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UN ACCENNO AGLI "PSICOFARMACI"

Post n°27 pubblicato il 07 Novembre 2006 da psycoschizo

Mi permetto di scrivere su questo blog non mio un post invece di un semplice commento su un argomento che mi sta a cuore e che è stato sfiorato nel messaggio n.25 di questo blog: la psichiatria e la psicofarmacologia.

Intanto una precisazione lessicale: parlare di psicofarmaci non ha senso. Esistono farmaci diversi per specifici disturbi psichiatrici, con indicazioni, modalità di azione, risultati terapeutici ed effetti collaterali specifici e molto differenti tra loro. Così come nessuno, credo, parla di cardiofarmaci bensì di antiaritmici, anticoagulanti, antiipertensivi, ecc, così bisognerebbe parlare di antidepressivi, antipsicotici, ansiolitici, stabilizzatori dell’umore, ipnoinducenti ecc. Il rischio è di rendersi vittima del pregiudizio per cui tutti i farmaci usati dallo psichiatra sono bombe che distruggono l’anima (qualcosa di simile è stato scritto in questo blog), che bisogna essere matti (nel senso di folli) per arrivare a farne uso, che sono droghe, che danno dipendenza, che ti cambiano la personalità ed altre stupidaggini simili.

Una seconda precisazione è che le malattie mentali ESISTONO e possono essere curate, ESATTAMENTE COME ACCADE PER QUALSIASI ALTRA PATOLOGIA: se uno ha l’ulcera prende il farmaco idoneo o spera con la buona volontà, con l’introspezione e l’analisi interiore di guarire? Se vi viene una cistite prendete gli antibiotici o meditate a lungo sui risvolti metafisici delle vostre azioni mentali? E allora: se uno è depresso, se soffre di attacchi di panico o di qualche altro disturbo d’ansia, se ha un episodio psicotico, perché non può curarsi ANCHE con i farmaci adatti?

Allora io dico: prendere farmaci psicoattivi, che siano antidepressivi o altro, prescritti da uno psichiatra che conosce la materia, non è altro se non curarsi per risolvere un problema di salute. Il fatto che in ballo sia la salute mentale non deve modificare niente rispetto a quanto accade per qualsiasi altra disciplina medica.

 Ringrazio per l'ospitalità rubata a questo spazio e spero che il proprietario non ne abbia a male.

 
 
 
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LE AVVENTURE DI MOTANGA

Il vento soffiava leggermente da Nord. Sbrillo esausto contemplava il cielo strappato di nuvole, mentre sorseggiava quella bevanda denominata Adrenina, dal sapore dolciastro e il colore purpureo, sedeva su una sedia in una terrazza del centro del paese di Faglie. Dal balconcino si affacciò Otto, era sudato con gli occhi spiritati, aveva avuto una litigata con una delle sue donne e poi l'aveva posseduta per due ore abbondanti. 
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Sbrillo aveva capito che Otto voleva la sua pozione magica, magari per concludere in bellezza con la dama o magari per riuscire a dirle che era meglio non vedersi più. Controvoglia preparò l'intruglio, lo assaggiò, e lo mise di fronte alla porta di Otto, bussò e si diresse nuovamente in terrazza. Sapeva che in una decina di minuti sarebbe stato lì accanto a lui e avrebbero deciso finalemente il da farsi.
Erano anni che si frequentavano e si scambiavano opinioni varie, avevano avuto la possibilità di fare alcune traversate insieme, ma adesso si trattava di scegliere se formare una ciurma e rimettere in sesto Motanga o continuare ognuno per la propria strada come sempre.

Passarono altre due ore, l'attesa uccideva Sbrillo che nel frattempo aveva cominciato a mischiare Tequila, Adrenina e il suo personale intruglio a base di Foglia del Diavolo. Decise di muoversi, andò a cercare la Musa dei Cerchi di Fuoco.
Faglie era la città natale di Sbrillo, ma non ci si muoveva a suo agio, preferiva viaggiare e stare continuamente in balia della corrente. Ma si sa: i sogni per realizzarsi hanno bisogno di tempo, vera volontà e fatica.
Per sua fortuna trovare una Musa non era un sogno, sua personale confidente era entrata nella vita del giovane Sbrillo poco tempo prima ed aveva occupato immediatamente un ruolo stabilizzante. Infatti Arachiù, così lo conoscevano in paese, era solito avere momenti di follia incontrollabile che manifestava con un arrossamento del viso (diventava magenta in alcuni casi) e un'insaziabile bisogno di sputare veleno e acido citrico su chiunque fosse alla portata della sua voce. Il compito che la Musa assolveva con tenerezza era quello di portarlo nuovamente nel mondo razionale che solitamente ordinava il giovane marinaio.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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