Mi alzai. Tossii. Mi venne un conato di vomito. Mi infilai lentamente i vestiti. "Mi fai sentire uno zero", le dissi. "Non posso essere così tremendo! devo avere anche qualche lato buono!". Finii di vestirmi. Andai in bagno e mi buttai un po' d'acqua sulla faccia, mi pettinai. Se solo potessi pettinarmi anche la faccia, pensai, ma è impossibile. Quotidiani deliri e farneticazioni di un povero stronzo.
Post n°262 pubblicato il 04 Febbraio 2013 da chinasky2006
Comunicazione funebre. Questo blog muore di morte all'improvviso. Lo ammetto, mi ci ero un poco affezionato. Quasi come al diario pallonaro delle scuole medie con Van Basten in copertina, con la sua bella maglia ombrata color orange. O come ad un criceto. Ma pure i criceti crepano e volano nei loro bellissimi paradisi di ratti, pieni di ruote su cui si baloccano con lo stesso sguardo arguto di Gasparri. Ma, tant'è. Un caloroso saluto ai due, impavidi, lettori rimasti (che potevo avvisare via mail, o con sms). Da zemaniano convinto, non sono e mai sarò un bravo internauta paraculo che lascia ruffiani commenti nell'etere, fa complimenti, dice bravo-bis, followi o retwitti, per ottenere una sontuosa fellatio di scambio. E la conseguenza è rimanere solo con due eroici lettori. Uno è Napoleone, il gatto. Attivissimo e in calore. Se ci aggiungiamo la prolissa monotonia insita e mancanza di accenni al sesso spiccio o al crudo "cazzo" che tanto piace a chi non ce l'ha, allora la conclusione è scontata. Forse non mi leggerei nemmeno io, preferendo riparare sul sito della D'Urso. Ma siccome ho abolito tutti i vizi: la droga, la fornicazione fuori dai pasti, l'alcool abbruttente e le droghe pesanti, come surrogato di qualcosa (non pensate al fallo, per cortesia...) rimane la scrittura. Onde ragion per cui continuerò a scrivere altrove. Cambia poco, ma almeno non mi verrà il latte alle ginocchia come manco la vacca di "Milka", quando apro codeste pagine. Il blog si trasferisce qui: Di tennis invece, nei giorni di plenilunio, scriverò ancora qui: http://tennispsiche.blogspot.it/ Ringraziando anticipatamente, le esequie si terranno domai alle 17,00 nella chiesa sconsacrata di San Ozzy Osbourne, al civico 666, di Springfield.
Post n°261 pubblicato il 31 Gennaio 2013 da chinasky2006
Ore convulse al quartier generale del Messia Silvio, di ritorno dalla discoteca dopo una serata danzante con la 27enne fidanzatina. A gettito continuo i galoppini gli srotolano papiri egizi sui sondaggi del Pdl dopo la trionfale apparizione a “Servizio Pubblico” e la geniale uscita sulle veniali colpe del fascismo: +2,5, +4,9, +11,9, +42,6, +71,9, fino ai più entusiasti e sognanti che si spingono su un clamoroso +127% per un totale del 453% dei voti totali. Il messia è raggiante. Gli occhi a fessura ridono, lacerandogli seicento punti di sutura. Da dietro la nuca gli si srotolano due metri e mezzo di pelle appesa. Ma non c’è tempo da perdere, bisogna portarsi avanti col lavoro. Data per scontata la vittoria in remuntada, si siede attorno a un tavolo ovale assieme ai suoi collaboratori, per stendere preventivamente la squadra di governo della libertà. Lui seduto, e gli altri genuflessi che ululano sinistri cori di ringraziamento tribali, mano a mano che vengono snocciolati i nomi. Ministro dell’Interno: Dell’Utri. Mai uomo fu più adatto per gestire le intricate questioni istituzionali del paese, tra tutte la lotta alle mafie che sarà missione primaria. Il sultano pare avesse un sogno: rintracciare Don Vito Corleone. Ma dopo accurate ricerche ai Caraibi, gli instancabili “segugi” sono arrivati alla conclusione che il suddetto non sia mai esistito. Ministro della Giustizia: Rita Dalla Chiesa, con sottosegretario il figlio del compianto Sante Licheri (Nuzzo). Il Premierissimo, per far risparmiare danari agli italiani, aveva intenzione di abolire il Ministero, divenuto obsoleto e inutile dopo l’epocale “riforma della giustizia”. Ma poi, complici le proteste internazionali, ha desistito. Grosso modo, i processi si terranno giornalmente su Rete4, mediante puntatone speciali di “Forum”, presentate e supervisionate dallo stesso Ministro. Le cause verranno estratte a sorte con emozionante sorteggione. Deciderà il pubblico in studio (i giurati) coi sassi nella bilancia, il pm (un pupazzo vestito da Di Pietro) si limiterà a sbraitare in uno strano idioma tra le risate del pubblico e al posto del giudice sarà posizionata una pianta grassa. Gli antichi Tribunali verranno sostituiti da mattatoi comunali, Giudici e Pm riciclati come pubblico non parlante di “Uomini e Donne” o antenne umane di Mediaset nei giorni di temporale. Ministro della Difesa: Il 94enne Venerabile Maestro Licio Gelli. Fiore all’occhiello del nuovo esecutivo. Il lucidissimo Gran Maestro della Loggia Massonica P2, dopo anni di oscuro lavoro come plenipotenziario al Ministero dell’Interno, porterà la sua centenaria esperienza al servizio delle vicende internazionali, mantenendo lo Status Quo. Concesso l’utilizzo di un cappuccio durante le sedute del Consiglio dei Ministri, e sacrifici umani. C’è rimasto un po’ male La Russa, ma a lui andrà comunque un sottosegretariato, con tanto di soldatini di latta, carrarmati e jet militari dell’esercito italo-tedesco che sgomineranno l’esercito bolsceviche (“Pim! Pum! Pam! Muori comunista!”). Ministro del Lavoro (con delega al mignottame di lusso): Giampy Tarantini. Chi meglio dell’imprenditore barese potrà adoperarsi per risolvere il drammatico problema della disoccupazione giovanile. Già predisposte enormi navi da crociera piene di escort e hostess da portare (via mare) nella villa del sultano benefattore. Altro che viaggi della speranza all’estero: “I viaggi dell’eleganza” made in Italy, con cui si infliggerà un mortale colpo all'occupazione. E gli uomini? Chi è bravo diverrà gestore di ancelle. E le bruttine? Che diamine, ci sono tanti mestieri: costumista, truccatrice e pettineuses della battone di corte. Ministro delle pari opportunità uomo donna: Gabriele (o come dicean tutti Lele) Mora. Dopo la Carfagna s'è pensato a un’altra donna, per un incarico simbolicamente importante. Lavorerà in strettissimo contatto col Ministro del Lavoro, ovviamente, nell’ambito della sontuosa riforma del lavoro che impiegherà tantissime nuove occupate nella devota arte superiore. Porterà in dote la sua trentennale attività sul campo e valorizzazione morale del ruolo della donna, come un oggetto che può dare temporaneo piacere al potente di turno, stanco dalla faticosa giornata passata nello sconfiggere il comunismo. Ministro della Scuola e dell’università, con delega al “briffaggio”: Nicole Minetti. Indecisa fino all'ultimo, ha sfogliato la margherita: meglio un filmino porno o fare la ministressa? L’igienista dentale del premier gestirà e svecchierà l’obsoleto sistema scolastico ed universitario italiano: tutto un fiorire di Università e studio delle materie fondamentali per la crescita culturale dei giovani. Ovviamente con l’ausilio dei migliori professori del paese e qualche battona in congedo: Istituzioni del travestimento e dello strip-tease, pompa acrobatica al priapo, storia del “non mi interrompa” durante i talk-televisivi, ed esegesi dei comizi elettorali di Silvio. Nelle aule, il crocifisso sarà sostituito da uno stemma delle libertà, e la foto del presidente della Repubblica sostituita con quella del messia 27enne, con la bandana. Ministro dell’Economia. Anonimo. Un dicastero ambitissimo, e delicato. Alla fine si è optato per un 89enne pensionato di Brugherio, vincitore della lotteria di capodanno 1995. Da uomo che “ce l’ha fatta”, chi meglio di lui potrà dare le linee guida per la ripresa economica del paese? Altro che quei professoroni che non hanno mai lavorato un giorno. Ovviamente, previa analisi del curriculum e attestazione di una sua condanna penale passata in giudicato. Pare, ma è solo un’idea, che nuova moneta verrà stampata dal messia in persona, e distribuita alla suburra. “Ma non ha alcun valore, sono soldi del monopoli!”, s’è lasciato andare Capezzone, in un picco rivoluzionario. “Come osa contraddirmi? Se mi hanno creduto, votandomi, crederanno anche che coi soldi del monopoli potranno pagare la tassa di povertà che gli metteremo. Io sono un vincente!” Risate incontenibili. Ministro della Cultura: Lavitola. Era in ballo anche per il Ministero degli Esteri date le sue competenze in vicende di falsificazioni panamensi e latitanza ai tropici. Alla fine ha ottenuto la Cultura. Dicastero meritatissimo, dopo la celeberrima missiva al Presidente. “D’avvero, con questa mia addirvi, che nessuno lei ce lo sa che saprebbe giammai quantunque io potrebbi sapere alcunché. Con cordialità e stima affettivamente e semprre a sua ‘sposizone.”. Esprime in pieno la cultura dell’elettore medio non alfabetizzato della casa della libertà, nonché il sentimento di devozione piena e disinteressata che alberga negli adepti. A bocca asciutta Martufello, Pippo Franco e Iva Zanicchi, fulgidi esempio della cultura moderata del nostro paese. Ci è rimasto malissimo Sandro Bondi. Qualcuno l’ha visto piangere inconsolabile, per due giorni e due notti. Mosso a compassione, il Premier lo metterà a capo di una commissione speciale: “la poesia dell’Itaglia nostra: Silvio, luce di Dio”. Ministro del Esteri: I due Marò, a turno. Dopo l’assegnazione di Lavitola alla Cultura e problemi burocratici di cittadinanza relativi a Ruby Rubacuori (simbolo vivente delle più abili e superiori manovre internazionali del nostro Premier con le autorità estere) s’è cercato freneticamente un latitante internazionale utile alla bisogna. A seguito di infruttuose ricerche s’è optato per i due marò italiani, indegnamente a processo in India per aver dilaniato una barcarola di pescatori bengalesi. Una mossa che inebrierà lo spirito patriottico del cittadino italiano. Ministro dello Sport: Alex Schwazer. Bruciato subito il nome di Luciano Moggi, vittima di banali speculazioni tra tifosi, la scelta è ricaduta sul giovane atleta azzurro, condannato l’anno scorso per doping. Una condanna sportiva non è equiparabile ad una condanna penale, ma tant’è. “Ma Santità - ha fatto notare il fido maggiordomo imperiale Vespa – questi non è una vittima giudiziaria. Ha confessato e si è detto anche pentito!”. “Cribbio. E va bene, che problema c’è? Basta smentire le sue dichiarazioni, dire: avete frainteso, in quanto forcaioli e comunisti. Ci campo da decenni con le dichiarazioni del giorno dopo…”. Risate fragorose, e nome approvato. Ministro della Gioventù: Emilio Fede. L’83enne ex direttore del Tg4, adeguatamente ringiovanito da un maquillage da parte del truccatore delle vip, con cresta bicolore e vestito da “paninaro”, interpreterà al meglio le esigenze dei giovani italiani dicendo a tutti "yo-yo, bella zio come butta?". Ministro dell’unità d’Italia: sezione nord Borghezio, sezione sud Miccichè. Di volta in volta le controversie tra nordisti e sudisti saranno risolte da duelli rusticani all’arma bianca. Perché l’Italia è una ed una sola. A seconda delle necessità elettorali. Ministro dei Trasporti e infrastrutture: Schettino, vittima dell’ingiustizia e della demagogica sete di giustizia dell’italiano medio bolscevico. Dopo adeguata (e agevolissima) rivisitazione storico-televisiva, il comandante sarà considerato eroe della patria per aver evitato, con abilissima manovra, un disastro.
Post n°260 pubblicato il 11 Gennaio 2013 da chinasky2006
Una serata attesissima, emozionante, che solo all’idea del suo orrore grottesco faceva arrizzare le carni ed erigere i peli delle pudenda anche agli implumi: Berlusconi da Santoro. Il tiranno negli studi del suo più grande avversario politico nell’ultimo ventennio. L’unico vero. Voci disparate, scommesse dei bookmakers, ipotesi fantasiose: impazzirà prima della mezz’ora, avventandosi come omino in trance su Travaglio e ruzzolando maldestramente tra il dileggio della folla bolscevica, secondo alcuni. Altri pronosticavano invece l’intervento d’infermieri con camicia contenitiva d’ordinanza al 73esimo “comunista” urlato, o un più improbabile (visto i lodi vari) intervento dei gendarmi a cavallo nei minuti di recupero. I più romantici utopisti si spingevano fino all’intervento dei barellieri a seguito di un prolasso cardiocircolatorio attorno al 53’ minuto. Attesa spasmodica come non si vedeva nemmeno per il Festival di San Remo ai tempi di Nilla Pizzi o per le “Notti Mundial ‘82”. Innanzi agli studi due ali di gente per un red carpet stile Festival del cinema eroticomico di Aquisgrana, disperati senza casa e anziani con dentiere semoventi assiepati fin dalle prime luci dell’alba. Sono i genitori di quelle che nel 1986 strepitavano per l’arrivo dei Duran Duran all’Ariston. Urletti, schiamazzi e decibel alle stelle all’arrivo del Messia, che saluta con un fiero sorriso. E’ tesissimo, con la mascella in vetroresina contratta. Come i calciatori che percorrono il tunnel prima di entrare in campo. Scrolla anche la gamba, per sciogliere i muscoli, e gli parte la rotula di compensato. Ma l’emozione è a mille. C’è pure la stretta di mano, come prima di un match pugilatorio. In un momento di, rarissima, lucidità mi domando: Perché tutto questo clamore verso un uomo che ha distrutto il paese mettendolo alla berlina, economicamente e moralmente, del mondo intero e che faticava a raggiungere il 14% dei voti? Perché offrirgli ancora un palcoscenico in cui inscenare le solite sceneggiate da guitto, in cui germoglia il consenso dopato dei suoi “mentalmente svantaggiati” elettori? Facile, psicologicamente, non sappiamo stare senza Berlusconi, senza il male. E lo aiutiamo nella sua missione, anche quando è ormai una mummia cadente, umiliata e sconfitta. Entra, con cartella clinica sotto il braccio, avvolto da una luce cobalto. Vergini e ragazze con meno di 21 anni sono messe immediatamente al riparo. Si è preparato benissimo, dicono, studiando la parte assieme a dei figuranti di Forum. I preparatori atletici di origine prussiana gli hanno somministrato ventisette dosi di essenza vitale di unicorno albino, lucertole tritate delle Galapagos e bacherozzi sacri dello Yucatan. E’ rimesso a nuovo fisicamente, dopo un anno trascorso a rigenerarsi nella cripta della vita eterna. Come Rocchio 76 si ripete: “Ci ho i pugni nelle mani! Vado in trasferta! Sono un leone!”, i medici si guardano, interrogandosi se non abbiano esagerato col rinvigorente. I suoi occhi ormai siano una fessura di serpente, che fatica a muovere quasi fossero di cristallo. E’ arduo per il pur bravo Santoro, sibillino e paraculante, il compito di metterlo alle strette. Lui, di strette, conosce solo le passere. E’ come trovarsi finalmente di fronte ad una bellissima donna su cui si è fantasticato per anni, nuda, sul letto. Il rischio cilecca con salivazione azzerata, per l’emozione, è altissimo. Gli mettono di fronte anche la giovane e brava Innocenzi, per fargli perdere la testa. Lo lavorano ai fianchi sperando che in preda ad uno dei suoi raptus si denudi, inviti il pubblico a un trenino dell’amore. Niente, regge alla grande al logorio psicologico. La Costamagna, dopo aver dilaniato come una sanguinaria jena la carcassa di Di Pietro, al suo lucente cospetto pare inebetita e sbiascicante. Persino Travaglio, nel suo pezzo iniziale, ostenta un imbarazzo infantile, un ragazzetto alla prima comunione che legge una preghierina innocua contro l’inesistente Demonio. Ma è lì, cazzo, il Demonio. Per una volta. Santoro continua a stilettare, sornione, e quello rintuzza a testa bassa e a due mani col suo collaudato copione. Gli sbattono in faccia paradossi e contraddizioni del suo essere, dati numeri e sue parole documentate. Lo smontano. E lui controbatte con supercazzole terrificanti, che fanno girare la testa a tutti e ti ammutoliscono: Ci ha portato al fallimento? colpa del traditore Fini. Il suo era un governo di inetti? Impossibile instaurare la dittatura che avevo in mente, con questi comunisti attorno. Scandali vergognosi e zimbello mondiale? colpa della stampa di sinistra. Processi e condanne? Ma santo iddio, la congiura delle toghe rosse. Suoi ministri e governatori pregiudicati, o coinvolti in scandali ripugnanti? Ecco il guizzo: si trasforma in putto immacolato della nuova politica, un grillino quasi. Via i marrani e profittatori, e gli anziani politicanti. Lui, 76enne plurimputato e pure condannato. Presunte puttane stipendiate? Atto di generosità. I Barbapapà? Comunisti. Santoro pare un narcotizzato Alì che regala buoni spunti, lui il Tyson feroce della bugia e della comunicazione. Travaglio recupera dall’inziale cilecca con un pezzo memorabile e di forte impatto. Gli dice, benissimo, ciò che sappiamo e che tutti sanno. L’Italia, il mondo, i bonobo di uno zoo. Un meraviglioso, ricercato pugnettone a due mani. Senza una domanda. Ma retoricamente vibrante. Forse ha pure ragione lui, non ci sono domande e risposte, inutile anche farle. Pateticamente, il vecchio sultano srotola una letterina di risposta, letta peggio di come l’avrebbe scritta Lavitola (D’Avvero). Poi, si saprà parto della perpetua Bonaiuti. Momento umanamente imbarazzante. Santoro, paonazzo, perde la testa. Vorrebbe assestargli un gancio secco, e perde. “Avete visto, come sono fatti i comunisti?” fa lui. E la gente sembra credergli. Crederà anche che abbia una pelle liscissima e vellutata, che deve compiere ventidue anni in maggio. Non c’è scampo, causa persa. Diceva (credo Bombolo) “Non discutere con uno sciocco, ti porta sul suo campo e ti batte con l’esperienza”. Riadattatela: “Non discutere con un esperto venditore di fumo, ti porta sul suo campo e ti batte con l’esperienza”. Ora rimodellatela per i suoi oppositori: “Non offritegli platee televisive, nella finzione vi surclasserà con l’esperienza nella menzogna”. Alla faccia del giocare in trasferta, sapeva di giocare in casa. Tenete distinti i due campi. Verità e bravura giornalistica dei conduttori da un lato, diabolica abilità comunicativa dell’ex sultano dall'altra. E non può che trionfare quest’ultimo, perché si è in televisione, il regno della finzione. Ha “vinto” il niente, insomma. Evviva il niente che tanto piace ai veneratori di questo nulla menzognero trasformato in realtà. Giubilo dei suoi alleati, entusiasmo tra le fila dei giornalisti neutrali. Perché ha mentito bene, ormai si è entrati in quest’ottica. Nello sport vince chi bara meglio, nel lavoro avanza chi fotte disinvoltamente, in politica chi vi prende in giro meglio. Stereotipi, cliché vecchi come il cucco, ma mai così impunemente ostentati e celebrati. E’ la culla piena di bambagia, in cui si crogiola. Aveva già vinto accettando l’invito, trionfa dopo aver partecipato. Ascolti monstre per La7, campagna elettorale gratis per la cariatide, che dei nove milioni davanti allo schermo, ne riporterà qualcuno all’ovile. Tutti contenti, insomma. Ma non chiedetevi più: “Come ha fatto a prendere in giro un paese intero”?
Post n°259 pubblicato il 22 Dicembre 2012 da chinasky2006
E’ uno scenario magnifico, quello che avvolge le prossime elezioni farsa, simile alle acque cristalline di un ruscello pieno di guano, dove spuntano ogni giorno nuovi leader di liste non-liste che provano a diventare premier-non premier di una democrazia non-democrazia. Anzi, sdegnano quasi l’idea, con virginale ritrosia, tentennando come pulzellette ansanti di fronte ad ipotesi di copula. E in una situazione così avvincente, nel rigore dell’inverno più cupo, frotte di elettori temprati alla nevi di Cortina d’Ampezzo si recheranno alle urne. Gli altri saranno morti di freddo, sotto ponti gelati. Stretti tra i deliri di un folle e le preoccupazioni della badante Europa, ancora una volta il Pd potrebbe farsi sfuggire una vittoria ormai in pugno, come emuli di Dorando Petri che si capottano sul traguardo, lasciandosi raggiungere da avversari freschi come rose, scesi dalle tribune. Questa volta sembrava impresa improba, anche per loro, eppure quasi ci siamo. Candidi e molli come stracchino avariato, che “per il bene dell’Italia” un anno fa, rinunciarono alle elezioni, lasciando in vita Berlusconi. Non prevedendo che quello potesse rigenerarsi per morfallassi rettile all’ombra di Dracula Monti, tornando a dettare legge. La paghi a caro prezzo, la pietà. E intanto riciclano antichi ruderi come Marini, Finocchiaro e Bindi, con deroghe, listini, e giochetti. Il diabolico piano del Cavaliere oscuro, scombina tutto. E stavolta non è nemmeno necessaria la triste giacca di Occhetto, per smembrare la gioiosa macchina da guerra stile Strumptruppen”. Basta lo scenario confuso, una fidanzatina di sani principi che lappa il calippo a “telecafone”, spettri bolscevichi, la nutrita truppa di servi della gleba all’assalto di magistrati con calzini assai brutti e quelle sfolgoranti promesse indecenti alla suburra vessata dalle tasse. Niente Imu allora, ma tasse a birra e lotto. Ammazza anche l’oblio sbronzo e la speranza di sovvertire le ingiustizie della propria vita grazie ad una botta di culo della lotteria. Le vogliono proprio tutte questi cenciosi ubriaconi che, vivendo coperti da cartone alla stazione, non pagano nemmeno l’Imu. Fossero miliardari correntisti dello Ior vaticano, almeno. Col suo corpo di vecchio grottescamente pittato a giovane, manterrà vivo il movimento di un partito idolatria, che senza di lui era destinato a estinguersi come i dinosauri. Una manciata di voti ripresi a Grillo, altri riacchiappando delusi e i leghisti col suo sibilo di serpente, e il Tirex tornerà ad avere un buon riscontro numerico. Senza contare le giovani leve, e lo strappo clamoroso di Crosetto che con atto eroico e assieme alla Meloni, lascia la nave scuola Silvio per una svolta liberale: assieme a La Russa e con la mezza idea di candidare i due marò che hanno ammazzato due pescatori indù. Applausi. Nessuno come Berlusconi riesce a nuotare nelle umane catastrofi, come mostro che acquista vita dalla morte altrui. Rigenerarsi con piani luciferini, vendere il niente, vincere le elezioni, governare come dirigente d'azienda (le sue), salvare i suoi possedimenti e far fallire tutto quanto attorno a lui. “Ho una pelle molto bella”, riesce a dire. Sta tutta in quella frase, la sua ventennale teoria: una frase detta in modo convinto cancella la tragica evidenza. E’ bastato l’annuncio della grottesca ridiscesa in campo dell’ex tiranno posticcio e qualche delirante comparsata nelle tv, perché l’Europa, il mondo e tutto il globo terracqueo (annessi pianeti con forme di vita vegetale apparente) si mobilitassero per evitare la catastrofe finale. Monti tirato ancora per la giacca e convinto a ricandidarsi, dopo un anno che sadicamente definisce “affascinante”. Felice d’aver tirato il sangue alle uniche vittime dei disastri precedenti, lasciando indenni i responsabili. Forse si candida, o forse no. Se necessità imporrà, però. Solo con una lista in suo nome (quasi alla memoria), rimanendo in disparte. Una diavoleria che accorpi “orridissime” ancelle, vergini cucce dopo anni di bagordi (Fini & Casini), stavolta lascive concubine di un altro munifico imprenditore (Montezemolo) interessato. L’estremo tentativo di scongiurare che il titanic-Silvio faccia affondare tutto, è servito. Con lui felice come una pasqua, e il Pd stritolato nel suo inerme niente, come una vacca al pascolo che osserva il passare del treno nel rossastro tramonto melancolico. E la sinistra “estrema”, un poco forcaiola e prona vaticanista? Ingroia. Eccola lì, l’altra novità. Il magistrato Che Guevara versione sicula e con manette tintinnanti, che da sotto le assolate palme del Nicaragua cui è stato confinato, annuncia una discesa in campo. Probabile. Forse, anche no. Magari sì, a tempo debito. Ed è un trionfo della supercazzola denaturata, in salsa (e merengue) centroamericana: “Bisogna vedere se si verificheranno le contingenze di una motivazione ancorché difficoltosa che mi spinga a prendere in considerazione l’evenienza di pensare a qualcosa di probabilmente plausibile se solo…”, e qui già tutti l’hanno lasciato solo, nel suo vaniloquio, sotto quella palma nicaraguense. Con un pullman che continua a passare. Appoggiato da De Magistris, forse Vendola, se smetterà di fare i boccoli a Bersani. Perché il governatore pugliese, essendo estremista, antieuropeista e quasi terrorista, non può entrare in un governo nazionale. Erano invece moderati “europeisti” Borghezio, La Russa o Bossi. Chiaro, no? Ingroia pensiona l’ormai impresentabile giustizialista giustiziato Di Pietro, fatto fuori da una puntata di Report. Mentre per altri non bastano vent’anni di processi e sentenze. Fa occhietto invece a Bersani (che continua a guardare i treni, intanto) e a Grillo. Il guru factotum del Movimento cinque stelle, dopo il boom clamoroso in Sicilia, rischia di capottarsi tra marchiani errori, inutili epurazioni, e disposizioni last-minute per far perdere alla sua nave forza propulsiva, portandola al largo. Bersani, Berlusconi, Monti-non Monti, Ingroia-Non Ingroia, Grillo-Non Grillo, nel pareggione annunciato, con classifica avulsa ininfluente. Silvio spacca tutto, non solo le gonadi. E quella che era una concreta ipotesi di pareggio, “nulla di fatto”, nell’ambito di elezioni inutili, diviene certezza, con scenari di perenni grandi intese nella riesumazione della “Democrazia-cristiana” style da far venire un’ultima erezione all’ultranovantenne senatore a vita Andreotti. La grande farsa di una partita truccata in partenza, per un pareggio finale, che ha già messo in allerta il procuratore Palazzi. Con finte campagne elettorali utili, al più, per aggiustare qualche percentuale di voto, cui mancheranno solo applausi finti da sit-com in sottofondo.
Post n°258 pubblicato il 19 Dicembre 2012 da chinasky2006
Stamattina, alle 6,23, ho concluso indubitabilmente che noi ci meritiamo Andreotti senatore a vita. E, mentre lasciano morire Marco Pannella, riusciremo a vedere quella nomina per un Dell’Utri.
Post n°257 pubblicato il 17 Dicembre 2012 da chinasky2006
Notizia d’emergenza, agite con urgenza: Pannella in fin di vita, ostinato battersi per i diritti degli ultimi? No, “Berlusconi ospite dalla D’Urso” nell’ultimo ridicolo tentativo di discesa in campo, per difendere i suoi interessi dall’arrivo dei bolscevichi capeggiati da Tabacci a bordo di carrarmati. Ed è uno sfacciato crescendo di orrore e servilismo, senza eguali. Scaldano i motori, in una scaletta presumibilmente congegnata da scienziati della comunicazione prussiani 96enni: Facci, Sgarbi, la Ravetto e altri sciamannati di sinistra, scelti con perizia tra i più miti fagioli borlotti da offrire alla verve insultante dal critico d’arte scapigliato. Tutti a interrogarsi sullo straziante servizio di una nonnina ottantenne che non può fare la spesa, per colpa della sanguisuga Monti. Con tanto di musica strappa lacrime in sottofondo. Un bel preliminare a due mani, niente da dire. Il sipario si riapre dopo la pubblicità sull’intenso primo piano di Michele Misseri, dalla sua villetta di Avetrana, meta di pellegrinaggi organizzati. L’agricoltore reo confesso di omicidio e occultamento di cadavere della “povera” nipotina, anzi, “angelo biondo”. Così la chiama con afflato e commozione paterna, mentre descrive minuziosamente come l’ha strangolato, quell’angelo biondo. Non è in carcere e nemmeno in un manicomio navale, bensì star televisiva indiscussa che potrebbe fare concorrenza ai tronisti, e serate in discoteche. “Papà me mmalitrattava, quando pascolavo li pecuri” (giammai conobbi affetto paterno, allorquando mi occupavo del gregge ovino), fa sapere. La D’Urso trattiene a stento una lagrima vigliacca, prima di sconfinare nell’ammirazione estatica: “Si vede dagli occhi che sei un brav’uomo, Michè!”. E’ un trionfo di giornalismo psico-anal-izzato, in empatici tentativi che sfociano nel ridicolo. Prima del deciso affondo sull’increscioso “affare fico”. E’ morbosamente fissata con quel fico maledetto, lasciando intendere sordidi e vili rituali, a metà tra esoterismo, occultismo e macabra violenza familiare. “E il fico, il fico, Michè? Tuo padre ti legava al fico, ti picchiava e poi, e poi…ti faceva cose brutte? Le immaginiamo ma non le diciamo, ovviamente…”. Quello, incurante della Freud incalzante: “E perché st’arvulo era a forma de ‘mbrellu” (l’albero a vaste fronde aveva forma d’ombrello e potevo nascondere meglio il cadavere). Scroscianti applausi del pubblico (sei pullman di anziani pellegrini, requisiti sulla via di Medjugorje). Dopo i voluttuosi preliminari, c’è lo spazio per una sigaretta. Avviene sempre così, no? E via, altre morbose gemme di contorno, en passant: La 53enne Carmen Russo in attesa di un bebè, con tanto di servizi sull’evolversi ginecologico della situazione, in un’atmosfera tornata ridanciana. Per poi ripiombare nella cupa commozione, intensa e palpabile: una distrutta Eva Henger racconta del suo ex marito Riccardo Schicchi, tumulato pochi giorni prima. Lagrime, e dolore oscenamente sventrato dei figli. “E i figli e i figli, che dicono i figli?”, sciorinando facce da emiparesi submentale invero assai terrorizzanti. Prima che il sollazzo torni a farla da padrone, con l’ingresso in studio della piccola figlia dell’ex pornodiva. Schiamazzi, risi, bisi, e interramenti. A che pro, questa fiera di disgusto raggelante? Vogliono mostrarci l’orrore più basso, in modo che quello dell’ex Premier satiro appaia quasi tollerabile? Macché, solo strategia di bassa comunicazione vecchia di decenni. L’obiettivo è catturare la fascia di pubblico manipolabile che ancora può cascare in quelle frescacce surreali. E' evidente. Ecco quindi, il protagonista indiscusso. Come calato dal cielo, appare Silvio versione bambinello natalizio. Padrone di casa, intervistato a casa sua. Persino Fede e Vespa, ormai, ridotto com’è, sono rischiosi. Il sultano è visibilmente emozionato, incerto, quasi imbustato alla bell’e meglio. Balbettante e disconnesso come un normale anziano di villa arzilla, o tiranno riesumato dal mausoleo per salvare il salvabile. Abbaglianti coni di luce spaziali gli levigano le rughe e al contempo rendono il crine di un sinistro color mandarancio. La coperta è corta, in fondo. E’ uno straordinario spettacolo di orrore surreal-fantascientifico senza eguali. Un quasi monologo delirante, con la giornalista che ne sorride compiaciuta lasciando il fiume di stronzate scorrere placido. Qualcosa che al confronto Iran e Cina paiono fulgidi esempi di democrazia pluralista. Il messia rispolvera il solito repertorio da guitto al declino, con termini di agevole comprensione anche agli inebetiti reduci da Misseri e co., in quella ostinata e demodé circonvenzione d’incapace mediatica: le tasse, lo spettro orrendo dei comunisti, promesse folli, i grandi successi ottenuti, Milano 2, il Milan, Mediaset, con la giornalista che si protende in avanti, come a supplicare la divinità ad intervenire per salvare (ancora) le sorti delle umane genti dalla catastrofe: “Presidente, laggente non ce la fa più a pagare le tasse…”. E’ un’imbeccata favolosa, da teatro di quinta. Quello parte, sempre più sicuro: “Aboliremo l’Imu!” tuona solenne, interrotto da un fragoroso applauso. Qualche settantenne carampana che gli lancia un reggipetto. Un fiume in piena, inarrestabile, fino all’invettiva verso i giudici che hanno osato condannarlo per corruzione. Lo spettacolo è coinvolgente. Il sultano appare liscio, quasi trasparente, bombardato da salvifiche luci anti-età. Sembra avere ventidue anni. Si abbandona al fuoco incrociato di domande della D’Urso, che quasi dimentica d’essere al cospetto del padrone, arrivando alle domande più scottanti. “Presidè, e il Milan? E’ vero che El Shaarawy con quella cresta non lo voleva far giocare?”. E delirio. Risate e applausi d’ammirazione, scoppia qualche mortaretto e un pensionato della Val Brembana muore d’infarto. In Uganda s’indignano, però, per quel sibillino suggerimento fuori onda del padrone alla novella candidata del premio Pulitzer cinofilo: “E poi mi chieda anche…”. In barba ai processi per prostituzione minorile e bordelli boliviani che portano il suo nome e che ne dipingono la sua credibilità internazionale, ecco che come l'Istituto Luce di fazista memoria, parte il filmato dell'epocale discorso, in maccheronico inglese, al congresso americano. Splendido. Incalzato dalla prode giornalista ormai boccheggiante e con l’occhio implorante, va a ruota libera. Domanda scusa, ai suoi elettori. Attimi di smarrimento, allertati gli infermieri. Poi chiarisce: scusa sì, ma per tutte le meschine bugie che hanno dovuto sentire sul suo conto. Nient’altro che feste conviviali, tra canzoni e barzellette, cui s’è abbandonato in un momento tristo della sua vita, quando lo spettro della solitudine lo ha avvolto, come un qualsiasi nonno 74enne orfano della centenaria mamma, “che mi ero appena divorziato e coi figli fuori…”. Delirio incontenibile e dentiere che sbattono a tempo, garrule e raggianti. La giornalaia è estasiata quando lui (e solo lui) decide d’avventurarsi nella “calunnia” Ruby. Fanciulla povera e maltrattata dal babbo che le impediva financo d’esser cattolica (qui un paio di porporati nel gruppo d’ascolto vaticano hanno due orgasmi multipli) e cui ha regalato una macchina epilatoria, che ne aveva un po’ bisogno. Così come per le altre ragazze coinvolte nei festini eleganti alle quali, da vero babbo filantropo della passera, garantisce uno stipendio mensile con contributi a norma (spero). Perché le poverette ormai hanno una carriera rovinata e non possono trovare fidanzato. E’ il trionfo assoluto. La paladina del femminismo è ormai al settimo cielo: “confermo che con me è sempre stato un galantuomo!”. Lui si schernisce. Manca però l’ultimo tassello, il guizzo che tranquillizzi definitivamente l’elettorato medio del Pdl smarrito (recuperando quel 2/3% di elettori persi, tra analfabeti novantenni, cattolici semianalfabeti fedeli, ma titubanti innanzi all’orgiame degli scandali, etc), sul suo tenore di vita sobrio, quasi austero, oserei. Eccolo allora, come una battuta maldestramente recitata in un film di quart’ordine: “Presidè (uè-uè), ma ché mi si è fidanzato?”, gli domanda a bruciapelo. E quello, con un raggelante e tragico sorriso fantozziano: “he he he he…sì, è ufficiale. Ha 27 anni, si chiama Francesca bella di fuori e di dentro…”, con lo sguardo del senile amor struggente. Ora è l’ovazione assoluta, come ai bis di un concerto rock. Ha voluto tranquillizzare l’anziano elettorato disperso a causa di fallimenti e scandali: Niente più colpi di testa o trovate da scavezzacollo. Ora ha messo la testa a posto, fidanzandosi con una ragazza più giovane di 49 anni. Insomma, i tempi da "American Pie" ottantenne, sono alle spalle.
Post n°256 pubblicato il 13 Dicembre 2012 da chinasky2006
Era da qualche tempo che, complice il vino, non si materializzavano nel sonno incubi allegorici made in Arcore. Ecco allora che l’immaginazione sbronza galoppa, tristemente meno ridicola della realtà.
Post n°255 pubblicato il 04 Dicembre 2012 da chinasky2006
Penso, in un rigurgito di rarissima lucidità dettato da qualche bicchiere di rosso, a De Gasperi. E mi sento per una volta come il Trozkista diventato Tabacci, che volge l’austero sguardo nella steppa bolscevica. Perché mai assale i tuoi pensieri sconci un Alcide democristiano e non Togliatti, ad esempio? Mi domanderebbe un attento lettore (a trovarne mezzo). Ripeto, la vinaccia. O forse perché l’attuale non-politica ha raggiunto un livello talmente ignobile, da farmi entrare nella perigliosa spirale del “si stava meglio quando si stava peggio”. Ci si rincoglionisce, invecchiando. “Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”, diceva il padre della Democrazia Cristiana. Per carità di Dio, non vi salti in mente di fare strani parallelismi con Casini, politico dei due forni e tre riottosi pertugi. Altra cosa. Con una rabberciata macchina del tempo, mandando avanti a scorrimento veloce, ci s’imbatte in La Russa. Fiero e sorridente, nel gorgo di un illuminato discorso nel solito talk zeppo di rinomate personalità canute: “Noi siamo il partito della remuntata! Io non zo ze vi ricortade la gioiosa macchina da guerra di Occhetto. Erano gonvindi di vingere e poi zappiamo come finì…e allora non digo niende.”, più o meno, chiosando col solito, conturbante, risolino mefistofelico. Non parlava di calcio e della Inder, ma di quella stramba cosa da cui dipendono i nostri destini. Niente di insolito, in fondo. Si è sentito di peggio, dal ministro buttafuori. Si può anche transigere sul senso del grottesco di quelle insensate frasi infantili. Ancora sulla vittoria, ostentando una sicurezza finta, per un partito ed un intero schieramento già politicamente morto. Con nuove leve trattate da scolaretti che devono allinearsi mettendo da parte ogni refolo di democrazia, gerarchi di mezzo troppo abituati al mistico servilismo per assumere un ruolo di leader, e quindi uno schieramento appeso alle labbra del vecchio e logoro sultano di plastica per sopravvivere e andare sopra il 10%. Quel vaniloquio fastidioso nella sua inutilità surreale, mi porta invece a riflettere su cosa è diventata la politica attuale: una insopportabile gara tra squadre rabbiose, scorrette, vendute, dopate e dal gioco noioso e sempre uguale. E submentali che assistono come ultrà strafatti, spesso soggetti al daspo. Una deriva clamorosa, indegna, cui mai si era arrivati prima. “Un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”, si diceva. Il primo, nella sua accezione deplorevole, vende fumo, sull’altare del consenso. Lo statista dovrebbe sfruttare quei consensi agendo per il benessere alle generazioni future, mettendo da parte gli illusionismi demagogici. Certo. L’epocale novità che ci ha portato la seconda Repubblica invece è una perenne campagna elettorale, stucchevole e rivoltante. Nessun pensiero rivolto oltre il proprio naso posticcio, malgrado autonomine da “più grande statista della storia”. L’apparenza, le fumose promesse, e nessun fatto. E il mantra diabolicamente studiato del “fare” a nascondere il nulla. L’unico futuro di cui ci si premura? la somma libertà (dalle patrie galere) o, al limite, quello delle proprie aziende, mentre attorno tutto brucia. Metti il muso nei mercati rionali, tra bancarelle di broccoletti e peperoni, e senti smoccoli, strali d’odio per il tecnico ciuccia sangue Monti. Appoggiato da tutti, detestato da tutti. Un para fulmine ideale. Sembra davvero un povero stronzo, messo lì per servire agli scopi dei partiti, di cui ogni giorno si scopre una nefandezza nuova. Un vecchio signore ingessato, chiamato a fare quello che la bassa politica (impegnata a vincere le elezioni ogni giorno) non ha fatto, per paura di perdere quei consensi poi lasciati per strada a causa di scandali e inettitudine. Uno che non si apprezza, non si approva in nulla, ma la cui esistenza si giustifica più degli altri. Mentre sbevazzo il caffè delle 8 di sera, inizio a pensare qualcosa di malato. Che forse Monti non essendo politico e nemmeno statista, sia l’unico che nei nostri tempi corrosi possa permettersi di pensare alle future generazioni. Diventando paradossalmente l’unico statista, nel quadro di imbarbarimento che ha ormai investito tutto. E pazienza se per la futura sopravvivenza debba succhiare il sangue a quella attuale, riparando il dannoso nulla del recente passato. E pazienza ancora che quel sangue continui a ciucciarlo alle classi meno abbienti, perché stretto per le palle da una maggioranza parlamentare che ancora vaneggia “libertà (ed evasione)” e tutela la sua casta. Chi ci ha portati alla catastrofe, continua a dettare legge coi suoi voti di maggioranza. Con l’ennesimo, diabolico paradosso di criticarlo anche, arricciando il naso per misure troppo rigorose. La politica, è un rognoso cane che si morde la coda. In tutto questo, non posso non pensare a Grillo come un genio inconsapevole. Da non politico, veleggia nel vento di libeccio, sulla carcassa morta di una politica che ha fallito. Può criticare la non-politica chiamata per riparare i danni della politica incapace e demagogica, di cui finirà per fare la stessa fine. Un cane rognoso che si morde la coda, si diceva...
Post n°254 pubblicato il 01 Dicembre 2012 da chinasky2006
Uno squarcio di sole poderoso illumina la bigia giornata di un autunno avanzato, appena il megapresidente divino appare sul campo d’allenamento di Milanello. Pare una visione mistica. Felice e sorridente, circondato da quattro bodyguard che con fili invisibili elaborati alla Nasa ne agevolano i movimenti. E' una specie di marionetta plastificata, ma ha il viso tirato da ventiseienne e la folta chioma all’indietro stile Rodolfo Valentino 76enne. Il Milan ha vinto due partite di fila, da quanto Ello fa visita a quell’accocchio di broccacci messi assieme al risparmio e pagati meno degli aiuto macchinisti Mediaset. Dopo gli ultimi anni di disgrazie in cui tutto ciò che toccava diventava inesorabilmente sterco, amici morti impiccati, regimi caduti, governi commissionati, paese in default, condanne penali e aziende messe in ginocchio da multe esorbitanti, non crede ai suoi occhi morti attorno al volto in poliuretano espanso. Non sta nella pelle dalla gioia di mostrare alle genti quanto porti buono: un feticcio pagano e divino al contempo. Un rituale apotropaico-religioso senza eguali. Miracolosamente imbustato, sorretto e circondato da infermieri e dottori della mente, scende dal suo elicottero mentre due diciannovenni badanti moldave gli tengono fermo il toupè scosso dal vento delle eliche. Come tutto iniziò. Saluta la squadra, caricandola col piglio antico e la solita illuminata competenza. Rivolto ad un terzinaccio infortunato da due anni e reclutato al Fatebenefratelli: “Ultimamente ti ho visto fluidificare di meno! Animo! Animo ragazzo! Sgroppare su quella fascia! Lo vedi il tuo presidente come si tiene in forma?” esibendosi in due piegamenti sulle ginocchia. Uno dei bodyguard si assopisce, dimentica di tenerlo e il monarca frana sul lato sinistro. Si rialza, e prosegue i sermoni: “Devi marcare di più la rete, fare il goal! Nel futbal vince chi fa il goal e marca la rete. Domani voglio almeno doppietta! Sei così giovane e vigoroso!”, fa ad un sventurato 53enne difensore venezolano cugino di terzo grado della Yespica, pagato coi soldi del discount. Poi a tutti: “Mi raccomando, ma non è che mi state diventando comunisti? O forse addirittura froci? Forza allora, che dopo la partita vi regalo una velina cadauno.”. Alla fine si congeda, convinto che la sua presenza abbia riempito l’animo della ciurma rendendola invincibile. Un drappello di curiosi giornalai lo attende all’uscita. Gli fanno qualche domanda di stringente politica, sulle primarie fantoccio nel centro destra. Il suo volto di varano si fa serioso, solenne. “Il Pdl è in crisi perché la gente ha perso fiducia nella politica. C’è bisogno di grandi novità!” si lascia scappare. “Quindi le primarie saranno un bene…”, chiedono dalle retrovie. “Ma dove? Sono una pazzia, una pazzia totale…c’è bisogno di un nuovo partito, con un nome invitante e uno slogan coinvolgente che riporti le masse a noi e con esse il successo e il dominio della Itaglia, della Europa e del mondo intiero, le galassie ed il globo terracqueo tutto! Sono invincibile…”. E nel dirlo scruta l’orizzonte e agita i pugni al cielo come il Fuhrer accerchiato nel bunker di Berlino. “Santità - fa un devoto zerbino de il giornale in venerazione mistica - quindi sta pensando di ricandidarsi per salvarci da ogni male e dal comunismo?”. “Ci sto pensando, ci sto pensando, vedremo…”, chiude il tirannosauro con un sorriso ammiccante, e gli occhi di coccodrillo che gli stiramenti della pelle hanno ormai reso due fessure orrende. Quindi un sovversivo, eroicamente sfuggito ai controlli ed ai metaldetector acchiappa-comunisti: “Ma con che coraggio si presenterà agli elettori, dopo aver messo in ginocchio il paese?”. Il Messia, senza perdere il sorriso di plastica, si rivolge a due miliziani invitandoli a condurlo nelle segrete di Arcore e processarlo per direttissima a Forum. “Ma beeeene. Abbiamo anche i comunisti che si sono intrufolati. Mi sembra chiaro come mistifichiate sempre la realtà. E’ risaputo. Non abbiamo potuto governare perché non ce lo hanno consentito. Sapete che ci sono ancora i magistrati rossi, la stampa e le tv quasi tutte contro di noi, questa Costituzione obsoleta, un Presidente della Repubblica comunista. E come si fa a governare e far rinascere questo paese ancora zavorrato dalle leggi?”. Quello, mentre viene condotto via a braccia. “C’è la mafia che governa senza leggi, eh. Ma i sondaggi ormai vi danno al 14%, tra un mese sarete sotto il 5%...”. “Il comunista ha ragione. Abbiamo subito un calo di consensi. Perché mi sono defilato. Da oltre un anno ho lasciato fare ad altri, e questi sono i risultati: senza di me cadono a picco, crolla tutto senza la mia esperienza. E dopo un anno di governo Monti anche il paese è alla deriva, la gente è alla fame…”. In lontananza si ode un coro commovente, proveniente dalla vicina casa di cura per menti disagiate: “Per fortuna che Silvio c’è…”.
Post n°253 pubblicato il 26 Novembre 2012 da chinasky2006
Oltre tre milioni elettori hanno votato per il primo turno delle primarie Pd. Splendido trionfo d’inutile democrazia. Annusata, almeno. E sembra quasi bastare. Il Pdl non riesce ad organizzarsi nemmeno per questo esercizio, mancando da vent’anni di un trascurabile dettaglio: la democrazia. Per anni considerata inutile orpello, o maleodorante verza da comprare sulle bancarelle del mercato ortofrutticolo. Iniziano ad arrivare i risultati, in prima serata. E la situazione pare chiarissima, in questo tragico valzerone di vanità e nulla ancestrale. Dove i successi non sono stabiliti dalle proprie idee, ma dall’orrore degli altri. Lampante. Anche a pennivendoli, starlettes rifatte e attempati venditori di zucche improvvisatisi politologi con la gotta all’ipotalamo che starnazzano nei salotti tv. In quel paradosso di un Pd ormai ammuffito e ripiegato su nomenklature vetuste, normale che ottenesse un notevole riscontro il giovane rottamatore Renzi. Sin troppo facile. Peccato e pazienza che di sinistra abbia solo qualche sfumata venatura, rinvenibile nelle notti di plenilunio quando i lupi della steppa ululano alla luna l’inno sovietico. Perché, negli ultimi trent’anni, avete mai sentito verbo di sinistra proferito dal baffino brizzolato D’Alema? Per anni abbiamo riascoltato Nanni Moretti dire: "D'Alema, e dilla qualcosa di sinistra!". Potremmo sentirla per vent'anni rivolta a Renzi, da Don Matteo. Il rottamatore ha scoperto la giusta medicina per insinuarsi senza traumi nel periodo post-berlusconiano, in cui il niente detto bene vale molto di più di una verità proferita in modo incerto. La regola dei talk, della tv, dei reality urlati. La gente vuole quello, i fatti non li conosce. Lo sapeva l’unto, che su quello ha creato il suo incantato (ipnotizzato) castello maleodorante. E un po’ se ne serve anche il giovane sindaco, sulla coda, col suo stuolo di sceneggiatori moderni. Ha scoperto il format giusto. L’unico modo per ridare la vittoria alla sinistra è non esserlo, o esibirlo con moderazione, il meno possibile. Questo fa eccitare anche gli orfani dell’amore, pronti a cavalcarne le sue non-idee pur di sentirsi un po’ meno sconfitti. Allora eccolo passeggiare sul palco in maniche di camicia, a metà tra Obama, Steve Jobs durante il lancio di un prodotto, e Mastrota che vende una batteria di pentole antiaderenti. Con l’immagine di Berlinguer lasciata a nostalgici minchioni. Se all'abilità nel cavalcare il nuovo si aggiunge anche la stanchezza dell’elettore medio del Pd, saturo dell’arroganza stantia di vecchi dirigenti ammuffiti e capi storici ingrigiti, il quadro è completo. Controproducente e penosa boria di potenti alla deriva. Basta mezz’ora in tv dei vari D’Alema e Bindi, che il consenso del giovane in maniche di camicia s’impenna. Sfruttando la stessa rivolta verso l'indecente, Grillo continua a volare. Approfittando dei fallimenti della politica in generale e del verbo arcorino, acquisendo nuovi adepti predisposti inconsciamente alla prona sodomia verso l’uomo forte, tipica dell’italico animo. Vince Bersani, ma un po’ perde. Il vantaggio di nove punti non gli lascia garanzie per il ballottaggio. Renzi perde, ma fa il boom. Vendola è lo sconfitto, ma i suoi voti ora gli fanno acquisire un notevole peso specifico e possibilità di dettare condizioni. Quello che voleva, in fondo. Si difende dignitosamente Puppato, retrocede il compagno Tabacci. Troppo bakuniane le sue idee per un elettorato non ancora pronto alla Rivoluzione. Scoramento nella sede elettorale, tra i suoi sostenitori. Tutti e due. Il quadro è fin troppo evidente, nella sua essenza surreale: a sinistra esplode Renzi, ma può vincere Bersani di misura. Grillo seguita a levitare e diverrà il primo partito italiano, con Monti che intanto già prepara la squadra di governo per il suo bis, mettendo tutti d’accordo (dove “tutti” è il 2,8% degli italiani). Nel pieno trionfo del surreale che domina la politica italiana, vittorie di consolazione di Renzi e trionfi di Grillo a parte, a governare saranno gli altri. Rischia seriamente di vincere chi non c’è, chi ha poche manciate di voti, chi ha perso, o non si candida nemmeno. Il rischio è quasi certezza, stante una legge elettorale che garantirebbe il pareggio anche a Barcellona-Bellinzona 7-0. Preparatevi dunque al Monti-bis-ter-quater, sotto forma di pareggio truccato che si può pronosticare senza nemmeno consultare Paoloni o la “banda degli zingari”. E dietro di lui il fantasma di Silvio, Montezemolo che scende in campo senza candidarsi, il 3% di Casini e del Vaticano che tutto governa, sempre e comunque.
Post n°252 pubblicato il 21 Novembre 2012 da chinasky2006
Giorni di gran fermento democratico, in seno al Pdl. O quello che rimane del partito idolatria dopo la dipartita dell’idolo, disperso tra lifting e viaggi intercontinentali a Malindi. Perché laddove il duce colonizzò faccette nere con rapide guerre di conquista fazista, il nostro invece pare voler intraprendere monumentali opere di bonifica lussuosa, esportando uno stile di vita inebriante. Già pronti tre nuovi canali: “teleabissinia libera 1, 2 e 3”. E l’acquisto di una squadra di calcio, il “Malindi Fc”, cui far dominare il globo terracqueo pallonaro. Gli orfani si guardano attorno, cercando goffi appigli. Montezemolo scende in campo, ma senza candidarsi, per sostenere Monti, senza però che Monti si candidi. Chiaro, no? In questo grottesco panorama in ridicolo divenire, ecco che ci si concentra sulle primarie Pdl. Fa ridere solo pensarle, ricordando quelle elettrizzanti elezioni per acclamazione del Monarca. Con tanto di trono, scettro, corona e discorsi all’adorante plebe. Un partito azienda senza regole democratiche e fondato da un Re-Padrone, da chi altri può essere retto? Da nessuno. O da qualche disperato sucida, inconsapevole di voler guidare qualcosa che non c’è. Svetta quindi il favorito del nulla: Alfano. “Il leader che tutti ci invidiano”, disse il monarca nella storica consegna dei galloni di capitano. Il niente più assordante. Contro di lui, esaltatissima, la Saltamiquì. Una delle fervorose amazzoni, da più parti indicata quale portavoce dei farneticanti pensieri ultimi del messia, come Ambra. Prontissima una campagna elettorale a base di insulti a Maometto, inni alla certezza della pena, ed extracomunitari violentatori da ricacciare in patria suon di maschie schioppettate. Malgrado le ultime notizie di cappellani che violentano extracomunitari carcerati, abbiano fatto venire meno il 97% del programma elettorale. Il tutto nella più strisciante demagogia che cavalca il terrore, da far giungere all’elettorato dai salotti della D’Urso, tra gracchianti urla di approvazione delle massaie novantenni nel pubblico. Sulla stessa lunghezza d’onda si muove la Mussolini, nipote del duce. E già pregusto un acceso dibattito tra le due menti, nel trionfo della più classica moderazione. Soddisfacendo i miei istinti più masochistici, con tempismo sbalorditivo, Vittorio Sgarbi annuncia la sua candidatura. La sua presenza già accende la fantasia. L’elettorato non sta nella pelle prefigurandosi quei roboanti “capra!” che riempiranno di contenuti il dibattito. E qui i ricordi non possono non tornare all’epocale sfida tra la nipote d’arte e il critico d’arte (uh, che bel calambour). Tra lirismi e delicate odi, rutti, peti e poetici botta e risposta: “Stronza! Coglione! Fascista! Impotente!”. Obbligato anche il format della sfida televisiva: “la pupa e il secchione”, quasi sicuro anche lo sponsor “carta da culo pulisci ben”. Tra Sgarbi, Mussolini, Santanchè, nel ring non sfigura certo la Biancofiore. Fulgido esempio del berlusconismo più riconoscibile: presenza da velonza, favella d’isterica e bizzosa maestrina che ha imparato la cantilenante nenia a memoria e contenuti invisibili, attorno alla piroettante difesa del sommo indifendibile. Candidata perfetta, la cui freschezza inebrierà gli elettori liberi. Non c’è però solo una briosa essenza da trasmissione immondezzaio, in queste primarie fantoccio. Ci sono anche profondi contenuti politici: in extremis giunge la candidatura di Giorgia Meloni. Giovane cresciuta a pane e “giovinezza, eja-eja” nelle sezioni missine della Garbatella. Il carattere ce l’ha, indubbiamente. Anche la faccia bronzea di considerare il mausoleo al criminale di Guerra Graziani come “un monumento dei giovani, costruito sulla storia di giovani”. Graziani, ribadisco: inserito dall’Onu tra i criminali di guerra per gli orrori commessi in Etiopia, e che tentò di ricreare in Italia un esercito filo-nazista. Ottime credenziali, considerarlo un esempio per i giovani. La verace romana è stata anche Ministro della Gioventù, così brava che per strada si vedevano 81enni ringraziare il cielo di non avere più vent’anni. I suoi sostenitori iniziano col giusto piglio: “vogliamo orgia”. Colpo di scena finale, ecco il coniglio dal cilindro tirato fuori all’ultimo istante: tal Samorì. Doppio petto gessato, faccia unta e vischiosa da Duca Conte Barambani Megalom. Imprenditore modenese delle libertà, sconosciuto ai più distratti ma creato ed infiocchettato alla bell’e meglio. Buono per ogni uso. Quello di neo rottamatore. Una specie di Renzi quasi sessantenne, utile per sedurre qualche cencioso di passaggio con mirabolanti promesse di “patrimoniale” ai ricchi. Splendida e onnicomprensiva, la scelta dello slogan: “La rivoluzione moderata”. Quando si supera l’ossimoro, sfociando accocchi da internamento. Inizia alla grandissima portandosi come claque tre pullman di ignari anziani pellegrini diretti a qualche santuario. Gran successone, il suo. Avevate dubbi? Sottotraccia passano le candidature di due miti personaggi destinati alla sconfitta in partenza: Galan e Crosetto. Il primo fu sostituto di Bondi, come Ministro delle Cultura. E al posto di Bondi avrebbe fatto bella figura anche una pianta di ginepro secca. Il secondo passa per essere il migliore di tutti. Forse lo è. Per quale motivo? Sdegna le auto blu andando in giro in Smart e scrisse un divertentissimo tweet tempo fa. Ecco, se per trovare il migliore basta un tweet, capite bene il livello del resto. Il quadro è completo. Ben undici candidati. “Il Pdl ha più candidati che elettori”, dice Feltri che ormai dietro queste stilettate, inizia a guardarsi attorno, folgorato e voluttuosamente avvinto dal grillismo. Il dramma per questi candidati sarà la raccolta di firme. Anche facendo valere le “ics” semplificando la vita al medio elettore pidiellino, pare impresa disperata . E’ una lotta contro il tempo anche l’organizzazione. Da Malindi, il vecchio monarca fa sapere d’esser pronto a bordo campo. Come vecchio centrattacco che scalda muscoli e vene varicose. L’estremo sacrifizio. Disponibile a ridiscendere le scale come Wanda Osiris con dorso della mano sulla fronte. Il suo ri-ri-ritorno in campo, ormai simile a tragicomica centoventiduesima replica delle “Corazzata Potemkin”, soddisferebbe però molte vergini orfane, smarrite e larmanti. Basti sentire un estatico Sandro Bondi che con occhio implorante invoca il salvico ritorno del monarca sovrannaturale. Colui che tutto puote, anche sovvertire l'umano. Ecco allora che quell’election-day con l’anticipazione delle elezioni nazionali si riveste di nuovi, clamorosi, significati: impedire una nuova leggere elettorale, garantendo il pareggio e l’ingovernabilità in primis. Poi, in quello splendido scenario senza padroni, farebbe venire meno le primarie fantasma per questioni di tempo, consentendo una ridiscesa in campo quasi sovrannaturale e mistica dell’unto. Che la sua faccia rimodellata con pelle di varano albino potrebbe anche mettercela, su un pareggio in corner. Continuando a decidere tutto dietro le quinte, col fantoccio Monti buono per l’Europa.
Post n°251 pubblicato il 13 Novembre 2012 da chinasky2006
L’epocale sfida. Ci pensa il Pd a caricare di autoironica e caricaturale enfasi il confronto televisivo a cinque tra i candidati premier della Sinistra, piazzando sul suo sito la fumettistica foto de “i fantastici cinque” con le facce dei nostri eroi. Picco di notevole auto (tragic)ironia. Svetta persino un Tabacci versione “Silver Surfer” che dà tristi presagi su quella che sarà la serata. Renzi s’incazza. “Ci facciamo sempre riconoscere!” pare aver detto nel camper mettendo il broncio. Lui voleva il costume di Goldrake. In realtà il Pd ha spesso fatto di peggio, provocando grasse risate quando pensava di far cose serie. Stavolta han provato a far ridere, con alterni risultati. Bastava metterci sulla sfondo una Bindi versione Stalin, l’aleggiare del fantasma Formaggino Veltroni, o un ammiccante D’Alema stile cameriera nel video “I want to break free” dei Queen. Ce n’erano, insomma. Ma veniamo al dunque, stilando un sontuoso pagellone del quasi-indegno. Bersani, Renzi, Vendola, Tabacci e Puppato sui loro palchetti in quest’americanata un po’ grottesca negli studi di X-Factor. Non aspettatevi ricercati virtuosismi tecnici di politica. Che di quella non v’è quasi traccia. Ambiente tetro, silente, distaccato, asettico. I cinque sulle colonne, emozionati come su un patibolo, con le facce da studentelli universitari ed un funereo anchor-man che pare sbucato dall’oltre tomba. Tracce di rosso porpora solo sullo schermo dietro ai cinque, in sinistra dissolvenza, che scompare lentamente. Oltre che sulla ormai classica cravatta matrimoniale di un contrito Bersani. Renzi 6,5. Doveva spaccare. Sfondare definitivamente, il giovane e rampante predestinato, provando colmare il distacco che ancora ha nei confronti di Bersani. Nel suo campo, a casa sua, con un format da reality. Domande saettanti, risposte scattanti, riflessi pronti e fregnaccia a portata di mano. Insomma avrebbe dovuto sguazzare come pantegana nel guano con stile da venditore di padelle smanicato. Invece gigioneggia, è a suo agio malgrado l’improponibile cravatta viola, indossata perché è della Fiorentina e perché, in quanto giovane, poco gliene importa della scaramanzia. L’applausometro all’inizio è tutto per lui. Ovazioni e gridolini delle quindicenni fan, in stile One Direction. Sorride e ammicca, ma non la chiude. Apre a Vendola e non a Casini, provo ad intuire. No, invece era solo uno sciagurato rovescio di Federer che vedo sul Pc. In difficoltà su matrimoni gay, si rifugia in un “bisogna cambiare la legge” e in qualche farfugliameto inglese (tanto per far capire che essendo giovane conosce l’inglese, e sa usare il computer). Cita Mandela e Amina, blogger arrestata dal regime siriano, come esempio da seguire. Con enfasi finta e voce imposta da Nando Gazzola. Ovviamente qualche frescaccia sparsa che solo i malati di fact cheking avranno la bontà di verificare, ma che tanto fa sgranare gli occhi agli orfani di Berlusconi. Vendola 7. Vince lui. Perché è di sinistra, e perché le primarie non le vincerà. Perché è di sinistra. E’ ancora giovane dentro e pare voglia solo guardarsi attorno per vedere cosa succede provando a dire cose che non si sono mai sentite in bocca ad un candidato premier. E pare l’unico a dirle, quelle benedette cose di sinistra, con accorata enfasi verbosa. A tratti sembra anche comunista. Da lontano, come un eco, si ode la voce flautata di Casini mentre mangia i cappelletti in brodo “vogliamo consegnare l’Italia in mano ai Vendola, eh?”. Diritti civili e matrimoni gay a manetta, forse calcando anche troppo la mano. Lavoro, precari, cassintegrati. Il rischio che la politica diventi esclusiva dei ricchi, abolendo del tutto il finanziamento pubblico. Eppure l’eloquio di st’ometto a tratti m’inebria. E’ un affabulatore che tanto ci farebbe respirare, dopo anni di pecoreccismo da talk, tra berluschini verbalmente volgari e fascisti. Sarebbe sanificante, il gay della politica italiana porterebbe un po’ di sana moralità. Sa che non vincerà, e la cosa lo agevola. Stilettata paracula il citare come esempio il cardinal Martini, con cui abbraccia in un solo nome la Chiesa e gli scottanti temi dei diritti civili, procreazione assistita, testamento biologico e matrimoni gay (aridanghete). Bersani 6. Pare pronto per una ridente e ruspante serata di lissio con la signora, dopo un rilassante pomeriggio alla bocciofila. Emozionato, e con l’atteggiamento finto distaccato di chi la butta lì. Invece è il più teso e contrito di tutti. Normale, i sondaggi lo danno in testa e potrebbe solo peggiorare le cose. Evita lo “sfondone” deleterio, e ne esce indenne. Ma non chiedetemi cosa abbia potuto non dire. Stavo vedendo l’abortito tentativo di rimonta di Federer. E’ istituzionale, catastale quasi. Lento, terribilmente lento ed inadatto allo stile saettante di questo confronto. Giocava fuori casa contro il ragazzino, e strappa un buon pareggio. “Nomenklatura” e “catasto”, sono le parole che mi suscita la sua lucida pelata. Temi sociali, adozioni e matrimoni gay, poco gliene cale. Sbuffa, quasi. "Che a noi ci piace la patacca" sembra voler dire, ma poi si contiene. Nessuna allegoria delle sue o leopardo da smacchiare (pare fosse bandita per legge, e sky si era premurata di farglielo capire). Lodevole che sia stato l’unico ad accennare alla mafia, come tema caldo con cui fare i conti una volta al governo. L’uomo di sinistra laica più classica di vecchio stampo, non ci risparmia l’abbraccio alla Chiesa col “Papa Buono” come esempio di vita. Anche lui attento agli zuccotti rossi. Che quelli, con pop con in mano e tra un rosario e l’altro, stanno già scegliendo chi è indegno del regno dei cieli in terra. Puppato 5. Non si sapeva chi fosse, se non di nome. Trascurata dalle tv di tutto il globo terracqueo manco fosse affetta da qualche morbo equatoriale, veniva il dubbio che fosse addirittura di sinistra. Si rivela oggettivamente poca cosa, una specie di figlia adottiva di Sandro Bondi che non pare adatta alla sfida. Malgrado non sia in una vasca di squali. Persino l’anchor-man catacombale si dimentica di lei, nel giro di domande. “Manca più nessuno, veh?”. Cita due donne bipartisan (Iotti e Anselmi), come guide ispiratrici. L’unico picco, manco a dirlo, glielo regalano gli altri. Un pietistico Vendola che la fa salire sugli scudi per venti secondi dicendo d’aver raccolto le firme necessarie alla sua candidatura, perché una donna ci voleva. E nel pomeriggio, grazie a Travaglio che ne sostiene la sua causa. Ecco, il sostegno dell’abatino grillino dalle tintinnanti manette, grazie ai suoi tanti devoti fans ed alle scatenate groupie, potrebbe farle superare l’1% dei voti. Tabacci 4,5. Per carità d’Iddio. Preparato è preparato, per le primarie Pdl. Perché pare impegnarsi per guadagnarsi anche quelle. Sarebbe essere socialista, ma pare un democristianone della corrente più spostata verso destra. Lui che pure da socialista dovrebbe dire qualcosa sui diritti civili, ha quasi una sincope quando gli domandano dei matrimoni gay. I barellieri sono allertati. “Il matrimonio tra uomini e donne, eh”, dice. E accorrono con la lettiga. Manco a dirlo, per lui sono Marcora e De Gasperi gli esempi da seguire. Silenzio agghacciante del pubblico, ad ogni risposta. A un tratto vorrebbe applaudirsi da solo. Accortosi della situazione ormai tragica, pensa di attirarsi altre simpatie parlando di Monti Presidente della Repubblica. Perché non sarà di sinistra, è chiaramente fuori luogo, ma rimane furbo come una jena. Se l’intento era scendere oltre la soglia dello 0% o di ottenere una candidatura alle primarie Pdl, la serata per lui è stata un successone. Sky 7. Brava a fare propria quest’esclusiva tipicamente yankee che noi bravi ad importare le cose peggiori, abbiamo fatto nostra. Mentana schiatta d’invidia, e come pulzelletta piccata già si prenota quello che sarà lo scontro finale a due nel turno finale, Renzi-Bersani. Primarie Pdl (non oso immaginare). Già, ora tocca a loro. Ve li immaginate nella stessa situazione, Santanchè, Alfano, Mussolini, er pecora, ‘o scoreggione, etc…? Delirio. Pare che Mediaset non voglia perdersi l’esclusiva. Scenario: tutti nudi nella piscina del Gf e con un drink in mano. Silvio vorrebbe anche la gara di burlesque, ma in seconda battuta.
Post n°250 pubblicato il 11 Novembre 2012 da chinasky2006
Rimango lì, incollato con lo sguardo volto al niente assoluto, ascoltando l’anticipazione dell’ultimo giro che ci regala il Maestro Guccini. In silenzio, al solito. Da soli, come spesso capita. Mescolando parole è capace di creare istantanee d’esistenze lontane, ma clamorosamente nitide. Ha fatto centro anche stavolta. Qualche nota genuina e versi ricercati, di una poesia antica. Parole lievi e pesanti come macigno allo stesso tempo. E’ quello il segreto che fa nascere la magia dell’attimo. Racconta la sua storia, semplice come sempre. Con la capacità di renderla complessa, tipica dei grandi. Un poderoso getto d’acqua che schizza, in zampilli di malinconia che ognuno prova a fare propri. E noi ci abbeveriamo, di vino e malinconie. Poche cazzate, poeti si nasce. Puoi pensare solo questo, nel momento di riflessione ad alta gradazione alcolica. Anche se mai dirà che “a canzoni si fan rivoluzioni”, e neppure poesie. Non è l’algebra o una teoria pazza di schiappettanti filosofi greci. Con quell’arte che pulsa nelle vene ci nasci, ti fa ridere, piangere, riflettere e sgorgare passione nel giro di pochi minuti. “Ridere senza muovere il viso”, o “Piangere senza un grido, quando invece vorrei urlare”. Ascolto ancora quelle note, piene di un garbo emozionante. Intatto, cambiato e sempre uguale a se stesso, quasi dall’alto cavalcasse gli inevitabili mutamenti. E gli occhi vigliacchi non smettono d’inumidirsi, rendendomi simile a donnicciola alticcia. Mi commuovo incrociando gli occhi di un cane dimenticato e larmo ascoltando le canzoni di Guccini. Dovrei farmi analizzare da un freudiano che in una notte di luna piena copula avidamente con uno junghiano? Probabile. Intanto ingollo il quarto bicchiere, e rimetto "l'ultima volta". Che già so, sarà l’ultima per un migliaio di volte. Perso nelle mie quotidiane brutture d’ingrigito cemento, non avevo colto ufficiali dichiarazioni circa il suo ritiro dalle scene. Ma in quella“Ultima Volta”, che anticipa l’uscita dell’album “L’ultima Thule”, veleggia malinconica l’idea dell’addio. Il più delicato e consapevole approdo. Come poderosa locomotiva d’un tempo, trasformata in elegante veliero che si allontana disperdendosi nella brumosa alba di vallata. “L’ultima volta” è un flash all’indietro in cui scorgere immagini ingiallite, una storia che passa e scorre, prendendo forma tra diapositive impolverate. Gemma che va ad impreziosire le altre di una carriera mirabile, coerente, vera, tra ironie taglienti, furibonde frustate dell’animo e carezze delicate. Unica, per dirla tutta. Guccini non è più quel robusto e barbuto anarchico nato per essere contro, “perché a vent’anni è ancora tutto intero…a vent’anni si è stupidi davvero” come dirà ricordando un Eskimo. Non è il narratore d’amore con quel miscuglio di amabile ironia, invettiva, cinismo sfumato e malinconia, che ne fanno artista unico. Non sarà più nemmeno il cantore di follie, utopie e locomotive diventate manifesto dell’anarchia o disincantato e divertito fustigatore di costumi sociali e antisociali, di “fusti carrozzati, vuoti e pieni di sussiego se il vestito non fa un piego”. Non vorrà più scagliarsi contro qualche riciclato “musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete, a sparare cazzate” su di lui. Non se la sentirà più nemmeno di gridarci in faccia d’avere ancora la forza. Il guerriero sembra stanco, ma non domo. Grazie al rosso saggio che continua a svelare “i suoi perché”. E' approdato alla sua Isola non trovata, nell'ultimo viaggio scoprendola come mitologico posto oltre ogni cosa nota all'uomo. Quasi sberleffo all'affannarsi di chi cerca verità assolute. Il singolo "L'ultima volta" è solo aperitivo, ma l'impressione è che abbia voluto chiudere il cerchio, in modo mirabile e completo. Ogni stagione si riempie delle le sue inevitabili colorazioni. Vivide, intense, tenui, ammalianti, furenti, malinconiche. E non puoi farci niente, se non vestirle amabilmente. Col vigore e la grandezza morale di chi riesce a farlo. La ridicolaggine di truccarsi in quello che non si è, con parrucchini ed orpelli, lasciamole ai nani. I guitti di questi tempi d'atroce menzogna. Fili bianchi e rughe non spaventano chi non cambia dentro. Qui c’è verità. Brutale all’apparenza, dolce nell’essenza. Ogni storia ed il suo “niente” finisce, rimanendo immortale. Non puoi che riviverne il ricordo, come canzone che rimetti nell’ormai obsoleto jukebox tornando a “picchiettare un indù in latta di una scatola di té”, sorvolando un innocente pensiero d’amore abortito che sgorga in poesia. Ma si resta inebetiti, stavolta. Con la straziante sensazione d’impotenza, pensando che sia l’ultima. Inumidisce i tuoi stronzi ed indegni occhi di cinico sciocco, che per una volta non vuole vedere la realtà. Ci prova anche, il vino scadente, a suggerirmi le sue strampalate verità di una mezza notte autunnale. Ma è scadente, appunto. Poche ciance, mi dico, non fatevi fregare dall'istrione divertito. Guccini non può ritirarsi, non può smettere. I poeti non si ritirano. McEnroe non si è ritirato, ha solo smesso di giocare. Che col compiaciuto sadismo che è massima sublimazione della poesia, ci stia solo mettendo alla prova? Perché il lirismo della tristezza è per pochi, pazzi come noi. Col bicchiere ormai vuoto mi convinco che non sia un tramonto, ma il commovente albeggiare nelle vallate dove scorre l’amato Limentra, di cui s’avverte lo scroscio discreto all’interno della canzone. I versi, ed il placido scrosciare d’acqua di torrente, lasciano però la sensazione opposta: triste, struggente, coerente. Un delicato sipario che si chiude con la stessa verità con cui si era aperto. Diverso, ma vero allo stesso modo, cavalcando quelle stagioni di cui si cianciava sopra. Approda alfine All'Ultima Thule, oltre ogni umana conoscenza. Il vino, e le folli teorie sono finite. Puoi solo aspettare di ascoltare il resto della sua ultima opera, e sperare che l’ultima volta si protragga a lungo, contentandoti dei suoi versi in romanzi, e magari immaginare un tour. Che anche nella fiera lezione di coerenza che ci sta insegnando da Maestro, ci sia spazio per venature d’utopia antica. Altri happening, tra musica, vino rosso a pacare il gozzo e inebriare la mente, libertà, parole masticate e mescolate a quel “rosso saggio” che ritorna sempre, e mentre riecheggiano epiche musicalità. Assiepati e doverosamente “a sedere!” per godere dello spettacolo in quell’angolo libero, zona franca da tutto il resto da regole e brutture contaminate. Non avrà più la forza, si diceva. O ne ha ancora talmente tanta da dire “L’ultima volta”, con la stessa immutata grandezza coerente in cui disse “a culo tutto il resto”. La grandezza è lì.
Post n°249 pubblicato il 06 Novembre 2012 da chinasky2006
E’ sera. Preparo la frugale cena dell’orfano dei “ristoranti sempre pieni”. Sgargarozzando una birretta vedo il cine-notiziario, con cupidigia. Uh-uh. Roba forte. Da sboccare di colpo la sbobba, prima ancora che raggiunga l’esofago. Notizia interessante. Kitch-horror-trash. Un violento thriller di quelli che definire noir, sarebbe riduttivo. Di un nero fuliggine. Nero fascio, ecco. Al funerale di Pino Rauti c’era la crème di quello che è il fascismo più “puro” in Italia. Un happening balilla per dare l’ultimo saluto al padre fondatore di Ordine Nuovo e più volte tirato dentro in storie di servizi segreti, massonerie e grandi misteri irrisolti dell’Italia recente. Sfilano amici della gioviale infanzia manganellante, politici e cittadini. Da Er Pecora al nostalgico militante. Mancano i costumi di scena, le camicie, i fez di quel drappello di giullari vestiti a maschera riunitisi a Predappio sulla tomba del duce. Poco male. Ogni nazione ha i suoi nostalgici svitati. Negli Usa ogni tanto si radunano buontemponi dall’occhio ceruleo che ripropongono teorie naziste. Materia per manicomi con sbarre rinforzate. Avviene anche in Italia. Il folklore da frenocomio bisogna darlo per scontato. Nostalgia canaglia per un passato ed un’ideologia col carico di doppia colpa: aver fallito miseramente ed esser stata dichiarata anche criminale. Fan poco testo quelli. Alle esequie del maestro indiscusso della destra italiana pura (senza mica le pagliaccesche contaminazioni del guitto di Arcore, dei Fini ripuliti o farseschi colonnelli che han finto di diventare democratici), c’erano proprio tutti. Neri, cupi, col petto in fuori. Nostalgici e fieri, ma asciuttati del ridicolo effetto carnascialesco di Predappio. Si sprecano saluti romani al loro padre politico e inni al “Camerata Pino”. Sono lì, copertina di un trattato di fisiognomica. Qualcosa che senza volersi addentrare in discorsi folli nella loro essenza politica, balza all’occhio. Osservo rapito e vinto dall’orrore. E penso che tutta questa campagna di terrore per Grillo forse non ha senso. Anzi, al politico genovese che draga a nuoto lo stretto di Messina manco fosse il figlioccio putativo del precursore Giancarlo Cito, si deve riconoscere un merito: Aver incanalato il vento di protesta, che altrimenti avrebbe virato su questi squadristi agghiaccianti, come avvenuto in Grecia. Perché, lo sappiamo, non è che il popolo italiano non abbia memoria. Ha proprio l’Alzheimer. Avrebbero dato fiducia anche a neofascisti ammiratori della Costituzione antifascista. Entrano in chiesa. E nessuno sa che il meglio del loro peggio deve ancora svelarsi al mondo. Il prete celebra l’omelia funebre. I camerati crudi e puri avvistano da lontano l’ignobile traditore, Fini. Vile disertore. Colui che sedotto dal serpente Berlusconi tradì il verbo, limonò e copulò con il potere (tranne poi scoprirsi sdegnato dal prono coito). Fini il nemico giurato della coerenza fascista che non voleva essere sdoganata, ma che un poco gli piaceva. Solo la punta, come le viziose. Non si capisce perché invece i colonnelli del Pdl sfuggano alla furia di quest’anelito di purezza. Qualcuno vorrebbe arrivare al Presidente della Camera per cantargliene quattro. I più nostalgici anche menar qualche maschia manganellata nelle gengive, trattenuta a lungo. Una sonora lezione che gli faccia comprendere il verbo antico. Quello di cui anch’ello s’era nutrito in giovinezza (giovinezza). Gaglioffo e subdolo, il fascio che vendette le loro maschie idee, ripudiò il capoccione splendente e possente come i raggi del sole. Un gotto di olio di ricino per quell’oncia di finto libertarismo. Una poltrona barattata con l’amato manganello. Non più la negra camicia, ma il negro al voto. Delittuoso l’abbraccio alla faccetta nera una volta colonizzata in patria, ed ora spedita al seggio italico. Fino a lassiste concessioni ai diritti civili di frocerie, oppositori, invertitismi fisici, politici e quant’altro. Inaccettabili derive civili invece di recinti e purghe sananti. Fini ha osato ieri, quasi come sberleffo per la loro mentalità, presentarsi in una chiesa. Ad omaggiare il nemico di vent'anni fa. In linea con una certa qual pìetas, battaglie politiche a parte. Terreno neutro, la chiesa. Un funerale, figurarsi. Luogo che olezza d’incenso, e dove vige religioso silenzio e nemmeno i criminali possono essere toccati. Regole buone per tutti, ma non per il ferito animo balilla, nero come la pece nera. Eccola allora la reazione belluina: grida, urla, insulti, sputi, rutti, peti e livori d’ogni sorta e violenza fisica evitata d’un soffio. Coerenti, a loro modo. La vendetta camerata all’interno di quello che pure dicono di rispettare come edificio del loro culto. E’ un trionfo di facce, sguardi ed odi tristemente antichi. Devono addirittura intervenire il prete e la figlia dello scomparso, per invitarli al silenzio e ad una decenza umana. Guardo le immagini e mi chiedo cosa avrebbe pensato lo scomparso. Provato vergognato. O sarebbe stato fiero, per un atteggiamento che rispecchia i suoi insegnamenti. O magari forse entrambe le cose, che intimamente s’equivalgono.
Post n°248 pubblicato il 02 Novembre 2012 da chinasky2006
Il cielo iniziava a rischiararsi, striato di biancastre venature nel tenue porpora dell’alba. E nella piccola chiesa di paese rintoccavano le campane della messa. La prima della giornata, quella che alle 5,00 raccoglie fedeli immortali, pazzi o prossimi alla morte. Don Rino aveva appena iniziato la sua accorata omelia alle tre martiri devote, pronte a dare il buon giorno al loro Signore, che invece Adil barcollava, spegnendo la sua nottata. Fra i viottoli del borgo antico, trascinandosi dietro la sbornia di una notte passata ad ingollare ostie imbevute nel whiskey scadente. Non chiedeva niente dalla via, Adil. Venuto via dal Marocco qualche anno prima, per diventare prigioniero e schiavo illegale nel cialtronesco paese della libertà. Nessun parente, alcun amico. Qualche compagno di bevute, al limite. Puliva le latrine dei cavalli e teneva in ordine il casolare di un negriero benefattore. Tanto bastava a pagarsi le bevute, un pacchetto di L&M e l’affitto di una capanna senza luce elettrica. Di sera spendeva i suoi venti denari per spegnere ogni malvagia realtà, ubriacandosi. Viveva come una bestia. Una bestia senza Dio. E nemmeno l’Allah della sua religione. Le vecchie intanto, strette nei fazzoletti che costipavano le loro teste canute, pregavano per tutti. Anche per la sua anima marcia e corrotta dal vizio. Il prete, con melodiosa voce ancestrale, esalò smorfie d’antologia. Teatraleggianti gesta delle braccia, ed un effluvio di parole dense di significato trasparente. Pareva stesse aizzando una fiumana di gente estasiata o fosse sul punto di spetazzare come un mulo tibetano, invece aveva innanzi a sé tre donne dalle ossa porose che sgranavano l’invincibile arma del loro rosario. E belavano con gracchiante anelito, rispondendo alle sue parole. Il moderno schiavo camminava nel miracolo d’alba, osservando il chiarore che vince le tenebre. E rideva. Talmente ubriaco da riconoscere solo quel miracolo della natura. Udì le stridule voci irreali provenienti dalla piccola chiesa, e ci entrò. Osservò rapito, incuriosito e con lo sguardo perso. I sottili baffetti si distendevano in una risata e la pelle del volto avvizzita dal sole si ritraeva in rughe scafate. Dimostrava molti più anni dei suoi 27, pettinati da alcol e schiavitù. Un po’ intimorito dalla sua visione, il prete continuò il suo rituale sacro. Adil ora era quasi vinto da una luce immaginaria. Il frastuono soffuso di echi e voci lontane, tipiche di chi è allo stadio ultimo della sbronza, lo rapiva. Si sedette all’ultimo banco, per osservare meglio. Prese il pacchetto delle sigarette, ne tirò fuori una a fatica e se l’accese, senza perdere di vista il pulpito. Iniziò a fumare, gettando fuori nuvole sacrileghe. Don Rino scattò come un centometrista, e corse in sua direzione con la tunica svolazzante. Ne nacque un conciliabolo feroce. L’inviolabilità del tempio, contro l’incuranza sbronza di un povero derelitto. Le fedeli, dando compostamente le spalle al pulpito, osservarono la scena con un poco di timore. Alla fine il prete si fece consegnare la sigaretta, la spense gettandola fuori. Riprese l’omelia. Il marocchino incosciente finì per adagiarsi mollemente su se stesso, con la fronte posata sul banco. Dormì un poco. Si svegliò di soprassalto. Non sapeva nemmeno dove fosse, chi fosse, quale mondo stesse vivendo. Probabilmente pensava d’essere in Marocco, di avere ancora 7 anni o d'esser già morto nella sua fatiscente spelonca. Chi può dirlo. Abbassò la cerniera e pisciò in piedi contro una colonna della navata laterale. Un lago di piscio giallastro, maleodorante come il peccato. Lanciò un ghignetto di soddisfazione e si stese sulle panche, come a voler dormire. L’unto sul sagrato diede la sua pace. Le zimarre si congedarono. Tutte e tre sotto braccio, passarono innanzi al turpe atto di profanazione. Fecero un segno di croce e volsero gli occhi al cielo. “C'è dentro un indemoniato”, gridò una di loro rivolta agli agricoltori radunati innanzi al bar di fronte alla chiesa, prima di andare nei campi. Capeggiate dall’uomo santo che correva tenendosi le gonne con le mani, si diressero al comando dei carabinieri. Passarono pochi minuti, e i solerti gendarmi fecero irruzione nell’edificio di culto. Furono attimi di lotta commovente a sacra. Lo presero a braccia, conducendolo nella volante che ancora si dibatteva come un verme sbronzo. Quel furente odio vendicatore continuò in questura. Spintoni, parole di sacra vendetta. Poi lo gettarono nella cella come un sacco di juta ripieno di sterco. “Maledetto figlio di una troia marocchina, lo sai che da qui non uscirai più?”, gli dicevano. Quindi un rumore sordo di ossa colpite, ed urla animalesche. Il giorno dopo Adil fu trovato che pendeva dalla finestra, improbabilmente legato con una cinghia dei pantaloni. Qualcuno giura d’averlo visto col volto tumefatto e lividi sparsi per tutto il corpo, come il nazareno brutalizzato da pretoriani armati di elmetto e lance. Neppure i suoi famigliari in patria poterono riconoscerlo, in quanto sprovvisto o privato di ogni documento. Così finisce chi non esiste. In un cimitero, nell’ossario comune e senza un prete che celebra la pietà del sacrilego suicida che non è mai esistito. Mentre qualche chilometro lontano, eminenze nobiliari, virtuosi preti e sommi vati del garantismo di classe, si preoccupavano della sanità di un impresario manigoldo dal naso arricciato, perché il cibo delle carceri non è buono.
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