Creato da SIAMO_VIVISICILIA il 07/03/2009

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MOVIMENTO DI AGGREGAZIONE POPOLARE

 

 

NO AL PONTE

Post n°14 pubblicato il 16 Maggio 2009 da SIAMO_VIVISICILIA
 
Tag: PONTE

Il grande imbroglio del Ponte sullo Stretto

Uno degli slogan più accattivanti durante le campagne elettorali è da sempre stato la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. Ora, senza fingere di essere troppo ingenui, un pò tutti sappiamo che dietro certe "importanti" promesse si nasconde soltanto la poco nobile intenzione di accaparrarsi il voto elettorale.
Allora forse potrebbe esserci qualcosa che non quadra.
Anche il cittadino più distratto dovrebbe cominciare a chiedersi se il Ponte sia davvero utile o sia solo uno squallido strumento per incantare la gente. O, peggio ancora, una immensa manovra finanziaria ed economica per fare soldi, a spese ed alle spalle dei cittadini contribuenti, devastando ancora i nostri territori, e magari partorendo l'ennesima incompiuta.
Dovremmo iniziare a chiederci se la Sicilia e tutto il Sud non preferirebbero prima che si terminassero altre opere o se ne realizzassero altre mai iniziate.
Noi abbiamo pensato quindi di invitare, chi ancora è convinto che il Ponte ci vuole, a  riflettere su alcuni dati che riporteremo qui di seguito, e, per chi già è contro la sua costruzione, un ulteriore spunto di riflessione.
Questi dati, purtroppo, non vengono mai ricordati da chi vuole portare a termine la costruzione del Ponte, forse perché si scoprirebbe che non è poi un'opera così utile come vogliono farci credere, anzi...


  1. I costi stimati per la realizzazione del ponte (oltre 10 mila miliardi di lire) non sono costi certi, reali e finali per l'opera completa. Lo stato, per coprire il 50% delle spese, dovrà alla fine vendere beni artistici ed aumentare le tasse.
  2. I costi di gestione, assicurazione e pedaggio saranno poi a carico della collettività e dei cittadini messinesi e calabresi.
  3. I tempi di percorrenza, tra Sicilia e Calabria, con il Ponte non saranno ridotti ma aumenteranno a causa dei 24 km di raccordi e svincoli oltre i 3 km e 360 metri di campata.
  4. L'impatto dei soli pilastri e delle strutture con l'ambiente urbano e vegetale sarà devastante. Faro, Granatari, Ganzirri, saranno stravolti e perderanno ogni interesse turistico.
  5. Il vento e il conseguente rumore renderà impossibile vivere nel raggio di 4 km. Sempre a causa del vento il Ponte non potrà essere utilizzato per diversi mesi l'anno.
  6. L'indebidamento che lo stato dovrà sopportare alla fine dei lavori non permetterà la realizzazione di infrastrutture indispensabili e urgenti come ospedali, acquedotti collegamenti ferroviari, scuole.
  7. Durante i cantieri verrebbero scavati 8 milioni di metri cubi di materiali di scarto che finirebbero a mare. Le sole piattaforme di ancoraggio dei cavi - a 50 metri di profondità (due palazzi di 5 piani) - raccoglieranno 200 mila metri cubi di concilomerato.I cantieri occuperebbero 4600 persone di manodopera specializzata (non locale).
  8. La realizzazione di un'opera così imponente diventerebbe un facile bersaglio per atti di terrorismo. Un eventuale attacco farebbe andare in fumo miliardi di investimenti pubblici e privati.
  9. La sismicità della zona dello Stretto ( magnitudo oltre 7,5 gradi scala Richter) e lo scostamento geologico progressivo delle coste siciliane e calabresi dovrebbero scoraggiare ogni ipotesi di collegamento stabile a campata unica.
  10. Con meno del 10 % dei costi preventivati per realizzare l’opera si potrebbe invece armare una flotta di navi Ro-Ro per collegare la Sicilia a tutti i porti del Mediterraneo.
  11. Con gli oltre 200 miliardi già spesi dalla società "Stretto di Messina SpA" si sarebbero già risolti tutti i problemi di collegamento sostenibile tra Messina e la Calabria.
  12. La prevedibile necessità di imporre alte tariffe per il pedaggio di attraversamento del ponte obbligherà il governo ad intervenire sugli operatori marittimi per evitare che flussi di traffico possano scegliere la strada del cabotaggio ( autostrade del mare). Quindi il ponte esclude l'alternativa più sostenibile ed economica del trasporto marittimo alterando le stesse regole del mercato. Ovviamente i cittadini - attraverso le tasse - dovrebbero poi sostenere gli "aiuti" economici per le società di navigazione.
  13. Altri oneri pubblici sarebbero quelli sostenuti dal traffico ferroviario che pagherebbe un canone predefinito’’ alla società che gestirà il ponte. Tale canone (pagato dai cittadini) costituirebbe la principale e certa entrata per i concessionari che gestiranno il ponte.
  14. Il sistema di appalti e subappalti, delle tangenti, delle estorsioni, farebbe nascere una vera e propria PONTOPOLI DELLO STRETTO a spese dei cittadini.

 

                        

 
 
 

POVERTA'

Post n°13 pubblicato il 08 Maggio 2009 da SIAMO_VIVISICILIA

SICILIA, RIAPPARE LO SPETTRO DELLA POVERTA’

Dunque, secondo l’Istat, la Sicilia ha collezionato un altro poco invidiabile primato: il 31% delle sue famiglie vive al di sotto della soglia di povertà.

E’ la prima regione più povera d’Italia, seguita da Campania, Calabria e da altre meridionali. Come dire: l’Europa evoluta ed opulenta si ferma a Latina.

All’orizzonte del nostro futuro riappare lo spettro della miseria, dell’indigenza.

Un risultato pessimo, dopo 60 anni di autonomia speciale, di articolo 38, di cassa per il mezzogiorno, di fondi europei, di obiettivo 1, di Por, Pip, e quant’altro.

Rispetto al 1946, il divario nord – sud, invece che restringersi, si è allargato. E’ fallito, pertanto, l’obiettivo primario delle politiche speciali varate per unificare l’Italia sul terreno socio-economico e civile.

Resta una disparità inaccettabile, non solo di reddito, su cui si vorrebbe apporre il sigillo di un federalismo egoistico che manderebbe a carte e quarantotto l’unità effettiva del Paese.

Il dato siciliano è davvero clamoroso, anche perché risultante di una progressione costante che conferma una grave tendenza al declino che, da tempo, denunciamo quasi in solitudine.

Oggi, a rilevarlo è un organo statistico ufficiale dello Stato perciò si sperava che suscitasse il più forte allarme, almeno nelle alte sfere della politica, dei governi e negli stessi ambienti imprenditoriali e sindacali.

Invece nulla o quasi. Quel 31% di famiglie povere, molte perfino indigenti, è passato quasi inosservato, senza scalfire la coriacea insensibilità di un ceto dirigente quantomeno distratto e l’arroganza spocchiosa dei nuovi ricchi.

Per altro, il dato Istat dovrebbe essere ben più grave se si contassero le migliaia di famiglie siciliane a basso reddito che, nell’ultimo quinquennio, sono emigrate verso il centro - nord.

E con esse, tanti giovani, operai o con titolo di studio superiore, disoccupati o non disposti a subire le angherie da terzo mondo che si praticano in certi settori del cosiddetto “mercato del lavoro” siciliano.

Cos’altro dovrà accadere perché ci si svegli dal torpore anestetizzante della rassegnazione e del consociativismo?

Tutti tacciono: i furbi dei piani alti del potere e i furbetti dei piani bassi, stregati dal suo odore. Fingono di non vedere perché hanno paura di dover fare i conti con una realtà drammatica e, per molti versi, ingovernabile.

A leggerli bene, questi dati evidenziano un processo ben più incisivo che sta minando l’assetto sociale dell’Isola, come se si stesse passando da una società dell’inclusione ad una società dell’esclusione.

In realtà, i governi di centro destra hanno abbandonato l’idea di una società unitaria e solidale, regolata da meccanismi inclusivi (stato sociale, fiscalità mirata, facilitazione di accesso ai diritti e ai servizi fondamentali, ecc), sulla quale, nel passato, si è realizzata una certa convergenza, anche da posizioni politiche contrapposte, fra le due principali tradizioni ideali: la marxista e la cattolico-popolare.

Ieri, questa politica, da non scambiare con il clientelismo e con l’elargizione arbitraria di prebende, ha consentito una relativa distribuzione del PIL a favore dei ceti meno abbienti; oggi, le politiche “neoliberiste”, in Sicilia basate sul mero accaparramento di quote di spesa pubblica, favoriscono gruppi di potere affaristici e speculativi i quali, operando senza vincoli sociali, tendono ad escludere le fasce più deboli, provocando nuova emarginazione e nuove povertà.

In Sicilia tale processo è più dirompente poiché non siamo in presenza di un sistema economico capitalistico moderno e di un mercato veramente libero, ma di un rozzo meccanismo di accumulazione che, pur di realizzare il massimo vantaggio individuale e/o corporativo, sta distruggendo le basi dell’economia produttiva e della convivenza solidale.

Da qui, la concentrazione sempre più apicale delle ricchezze, lecite ed illecite, il progressivo impoverimento della società e l’emigrazione che trasforma l’esclusione sociale in espulsione materiale dal luogo di nascita.

Che fare? La risposta non è agevole. Taluni continuano ad invocare “meno Stato e più mercato”, ignorando che in Sicilia la presenza dello Stato è già minima e quella del mercato quasi inesistente.

A mio parere, occorrerebbe più Stato e più Europa, per far nascere, finalmente, un mercato libero e concorrenziale. Il declino si potrebbe bloccare rafforzando il nostro ancoraggio all’U.E.

Sarebbe necessaria una sorta di rivoluzione della visione politica siciliana che vede in Bruxelles non lo stimolo e la fonte di un sano sviluppo (come è stato per molte regioni della Spagna, dell’Irlanda, ecc), ma la cassa cui attingere per alimentare un sistema di potere clientelare e sovente corruttivo.

Ma, anche a volerlo, la politica isolana, da sola, non ce la può fare. Dovrebbero scendere in campo altri soggetti, anche esterni alla Sicilia, con idee chiare e progetti innovativi, capaci di proiettare la regione nella dimensione euromediterranea dello sviluppo.
Agostino Spataro

 


 
 
 

ATTENZIONE

Post n°12 pubblicato il 26 Aprile 2009 da SIAMO_VIVISICILIA
 
Tag: Governo

E la Sicilia si concede 500 dirigenti in piùLa Regione autonoma sta per approvare un’infornata di assunzioni. Risultato: un capo ogni 8,4 sottoposti

 
 
Ancora poche ore e la regione Si­cilia batterà un record planeta­rio: su 3.450 dipendenti, ai Beni Cul­turali, ci saranno 770 dirigenti. Il tri­plo dell'intero parco dirigenziale del­la regione Lombardia. Il tutto grazie a un'infornata di assunzioni e pro­mozioni che vedrà l'ente isolano re­galarsi, a dispetto della Corte dei Conti che aveva denunciato come ab­norme la presenza di un «colonnel­lo » ogni 8,4 «soldati semplici», altri 500 nuovi dirigenti in un colpo solo.

Certo, non è solo la Sicilia a esse­re di manica larga. Spiegava l’anno scorso uno studio dell’Università di Milano, che dai dati 2006 risulta­va una media nazionale di un diri­gente ogni 15 dipendenti ma che questa media era composta da real­tà assai differenti: da un minimo di un dirigente ogni 31 sottoposti in Puglia a uno ogni 7,7 nel Lazio. Numeri aggiornati meno di un me­se fa, sulla base dei dati della Ra­gioneria Generale dello Stato, dal Sole 24 ore: un dirigente ogni 25 dipendenti scarsi nelle Marche, ogni 22 in Emilia Romagna, ogni 17 circa in Lombardia e nel Vene­to, ogni 18 in Liguria, ogni 16 in Piemonte... Fino agli eccessi: uno ogni 8,3 in Molise e ancora ogni 7,7 nel Lazio. Vogliamo rileggere l’atto di accu­sa lanciato nel 2008 dalla Corte dei Conti alla Sicilia? «I dipendenti a carico del bilancio regionale rag­giungono la notevole cifra di 21.104 unità (erano 20.781 nel 2006), di cui 2.320 dirigenti (era­no 2.150 nel 2005, anno a cui risa­le l’ultimo rilevamento nazionale pubblicato in tabella), con un rap­porto di un dirigente ogni 8,4 di­pendenti.

Il confronto con altre re­altà regionali è improponibile sol che si consideri che in Sicilia vi è un dipendente ogni 239 abitanti, in Lombardia uno ogni 2.500 lom­bardi ». Conosciamo l’obiezione: la Sici­lia gode di uno statuto speciale quindi ha tutta una serie di compe­tenze che le regioni a statuto ordi­nario non hanno. Giusto. La stessa tabella del Sole riporta però il da­to, per fare un esempio, del Friuli Venezia Giulia. Anche quella è una regione autonoma. Ma ha un diri­gente ogni 28 dipendenti. Prova provata che l’autonomia forse c’en­tra con le competenze, e non c’è dubbio che le regioni a statuto or­dinario ne hanno di meno, ma non c’entra un fico secco con la ge­rarchia interna. Che nell’isola non è solo speciale ma specialissima. Basti dire che non solo la Sicilia ha tanti «regionali» quanto Pie­monte, Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia Romagna, Friuli e Liguria messe insieme. Ma che oltre alle fi­gure di dirigenti prima e di secon­da fascia, la Regione ha inventato quella di terza fascia.

 

 
 
 

Informazione

Post n°11 pubblicato il 23 Aprile 2009 da SIAMO_VIVISICILIA
 

La Sicilia ricorda sempre più la Campania. Tante, troppe coincidenze, troppe analogie. Giudicate voi…Un aereo Usa zavorrato con uranio impoverito, container con rifiuti tossici dal nord: sono le possibili cause dell’altissima incidenza di leucemie infantili a Lentini. Presto una video-inchiesta che cerca co-finanziatori

(tratto da http://www.step1magazine.it, da dove è possibile consultare anche l’articolo correlato La piccola Chernobyl)

 
 
 

EVENTI

Post n°10 pubblicato il 22 Aprile 2009 da SIAMO_VIVISICILIA
 
Tag: evento

21 – 23 aprile 2009
Siracusa, Piazza Santa Lucia
Giustizia climatica e diritti dei popoli

Il 2009 è un anno cruciale per il Pianeta. Entro la fine dell’anno, la comunità internazionale dovrà raggiungere un accordo definitivo per la riduzione dei gas a effetto serra dopo la scadenza dello Protocollo di Kyoto prevista nel 2012.
L’impatto delle attività umane sull’ambiente ha modificato l’equilibrio naturale degli ecosistemi con conseguenze gravi per la salute dell’ambiente e delle specie che lo abitano. I mutamenti climatici in atto sono il segnale più evidente di questo processo, strettamente legato al modello di sviluppo dominante. Per fermare il surriscaldamento del Pianeta e contenere gli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici, di cui sono principali vittime le popolazioni più povere, è necessario modificare l’economia neo-liberista dominata dagli interessi delle multinazionali. Occorre un profondo cambiamento culturale e politico, che incida sui modi di produzione e di consumo e che fermi la febbre del Terra.
Dobbiamo farlo per il nostro futuro, per garantire la bellezza dei nostri paesaggi e la biodiversità. Dobbiamo farlo per permettere a tutti di vivere in pace, per combattere la povertà e per liberarci dalle guerre e dai conflitti che nascono per il controllo delle risorse.

 


 
 
 

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