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LE FESTE CHE NON VOGLIAMO FESTEGGIARE...

Post n°1416 pubblicato il 26 Dicembre 2022 da scricciolo68lbr

Le festività di Natale e Capodanno sono quasi sempre rappresentate, almeno nella nostra cultura, come un momento di felicità e gioia. Ma per alcune persone possono rappresentare un periodo di tristezza, solitudine, ansia e riflessioni dolorose. Anche chi solitamente ama questo periodo dell’anno, può sentirsi talvolta sotto stress e con poche energie, in un momento in cui la pressione a preparare, consumare, mangiare, fare regali, stare in compagnia, non dire mai di no, volere bene a tutti, mostrarsi felici a tutti i costi… è davvero alta. Se, poi, aggiungiamo l’imminente Capodanno, alcune persone potrebbero iniziare a fare bilanci, lasciandosi assalire da un senso di rimpianto e fallimento.

 

Le ricerche confermano come sia in corso un’epidemia di solitudine. Le ricerche scientifiche non mentono: una molto recente, datata 2019 e svolta negli Stati Uniti, rivela come la solitudine sia pervasiva e in costante aumento, in particolare già prima della crisi sanitaria da covid-19.

 

Naturalmente tutto ciò che a questa crisi sanitaria è conseguito, non ha fatto altro che acuire questa sensazione. 

 

Molte persone riferiscono di avere meno legami sociali e di aver perso i contatti con amici e familiari. Nello specifico, il 36% degli intervistati ha riferito di soffrire di una grave solitudine, ovvero si sente sola «frequentemente» o «quasi tutto il tempo o sempre». Un altro studio mostra che il 58% degli americani spesso si sente come se nessuno nella loro vita li conoscesse bene e le loro relazioni con gli altri non fossero significative.

 

La solitudine non è affare esclusivo degli adulti, ma attraversa tutte le fasce d'età: dai baby boomer alla Gen Z, i giovani e gli anziani riferiscono tutti sentimenti di “solitudine”. Può verificarsi in qualsiasi momento della vita, anche se coloro che attraversano una rottura, un divorzio o la morte di una persona cara, tendono a lottare maggiormente con la solitudine. I genitori single riferiscono di frequenti sentimenti di solitudine mentale e fisica. 

Altri segnali di solitudine includono cattive condizioni di salute, socializzazione poco frequente, vivere da soli e non essere sposati. Per quelle persone che non hanno familiari e amici stretti o un sistema di supporto affidabile attorno durante le festività, il senso di solitudine spesso si intensifica.

 

La situazione non è tanto differente in Italia: una recente indagine Istat ha fatto una fotografia dello stato familiare. Su 25,6 milioni di famiglie italiane, circa 8,5 milioni sono nuclei unipersonali. Il 33,3% dei nuclei familiari italiani è quindi costituito da persone sole, un dato in continua crescita – dieci anni fa, nel 2012, era il 30% – e destinato a crescere ulteriormente, con una previsione per il 2040 del 38,8%. 

 

 

Solitudine uguale a Holiday Blues?

L’equazione non è automatica: non tutte le persone sole soffrono di solitudine. Ovvero, c’è chi da solo ci sta bene, è una condizione “scelta”, non “subita”, e scelta, con consapevolezza e amor di se stesso. 

 

Ma è un dato di fatto che le festività possano acuire quel sentimento di mancanza anche nei solitari più granitici: «Si definisce Holiday Blues quella fatica di “stare al mondo” tipica delle vacanze, molto diffusa, ma che, spesso, non si riesce ad ammettere per timore di essere giudicati – spiega la dottoressa Carolina Traverso, psicologa, psicoterapeuta e insegnante di mindfulness - Attenzione però, gli Holiday Blues non sono un disturbo psichiatrico e vanno distinti dai disturbi dell’umore, la cui diagnosi deve essere fatta da uno psicologo o da una psichiatra e per i quali è necessario un supporto clinico di tipo psicoterapeutico ed eventualmente farmacologico». E allora che fare per prendersi cura di sé in questo particolare momento dell’anno?

 

 

Primo passo: imparare a riconoscere il giudice interiore. In questo periodo dell’anno si ha l’aspettativa (più dettata dall’esterno) di doversi sentire sempre allegri, felici e disponibili verso gli altri. È importante riconoscere che si tratta di un’attesa irrealistica che non tiene conto del fatto che siamo esseri sensibili, diversi gli uni dagli altri e che la nostra vita emotiva è complessa e varia.

 

 

«Attenzione, dunque, al nostro giudice interiore che potrebbe dirci che qualcosa non va se proviamo emozioni diverse da quelle proposte dalla narrazione predominante o, ancor peggio, che siamo noi a non andare bene», commenta Traverso.

 

Impariamo innanzitutto a riconoscerlo: è una voce, dentro di noi, che ama esprimersi con opinioni assolute e parole come “dovere”, “sempre” e “mai”. Potrebbe manifestarsi con frasi del tipo: «Cosa ho che non va? Non dovrei sentirmi così», «Non faccio mai abbastanza», «Rovino sempre tutto».

 

Il giudice interiore può spingerci a metterci troppo in discussione ed a chiuderci in noi stessi, oppure a calarci in un’atmosfera di eccessiva competitività, perfezionismo e attenzione ai dettagli che può trasformare l’organizzazione di un pranzo di Natale oppure di un cenone di Capodanno, in un’estenuante performance, a scapito dell’esigenza di connetterci spontaneamente e genuinamente con gli altri.

«Attenzione, per gestire il giudice interiore la strada migliore non è tentare di zittirlo o di cacciarlo – prosegue Traverso - Piuttosto, una volta che ci siamo esercitati a riconoscerlo quando si presenta, proviamo con un approccio gentile. Guardiamolo negli occhi e diciamogli di trovarlo stanco, che dev’essere proprio sfiancante portare il peso di tutti questi pensieri negativi e che è giunto il momento di una tisana calda e di un bel sonnellino. L’approccio accogliente, forse non lo toglierà di mezzo, ma ridurrà la presa che ha su di noi».

 

 

Natale e Capodanno: la sfida di stare bene con se stessi. Capita, in questo periodo dell’anno, indipendentemente dall’essere o meno circondati da amici e famigliari, di sentirci soli e disconnessi dal resto del mondo. Magari stiamo affrontando un momento di difficoltà nella vita, oppure finanziarie e ci sentiamo inadeguati al cospetto altrui. Oppure, le proposte di riunirsi con amici e parenti ci fanno pensare di più alla nostra attuale sofferenza, Magari ci porta a fare un confronto con gli anni passati, l’anno prima del divorzio, o l’anno in cui nostro padre era ancora vivo, o l’anno in cui eravamo semplicemente più giovani, e perché ci sentivamo più leggeri…

Il punto è che tutti noi abbiamo bisogno di “connetterci” con altri esseri umani, eppure, quando soffriamo, tendiamo a chiuderci in noi stessi. Magari sentiamo di non avere sufficiente energia per stare con gli altri, oppure temiamo di travolgerli con il nostro dolore, o vogliamo evitare di scoprire davanti agli altri le nostre debolezze e la nostra sensibilità.

«Attenzione, anche se coltivare momenti di solitudine come spazio per ascoltarci e prenderci cura di noi, può essere profondamente balsamico – consiglia Traverso - chiuderci del tutto in noi stessi non fa altro che aumentare il nostro senso di isolamento e peggiorare il nostro umore. Anche se ci richiede sforzo, proviamo dunque a coltivare la connessione con gli altri, che ci aiuterà piano, piano, a stare meglio anche con noi stessi». 

 


Se partecipare a una festa con tante persone ci sembra troppo, creiamo occasioni di interazione più intime, con amici fidati che non ci giudicheranno per le nostre “fatiche”. Pratichiamo la generosità, magari donando il nostro tempo ad una causa che ci sta a cuore. Pensiamo a modi creativi di entrare in relazione con gli altri, basati sulle nostre esigenze e sui nostri interessi, da portare magari con noi per l’anno che verrà. I gruppi di ballo e di teatro, i centri di yoga, i corsi di cucina e le associazioni di volontariato sono solo alcuni esempi.

«L’antidoto al sentirci soli e separati dagli altri è recuperare un senso di comunità e integrarlo nel nostro stile di vita – spiega Traverso - Non smetteremo, per questo, di provare emozioni difficili. Ma saranno più tollerabili perché avremo fatto spazio anche ad altre esperienze potenzialmente arricchenti».

 

 

Focus sul Natale: e se cominciassimo a dirci la verità? Se siamo tra coloro che a Natale hanno scelto di isolarsi consapevolmente per non vedere la propria famiglia, questo è degno di comprensione. Al di là delle frasi fatte sul Natale e su quanto sia meraviglioso stare in famiglia, guardiamo in faccia la realtà: ci sono famiglie francamente difficili che tutto offrono tranne che calore e sicurezza e, se temiamo che trascorrere un momento insieme possa mettere a repentaglio la nostra serenità o salute mentale, è giusto proteggerci ed evitarlo. 

 

Ma attenzione, una riflessione è d’obbligo: molti di noi hanno un’immagine idealizzata di come dovrebbero essere un genitore, una suocera, un figlio, una sorella, un partner e, se queste persone nella realtà si rivelano diverse dalla nostra fantasia, ci sentiamo abbandonati, delusi e frustrati. Questo vale tanto più quanto entriamo in relazione con i nostri familiari con un carico di bisogni insoddisfatti e ci convinciamo che, per stare bene, debbano comportarsi secondo i nostri desideri.

«Se vogliamo creare delle connessioni amorevoli è necessario lasciar andare le fantasie, aprire gli occhi e non dare per scontato che sappiamo già tutto su chi abbiamo di fronte – spiega Traverso - Forse c’è ancora molto da imparare, anche su coloro che conosciamo da anni. Insieme condividiamo una storia che ha creato un certo clima tra di noi, ma siamo davvero sicuri che non possano stupirci? Pensiamoci bene: i nostri familiari sanno proprio tutto di noi?». 

 

 

Un cambio di prospettiva potrebbe salvare il Natale? «Esatto. Invece che vivere annoiati o avviliti, mentre speriamo nella famiglia ideale, proviamo a interessarci a chi abbiamo di fronte. Solo così potremo mantenerci aperti alla connessione e, chissà, lasciarci sorprendere – continua Traverso - Alla cena o al pranzo di Natale, dunque, facciamo un piccolo sforzo e osserviamo come interagiamo con gli altri. Ci sono persone con cui siamo più disponibili e altre con cui ci chiudiamo più facilmente? Abbiamo dei pregiudizi nei confronti di queste persone? Si tratta semplicemente di notarli e chiederci come potrebbero influenzare il nostro punto di vista. Cosa succederebbe se lasciassimo più spazio alla curiosità?».

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