Post n°11 pubblicato il 17 Dicembre 2014 da bellicapellidgl3
Un anno fa, esattamente un anno fa, mi preparavo a dare una delle notizie più difficili della mia vita. Un giovane uomo, era un fotografo, infatti aveva un modo molto “visivo” di comunicare con le parole. “Siete la mia ultima spiaggia” disse. Ma i suoi occhi dicevano altro. Era una sfida difficile, ammetto, ma ho creduto anche io di poterlo rimettere in piedi con delle calzature adeguate. Chi mi conosce sa la ferocia che può assumere la mia determinazione. Lui mi parlava, mi parlava molto. Io ascoltavo. Ma poi ho dovuto fare una scelta. Esiste un momento in cui l’accanimento può uccidere. In cui la soluzione più drastica e disperata è l’unica per ritornare a vivere. Dovevo prendere una decisione. Entrai nella stanza del mio primario, più per avere un conforto che una risposta: ”Non possiamo sempre vincere” mi disse e mi chiamò per nome. Io tacevo carica di frustrazione, lo guardavo come se potesse tirare fuori dal cilindro una soluzione alternativa. “Vuoi che ci parli io?” mi chiese con dolcezza. Io avevo solo voglia di tirare giù tutti i libri dagli scaffali come le isteriche di certi film. “No, grazie. L’ho gestito io, è giusto che ci parli io”. Lui pianse. L’unico caso nella mia vita fino ad oggi. ”Lei sarà un uomo rinato, so che in questo momento sembra la cosa più drammatica del mondo. Tornerà a rimettersi in piedi, si riprenderà la sua vita”. Intanto il senso di fallimento mi schiacciava, provavo una sofferenza acuta proprio al centro del petto. Circa sei mesi dopo qualcuno bussò alla porta del Day Hospital. E in piedi. Per una frazione di secondo faticai a riconoscerlo. Una giacca di tweed, gli occhi nerissimi. E mi disse qualcosa che non ho più dimenticato: “Dottoressa, quando incontrai il Dalai Lama, molti anni fa, mi disse una cosa per me allora incomprensibile. Mi disse: -Quando non potrai più camminare, comincerai a correre- Finalmente oggi so cosa volesse dire”. |
Post n°10 pubblicato il 13 Dicembre 2014 da bellicapellidgl3
L’ho capito quando ho aperto gli occhi questa mattina come sarebbe stata. Eppure era la mia mattina del sabato, quella tutta per me, quella delle amiche al bar da cui non veniamo mai via, di De Gregori a palla nell’abitacolo, dell’andiamo tutte insieme a comprare una borsa, quella del calore della confidenza, del conoscersi da anni, del compriamo un pensierino a Roberta per quando uscirà dall’ospedale. Le mie amiche, tutte straordinariamente diverse, ma ineluttabilmente solidali. Però. Io non ero io, insomma, avevo interferenze fastidiose che mi impedivano di dedicare loro tutta la mia attenzione. Vane mi mette un braccio attorno alle spalle: ”Che hai?” mi chiede. “Che ho?” ripeto come una cretina, mentre penso che mica lo so qual è la risposta. Cerco di non rispondere mai a caso a una domanda vera. “Sono opaca?” azzardo. Lei mi sorride con quei suoi zigomi alti, piena di capelli com’è, forse ha capito meglio di me cosa ho perché mi dice, dopo una pausa a effetto che ha la precisa funzione di riportarci su un livello frivolo: ”Ho un cappottino rosso praticamente nuovo. Lo sai quanto mi sbatte il rosso no? Non so nemmeno perché l’ho comprato. Voglio che lo prenda tu”. “Ieri sera ho visto quel film, o meglio l’ho rivisto” le dico. Sa che parlo di Innamorarsi, me lo rivedo con una cadenza quinquennale, appena il tempo di averne smaltito gli effetti. Sospira. “Non credi che ciascuno di noi, almeno una volta nella vita, dovrebbe essere guardata come De Niro guarda lei?” chiedo. Vorrei che mi dicesse di no, che quello è solo un film, lo hanno scritto a tavolino, hanno deciso su un foglio come dovesse andare a finire, accidenti a loro. “Tu non prendi mai il treno, ecco perché” mi stuzzica senza guardarmi mentre continuiamo a camminare. “Scema”. Lui che le dice, guardandola facendo in modo di non guardarla (ma come farà?): Quel film mi dà un senso di malessere che non posso descrivere, un senso di perdita e di rimpianto e di non vissuto e di invidia. Ecco sì, muoio di invidia, dopotutto. Lei che corre disperata quando sa che lui sta per partire per sempre, la bellezza della sua lotta intestina che esplode in quella scelta coraggiosa e che muore davanti a un passaggio a livello chiuso. Camminiamo in silenzio, sentiamo dietro di noi le risate delle altre, parlano di orrori culinari. Argomento su cui ci intendiamo benissimo (quello degli orrori). “La vita è una stronza” mi dice. Rifletto. Guardo il suo profilo familiare, la sua borsa gialla. E rispondo: ”Sì. Ma anche noi non scherziamo”. |
Post n°9 pubblicato il 09 Dicembre 2014 da bellicapellidgl3
Il valore degli oggetti non può essere stabilito guardandoli. Io ho un legame morboso con poche cose, credo che cederei più volentieri il mio portagioie che peraltro tengo in bellavista sul comò. La collana regalatami da mamma più di dieci anni fa, comprata per cinque euro ad una bancarella, che resiste all’usura, agli sguardi disgustati delle altre collane che le stanno intorno, con la chiusura oramai rotta e sostituita da me con una certa pervicacia (che sfiora la malattia mentale) con una spilla da balia. Poi c’è il libro di nonna, quella nonna con la terza elementare e una sensibilità straordinaria, che teneva sul comodino Cent’anni di solitudine e riusciva a rileggerlo a spezzoni senza nemmeno aver fatto uno schema (come me) di quell’immenso albero genealogico dei protagonisti. In un cassetto, reduce da almeno tre traslochi, ho una reliquia in un cassetto del comodino. E poi ci sono gli orecchini di oro giallo con la pietra nera.
Alcuni oggetti possono parlare, ma possiamo capirli solo noi.
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Post n°8 pubblicato il 03 Dicembre 2014 da bellicapellidgl3
1. Io e mio nonno torniamo da un giro in bici in campagna. A casa la nonna sta mettendo nei piatti il risotto. Ci sediamo a tavola, chiedo al nonno se posso assaggiare un po' del suo vino. Lui mi guarda soppesando le mie parole col suo sguardo torvo, ma me ne versa un goccio nel mio bicchiere che diventa rosa. So che gli vorrò bene per sempre. 2. Londra. Ha smesso di piovere, ora solo gocce fini. Alessandro ha una felpa grigia ed è fradicio sulla spalla sinistra, perché in due sotto l'ombrellino di suo fratello si sta stretti. A metà strada tra la scuola e la casa della mia famiglia ospitante, c'è una chiesa col tetto spiovente. Ci fermiamo là sotto, io appoggio per terra l'ombrello. Alessandro mi prende il viso tra le mani e spegne sul nascere quello che stavo per dire. 3. Io e Carmen affacciate alla finestra della nostra casa, una casa che ci ha visto insieme per sette anni, dio solo sa cosa direbbero le mura se potessero parlare. E’ una notte senza stelle. Siamo in silenzio, il suo braccio sfiora il mio. Sento che è la sorella che non ho mai avuto. La nostra complicità è più forte di tutto. Ci siamo laureate due giorni prima, lei partirà, ma io so che nessuna distanza potrà separarci. Esistono notti in cui il cielo può essere azzurro. 4. Siamo a lezione, lui per caso si siede vicino a me. Ho il cuore a mille, so che dirò cose banali.
5. E' in ritardo, ma non è la sua città e oggi non mi sembra nemmeno la mia. Sono in un bar sconosciuto, ho messo il vestitino nero, volevo essere sensuale senza apparire vistosa. L’attesa mi sta consumando, fisso la porta in trepidazione. Tutto dipenderà da questo incontro. Forse tutta la mia vita, penso. Mi chiama al telefono, vai verso le bandiere, gli dico. Ci sono davanti, dice lui. Eppure non riusciamo a vederci. (C’erano maledettissime bandiere anche dalla parte opposta del piazzale antistante).
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Post n°7 pubblicato il 30 Novembre 2014 da bellicapellidgl3
Quando sembra che la vita scorra, sorniona, all’apparenza in acque tiepide, abbassi la guardia, dimentichi terre sommerse che potrebbero riemergere quando meno te l’aspetti, avanzi navigando a vista. Ed invece accadono cose che credi di poter gestire, ti adoperi, tieni la testa alta, le sistemi in quella vita che hai e vai avanti dicendoti che tutto è a posto. Ma poi devi saper gestire il contraccolpo, ferite che credevi ormai superate, mica lo sapevi che facevano ancora male. Non sempre sono così solida come penso. Oggi mi sento così esposta che non potrei permettermi nemmeno di uscire di casa. Forse gli spettri non sono reali, ma sono reali negli effetti. |
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