Creato da scricciolo68lbr il 17/02/2007

Pensieri e parole...

Riflessioni, emozioni, musica, idee e sogni di un internauta alle prese con la vita... Porto con me sempre il mio quaderno degli appunti, mi fermo, scrivo, riprendo il cammino... verso la Luce

 

Messaggi del 08/12/2023

LA TV È SUPERATA: SOLO GLI ANZIANI ANCORA LA GUARDANO!

Post n°1690 pubblicato il 08 Dicembre 2023 da scricciolo68lbr

Sul ring dell'intrattenimento, il match tra broadcasting e streaming vede quest'ultimo in netto vantaggio sul primo. Secondo l'indagine "CTV: Anticipare il futuro" realizzata da Harris Interactive per Magnite, indagine del 2020, l'83% della popolazione italiana utilizza la TV connessa una volta alla settimana e oltre la metà (52%) lo fa quotidianamente, mentre la maggior parte (51%) del tempo settimanale complessivo trascorso davanti alla TV è scandito dai servizi di streaming. Ricordiamo che per TV connessa si intende qualsiasi televisore connesso a Internet tramite una Smart TV, una console di gioco o un dispositivo di streaming (come un box o una stick). In Italia, la Connected TV è lo "schermo più grande della casa”, con il più alto numero di streaming rispetto ai computer e agli schermi degli smartphone.

La ricerca, che ha preso in esame - da ottobre a novembre dello scorso anno - oltre 10mila persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni da Italia, Spagna, Francia, Regno Unito e Germania, ha rilevato che il 50% degli spettatori italiani si rivolge prima ai canali di streaming. L'ampio utilizzo della CTV nel Bel Paese è in linea con la media per i cinque Paesi europei analizzati.

A determinare una sempre più rapida diffusione dei servizi OTT (over-the-top) è stata, certamente, la psico-pandemia, i lockdown inutili, visto quello che poi avvenne, che hanno fatto impennare i numeri dello streaming a 360 gradi: nel 2020, le piattaforme di streaming come Netflix, Dazn e Disney+ hanno subìto un'importante accelerazione nei mercati dell’Europa occidentale, diventando un irrinunciabile alleato per le persone rinchiuse tra le mura di casa. Secondo il report, l'adozione della CTV è determinata da due dinamiche: il cambiamento epocale nella modalità di fruizione dei contenuti da parte degli spettatori e la sempre più accentuata frammentazione della TV tradizionale. La statistica non sorprende certamente chi ha figli di quell'età, i quali possono benissimo fare a meno di un elettrodomestico antiquato come la tivù, anche nelle sue più moderne versioni a grande schermo

I giovani passano davanti alla tivù, per guardare i canali tradizionali, un settimo del tempo che ci trascorrono le persone al di sopra dei 65 anni. E allora che cosa guardano, i ragazzi e le ragazze tra i 16 e i 24 anni? 
Un sondaggio pubblicato dalla BBC in Inghilterra rivela che i millennials (ovvero la generazione dei nati fra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo) preferiscono sintonizzarsi sui canali in streaming, come Netflix e Amazon Prime, o su brevi video postati sui social: e li guardano per lo più su personal computer, iPad o smartphone, non sul televisore.

La statistica non sorprende certamente chi ha figli di quell'età, i quali possono benissimo fare a meno di un ELETTRODOMESTICO ANTIQUATO COME LA TV, anche nelle sue più moderne versioni a grande schermo, sia che abitino ancora con i genitori (in tal caso si chiudono in camera propria con il telefonino o il PC), sia che vivano da soli. Per la precisione, il sondaggio indica che gli spettatori nella fascia 16-24 anni trascorrono in media appena 53 minuti al giorno davanti ai canali tradizionali, un calo di due terzi rispetto a dieci anni or sono, contro 6 ore al giorno per le persone dai 65 anni in su: il maggiore gap nelle abitudini televisive tra giovani e anziani mai registrato dall’Ofcome, l’agenzia governativa che regolamenta i media televisivi britannici. Un dato che è probabilmente simile alla situazione in altri paesi occidentali.

La tendenza verso nuove forme di intrattenimento coinvolge anche gli adulti, un terzo dei quali nel Regno Unito guarda regolarmente video di 10 minuti o meno, percentuale che sale al 65 per cento per i giovani tra 16 e 24 anni e al 90 per cento circa per quelli tra i 15 e i 17 anni, questi ultimi suddivisi tra YouTube, Instagram e TikTok. Nel giorno in cui una delle più grandi audience globali della storia si riunisce davanti alla tivù per i funerali della regina Elisabetta, è bene ricordare che i giovani – e di conseguenza il futuro – sono da un’altra parte.

Inoltre occorre considerare come la TV rappresenti una sorgente di manipolazione delle informazioni. Esempio lampante è stata la recente psico-pandemia, quando TV e quotidiani fornivano dati rassicuranti sui sieri genici soerimentali, poi da qualche anno si moltiplicano le sentenze dei giudici che riabilitano i sospesi dal lavoro che rifiutarono sieri e green pass, come i dati che asserivano che i sierati non contagiavano e non si infettavano, mentre poi i dati hanno smentito tutto. Infine Paesi come la Svezia dove non sono stati adottati lockdown e neppure tante altre misure retrittive come in Italia, hanno avuto dati molto migliori dei nostri sui contagi. Ma questa è un'a,tra storia. Qui si larka del potere manipokatorik della TV.

Le notizie, siano esse cattive, buona false o vere, influenzano la nostra mente e il nostro stato emotivo! Quelle false e quelle cattive, la nostra positività.

Siamo costantemente influenzati dall’ambiente in cui viviamo, e l’ambiente, sociologicamente parlando, è una delle chiavi di volta del nostro essere. Se ciò è vero, in quale e quanti modi l’environment può cambiare la nostra visione delle cose?

Mettiamo il caso che su 10 notizie al telegiornale 5 siano notizie positive e il restante dipinga la realtà in maniera negativa o manipolata. Le notizie comportano cambiamenti dal punto di vista del pensiero comune! Dell’azione di ogni singolo individuo!

Prendiamo la teoria dell’etichettamentoteoria sociologica della devianza che mette in evidenza la possibilità di focalizzare l’attenzione in maniera negativa su un essere umano che ha agito in maniera “criminale”, anche solo una volta, rendendolo a tutti gli effetti  un criminale “incallito” senza via di uscita grazie alla percezione che la società ha di lui/lei. C’è forse una possibilità di poter unire in connubio questa teoria con la negativa visione della nostra società?

Nonostante non possiamo che affermare la devianza nella nostra comunità, non bisogna in alcun modo generalizzare e/o continuare ad imprimere un simile comportamento nelle menti anche dei più giovani.

Non siamo tutti terroristi, assassini, ladri, truffatori o iracondi.

La così detta “buona azione” tende sempre a lasciare stupiti o dubbiosi, quando in realtà dovrebbe far parte della nostra quotidianità. Una volta su internet lessi che una tribù africana, quando un membro della loro comunità commetteva un errore, la comunità stessa si riuniva in un cerchio e con “l’accusato” al centro, ricordavano tutte le buone azioni che aveva compiuto in passato. Perché nonostante avesse errato una volta, questo non poteva far di lui un criminale per tutta la vita.

Non voglio parlare di casi particolari, quindi non mi soffermerò su questo, ma in generale è così che dovrebbe funzionare un sistema. Dovrebbe darti la possibilità di comprendere che, oltre al male, c’è anche il bene. Sempre!

Ottimo il messaggio finale del film Tomorrowland, dove è stessa la distruzione del ripetitore apocalittico, che influenzava ogni singola persona, a rendere salva la vita e il futuro degli essere umani.

Evitando di tirarla troppo per le lunghe, possiamo ritenere che l’influenza dei mass media è molto più greve di quanto possiamo immaginare. Fortunatamente la TV adesso è meno guardata di una volta e il suo potere manipolatorio è assai circoscritto.

Ci lamentiamo delle future generazioni ignoranti, prive di regole e di rispetto, ma le cosiddette future generazioni non sono altro che il seme negativo che gli adulti stanno piantando. Non è possibile pensare di poter insegnare un comportamento ligio da seguire in una società, cercando di insegnare tali comportamenti a scuola o in famiglia, se poi è il bambino stessi ad essere influenzato negativamente dagli esempi che egli può semplicemente vedere tutti i giorni tra quelli proposti dai mass media.

Dobbiamo imparare che la società influenza se stessa in un modo o in un altro e se lo fa negativamente, con notizie negative o peggio false, allora dobbiamo smuovere le acque e cominciare a portare anche qualcosa di positivo dalla nostra parte: “Con il giusto stato d’animo tutto è possibile… credo che spesso restiamo impantanati in questo stato di negatività ed è un veleno come nient’altro!” [Il lato positivo].

 
 
 

IL CIRCO DEL FEMMINICIDIO: HANNO COSTRUITO ATTORNO AL FEMMINICIDIO UN CIRCO MEDIATICO, DEI PADRI SEPARATI SUICIDI, NESSUNO PARLA

Post n°1689 pubblicato il 08 Dicembre 2023 da scricciolo68lbr

Sono almeno 200 i padri separati che si tolgono la vita ogni anno. Sono oppressi dalla disastrosa legge sul divorzio che li ha consegnati all'indigenza e alla mercè di donne vendicative che mettono i loro interessi personali davanti a quelli dei figli. Di questi non ne sentiamo mai parlare. Il femminismo ha costruito una falsa immagine nella quale la donna è sempre vittima quando invece spesso è carnefice.
CON BUONA PACE DI CHI BLATERA DI REGIME PATRIARCALE!

Ha sempre rappresentato una argomentazione valida durante le discussioni con le femministe, contrarie a una riforma della disciplina di separazioni e affidi: «ogni anno si suicidano 200 padri separati!». Un’affermazione pesante, si è vero, tuttavia rappresentativa di una prova schiacciante di quanto le prassi separative ordinate dai giudici, siano talmente inique da condurre molti uomini alla disperazione. Restava un problema da risolvere, evidenziato dalla risposta tipica della femminista con cui ci si trovava a dibattere: «la fonte del dato?». E lì cominciavano le contorsioni: non essere in grado di menzionare da quale studio derivasse quella cifra ha significato spesso, per molti, la sconfitta dialettica e l’umiliazione di venire avvolti dall’alone del “cazzaro” che spara cifre a caso.

Questo problema è ora risolvibile, per puro caso un amico mi segnala questo articolo datato 25 novembre 2016, a firma di Marina Dalla Costa, all’interno del sito di quello che parrebbe un partito politico, il “Movimento Libertario”. Il pezzo è sorprendente, dice le stesse cose che si dicono nella Uomosfera oggi: smonta pezzo per pezzo, citando fonti ufficiali, il mito del “femminicidio”, e lo fa con tutta la ragionevolezza del caso. Alla fine si riferisce anche ai dati sui suicidi, ed ecco riapparire il fatidico numero: «In Italia il tasso di suicidio di uomini separati è di 284 per milione all’anno». Non parla specificamente di padri separati, ma di uomini separati in generale, ed è già qualcosa. Soprattutto cita come fonte l’Eures, e non l’OMS, in particolare una ricerca del 2009. Faccio ripartire le ricerche e in due minuti reperisco il report relativo (scaricabile qui o dalla sua collocazione originale qui): “L’ultimo grido dei senza voce. Il suicidio in Italia ai tempi della crisi”. Pubblicato nel 2011, analizza i tassi suicidiari nel nostro paese fino al 2009, ed è una meraviglia da leggere per il semplice motivo che, diversamente dai report che si possono leggere oggi, non è inquinato da nessun orientamento ideologico. Riporta i dati per descrivere la realtà, non per supportare una visione precostituita della stessa. Roba molto rara oggi.

I dati che riporta sono noti e ormai consolidati: la stragrande maggioranza dei suicidi è compiuta da uomini. Non solo: anche nei tentati suicidi gli uomini battono le donne, con una proporzione di 3,5 a 1. Sulle motivazioni, il report si scontra contro la difficoltà della frequente assenza di spiegazione del gesto. Non tutti coloro che si tolgono la vita lasciano scritto o detto il perché, anzi lo fa solamente una minoranza. In molti casi non spiegati la ragione si può desumere con la conoscenza delle condizioni di vita del suicida, con ciò riducendo gli “inspiegabili” a un numero sempre alto ma statisticamente gestibile. Nel 2009 l’Italia (e non solo) stava pagando l’onda lunga dei giochetti americani con i subprime e questo aveva fatto esplodere gli omicidi innescati da ragioni economiche. «Non risulta inoltre superfluo», spiega l’Eures, «evidenziare come il suicidio per ragioni economiche rappresenti un fenomeno quasi esclusivamente maschile (95% dei casi nel 2009) a conferma di come questo si leghi alla acquisizione/perdita di identità e di ruolo sociale definita dal binomio lavoro/autonomia economica». Con buona pace di chi blatera di regime patriarcale che privilegia gli uomini e della Murgia secondo cui la “mortificazione civile” colpisce soltanto le donne sottoposte, solo loro, a intollerabili pressioni socio-culturali.

A questo punto si arriva alla declinazione dei dati per status sociale: età, area geografica e stato civile. Ed ecco qualcosa che somiglia molto ai “200 padri separati” dell’ex Onorevole Turco: «l’indice di rischio complessivamente più alto si rileva tra i separati e i divorziati (14,2 ogni 100 mila abitanti, che sale a 28,4 tra gli uomini contro un indice pari a 4,8 tra le donne)», riporta l’Eures, registrando come lo stesso indice sia bassissimo tra chi è accoppiato. Osserva allora il report: «Questi indici sembrano evidenziare come l’integrazione e la condivisione di uno spazio affettivo (ma anche di uno spazio economico) costituiscano elementi “preventivi” del rischio suicidario e, al tempo stesso, come la perdita affettiva (nella separazione e/o nel lutto ) rappresenti soprattutto per gli uomini una perdita di identità e di punti di riferimento molto superiore a quella delle donne». Chi è avvezzo a leggere i report statistici odierni non può che commuoversi di fronte a un’osservazione del genere, che tratta il genere maschile in modo perfettamente normale, umano, attribuendogli sentimenti ed empatia, senza criminalizzarlo forzosamente. Sì, gli uomini da soli, senza una compagna, stanno male. Tanto da togliersi spesso la vita. Bamboccioni? Senza palle? Eterni Peter Pan? No, Uomini. Che in quanto esseri umani hanno bisogno di legami identitari e punti di riferimento affettivi, come li definisce l’Eures, cui dare un’importanza cruciale nella propria esistenza. Fa impressione che solo 12 anni fa si parlasse in questi termini della sfera maschile in un report statistico ufficiale.

E poi c’è il dato misterioso, quel numero circolante da tempo ma da sempre senza una fonte: il report Eures nel 2009 conta tra i separati e divorziati che si sono suicidati 253 uomini e 64 donne. Non dice se quei 253 fossero padri o meno, ma possiamo presumere che in gran parte lo fossero. È passato, vivaddio, il tempo in cui gli uomini si suicidavano per la sola perdita della donna amata. Capita ancora ma si contano sulle dita di una mano. La pulsione affettiva maschile da decenni ha trasferito la sua potenza sulla prole: gli uomini contemporanei possono accettare tranquillamente di vivere senza la propria amata, ma molto difficilmente accettano la rinuncia ai propri figli. Dunque sì: è legittimo dire che nel 2009 si suicidarono circa 200 padri separati. L’Eures dice che è un dato che conferma un trend già registrato in precedenza, nel 2000 e nel 1990. E poi? Poi il nulla, quel dato è sparito. Viene recuperato soltanto da Santiago Gascó Altaba tra le note del suo “La grande menzogna del femminismo“. Ma è l’unico. Nessuno più ha elaborato dati come quelli: ISTAT, Eures, Eurostat, ONU, hanno optato da allora per il silenzio più totale. E QUESTO FA PENSARE, CHE DITE?

Dal 2009 (curiosamente è anche l’anno dell’approvazione in Italia della legge anti-stalking, ovvero l’anno dell’inizio della fine…) ogni rilevazione ha cambiato approccio: le sofferenze maschili non si misurano più, così si dà l’impressione che non ce ne siano, che gli uomini se la spassino alla grande nel loro stramaledetto patriarcato. Di contro si registra ogni minima sofferenza femminile, magari manipolando anche i dati, così tutti credono che un genere è persecutore e l’altro è il perseguitato. Quest’ultimo, in quanto tale, ha più diritti e deve avere più tutele dell’altro. E così siamo all’oggi degli sgravi fiscali totali per chi assume donne (per dirne una a caso).

Al di là delle mistificazioni, è del tutto ragionevole pensare che il dato del 2009 sia rimasto costante, se non si è addirittura aggravato. Oggi va di moda parlare di patriarcato, di rieducazione maschile, mentre Valditare incarica la Concia (ex PD) di occuparsi delle lezioni da impartire nelle scuole sull'educazione alle relazioni. Mio Dio: scherziamo? L'educazione è affare di totale prerogativa della famiglia, un alunno può averla o non averla, ma non sarà mai compito di un professore scegliere come educare un fanciullo! Siamo all'inverosimile: aveva ragione quel qualcuno che disse: "Attenzione, lo Stato vuole prendersi la potestà dei fanciulli". Matteo Renzi, nel duello televisivo con l’altro Matteo, il leghista Salvini, era il 2019, pronunciò una frase che lo collocò nella categoria dei nemici dei keghisti, non in quella degli avversari. Secondo il Buffalmacco fiorentino, “tutti devono mandare i figli all’asilo nido, anche coloro che non lavorano”. I bambini, dunque, sono proprietà dello Stato, legittimato a educarli fin dalla prima infanzia, sottraendoli ai genitori, svuotando ulteriormente quel che resta della famiglia, il ruolo dei nonni, dei fratelli, quando ci sono, e dei parenti. No. L’affermazione, grave e sinistra, (proveniente da sinistra) deve essere rigettata in radice.

I figli non sono una proprietà di chi li ha generati, ma ad essi incombe il diritto e il dovere di accoglierli, educarli, avviarli al mondo della vita. A loro e a nessun altro. Sequestrare gli infanti per riunirli negli asili significa spogliare i genitori di responsabilità e soprattutto iniziare a manipolare le generazioni sin dalla culla. Non siamo proprietà statale, nessuno lo è, né lo sarà mai, nessuno metta le mani sui bambini, già costretti a vaccinazioni di dubbia utilità, sballottati fuori di casa dal ritmo frenetico, innaturale del nostro tempo, lontani dalla madre, dal calore domestico.  

Ogni Stato è una dittatura, affermava Antonio Gramscii cosiddetti democratici e progressisti si incaricano di dargli ragione. La definizione di Ezra Pound è più pregnante: controllo sociale averso la sistematica applicazione della forza di una società politicamente organizzata. La proposta renziana fu probabilmente musica per le orecchie di qualche genitore postmoderno, interessato, per fastidio o magari per difficoltà pratiche di un sistema disumanizzante, a parcheggiare i figli in luoghi “sicuri”. A noi invece spaventò e spaventa, perchè la sinistra a momenti la ripropone, spaventa come ogni passo nella direzione del controllo, dell’indottrinamento generalizzato, della cancellazione del valore cruciale dell’istituto tra gli istituti: la famiglia!

 

 
 
 

GOVERNO DI ESTREMA SINISTRA?

Post n°1688 pubblicato il 08 Dicembre 2023 da scricciolo68lbr
 

«Siamo scioccati e sconcertati dalla scelta del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di affidare l’introduzione nelle scuole italiane della cosiddetta educazione alle relazioni e all’affettività a un’attivista politica di sinistra e sostenitrice dell’Agenda LGBTQ come Anna Paola Concia, già deputata del Partito Democratico. Con tutto il rispetto per la persona, la visione politica di Concia sui temi della famiglia, della filiazione e della libertà educativa dei genitori è radicalmente incompatibile coi valori della stragrande maggioranza degli elettori che hanno votato i partiti che sostengono il Governo Meloni. Fu proprio la Lega, partito di riferimento di Valditara, a inserire nel programma elettorale il contrasto esplicito all’ideologia Gender nelle scuole. Concia, invece, era favorevole alla regolamentazione della maternità surrogata e al Ddl Zan che prevedeva la massiccia introduzione nelle scuole italiane di corsi e progetti fondati sull’ideologia Gender: nel ruolo affidatole dal Ministro Valditara avrà mano libera nel raggiungere lo stesso scopo. Chiediamo al Ministro Valditara di annullare immediatamente una scelta degna di un Governo di estrema sinistra». Così Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia onlus

 
 
 

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tante volte rimangono
fanno male anche se dette per rabbia
si ricordano
In qualche modo restano.
Le parole, quante volte rimangono
le parole feriscono
le parole ti cambiano
le parole confortano.
Le parole fanno danni invisibili
sono note che aiutano
e che la notte confortano.
                                  i
 
 

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