Creato da anna_861 il 27/05/2014

MASSA: 1915-1918

MASSA (MS) NEGLI ANNI DELLA GRANDE GUERRA: MONUMENTI, STORIE, IMMAGINI, RACCONTI

 

 

I SEGNI DELLA GUERRA_PISA

Foto di anna_861

I SEGNI DELLA GUERRA PISA

Il 28 marzo si è inaugurata a Palazzo Blu, Pisa, la mostra I SEGNI DELLA GUERRA, allestita in occasione del Centenario della Grande Guerra. La curatela scientifica è affidata al Professor Antonio Gibelli, ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Genova e studioso di questo periodo, in collaborazione con il Professor Carlo Stiaccini e del Dottor Gian Luca Fruci, per le ricerche di archivio 

Attraverso la narrazione affidata a due personaggi, riesumati dalle pieghe della storia con sapienti olografie, il visitatore è subito messo di fronte a quello che fu il problema più sentito di allora: entrare in guerra o non entrare? Neutralismo o Interventismo? Una introduzione generale di tipo cronologico riassume le principali vicende storiche europee ed italiane nei 10 mesi intercorsi dallo scoppio della guerra all'entrata dell'Italia nel conflitto.

Seguendo il filo della loro narrazione dei due personaggi, il visitatore è introdotto alla scoperta della storia locale attraverso documenti e materiali originali provenienti da diversi archivi toscani ed italiani, di cui molti privati. Antonio Ceccotti, classe 1891, nato a Bagni di Casciana, richiamato in guerra dopo aver già partecipato alla Campagna libica, lascia diari autografi da cui traspare una visione realistica della guerra e la sua posizione neutralista. Di tutt'altro sentore le lettere di Ivo Stojanovich, classe 1893 nato a Pisa, studente di Giurisprudenza e irriducibile interventista. Con inquietanti olografie i due personaggi vengono fatti rivivere e parlare in diversi angoli della mostra.

Un ruolo di rilievo viene dato alle Scritture di Guerra, per l'importanza che ebbero e per la mole di testimonianze ancora esistenti. Con l'ausilio delle tecnologie informatiche, scorrono sulle pareti lettere e segni dei militari inviati alle famiglie dalla trincea o dai campi di prigionia.

La richiesta impellente: cibo e vestiario, fame e freddo. Gran parte delle testimonianze proviene dall'Archivio del Cardinal Maffi, che ebbe un ruolo di rilievo nelle comunicazioni e ricerca dei prigionieri durante gli anni di Guerra.

Gigantografie accompagnano momenti significativi della storia pisana, come la manifestazione di circa 7000 persone contro la guerra nel febbraio 1915, oppure le misure di sicurezza e protezione delle opere d'arte dai bombardamenti e l'arrivo dei monumenti “inscatolati” da Venezia. La nascita della Scuola di Aviazione a S. Giusto. Un piccolo angolo dedicato al lavoro delle donne, alla propaganda dei comitati di mobilitazione civile. Salendo al piano superiore, una promenade di grandi manifesti del Prestito di Guerra che martella il visitatore con lo stesso effetto che doveva avere allora sulla popolazione. Nelle sale superiori, una piccola sezione dedicata ai Caduti e ai monumenti ed ai Mutilati di guerra. Nel corridoio di uscita, una interessante carrellata bibliografica sulla produzione d'epoca. 

Due parole sulla mostra...

Certamente una mostra da visitare, da apprezzare e da far conoscere ai più giovani.

Una mostra anche complessa da allestire, data l'ingente mole di materiale archivistico da vagliare e le tematiche più disparate da trattare che sono toccate quasi del tutto. Interessanti i laboratori didattici dedicati ai ragazzi e la possibilità di visita guidata che consiglio vivamente a chi è completamente a digiuno sull'argomento. 

Appunti costruttivi...

La mostra si concentra sulla città di Pisa, tralasciando però di evidenziare alcuni aspetti chiave. Per esempio le relazioni della città con gli altri centri della Toscana, in particolare l'importanza del campo di volo di S. Giusto dove venivano addestrati i volontari aviatori provenienti dalle province toscane, tra cui Massa.

Un altro appunto: i Monumenti. Anche se la provincia di Pisa conserva notevoli testimonianze che non potevano essere certo inserite in questo contesto espositivo (ci vorrebbe una specifica mostra in effetti!!), almeno alcune gigantografie le avrei inserite. Avrebbero significato meglio la memoria di quei Caduti rispetto a quell'espositore mignon a centro stanza, con foto di piccole dimensioni, illeggibili che a fatica ti fanno individuare il luogo del monumento. Un esempio? Lustignano, piccolo paese dell'entroterra pisano sul confine grossetano che neppure i pisani conoscono. Si fatica anche a leggerne il nome. Lo cito non a caso perché questo piccolo paese, che immolò un alto tributo di vite umane, ha una storia che si intreccia con quella di Massa. Diversi giovani di queste zone furono infatti arruolati nel 125° Reggimento Fanteria Mobile, di stanza a Massa.

http://www.palazzoblu.it/index.php?id=893&lang=it

 

Orari di apertura

Martedì-Venerdì: 10.00-19.00

Sabato-Domenica: 10.00-20.00

Ingresso libero

 tel. 050.220.46.50

 
 
 

ABEL GANCE E LA GRANDE GUERRA

Foto di anna_861

J'ACCUSE..., 1918

"Amici miei è venuto il tempo di sapere se le nostre morti sono servite a qualcosa! Andiamo a vedere se il paese è degno del  nostro sacrificio"

   Diretto e realizzato da Abel Gance nel 1919,  J'Accuse fu il film della protesta, dell'invocazione alla pace. Rievocando in una quanto mai visionaria realtà i Caduti della Grande Guerra, l'autore intendeva manifestare il suo chiaro dissenso verso un nuovo conflitto mondiale e protestare contro di esso, svegliando, ammonendo le coscienze altrui con lo strumento che più gli era congegnale: il cinema.

Il film che in Italia sarà intitolato Perla Patria! rappresentava un chiaro e profondo atto d'accusa contro la "arneficina organizzata che fu la prima guerra mondiale". Ebbe un enorme successo in Francia e all'estero e nel 1921 viene proiettato anche negli Stati Uniti

Abel Gance (1889-1981), malato di tubercolosi, viene comunque inviato al Fronte nei servizi di Sanità. Come Barelliere partecipa alla guerra, vivendone ogni orrore ed ogni tragedia che furono alla base di altri suoi lavori cinematrografici, tra cui il cortometraggio I gas mortali girato nel 1916. Nelle seu pellicole le sue visionarie fantasie si mescolano agli innovativi effetti speciali, allora sconosciuti e mal accettati dai produttori cinematografici.

Lo stesso J'Accuse rappresenta una delle sperimentazioni più interessanti di Gance in fatto di effetti speciali, spesso ottenuti con l'uso di specchi deformati (La Follia del Dottor Tube) in fase di ripresa, ma soprattutto la sua sperimentazione si esprimeva nella fase di montaggio dove riusciva a creare i più imprevedibili effetti speciali, accentuati spesso da una ben congegnata polivisione della pellicola in fase di proiezione.

E un efficace effetto zombie nella pellicola J'Accuse....

https://www.youtube.com/watch?v=SNDwVK7Gwlw&list=PLxQxSncFl85D38o_LV-9sylAh7-UraeiW&index=2

Su Abel Gance vedi:

http://it.wikipedia.org/wiki/Abel_Gance

http://television.telerama.fr/television/le-j-accuse-d-abel-gance-un-monument-qui-merite-le-detour-sur-arte,118727.php

 

 
 
 

MONUMENTI GRANDE GUERRA A MASSA

Foto di anna_861

MONUMENTO AI CADUTI, MIRTETO


Massa ebbe circa 900 caduti nella Grande Guerra, su una popolazione di 10.000 abitanti o poco più. Una percentuale molto alta, ma soprattutto una città piegata dallo sforzo bellico profuso nei 41 lunghi mesi di guerra anche sul Fronte Interno. I lutti toccarono indistintamente ogni famiglia massese, senza distinzione di classe, età, importanza.

Di fronte a questa tragedia corale la città non è riuscita a conservare questa memoria e non ha mai realizzato un proprio momumento civico, di cui ho parlato nel post precedente.

Il ricordo delle giovani vite immolate è stato delegato ad altri monumenti, sepolcri familiari o lapidi rionali. Gli unici monumenti realizzati si trovano infatti nei borghi di Massa, gli antichi Comunelli di sapor medievale: Pariana, Turano. Sono opere in cui ancora non si enfatizza la propaganda del nuovo corso politico, come accadrà invece nel Monumento ai Caduti innalzato nel Cimitero Monumentale di Mirteto, negli Anni Trenta.

Con un linguaggio dagli stilemi tipicamente razionalisti, il Monumento ai Caduti di Mirteto, si sovrappone e quasi cancella il più modesto e retrostante lapidario del 1916, per glorificare nella morte dei giovani apuani, la nuova era fascista.

Il monumento, rigorosamente in marmo e dalle forme squadrate, propone due pilastri innalzati al cielo, silenziose sentinelle e luminose faci affiancate al milite ignoto, di mussoliniana somiglianza, innalzato sull'ara sacrificale della Patria.

La Grande Guerra è già passata da circa 20 anni quando si innalza questa opera e il sacrificio che fu è ora solo uno strumento enfatico di propaganda. Niente a che vedere con le semplici lapidi retrostanti, dedicate ai morti negli ospedali massesi. Niente a che vedere con il bel Fante Morente della piazzetta di Turano, eretto solo 10 anni prima.

 
 
 

MONUMENTI E LAPIDI A MASSA

Foto di anna_861

MASSA NELLA GRANDE GUERRA

IL MONUMENTO CIVICO AI CADUTI DELLA GRANDE GUERRA.

La memoria degli anni della Grande Guerra a Massa è affidata ai documenti archivistici e ad alcune memorie di pietra soprovvissute al tempo ed alla distruzione degli uomini.

Il censimento realizzato lo scorso anno ha restituto un campionario di circa cinquanta memorie, per la maggior parte in pietra e di tradizione familiare. Dalle pagine del volume in preparazione sull'argomento, Monumenti e Lapidi della Grande Guerra a Massa,  estraggo due note storiche... una curiosità per speigare come mai il capoluogo di Provincia non ha un Monumento civico ai Caduti della Grande Guerra.

Pochi sono infatti i monumenti collettivi e significativa proprio la mancanza di un monumento civico ai Caduti, eretto invece nella maggior parte delle città e dei paesi, anche più piccoli, della penisola negli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto. La grave lacuna a MAssa fu causata da un lungo iter burocratico intercorso tra il Comitato pro Monumento, costituito nel 1918, e la nuova amministrazione comunale che, ormai in pieno ventennio e seguendo il nuovo corso politico, non approvava l'originario progetto del Monumento, disegnato dallo scultore Archimede Zeri, ritendolo sdolcinato e troppo retorico. La costruzione del monumento in verità era già stata avviata, ma una squadra di irriducibili aderenti al nuovo regime fascista ne demolì la base. Pochi giorni dopo un articolo apparso sulla stampa locale faceva riferimento al fatto, sostenendo la necessità di realizzare un monumento nuovo, più rispondente alle nuove idee politiche.

E così al posto del Monumento ai Caduti per la Patria, Massa si ritrovò la Fontana del Littorio che di fatto, niente aveva a che vedere con il sacrificio umano profuso dalla città in nome della nuova Italia.

Nella foto: una delle due grandi lapidi innalzate nel 1936 sotto il pronao del Duomo di Massa. Oltre a riportare i nomi dei caduti della Grande Guerra (solo una parte), le lapidi riportano anche quelli delle guerre coloniali, della guerra di Spagna e dei moti di Sarzana, i caduti del Regime Fascista. Proprio l'aggiunta di questi caduti, insieme a quelli della Grande Guerra, permise la realizzazione di questo monumento. Fu infatti un compromesso che consentì l'elargizione di un apposito finanziamento statale.

 

 
 
 

PIERO MASSONI AVIATORE

Foto di anna_861

La Grande Guerra a Massa ...

Nel 1919 la gran parte soldati sopravvissuti non era ancora ritornata a casa, la città era invasa dalle truppe di passaggio....

Dai documenti si rileva che gli uomini massesi contribuirono a rinforzare soprattutto i reparti di fanteria, di cavalleria e molti di loro furono i primi germogli di quella che sarà la futura Aeronautica.

Gli inizi dell'Aviazione furono di carattere sperimentale, dovuti soprattutto al coraggio di alcuni impavidi giovani manovrati da più esperti e convinti personaggi. Oltre a d'Annunzio, figura di spicco nelle attività di volo fu senz'altro quell'Eugenio Chiesa poi diventato Commissario Generale dell'Aviazione nel 1917.

Tra i piloti apuani della Grande Guerra, un posto d'onore merita il marchesino Piero/Pietro Massoni che si arruolò volontario nel Battaglione Aviatori. Decorato con tre medaglie d'Argento per le sue importanti ricognizioni in zona guerra, rischiò diverse volte di essere abbattuto dal nemico. Ardito dell'aria, riusciva a volare a bassa quota fotografando oltre le linee nemiche, riportanto importanti informazioni sulle postazioni e spostamenti. Appartenne a diverse squadriglie di aviatori, anche nel ruolo di istruttore, ma è nella destinazione alla 87a Squadriglia "Serenissima" che trova la migliore opportunità per dimostrare le sue ottime doti di pilota da ricognizione e non solo.

Con la Serenissima, fu tra i 5 fedelissimi che giurarono a d'Annunzio di arrivare su Vienna a qualunque costo, in quel famoso volo del 9 agosto 1918, ultima opportunità per la gloriosa squadriglia.

A lui e agli altri piloti massesi dedichiamo uno dei ricordi della Grande Guerra in città, in occasione della ricorrenza del Centenario.

 
 
 

Memorie di Guerra di Giuseppe Pozzobon

Post n°12 pubblicato il 15 Febbraio 2015 da anna_861
 
Foto di anna_861

Tra i numerosi diari di guerra che si stanno riscoprendo, mi è capitato di leggere questa Memoria della Campagna Italo Austriaca 1915 e 16, manoscritta da Giuseppe Pozzon, soldato di Castelfranco Veneto.

Si trova in ristampa anastatica presso l'editore Kellermann.

Giuseppe Pozzobon era un omone alto e grosso. Con la moglie gestiva una trattoria a Castelfranco Veneto. Quando lo chiamano per andare soldato "dolorosa fu la partenza" nel lasciare la "giovine sposa" e il loro "bell'esercizio". Il Soldato Pozzobon rimane per un mese senza divisa perché non ce ne sono della sua misura e così si deve provvedere a farne una. Era un metro e ottanta e le divise erano per uomini all'altezza del re. Arrivato in trincea, appunta su uno di quei libretti di bottega la storia della sua guerra. Con parole semplici, drammatiche, umane... "Si mangia ogni 24 ore e di notte, per andare che si cammina non si vede, la pioggia che viene. il sentiero e stretto, sbagliare di passo vale a dire che non si trova più nemmeno i ossi. Dopo preso l'acqua bisogna a stare bagnati e pensare di asciugarsi con il proprio calore"


 

 
 
 

LA PARTENZA DEI SOLDATI

Post n°11 pubblicato il 06 Febbraio 2015 da anna_861
 
Foto di anna_861

Ci hanno sempre fatto credere che la partenza soldati per il fronte fosse una grande festa. Le Bandiere Tricolore sventolavano agitate da festosi bambini, ignari di trovarsi per l'ultima volta di fronte al padre. Eleganti signorine con cappellini alla francese distribuivano pacchetti di sigarette e dolciumi. La Banda cittadina suonava inni a profusione. I soldati, ammucchiati ai finestrini del treno, un po' ridevano, un po' salutavano. Alcuni tendevano il braccio per acchiappare ancora un po' di quella vita muta che stavano per lasciare. Vestite di scuro, col grembiale e il cencio in capo, le contadine massesi stavano un pò in disparte, immobili accanto al treno.

Si fermava il respiro, mentre il treno si metteva in movimento.

Il gran frastuono della partenza sembrava non arrivare alle orecchie di queste donne che con una dignità senza pari, subivano in silenzio quelle morti annunciate.

Il treno poi andava più forte e usciva dalla stazioncina di Massa. Si stava li a fissarlo, finchè diventava un puntino confuso nell'azzurro del cielo. Un puntino nel silenzio.

Canti, musica e parole si attutivano e ritornava, pesante, il vuoto. Poco dopo la curva il treno passava tra i campi e da li si sentivano i lamenti, le bestemmie, gli urli dei soldati che non volevano partire per fare il soldato.

 
 
 

FRA CENT'ANNI... TRILUSSA E LA GRANDE GUERRA

Post n°10 pubblicato il 14 Novembre 2014 da anna_861
 
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FRA CENT'ANNI, una poesia pubblicata da Trilussa pochi mesi prima che l'Italia entrasse in guerra, quel 24 maggio 1915

 

Fra cent'anni

Da qui a cent'anni, quanno

ritroveranno, ner zappà la terra,

li resti de li poveri sordati

mort'ammazzati in guerra,

pensate un pò che montarozzo d'ossa,

che frincandò de teschi

scapperà fora da la terra smossa!

Saranno eroi tedeschi,

francesi, russi, ingresi,

di tutti li paesi.

O gialla o rossa o nera,

ognuno avrà difesa una bandiera;

qualunque sia la patria, brutta o bella,

sarà morto per quella.

Ma lì sotto, però, diventeranno

tutti compagni senza

nessuna differenza.

Nell'occhio voto e fonno

non ce sarà ne l'odio nè l'amore

pe' le cose der monno.

Ne la bocca scarnita

nun resterà che l'ultima risata

a la minchionatura de la vita.

E diranno fra loro: - Solo adesso

ci avemo per lo meno la speranza

de godesse la pace e l'uguaglianza

che ciànno predicato tanto spesso!

 

 
 
 

DONNE NELLA GRANDE GUERRA

Post n°9 pubblicato il 13 Agosto 2014 da anna_861
 
Foto di anna_861

La Grande Guerra influì senza pari nella condizione sociale della Donna.

Relegata al ruolo subalterno di moglie, madre e privata di ogni possibilità di auto sostentamento, obbligata ad esser mantenuta dal marito, dal padre, dai fratelli, cui veniva assegnata la dote per intero, la donna era costretta ad un ruolo domestico, racchiuso nel cerchio familiare. Eccezione era invece la sorte di alcune donne appartenenti ai ceti sociali più alti.

La grande Guerra mandò in crisi e modificò questo modello sociale e per la prima volta nella storia la donna si trovò ad assolvere compiti e ruoli prettamente maschili.

Fu la necessità di manodopera nei più disparati settori produttivi che costrinse la società di allora ad aprire le porte alle donne che si ritrovarono, operaie, tranviere.

Le donne che non erano mai uscite di casa si ritrovarono a viaggiare, a vivere lontano da casa, a lavorare e guadagnare uno stipendio.

L'immigrazione di manodopera femminile è ampiamente documentata negli anni della Grande Guerra. Nel suo piccolo anche Massa contribuì a questa rivoluzione sociale.

La rivoluzione era però già di fatto iniziata a Forno, sul finire dell'Ottocento, quando alle sorgenti del Frigido fu impiantato un grande stabilimento tessile, il Cotonificio Ligure o Filanda come più spesso lo si definisce. La manodopera fin da subito fu quasi tutta femminile e proprio durante gli anni della Grande Guerra vi fu un ulteriore incremento dovuto alla maggior richiesta di filati utilizzati per la produzione di abbigliamento militare.

Nel 1915, su un totale di 551 operai, 470 erano donne di cui 60 al di sotto dei 16 anni.

Durante gli anni del conflitto diverse furono le operaie che dal piccolo ed attivo paese di Forno, all'interno della Valle del Frigido a MAssa, furono inviate a lavorare in altre manifatture del nord Italia. Alcune erano bambine di 12 anni...

Solo in questi ultimi anni si sono attivate anche in Italia ricerche sul ruolo della donna nella Grande Guerra, ruolo che non fosse quello più noto della crocerossina.

Tra gli ultimi volumi pubblicati ricordo quello di Alessandro Gualtieri, La Grande Guerra delle Donne. Rose nella terra di nessuno, Mattioli, 2012, in cui si fa un'analisi generale del ruolo della donna negli anni del conflitto, dando rilievo ad alcune figure femminili che con la loro opera contribuirono all'emancipazione femminile.

L'altro volume che si occupa di donne è il catalogo omonimo di corredo alla mostra Donne nella Grande Guerra installata dalla Provincia di Gorizia nel 2012, in cui si tenta un'analisi storica generale con l'ausilio di un interessante corredo fotografico.

Ci furono poi altri tentativi di analisi, più introspettivi e sociologici rispetto a queste più recenti ricerche. Una intervista, realizzata negli Anni 70, tra le donne contadine del Trentino e del Veneto, testimoni dirette della Grande Guerra. Da queste interviste traspare una volontà di silenzio su quei tragici momenti della loro vita. Le donne non si raccontano, quasi a voler nascondere tanta bruttezza passata.

E' una storia ancora tutta da scrivere, con la differenza che oggi quelle donne non ci sono più. Chissà se tra quelle donne di Massa che, bambine o nemo, partirono per lavorare alle fabbriche del Nord qualcuna è tornata alla propria casa e ha raccontato ai nipoti la sua storia!!!!

 
 
 

CAMPI DI CONCENTRAMENTO

Post n°8 pubblicato il 22 Luglio 2014 da anna_861
 
Foto di anna_861

Cimitero Italiano a Somorja, Ungheria.

Un cippo innalzato nel 1918 e dedicato ai caduti nel locale campo di concentramento, durante la Prima Guerra Mondiale

 
 
 

DIMENTICATI AL FRONTE e CAMPI DI CONCENTRAMENTO

Post n°7 pubblicato il 22 Luglio 2014 da anna_861
 
Foto di anna_861

Un argomento poco trattato che riguarda la Prima Guerra mondiale č quello dei Campi di concentramento. Furono milioni i soldati internati in questi lager, sparsi in tutto il territorio austro-ungarico, e migliaia i soldati che vi morirono di fame, di malattia.

Molti di questi soldati sono scomparsi, dispersi. Nessuno ha pił spauto nulla di loro.

I pił fortunati, sono stati sepolti nei cimiteri locali ma per altri č un oblio eterno.

Nel solo campo di Somorja, in Ungheria, sono morti circa 1300 soldati italiani.

Tra di loro, diversi provenienti dalle nostre zone.

 

 
 
 

DIMENTICATI AL FRONTE

Post n°6 pubblicato il 22 Luglio 2014 da anna_861
Foto di anna_861

La Grande Guerra fu un inferno a cielo aperto, vissuto in prima linea dai militari costretti ad una assurda guerra in trincea, ma anche nelle zone lontane dal fronte dove le famiglie private della principale forza lavoro vivevano in situazioni di estrema povertà, aggravata dalle continue malattie dei figli.

Il contributo di vite umane immolate nella nostra provincia arriva ad oltre 3000 persone, nella sola MAssa i dati ufficiali contano circa 500 vittime.

Un numero, a parer mio, destinato tristemente a salire. Sono infatti diversi i soldati caduti e non ricordati nelle lapidi ufficiali, nei documenti ufficiali e nel piò noto Albo d'Oro dei CAduti della Grande Guerra, facilmente consultabile on line a questo link:

http://www.cadutigrandeguerra.it/

La ricerca negli archivi e in ogni altro possibile luogo di memoria, ha lo scopo di onorare questi Dimenticati al Fronte, rinnovare la loro memoria e, per quanto possibile, dare indicazioni, cercare di capire cosa sia successo in quei terribili momenti di quasi 100 anni fa.

 
 
 

STORIE DI VITA

Post n°5 pubblicato il 08 Luglio 2014 da anna_861
 
Foto di anna_861

MI CHIAMO VINCENZO FORTE, CLASSE 1916

Questo racconto che ho scritto è una delle esperienze casuali della vità che, senza che tu lo sappia, ti porta dritto alla meta. Condividere storie di vita sconosciute ed apparentemente non collegate e poi scoprire, a distanza di anni. un altro filo da legare.

Vincenzo era un uomo splendido che nasceva mentre il mio bisnonno moriva, un uomo che ha fatto lunghi anni di Guerra in Africa dove ha conosciuto quello che poi sarebbe diventato il nonno di mio figlio.

E tutto questo non lo potevo sapere quel giorno in cui, dopo un viaggio in pulman durato una notte e un giorno, giravo solitaria in un paese sconosciuto e semideserto del Sud.

Tutto ha un senso... basta aspettare. Ed io aspetto di poter scrivere altre storie di una Guerra di 100 Anni fa. Ma il bandolo della matassa sta anche nella storia di Vincenzo.

Se avete voglia ... leggetela.

Vincenzo viene fatto prigioniero il 21 gennaio 1941 a Tobruk ed imbarcato sulla nave indiana Viceroy of India, diretta verso la G. Bretagna. La nave attracca ad Alessandria d’Egitto, Bombasi e poi veleggia verso il nord. A Tobruk si trova gomito a gomito con soldati italiani provenienti da diverse parti d'Italia. A guidare il camion su cui viaggia Vincenzo, è un piccolo autiere toscano, con gli occhi blu, Domenico Falossi classe 1919.

Vincenzo arriva iin Gran Bretagna e viene portato in un campo di concentramento, prima a Shieffeld e poi a Birmingham. Resta prigioniero per cinque anni. Ritorna a Saracena, in Calabria l' 11 maggio 1946.

Lo incontro un giorno di luglio 2011 mentre giravo per Saracena Vecchia, alla ricerca della chiesa in cui si doveva sposare una mia amica tedesca. Un paese antico, tutto in salita, semi abbandonato e aggrappato al pendio di un colle, schiacciato dalle case moderne del nuovo paese.

Nel paese vecchio... case antiche in pietra, dalla bellezza intatta; persiane quasi tutte chiuse e muri diroccati alternati a piccole piazze ricche di vita e di acqua. Vincenzo lo trovo qua, vicino ad una fontana.

Arrivo di spalle e sto ben attenta a non disturbare la quiete perfetta di quella piazza, immersa nel silenzio di un afoso pomeriggio estivo. Un fisico asciutto, appena curvato dalle nodosità dei suoi 95 anni, sosta alla fonte, allunga il braccio verso il fiotto di acqua fresca che zampilla dalla fontana. Mi appoggio al muro di sassi di una casa, aspetto che beva dalla sua tazza di alluminio quel fresco respiro di vita.

Mi guarda, lo guardo. Indossa una camicia verde, due larghe bretelle  e sul viso un paio di baffi ammiccano un sorriso curioso, mentre i suoi occhi scuri e profondi indagano e mi fanno mille domande.

Rompo il ghiaccio con un buongiorno, accompagnato da un sorriso. Non sorride Vincenzo, ma continua a guardarmi. Allora mi avvicino, racconto perché mi trovo li, per caso in quella piazzetta a quell’ora.

Mi sorride e mi allunga la tazza d’alluminio per farmi bere la sua acqua.

Gli occhi sorridono e poco dopo anche i baffi, quando chiedo se posso fargli una foto.

Si appoggia al muro di sassi, tiene orgoglioso tra le mani la sua tazza d’alluminio, uno di quei misurini per il latte da un quartino. Stringe il manico tra le mani forti e nodose, alza il viso verso la luce del sole e mi sorride, ma la luce che emana da quel volto, dalle sue mani e dalla fierezza dei suoi occhi è molto più luminosa della luce bianca che il sole regala al sud dell’Italia.

Lo guardo un po’ emozionata e lui mi risponde aggiustandosi i baffi e stringendo ancora di più la sua tazza.

La foto è stata come una formula magica che ha aperto la porta nei ricordi di Vincenzo. Mi chiede perché gli ho fatto una foto. Penso un attimo prima di rispondere, non so se la mia verità possa fargli piacere o ferirlo.

Lui aspetta paziente e mi indaga con i suoi occhi profondi.

Cercavo qualcosa di bello da fotografare, qualcosa che mi raccontasse la storia del paese e le emozioni di chi ci aveva vissuto nel tempo. Vincenzo era la cosa più bella che avevo incontrato in quel casuale peregrinare, la cosa che più di tutte poteva raccontare e far vivere quel luogo.

Il suo silenzio, dopo la mia verità, mi preoccupò un poco. Però mi prese sottobraccio e ritornò alla fontana. Si appoggiò e le parole cominciarono a fluire senza posa dalla sua memoria.

Mi chiamo Vincenzo Forte, classe 1916

Ho passato la guerra, ma sono qua a raccontare a te. Ma perché ti interessa la mia guerra?

Ho fatto la guerra in Africa, tanti anni sono stato laggiù nel deserto. Sono arrivato fino a Tobruk, in Libia e lì mi hanno fatto prigioniero gli inglesi. Era il 21 gennaio 1941. Ho conosciuto tanti toscani sai...

e come i grani del rosario ripete i nomi dei compagni... dice anche un "Falossi" .. Non voglio interromperlo, ma freno a stento la curiosità di fronte a quel nome, ripetendomi che è impossibile.... Vincenzo continua a raccontare.

Mi hanno imbarcato su una nave, la Viceroy of India, che era diretta in Inghilterra. Ci siamo fermati ad Alessandria d’Egitto e poi a Bombasi prima di arrivare lassù. Quando sono arrivato in Inghilterra mi hanno portato nei campi di concentramento, prima a Shieffeld e poi a Birmingham. Sono stato prigioniero cinque anni e l’11 maggio del 1946 sono riuscito a tornare a casa mia, qua a Saracena. Da allora non mi sono più mosso.

Vivo qua, c’è ancora mia moglie Maria. Non sta bene e la devo guardare io, sono io che mando avanti al casa e la sua malattia. I figli si sono sposati e sono lontani, per il lavoro. Al paese siamo rimasti in pochi, tutti vecchi come me.

Vieni, vieni a casa mia. Ti faccio conoscere Maria. E’ brava, ma malata”.

Lo seguo per una di quelle strette viuzze scavate tra le case di sasso. La sua casa si affaccia su un’altra piazzetta, vicino alla chiesa. Una porta a vetro e la chiave sulla toppa, sono il fragile schermo che separa il fuori dal dentro della vita di questo uomo non a caso Forte.

Maria è sulla poltrona, con lo sguardo perso in qualche paesaggio fantastico fuori da casa sua. Forse è in viaggio. Vincenzo la carezza e le parla con calma, dolce. Mi chiede se gli do una mano a tirare su Maria per appenderla ad un grande trespolo. Serve per farla camminare un po’, anche se lei non ne ha voglia, anche se le manca la forza. Maria è quasi eterea, anche il fisico sembra perduto in un viaggio. Consunto e quasi rigido, lento e affaticato nel movimento, impercettibile il respiro. Vincenzo la pettina e poi si mette di fianco a lei e le circonda le spalle con un abbraccio.

Assisto intontita a tanto amore e bellezza insieme, a tanta forza e determinazione.

Mi risveglia la richiesta, inaspettata di Vincenzo: “mi fai una foto con la mia Maria? Non ne abbiamo di foto insieme!”

Gli sorrido e sorrido a lei che guarda la vallata fuori dalla finestra, sempre rapita dai suoi pensieri segreti. Faccio uno, due tre e altre foto ancora forse per nascondere una certa emozione che galeotta mi si è insinuata tra la gola e gli occhi e come una molla fa su e giù, appannandomi un po’ la messa a fuoco.

Sono attimi brevi eppure così lunghi quelli che divido con questi due sconosciuti nella loro casa.

Maria ritorna in poltrona, la ginnastica quotidiana per ora si ferma. Alle pareti della stanza sono attaccate le foto di bambini piccoli. Un cagnolino dalmata con i capelli biondi, un orsetto dai capelli ricci e rossi, un bambino lungo e secco alla sua Prima Comunione, una foto sbiadita con i riflessi verdognoli di un piccolo cowboy sul cavallo a dondolo. Brandelli di vita.

Quella dei figli e dei nipoti di Vincenzo e Maria.

Quella che loro due, vecchi e soli, possono solo immaginare guardando le foto appese alle pareti di quella stanza.

Vincenzo mi porge un cioccolatino me lo mette nel palmo della mano e me la richiude nella sua, stringendomi. Il suo sguardo mi apre una voragine, come se mi sentissi proiettata a velocità galattica in un viaggio fuori del sistema solare, in un luogo sconosciuto e confuso in cui però posso riconoscere emozioni, sensazioni e pensieri che guizzano veloci come immagini fuori dal finestrino di un treno in corsa.

Vedo la sua guerra, la sua vita e la sua Maria, ma più di tutto vedo la sofferenza di una solitudine difficile da colmare, l’attesa di un viaggio finale dopo una vita di attesa. Come pietre piantate nel terreno, sento la forza di Vincenzo e la sua determinazione a restare piantato nel terreno della vita perché ancora è presto per andare, perché c’è Maria da curare. E i figli sono lontani, i nipoti ancora di più.

Il cioccolatino forse si è sciolto, ma continuo a stringerlo anche uscendo dalla porta a vetro.

Cammino senza poggiare per terra i piedi e cerco una via che possa farmi risalire il colle, riportarmi al punto di partenza.

Le vie scavate nelle case di roccia non sono tutte uguali, anche le rocce han diversa resistenza. Vincenzo era un magnifico granito, io ero ancora un ammasso di sabbia.

Trovata la via del ritorno, mi sono avvicinata alla festa che era già iniziata.

Era il Matrimonio di una mia cara amica from Germany che aveva deciso di festeggiare il grande momento della sua vita proprio qua a Saracena, un paese semideserto e lontano dal mondo, circondata da amici italiani solari, semplici e un po’ fuori dalle righe. Me compresa.

Una bella festa, tra le case diroccate del paese, proprio sulla punta della vallata dove guardando all’orizzonte si vedeva il mare lontano. La luce delle candele rendeva ancora più bella Julia e frastornato il suo germanico sposo, poco “italianizzato”, per nulla a suo agio con la nostra lingua e tantomeno con le nostre proverbiali cordialità dei gesti. Chi cantava, chi ballava, chi beveva e chi, come me, fotografava nel tentativo vano e immodesto di fermare in uno scatto attimi splendidi brani di vita. Compresa quella di Vincenzo.

A distanza di qualche anno ancora sento forte il ricordo di quell’incontro, soprattutto sento di dover andare alla ricerca di altri brani di vita, come quella del mio bisnonno che moriva mentre Vincenzo forse nasceva.

E' solo un modo per ringraziare la casualità della vita e quella silenziosa immensa ricompensa che ne può derivare, se siamo capaci di cogliere l’attimo.

A proposito, il Falossi che aveva conosciuto Vincenzo è proprio quello che a distanza di 70 sarebbe diventato il nonno di mio figlio!

 
 
 

MEMORIE DI PIETRA LABORATORIO CUTURI A MASSA

Post n°4 pubblicato il 07 Luglio 2014 da anna_861
Foto di anna_861

Raccogliere testimonianze dirette sul territorio, a proposito della Grande Guerra, è quasi come fare uno scavo archeologico nella memoria delle persone, nella loro vita e nei loro cassetti. Di volta in volta appare uno strato nuovo apparentemente non collegato ad altro.

Ancora più interessante ricercare le tracce di pietra rimaste a memoria di questo passato ormai centenario.

Ci si accorge così che oltre ai più noti  Monumenti ai Caduti esiste una tipologia vasta e varia di manufatti ad essi dedicati insieme ad un intricato movimento più artigianale che artistico, in cui si cimentano ornatisti di varia provenienza e capacità.

Un pò come accadeva nel Medioevo, le maestranze si muovono sul territorio chiamate a produrre ricordi di pietra che a memoria perenne ricordino il sacrificio dei Caduti.

Oltre ai più noti e pubblciizzati concorsi nazionali, comunali o di categoria in cui prevale uno o l'altro artista, è nei laboratori di scultura ed architettura che più si avverte quel fermento creativo destinato alla produzione della maggior parte di epigrafi commemorative, lapidi e monumenti sepolcrali.

Si scopre così che Massa è una fucina in questo senso, favorita dalla comodità di avere a portata di mano la materia prima preferita per questo genere di produzione: il marmo.

La maggior parte dei laboratori presenti in città, lungo il Frigido o alla Zecca, all'attività di segheria e produzione marmette per pavimenti, unisce quella di produzioni artistiche con il vantaggio di poter proporre al committente il materiale più adatto, prelevato direttamente dalle proprie cave.

Ci sono laboratori che si distinguono per le capacità dei propri addettim scultori di professione tenuti a bottega, come il Laboratorio di Clemente Cuturi, in quegli anni ubicato nel Viale della Stazione.

Il Laboratorio Cuturi era già noto ai più perchè nelle sue polverose stanze aveva preso vita la statua di Giuseppe Garibaldi, collocata nel 1906 nell'odierna omonima piazza.

L'opera, su bozzetto di Ezio Ceccarelli scultore nativo di Montecatini Val di Cecina ma naturalizzato fiorentino, fu scolpita da un giovane Fernando Tombesi, praticante del Laboratorio Cuturi.

Negli anni del primo dopoguerra il Laboratorio produsse molte opere dedicate ai Caduti, in particolare una fontana con lapide commemorativa dedicata ai propri addetti mai tornati a casa, ubicata lungo il Viale Stazione, fuori del laboratorio stesso.

Di questa opera, resta oggi la sola lapide, apposta nei pressi della Scuola Media Staffetti.

Con qualche errore di trascrizione, nella lapide vengono ricordati i nomi dei Caduti e il luogo del loro sacrificio.

 

 
 
 

MEMORIE DI PIETRA ... CON L'ANIMO DI CHI VINCE OGNI BATTAGLIA

Post n°3 pubblicato il 06 Luglio 2014 da anna_861
Foto di anna_861

Una parte molto interessante della mia ricerca è stata la ricognizione sul territorio allo scopo di compilare un elenco delle Memorie di pietra. Iniziata nel 2013, questa parte si è conclusa con una schedatura, semplificata rispetto alle normali schede utilizzate dalla Soprintendenza, in attesa di una prossima pubblicazione tematica.
Con una certa emozione posso dire che si sono conservate diverse Memorie di pietra, con una certa variabilità nella loro tipologia. Alcune soprattutto interessanti per la storia umana che ancora raccontano.

Tra le epigrafi, tipologia ristretta a pochi esemplari, metterei anche questa ritrovata a Forno, affissa a quella che fu la Casa Barsacchi.

Riporta la data 1922 ed un versetto di Dante, Inferno XXIV, 53

"Con l'animo di chi vince ogni battaglia!

Siamo nei primi anni dopo il conflitto e il contenuto di questa epigrafe può ben adattarsi al clima post bellico, ma anche essere una sorta di invocazione scaramantica apposta dai Barsacchi, che da Pietrasanta si erano avventurati in questo luogo infossato delle Apuane per aprire una nuova attività estrattiva nelle vicine cave.

A poca distanza dalla casa, nello stesso anno fu infatti innalzata una nicchia con una bella lapide dedicatoria ai lavoratori ed al lavoro in cava.

 

 
 
 

MEMORIE DI PIETRA

Post n°2 pubblicato il 06 Luglio 2014 da anna_861
 
Foto di anna_861

A distanza di 100 anni, per ricordare i Dimenticati al fronte ho presentato un progetto editoriale al Comune di Massa che partendo da una ricerca sul territorio e da quella storico-archivistica possa disegnare un quadro della situazione della città e del territorio in quegli anni terribili della Prima guerra.

Perchè questa ricerca?

Soprattutto per non dimenticare l'enorme sacrificio umano che questo guerra immolò alla Patria, alla Bandiera dell'Italia e a quelle dei reggimenti. Sacrificio che non si misurò solo in quel ristretto periodo di guerra e con i milioni di caduti, ma anche negli anni a seguire, nelle case dei sopravvissuti e delle famiglie dei caduti, in cui la perdita affettiva ed umana, si aggravava con la mancanza di sostegni economici e la condizione obbligatoria di sopravvivenza forzata. Condizione in cui si trovarono la maggior parte delle donne e delle famiglie.

Questa ricerca per ritrovare i fili e chiudere un cerchio a distanza di 100 anni.

C'è una mia foto, bambina di 10 anni, di fronte al Sacrario di Redipuglia.

Non avevo ben chiaro cosa rappresentasse allora questa immensa spianata candida, ma sapevo che eravamo andati li per cercare il "nonno".

Sapevo che c'era una storia a casa mia che pesava da sempre, anche nella voce, quando se ne parlava. Era la storia di un uomo che era partito per la guerra e non era più tornato.

Era la storia di un uomo che non aveva mai saputo di avere un figlio e una moglie che lo hanno cercato ed aspettato per tutta la vita.

Una storia che è stata ricamata ad intaglio anche nella mia vita. Un ricamo ad intaglio, in cui si contorna tutta la forma ma.... manca una parte, e la tua forma prende forma proprio dalla parte mancante.

Allora io, la mia famiglia, siamo come una parte di questo ricamo ad intaglio e la parte mancante è questo bisnonno.

Cercavo così questa forma mancante in archivio, tra le carte poverose dei caduti e a gennaio del 2014, pochi mesi fa ho trovato una cartolina autografa scritta dal mio bisnonno Giovanni.

Una cartolina arrivata per caso a destinazione dopo quasi 100 anni. Un ponte nella storia che diventa storia mia e storia di tutti, storia di vite dimenticate al fronte, nei campi di concentramento o nei cimiteri "che nessuno sa".

E questo progetto dà voce anche a loro, a quelli ricordati e a quelli dimenticati da sempre.

Il 15.03.2014 il progetto ha avuto il patrocinio del Comune di Massa.

La ricerca sul territorio è partita nel 2013 con una ricognizione a tappeto al fine di realizzare una documentazione delle "Memorie di pietra".

I dati rilevati sono stati registrati in una apposita scheda riassuntiva creata ad hoc, derivata dalle schede di censimento più complesse usate dalla soprintendenza.

In questa prima fase della ricerca è stato possibile quantificare le memorie di pietra e  compilare una loro tipologia, tipologia che può variare da territorio a territorio per la variabilità dei manufatti e soprattutto per le possibilità di conservazione.

Nella seconda fase della ricerca gli archivi statali e privati sono diventati un punto di riferimento fondamentale per ricostruire le vicende storico artistiche legate alle memorie di pietra, ma soprattutto per ricostruire le vicende umane.

Lo spoglio dell'Archivio Storico del Comune di Massa è stato inoltre basilare per ricostruire lo status quo, per delineare le trasformazioni della città in una zona di guerra, con tutte le conseguenze derivanti.

La creazione del blog invece dovrebbe funzionare come collettore di memoria, raccogliendo testimonianze, racconti e memorie delle famiglie.

 
 
 

Perchč questo blog

Post n°1 pubblicato il 27 Maggio 2014 da anna_861
 
Foto di anna_861

Il 24 maggio 2015 saranno passati 100 anni dall'entrata in guerra dell'Italia.

Massa, in provincia di Massa - Carrara come ogni altra città lontana o meno, dal fronte, pagò un alto tributo in vite umane.

Vite dimenticate al fronte, nonni, bisnonni e padri di cui oggi a malapena ci si ricorda.

Medaglie e lettere abbandonate nei cassetti, di cui nessuno conosce il senso nè le parole.

Dolore umano, tragedia immane, vite tagliate ancor prima di essere vissute.

Questa parte di storia, abbastanza recente per poter esser ricordata, abbastanza lontana perchè sovrastata da un altro evento bellico ancora troppo vissuto e vicino, è come scavare in una memoria stratificata.

Si scava nella memoria, nella tragedia infinita e piano piano ecco che non sono più uomini dimenticati al fronte, ma personaggi reali capaci di raccontare la loro storia che è anche la nostra storia. La storia delle nostre famiglie.

Con questo blog vorremmo cercare testimonianze di ogni genere.

Cerchiamo allora nei cassetti, nelle valige abbandonate in soffitta o in cantina, facciamoci raccontare e raccontiamo ..... facciamo venir fuori queste storie per far rivivere quegli uomini obbligati a morire per una terra che oggi li ha quasi dimenticati.

 
 
 
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