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XI - La forza della natura

Post n°28 pubblicato il 07 Novembre 2006 da AracnoMania

Vento come tale seguitava nella sua picchiata verso il mare, metro dopo metro si avvicinava alla sorella Notte, ma più velocemente alle onde increspate del mare. "Non posso fallire, lei non merita questo" l'ultimo pensiero prima di sgombrare la mente e raccogliere in un respiro le energie da tutte le nuvole circostanti. Il tempo sembrò mutare, le nuvole si annerirono e scariche elettriche passavano di nuvola in nuvola, come per concentrarsi su una sola. Aprì gli occhi, era il momento giusto, alzò la mano e pronunciò con voce tonante "A me, forza della natura! Ti richiamo per giusta causa a fermare ciò che non dovrebbe!" Improvvisamente un fulmine blu scaturì dalla nuvola sopra Vento e si diresse verso il palmo aperto della Zingara, quando l'energia finì di fluire il palmo si chiuse per un attimo avvolgendo una sfera luminescente e pulsante, il braccio si stirò verso dietro. Un urlo accompagnò il movimento scattoso che scagliò la sfera verso i flutti marini a pochi metri da Notte. L'acqua si aprì evaporando creando una fitta nebbia. Nello stesso momento il Grifone di Vento accelerava aiutato dalla spinta del fulmine e raggiunta Notte a venti metri di profondità afferrò il Grifone per la coda e risalì svelto verso l'uscita, le pareti d'acqua che li attorniavano si stavano chiudendo su di loro. Il cuore riprese a battere quando usciti dal pozzo questo si richiuse. Vento, già provata dalla sua azione, raccolse il calore del suo cuore nelle mani e le poggiò sulla testa di Notte e del suo Grifone, qualche istante dopo i due aprirono gli occhi e rimasero accecati dalla luce che le mani dell'esperta Zingara irradiavano. Esausta abbracciò il suo Grifone e cadde in un sonno profondo. Notte, ripresasi, ordinò al suo Grifone di dirigersi al Volksoestrom, il tempo a loro disposizione stava per scadere...

 
Rispondi al commento:
dobladillaa
dobladillaa il 08/11/06 alle 20:28 via WEB
....se solo anch'io potesi creare dei fulmini blu per andare più veloce...ma devo accontentarmi di ballare la mia danza al suono della voce roca di un gitano..non sono una zingara, ma uno spirito della notte. salvami. credici e batti le mani..il mondo della fantasia è in pericolo..in pochi ci sperano ancora. buonanotte ricciolino moro,batti le mani, batti le mani,batti le man...
 
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LE AVVENTURE DI MOTANGA

Il vento soffiava leggermente da Nord. Sbrillo esausto contemplava il cielo strappato di nuvole, mentre sorseggiava quella bevanda denominata Adrenina, dal sapore dolciastro e il colore purpureo, sedeva su una sedia in una terrazza del centro del paese di Faglie. Dal balconcino si affacciò Otto, era sudato con gli occhi spiritati, aveva avuto una litigata con una delle sue donne e poi l'aveva posseduta per due ore abbondanti. 
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Sbrillo aveva capito che Otto voleva la sua pozione magica, magari per concludere in bellezza con la dama o magari per riuscire a dirle che era meglio non vedersi più. Controvoglia preparò l'intruglio, lo assaggiò, e lo mise di fronte alla porta di Otto, bussò e si diresse nuovamente in terrazza. Sapeva che in una decina di minuti sarebbe stato lì accanto a lui e avrebbero deciso finalemente il da farsi.
Erano anni che si frequentavano e si scambiavano opinioni varie, avevano avuto la possibilità di fare alcune traversate insieme, ma adesso si trattava di scegliere se formare una ciurma e rimettere in sesto Motanga o continuare ognuno per la propria strada come sempre.

Passarono altre due ore, l'attesa uccideva Sbrillo che nel frattempo aveva cominciato a mischiare Tequila, Adrenina e il suo personale intruglio a base di Foglia del Diavolo. Decise di muoversi, andò a cercare la Musa dei Cerchi di Fuoco.
Faglie era la città natale di Sbrillo, ma non ci si muoveva a suo agio, preferiva viaggiare e stare continuamente in balia della corrente. Ma si sa: i sogni per realizzarsi hanno bisogno di tempo, vera volontà e fatica.
Per sua fortuna trovare una Musa non era un sogno, sua personale confidente era entrata nella vita del giovane Sbrillo poco tempo prima ed aveva occupato immediatamente un ruolo stabilizzante. Infatti Arachiù, così lo conoscevano in paese, era solito avere momenti di follia incontrollabile che manifestava con un arrossamento del viso (diventava magenta in alcuni casi) e un'insaziabile bisogno di sputare veleno e acido citrico su chiunque fosse alla portata della sua voce. Il compito che la Musa assolveva con tenerezza era quello di portarlo nuovamente nel mondo razionale che solitamente ordinava il giovane marinaio.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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