Mondo Jazz
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martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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JAZZ & WINE OF PEACE
Pipe Dream
violoncello, voce, Hank Roberts
pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Messaggi del 15/07/2012
Post n°2327 pubblicato il 15 Luglio 2012 da pierrde
Assistere al declino fisico di un grande jazzista è spettacolo in se straziante, sopratutto se il personaggio in questione ha abbondantemente colmato di emozioni e gioia per lunghissimo tempo ogni appassionato di jazz che è accorso per vederlo suonare ad ogni angolo del mondo. Erano oramai diversi anni che non ascoltavo Sonny: ancora non aveva i capelli incanutiti e lunghi, il problema all'anca non era visibile e nonostante l'età che avanzava il leone ruggiva senza mostrare scalfitura alcuna. Purtroppo non è più cosi', gli acciacchi sono visibili, la voce strumentale ogni tanto si incrina ma lo spirito continua a volare altissimo. Le differenze rispetto al passato non riguardano solo la torrenzialità degli assolo, ora decisamente più contenuta, ma molti altri aspetti del concerto: molto più spazio è lasciato ai musicisti, tra l'altro uno dei migliori gruppi di cui Sonny si è circondato negli ultimi anni, il numero delle ballads si è allargato a discapito dei calypso danzanti e irresistibili, la durata della esibizione è quella canonica senza bis e con Don't Stop The Carnival eseguita non come festoso finale ma a metà esibizione quasi a voler fare intendere che i tempi sono cambiati. Struggente Rollins quando dedica Serenade, una ballata dolce e romantica, all'amico Vittorio Franchini, storica firma del Corriere della Sera. L'inizio invece è affidato a Pantanjali, una delle composizioni più recenti e poi il repertorio pesca sopratutto tra le composizioni di Sonny, Please, l'ultimo album registrato in studio. Un concerto dolce e amaro, intriso di malinconia che pervade gli occhi di chi Sonny ha imparato ad amare per quel colosso sia fisico che sopratutto musicale che è stato e che sempre sarà nella storia della nostra musica. E poco serve ad attenuare questo sentimento la notizia che Rollins sarà nel programma del prossimo anno e che sarà affiancato da Enrico Rava e Paolo Fresu come omaggio ai 40 anni di Umbria Jazz. Il concerto più emozionante a cui ho assistito, indipendentemente dal valore musicale.
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Post n°2326 pubblicato il 15 Luglio 2012 da pierrde
Negli ultimi dieci anni ho partecipato tre volte a Umbria Jazz. Un lasso di tempo sufficiente per verificarne gli umori, assistere ai cambiamenti, osservarne le trasformazioni. Perugia è una città straordinaria: il centro storico medioevale è interamente un'isola pedonale e l'atmosfera che si instaura nei giorni del festival è di festa. Una festa non necessariamente del jazz, anzi al proposito ho le mie riserve, ma è indubitabile l'esplosione di musiche e musicisti ad ogni angolo e piazza che, tra l'altro, hanno preso il posto dei punk-a-bestia giustamente cancellati dalla storia. Parlo dei ragazzi mediamente di buon livello musicale che si sono esibiti praticamente ovunque e non dei gruppi ufficiali, che invece come di consuetudine nei concerti gratuiti, hanno visto alternarsi proposte tra le più diverse tra di loro nella più o meno generale apparente indifferenza dell'enorme folla di giovani. E' questo uno dei dati che più mi ha colpito: il pubblico dei concerti paganti è molto più in là come età media e anche meno numeroso rispetto allo sciame impressionante di ragazzi sostanzialmente estranei alla musica, salvo forse per il set del DJ Ralf. Un set che ho avuto l'ardire di fendere, cercando faticosamente di farmi largo per raggiungere il Teatro Morlacchi e che francamente non mi riesce di giustificare. E' come se ad un festival letterario dopo aver dedicato uno special a Jorge Borges se ne prospettasse un'altro per Moccia. Si sarebbe subissati dalle pernacchie e dalle risate, invece a Perugia la stessa sera si propone Ralf e Rollins. C'è una logica ? Io credo di no, a meno di non considerare aspetti meno artistici e più riguardanti il business magari mascherati da una visione finto-ecumenica della musica, ma che comunque ritengo mortificanti per un festival con la storia di Umbria Jazz.
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Post n°2325 pubblicato il 15 Luglio 2012 da pierrde
Arrivo a Perugia giovedi', il settimo giorno dall'inizio del festival, in tempo per il concerto della Unity Band di Metheny. Il nuovo gruppo che vede la significativa presenza di Chris Potter al tenore riporta in parte alle atmosfere dell'album 80/81 in cui era fondamentale la presenza di Michael Brecker e Dewey Redman. Ho assistito molte volte ai concerti di Metheny, sopratutto a quelli in chiave più jazzistica, e non ne sono mai rimasto deluso. Musicista generoso, solista straordinario, persona di rara modestia, Pat anche questa volta ha sfoderato una ottima performance. Pur tuttavia la sua proposta musicale raramente mi ha emozionato o coinvolto totalmente, e cosi' anche questa volta ho provato sentimenti diversi come ammirazione, considerazione e stima ma non è scattato il feeling e la sintonia. Inizio in solo con la chitarra Pikasso a 42 corde e poi via via si susseguono i brani scritti appositamente dal leader per il nuovo gruppo. La voce post bop di Potter è decisiva a traghettare la proposta complessiva in un ambito meno prevedibilmente metheniano, costruito su quelle caratteristiche note allungate e in tonalità acuta; la sezione ritmica è formidabile e Metheny concede anche una passerella ad ognuno dei membri del gruppo con tre duetti deliziosi e corroboranti. Tra i brani presentati spiccano New Year con Potter in bella evidenza, la bella ballata This Belongs To You con Pat all'acustica; Turnaround è l'omaggio a Ornette Coleman e poi naturalmente Signals, il brano più coinvolgente con l'utilizzo della Orchestrion, un insieme di tastiere e percussioni comandate direttamente dalla chitarra. Me ne vado mentre eccheggia come bis This Is Not America e con la consueta contrastante e curiosa sensazione di aver assistito ad un ottimo concerto senza peraltro averne tratto grandi emozioni. Il concerto di mezzanotte al Morlacchi è un omaggio al centenario della nascita di Gil Evans e vede protagonisti una giovanissima orchestra americana, la Eastman Jazz Orchestra diretta da Ryan Truesdell che rilegge le pagine di Gil scritte appositamente per Miles. Tocca a Quiet Nights, mai più suonata dal vivo dopo l'incisione originale, con Fabrizio Bosso solista e a Sketches of Spain che invece prevede Paolo Fresu alla tromba. Sembrerebbe tutto scontato e non particolarmente originale ed invece godibilità ed emozioni traboccano letteralmente dal palco alla sala. Evidentemente il passa parola ha convogliato un numerosissimo pubblico in teatro, poiche' l'orchestra è al suo sesto concerto ed il pubblico è particolarmente caldo e ricettivo. Il virtuosismo di Bosso e il canto lirico di Fresu sono di una freschezza e amabilità contagiosa, gli arrangiamenti sontuosi ed il livello dei giovani musicisti sorprendente. Tutti ingredienti che contribuiscono a scacciare la stanchezza e a godere di un concerto che sembra non finire mai. Solo oltre le due di notte con una meravigliosa versione di So What che vede le due trombe incrociarsi il pubblico pare placato e sazio. Una vera goduria, il concerto più divertente dei miei tre giorni a Perugia.
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