filiformi

tra caule e fiori di una sterminata genià di colori.

 


Ma tra queste sabbie dove nulla cresce oltre granelli

di terra, microcosmi di silicio erranti  e silenti come

scogliere sferzate dal vento nel torpore dell'estate,

vedo la vita artigliarsi al suo bacolo nodoso come

serpi in amore .

Eppure in queste sabbie amo restare come un pugnale

nella sua custodia. Mi sento simile a una lama ageminata

chiusa nel suo fodero di cuoio e argento  nel buio di queste

freddi notti, ma so che arriverà prima o poi l'alba e

nell'istante  in cui il suo raggio colpirà i mie occhi

quella lama, come verde baleno, stridula graffierà l'aria

come una bestemmia  nei riverberi scintillanti del suo filo

tagliente.

 


Sabbie attraverso come passi nel destino che mi sorride

beffardo, il fato arrogante gioca con la mia vita

nascondendosi tra le pieghe del suo grigio mantello,

scombina la mia esistenza tirando i dadi chiusi nella sua

mano sul tavolo delle infinite possibilità.

È come un pugno che colpisce nello stomaco e non

lascia ferite, che non conosce cibo eppure sazia e scortica

la pelle levigata dal mare, ma scava profondi pozzi irrorati

dai desideri che scorrono nei solchi delle sue cicatrici,

devastando la mia eternità con aghi intinti in un passato

che sembra non avere inizio.

Un maglio potente sulla mia torre che non crolla tra queste

sabbie ardenti, che accompagnano il mio viaggio lungo le

sponde del mio fiume come clessidre vive e pulsanti .

 


In questi sterminati cumuli di bionde arene che scivolano

dalle mani come cascate d'oro zecchino, colgo il senso

del mio passo, tra la polvere che resta tra le dita, una lieve

patina bianca che segna le mie rughe e le colma del suo

rosso unguento.

All'orizzonte  il sole sta morendo sciogliendosi in una

pozza di sangue, un cielo pugnalato si chiude nella sua

agonia cedendo alle ombre che disegnano i contorni di

figure filiformi ... mi fermo ad osservarle come un viaggio

della mente fuori dal suo corpo.


In lontananza già vedo i

fuochidei bivacchi tra ciuffi

sparsi di vegetazione, piccole  

lamine di luce che vibrano in

questa notte che avanza

puntellata

da un popolo sterminato

di bianche stelle e da un mare

di sogni,  nel cuore vigile che

batte l'ora della veglia ...

Marvelius

 

 
 
 

Sfumature Di Donna

Post n°51 pubblicato il 16 Luglio 2013 da Marvelius
 

 

 

 

 

Entro in questa stanza come si entra tra

Tenebre d'inchiostro   e sono

avvolto da un ventaglio d'ombra  e spine.

Nel petto cuspidi e chiodi a infingersi nelle carni

e il respiro un  crogiolo di braci fredde e guizzanti.

La pelle si imperla di sudore

e il   fuoco del sangue è febbre

di lussuria che arde e consuma.

Ha un corpo  ambrato che si confonde

tra le sete  che stringe nelle  dita frenetiche

e frugano impazienti come un avido pirata

nei forzieri di una stiva colma di tesori.

 


 

Poi danza sulle corde di note suadenti

che sfilano tra le mani

i nervi di un piacere senza fine .

Si snoda  tra i fili della schiena

come spire di ofidi torti  

mentre gli sguardi

come condense di smanie e fregole di capricci  

stillano brame disinvolte che tagliano

la frenesia  del fiato

serrando gli impulsi nel caldo ventre.

Profumi dolci e  fumigati nei recessi

di quel cubicolo di perdizione

Afrori d'alba mattutine e umori aspri

d'una libidine insoddisfatta

si condensano  nei pensieri della testa.

Languide movenze si plasmano tra mani

esperte e avide come coppe in cui versare 

gocce di rugiada nel cuore della notte.

 


La guardo come irretito

prima di prenderne possesso

e nello stupore del viso

contemplo ogni sua forma

nelle cavità oscure

di un dromos che stilla resinose  goccie di  miele

Scivolano oltre  i segreti di ginecei incustoditi

le mie voglie

e in questo intreccio

che travolge i sensi e la carne ingorda

mi perdo come lampo di luce

nel cosmo della sua  carnalità gaudente ...

MARVELIUS

 

 

 
 
 

San Nicola Arcella

Post n°50 pubblicato il 12 Luglio 2013 da Marvelius
 

 

 

Ascolto il rumore molesto dei miei passi sul

ciottolato della stradina che dal  molo porta verso le

prime case oltre il porticciolo di San Nicola Arcella.

Cammino assorto tra pensieri fumosi mentre la notte

 mi avvolge con le sue ombre e la  bruma di mare.

Le luci dei lampioni sembrano disegnare aria rarefatta e

indicarmi un cammino che porta verso solitudini condensate

nei vuoti di androni diroccati  e case pulsanti di vita come

vestiti ormai desueti, foto di uomini e donne dagli occhi

neri e penetranti, sguardi persi su un mondo in rovina di

un tempo romantico e sfavillante.

Ascolto il rumore della risacca alle mie spalle , onde

infrangersi sugli scogli e la battigia di questo meraviglioso

tratto di costa.

Ho le mani in tasca come se avvertissi i primi freddi al

giungere  dell'autunno ma è solo il desiderio di chiudermi

in qualcosa che non mi faccia avvertire il tocco lieve del vento.

La giacca chiusa in un bottone di madreperla e i capelli arruffati

concessi al divagare della testa e al soffio di un notturno che

va coprendo col suo manto di tenebra anche le ultime lampare

che segnano l'orizzonte sperduto del mare.

Alzo la testa sulle case del paese e mille lucine sfavillanti mi

penetrano il viso come pagliuzze d'oro e argento che volano nella

notte come falene senza una meta.

Il corso è un pullulare di vita, gioiose

compagnie di ragazzi scivolano con le loro ombre sui muri

di case pittoresche immerse nei profumi di gelsomino e glicine.

Mani  si tengono come cordami intrecciati , bocche 

si cercano come  primizie da assaporare nei cuori che battono in

questa notte d'estasi e incanto, mentre una musica avvolge  i

vicoli stretti tra case abbarbicate l'una all'altra come alberi

che si contendono le pendici di un monte .


Siedo al tavolino del primo locale che incontro e la musica si

fa pressante, una dolce melodia che dal locale si fa strada tra

i tavoli all'aperto dove donne dai vestiti colorati  siedono con

sguardi sorridenti.

Le guardo con curiosità e un misto di interesse e disincanto

ma la testa è oltre queste vite e danza sulle note di questa

musica che amo come si ama una donna tra i fili della carne e

l'essenza della sua anima, sottili corde che pizzicano fin

dentro l'intimo midollo dello spirito e cuciono pensieri

sempre diversi,  come una torre d'avorio che brilla di luce

in mezzo al mare.

Più d'una ricambia il mio sguardo che vaga solitario, un sorriso

appena accennato non riesce a farsi spazio sul mio viso trasognante.

 Accavallano le gambe nei loro vestitini succinti, ne potrei riconoscere

orli e svolazzi chiudendo gli occhi e le forme della loro pelle disegnata 

sotto la loro stoffa o il colore di ciò che resta nell'ombra, custode di

segreti e di virtù, ma resto a dondolarmi su quelle note, tra profumi

che stordiscono e l'odore del mare che trasporta polvere d'ambra

     e salsedine come fosse un sidro d' assenzio .

Poi una di quelle donne che siedono di fronte si alza come

 punta da una zanzara e  staccandosi dalle altre viene verso di me.

I capelli neri e mossi incorniciano un viso regolare con due

occhi vispi che non stanno fermi un attimo, segnati solo da

un lieve tratto di  bistro.

La sua voce mi entra dentro la testa trasportata dalla musica,

mentre osservo le sue labbra tumide e perfette  e la  leggera piega

del naso all'insù. Un lieve smalto di efelidi rende glii occhi unici

e la fa sembrare più giovane, ma molti sono gli anni  che ci separano

ed io resto a guardarla riempiendomi gli occhi.

Non capisco cosa dice ma apro la mia giacca come un invito a

proseguire e il bianco della mia camicia sembra rapirle lo sguardo.

Poi allunga una mano e mi chiede di ballare, un gesto armonioso

come il battito d'ali di una farfalla che resta ferma sul suo fiore

in attesa di suggerne nettari dolcissimi.

 Vi sono uomini seduti ai tavoli che guardiano di sbieco come a 

voler intendere con un velo di invidia e coppie che sorridono

di tanta curiosa intraprendenza.

Le sue amiche ci fissano divertite e si stringono tra di loro

sussurrando come bambine eccitate mentre l'orchestrina si

dirige lentamente verso di noi.

Rimango incerto e divertito da questa donna col suo

svolazzante vestitino come una nuvola  bianca e sanguinante,

tacchi da mozzare il fiato di un rosso acceso. La musica ora è

intorno a noi così mi alzo con un po' di imbarazzo,  mi abbottono

la giacca avvitata e resto immobile nei miei pantaloni stretti,

tutto sembra avvolgermi in un manto di tenebra solo la mia

camicia dà un tocco di colore alla mia figura.

Anche la pelle

ambrata sotto il sole d'estate sembra un ombra o il cupo risvolto

di una maschera di bronzo, così lei sorride e con le dita mi

scuote i capelli e quel riso lo sento dentro come se battesse

i tasti della mia anima.

Poi la  bocca sembra chiudersi come un sipario sul suo teatro e

il suo sguardo si fa un po' triste,  sugli occhi sembra calare

un velo e le sue pupille dilatate penetrano nelle mie con

la forza di urugano.


L'orchestra si allarga e nella piazzetta tutto si fa silenzio mentre

balliamo tra gli sguardi irretiti. Movenze misurate e

sensuali disegnano forme intrecciate e plastiche figure  mentre

gli occhi bruciano la distanza e si promettono ben altre

battaglie nel cuore di una notte che ha il profumo degli oleandri

e il sapore dolce di un melograno...

Marvelius

 

 
 
 

La Riviera Dei Cedri

Post n°49 pubblicato il 10 Luglio 2013 da Marvelius
 


Avrei dovuto svuotare  fino in fondo il bicchiere che invece

come una pozza di olio salmastro era rimasto pieno sul  tavolino.

Una mano in tasca e l'altra a sostenere la testa puntellandomi

sul gomito a mordicchiarmi le labbra mentre folate di vento

mi infastidivano il viso scombinandomi i capelli .

 Sarei dovuto andare via, pagare il conto al cameriere

che con discrezione avrebbe ritirato il bicchiere e la bottiglia

facendo finta di niente salutando con voce chiara e professionale...

"Arriverla Signor  Marvel".

 Ma non lo avevo fatto, ero rimasto ingessato e muto

come un pesce a fissare la strada popolata di gente  e

quel bicchiere pieno e immacolato accanto

ad uno vuoto e trasparente.

 Figure decadenti e solitarie, icone di una giornata svilente

lungo la terrazza di un mare gaudente.

 Azzurre pennellate d'acqua cristallina tra le scogliere

tinte di un bianco schiumare e lì, arroccate come un falco alla sua roccia,

  le case  di pietra e le cascate di tetti rossi di Scalea.


"Ciao Marvy" 

fu il primo suono che udii giungermi alle spalle

ma non mi mossi come se fossi ancora sotto l'effetto di un ipnosi

che mi bloccava la gambe e le mani,

legato com'ero da un profondo senso di debolezza

con la testa infissa tra i fasci irrigiditi dei muscoli del collo.

Come rigide intelaiature senza più molle e articolazioni,

solo duri cordami tesi allo spasimo e costretti alla rinuncia,

 impossibilitati a convergere in ogni direzione

che non fosse l'orizzonte splendente davanti ai miei occhi.

"Ehi Marvy" 

mi urlò con un entusiasmo ovattato

da una fugace perplessità e girandomi intorno mi si pose davanti

facendo scivolare una mano sul bavero della giacca.

 Sentii il profumo della sua pelle ancor prima che la sua mano

mi sfiorasse, un afrore di cedro e bergamotto,

di foglie di arancio e limone, una intensa cascata di sensazioni

estive e ancestrali rimandi a una selvaggia natura che scendeva

a picco sui greppi della costa.

 Ora mi fissava con un sorriso raggiante ...

 "Marvy" 

mi disse con una voce che andava scemando nelle remote

cavità del petto

"Che hai?".

 Non dissi nulla . Restai in silenzio come una maschera

di un dio pagano tra le rovine di Lilyum. 

 


 Così quel suo sorriso temerario pian piano si spense

come un tramonto troppo veloce oscurato da nuvole e monti.

 "Bevi"...

dissi avvicinandogli  il bicchiere e la mia voce somigliò a

una fune da strangolamento che scivola intorno al collo,

ma lei lasciò cadere le mani lungo i fianchi e

si impresse nella sua immobilità.

 Le sue labbra da sempre avevano un qualcosa che mi turbava,

regolari e perfette terminavano in un ricciolo sottile,

una piega quasi impercettibile all'insù che rendeva la sua bocca

una costante promessa di  delizie di intimità.

 "Bevi..." 

insistetti penetrandola con gli occhi e lei ne fu oltraggiata

come se un ago le penetrasse le carni e

tenni per me il bicchiere vuoto.

 Mi guardò con un velo di meraviglioso incanto,

ma non quel torpore d'estasi che tende a irretire o a fermarsi

a contemplare per rapire e farsi rapire da una visione,

no era piuttosto il curioso incedere del dubbio,

il rimando vertiginoso a qualcosa che era dovuta succedere e

che non riusciva a ricordare, capire afferrare.

 "Che ti succede ... perche fai così?" 

 disse cercando di  apparire ferma nel suo vuoto precipitare.

 "Mi vuoi spiegare cosa c'è non va?"

 aggiunse  vacillando dalla sua torre che sembrò flettere

sotto i colpi di un assedio silenzioso quanto terrificante.

 Le mie labbra si allargarono dolcemente in una smorfia 

poi un sarcastico sorriso prevalse imperioso sul viso contratto che ora

andava distendendosi per afferrare con imperio il dominio del campo.

 "Non lo sai ?"

  replicai con voce tagliente come un coltello affilato  passato tra le fiamme.

 Scossi appena la testa allungandomi  verso di lei che  ancora in piedi

somigliava una statua di marmo, una di quelle cariatidi che

sostengono  gli archi e le travi dei templi di Sibari tra gli acroteri dorati

e fastigi ornati dai sapienti .

 "Cosa dovrei sapere ..."

 balbettò consumando nell'attesa  le ultime lettere di quelle parole

che uscirono da quelle labbra meravigliose come bruciate dal vento.

 Mi alzai dalla sedia con un certo effetto, tutto nei movimenti

sembrava studiato da un grande regista e da un attore consumato,

 raccolsi il cappello e lo indossai con eleganza, poi tirai fuori dalla tasca

una banconota e la spinsi vicino  al bicchiere pieno,

picchiettai con le dita lungo il bordo del tavolo e con l'indice

accarezzai il collo della bottiglia, infine alzai lo sguardo su di lei

e la fissai con insistenza.

 Bruciai la distanza che ci separava come le fiamme di un averno

irrompe nei covoni di un campo di grano.

 Uno sguardo intenso penetrò i suoi occhi tremanti, le mie labbra

piano si chiusero  sul biancore sfacciato di denti serrati in una morsa.

Ascoltai il mio cuore rullare e  mi sentii come un cane che fiuta

la sua preda in quell' intenso guatare e alla fine sotto l'assedio

della mia collera tenuta al guinzaglio lei crollò,

abbassò lo sguardo e le lacrime iniziarono a scorrere sulle guance

e i bordi della labbra, cercò di asciugarsele con le mani

con una tale eleganza che fece presa su di me come una fune

che trascina in mezzo al guado, ora eravamo due veri attori

o due grandi amanti che si dicono addio sul molo di un antico porto.

 Mi avvicinai a lei senza un grande entusiasmo ma ero lì

di fronte ai suoi occhi arrossati, lei cercò di poggiare il suo capo

sulla mia spalla  in un estremo tentativo di diradare labruma

che ci stava avvolgendo, mi ritrassi di quel poco che la fece desistere

dal farlo ma che dette ancora più vigore al suo pianto.


 Le sfilai dal canto e le diedi un bacio impercettibile su una guancia

e sembrò che il vento l'avesse sfiorata col soffio caldo delle sue labbra

poi  giratomi le passai oltre immergendomi

nella luce abbacinante del tramonto.

 Camminai con passi misurati sulla strada piena di gente

senza voltarmi  ma  dentro di me sapevo che lei si era girata

e col cuore in gola aveva atteso che mi fermassi e che voltandomi

alzassi un pò il cappello sulla testa e poi infilando le mani nelle tasche

con i fronzoli e le pieghe della giacca a rendermi un maledetto bastardo

le sorridessi ...

lei sarebbe corsa ad abbracciarmi e stringendomi avrebbe sussurrato

tra singhiozzi di una gioia ritrovata

  "Ti amo  ... perdonami ..."

 Ma il sole era oramai dietro le colline e se anche la gente seduta

al bar attendeva che quella scena fosse l'epilogo possibile di quella storia

tutto rimase come in un film senza lieto fine.

 Non sono mai tornato indietro nella mia vita,

sempre volto ad andare avanti, nella cieca speranza di un orizzonte,

di un avventura che mi consumasse tra i tentacoli delle sue meraviglie.

 Sparii per sempre da quel posto immergendomi pian piano nella folla

e non la rividi mai più.

 Quei lucidi capelli bruni annoccati dietro al capo,

gli occhi felini di un castano profondo, quell'incarnato bianco e delicato

nei profumi d'oltremare, chiusa in un  abito nero stretto sui fianchi,

le gambe perfette velate da calze  e da un filo nero che spariva

sotto il vestito tra le cosce serrate dalle stringhe della sua guepiere ...

 

 

la rivedo nella mente come tra fumo di china,

la ricordo così quella mattina di agosto,

la ricordo ancora ...

 la ricorderò per sempre ...

Marvelius

 

 
 
 

Attimi...

Post n°48 pubblicato il 06 Luglio 2013 da Marvelius
 

 

 

Ho librato tra rupi e scogli, tra le fiamme e le tempeste di mare,

su deserti infuocati ho spiegato le mie ali d'argento

e quando stanco ho cercato un riparo

ho trovato solo sibili d'aria tra la grandine ghiaccia .


 Eppure  i mie occhi hanno visto le meraviglie del creato

e la mia pelle saggiato la frusta del tempo

senza che una lacrima si sciogliesse in un alito di vento

e in questo viaggio lungo tutta una vita

non ho avuto un attimo per riavvolgere  il filo della memoria.

Solo ora raccolgo, come grani di un rosario, le  gocce dei ricordi,

come pietre di mare che gorgogliano  tra la risacca che smuta.

 Pongo ai miei piedi biglie di cristallo, 

le lascio cadere una a una nella schiuma che va  morendo .

Simili a lampi di luce malferma  si rincorrono

come fiammelle d'oro luccicante

e bruciano nell'attesa della mutazione.


Non ho passato e non ho futuro,

ma ciò è solo un inganno al mio presente,

alla mia indole dolce e testarda,

al cuore che come un mantice aspira nettare d'oltremare.

Nel corpo chiuso tra il suo giaco di metallo

e alla mente che si arrocca nel suo castellare

  resto fuso

come nel basalto dei miei sovrumani silenzi.

Silenzio è lo spazio che mi circonda nelle notti di luna,

Silenzio non Solitudine.

 Piccoli fruscii d'ombra tra l'organza smossa dal vento.

 Silenzio è il mio nome sussurrato tra corpi indomiti e nudi.

Scivola tra le mie labbra come parole corrose da languidi bisbisci

e in questo vagare, tra soffici tappeti d'erba,

intingo le dita tra la calura d'acque vespertine,

come il suggere d'api tra fiori dormienti ...

Marvelius


 

 
 
 

La Sera

Post n°47 pubblicato il 11 Giugno 2013 da Marvelius
 

 

 

Giunse tra due fila di canapi rossi

seguita da musici festanti

e una moltitudine di  ancelle danzanti

Sostò sull'uscio dell'orizzonte

come una chiave dinnanzi al suo serraglio

ne contemplò i limiti

e le ombrose frescure

 

 

Tra quei fiori e quelle ghirlande profumate

ebbi l'impressione che fosse felice

Solo un piccolo esitante guizzo

negli occhi chiari e trasparenti

sembrò attraversarla

Un dubbio che invitava alla prudenza

come un fugace stridulo fischiare del vento

o un lieve tremolio d'ombra

in quella luce accecante.

Ma fu un attimo

e tutto scomparve

tra i canti  della gente

e i suoni gentili degli strumenti ...

M.lius

 

 
 
 

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