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Messaggi del 22/12/2022

La Reggia e il tristo esilio.

Post n°2370 pubblicato il 22 Dicembre 2022 da fedechiara
 

La Gloria maggior dopo il periglio. 22 dicembre 2020
E sarà per il cesarismo incauto dei coniugi Zara/Pasin, intestatari della villa che ho nei pressi di casa, che hanno finalmente installato il cancello dell'ingresso laterale dopo lunghi anni di incuria e sopra vi hanno apposto la corona dorata dell'Impero e il serto napoleonico, di quando la villa era sede dello stato maggiore nel corso della campagna d'Italia – che mi decido a dire perché considero un filo pazzo quell'Uomo che, in morte, si meritò i noti versi manzoniani:
'Ei fui, siccome immobile / dato il mortal sospiro / stette la spoglia immemore / orba di tanto spiro. Così, percossa, attonita / la Terra al Nunzio sta / muta…'?
La Storia vista dalle radici ha prospettiva fortemente schiacciata, come il Cristo morto del Mantegna coi piedoni in primo piano, ed è per questo che, col senno di poi, mi appare pura follia quel cesarismo del Bonaparte che si fece imperatore dei francesi calcandosi d'imperio in testa l'antica corona degli avi conquistatori e lasciando a muso duro il papa da un canto, chiamato a presenziare obtorto collo alla cerimonia - testimone passivo di un evento per lui altamente indigesto.
Come poteva quell'uomo, pur vincitore di molte battaglie campali nelle frammentate terre di Europa, non avere il senso della caducità degli umani eventi, il suo compreso, e non pensare che la sua statua imperiale che seppelliva la Rivoluzione con ignominia, aveva i piedi d'argilla – come tutti i neo regni satelliti fragilmente dominati dai suoi fratelli e sorelle e dal vario parentado imperiale?
E che dire di quella sua ricerca ossessiva di un erede che lo spinse a ripudiare l'amatissima Josephine e a prendere in moglie dinastica Maria Luisa d'Austria – la figlia di un altro imperatore sconfitto in battaglia- che mai amò il suo obbligato parto francese e lasciò il figlio, il preteso 're di Roma' napoleonico, solo e depresso a Vienna, nell'ostica corte del nonno severo, a considerare tristemente uno zero tondo quei soli ventuno anni di vita concessigli da un destino 'cinico e baro'?
Tutto quell'amabaradan di trionfi - e i quadri di pittori famosi e la colonna celebrativa di place Vendome e i poemi a lui dedicati di poeti servili - tutto confluì, nel breve volgere di un decennio fastoso e inebriante, nella discarica dell'esilio dell'Elba e nella cocente illusione di un ritorno ai fasti imperiali conclusa sul campo di Waterloo fitto di morti e feriti - e quell'espressione scatologica di disappunto di Cambronne, il generale giunto in ritardo all'appuntamento con la Storia.
Ma, forse, la grandezza di quel condottiero che rese definitiva la cesura storica della Rivoluzione che lo aveva lanciato nell'agone della Grande Storia è tutta contenuta proprio nello sfidare impavido che fece la brevità dei decenni, in barba al senso del ridicolo che proviamo noi che lo osserviamo dall'alto degli anni duemila e venti e siamo testimoni della sua riduzione a cenere e polvere e dei guasti che ne seguirono.
E, con Manzoni, riflettiamo sulla caducità da lui bravamente sfidata con la stessa follia che animava Alessandro Magno, Cesare e Annibale Barca il Cartaginese – capace di sconfiggere a morte l'impero di Roma, ma finito, poi, esule in Oriente dopo la definitiva sconfitta di Zama.
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.
(...)
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
Sono strane davvero le orme del Massimo Fattore.
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Le briciole di Epulone e l'oppio dei popoli.

Post n°2369 pubblicato il 22 Dicembre 2022 da fedechiara
 

Le briciole di Epulone e l'oppio dei popoli.

Chi ha visitato Buenos Aires - oggi luogo di osanna calcistico e di follie di massa che hanno causato due morti (prime stime) e feriti e dispersi – sa che, superate le prime file di 'quadras', di là dell'avenida 9 de julio, si estende la 'grande Buenos Aires' della clamorosa sfilata di miserie che si può osservare dal taxi che vi mena agli alberghi del centro.
E' verosimile che i due milioni e più stimati di esaltati che si sono intruppati clamanti e danzanti lungo i 45 km del percorso celebrativo dei campioni della pedata reduci dal Qatar provengano, nella stragrande maggioranza, dai quei quartieri di miseria cronica e irredimibile – a conferma che 'panem et circenses' valeva ieri e vale oggi, anche di più, stolido compagno dell'oppio del popolo delle religioni denunciato dai padri fondatori del socialismo.
E, rimedio peggiore del male, ecco i trionfanti campioni vittoriosi, farsi largo nel corteo dei peones urlanti con il loro pullman - a rischio di assalti fatali ed incidenti gravi – e raggiungere un eliporto e salire sugli elicotteri per spargere le loro benedizioni dall'alto.
Chi sta in alto e chi sta in basso – è denuncia poetica di Bertolt Brecht che ci insegna che tutti i milioni del mondiale di calcio, sottratti d'imperio ai campioni e agli sceicchi, non basterebbero a coprire un decimo delle briciole che un ricco Epulone, folgorato sulla via di Damasco,volesse distribuire ai poveri di quella tragica metropoli per oltrepassare la fatale cruna dell'ago di un improbabile ingresso in Paradiso.

 
 
 
 
 

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