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Messaggi del 13/07/2024

IL PROBLEMA DELLA CENSURA.

Post n°1882 pubblicato il 13 Luglio 2024 da scricciolo68lbr

È facile interpretare le recenti iniziative governative dell’UE contro le false notizie come un’operazione di “creazione di un consenso popolare” attraverso la manipolazione delle menti, che consenta l’abolizione di qualsivoglia reazione alla censura della Rete e della libertà di espressione dei comuni cittadini. È davvero così? Può anche darsi si… che l’intento sia davvero questo. Purtroppo il problema delle false notizie non sono un problema soltanto di Internet in generale, poiché spesso e volentieri i principali disseminatori di “false notizie” sono proprio i media mainstream, e le testate giornalistiche regolarmente registrate, asservite al potere precostituito. Dovrebbero tutti, quindi anche loro, attenersi alle norme sulla stampa e alla deontologia professionale, che include la diligente verifica delle fonti e dei fatti: quello che adesso si chiama pomposamente fact-checking.

 

 

Certo, un post di un utente comune, con una foto falsa, può fare trecentomila condivisioni, ma è nulla in confronto ai milioni di telespettatori di un servile “dibattito” televisivo sul fatto del giorno, oppure rispetto alla tiratura quotidiana di un giornale o infine, alle visite al sito Web di una testata giornalistica. Per fare un esempio, il Daily Mail britannico, fabbrica incessante di bufale mediche e di false notizie razziste, alle quali il giornalismo in lingua italiana si abbevera costantemente, tira un milione e mezzo in media di copie giornaliere, che vengono lette da sei milioni e mezzo di persone, e quattordici milioni di visitatori giornalieri tramite PC.

 

 

Rispetto alla potenza di fuoco di testate come queste, una condivisione di un cittadino comune sui social è una goccia nel mare. In altre parole, se qualcuno pensa e vuole far credere alla pubblica opinione, che il problema delle false notizie sia colpa dei singoli cittadini e che la soluzione sia porre un bavaglio e rimettere la comunicazione unicamente in mano alle testate giornalistiche registrate, sta sbagliando di grosso.

 

Faccio un piccolo esempio di questo concetto prendendo un caso sul quale vado a colpo sicuro e al riparo da ogni dubbio sulla mia competenza sulla materia trattata.

 

Russia, le sanzioni non funzionano: lo conferma uno studio finlandese. Nel corpo di questi ultimi anni testo questo è stato affermato dalle maggiori, se non totalità, delle testate giornalistiche europee. In questo vecchio articolo invece, l’anonimo autore riporta che il quotidiano Manager magazine ha citato uno studio dell’organizzazione finlandese Crea (Centre for Research on Energy and Clean Air) nel quale vengono sottolineati gli enormi guadagni fatti dalla Russia in questi mesi vendendo – principalmente a noi – le sue materie prime, ma non solo, anche a Cina, India. In questi anni il governo russo avrebbe incassato moltissimi miliardi di euro a fronte di un costo della guerra di circa 100 miliardi di euro (le stime sono sempre di Crea).

Fin qui quasi tutto bene, anche se l’articolo non è dello Spiegel bensì di Manager magazine. Comunque anche altre testate hanno scritto articoli simili, vedasi Panorama. Nel suo articolo, il settimanale scrive come a due anni dall’invasione russa dell’ucraina e dall’applicazione di pesanti sanzioni nei confronti di Mosca è lecito chiedersi come mai questi provvedimenti non funzionino come previsto. Nella classifica dei Paesi più sanzionati al mondo il podio è infatti riservato proprio alla Russia, dietro la quale ci sono Siria, Corea del Nord e Iran. La memoria digitale del web ritrova facilmente titoli e dichiarazioni fatte nel momento della loro applicazione, come quella di Biden: “Il rublo è stato quasi immediatamente ridotto in macerie, l’economia russa è sulla buona strada per essere dimezzata”. Il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire prevedeva “il collasso dell’economia russa”. Certo, Il 2024 sarà un esame severo per il sistema economico russo dopo due anni (2022 e 2023) salvati grazie alle riserve accumulate prima della guerra e alle entrate extra ottenute all’inizio dell’invasione con lo shock sul mercato internazionale del gas e del petrolio provocati dall’offensiva. Eppure, il Financial Time, in un recente articolo, osserva che nel 2023 la Russia è cresciuta più velocemente di tutte le economie del G7 e il Fondo monetario internazionale prevede che ciò accadrà anche nel 2024. Quindi non soltanto l’economia russa non è crollata, ma sta crescendo a un ritmo costante, ovvero del 2,6% nel 2023, rispetto allo 0,8% della Francia, allo 0,5% della Gran Bretagna, allo 0,1 italiano e soprattutto nei confronti del –0,3% tedesco. L'errore principale degli esperti e dei politici occidentali è stato quello di inventare favole secondo cui l'intera economia russa è gestita dallo Stato; le sanzioni sono state applicate partendo dal presupposto che si trattasse di un’economia statale, non flessibile e quindi destinata a crollare rapidamente, mentre invece è in gran parte un’economia di mercato. Nonostante internet abbia reso il mondo più piccolo e interconnesso, la geografia insegna che in realtà è ancora abbastanza grande per garantire a Putin abbastanza clienti per ciò che vende, principalmente petrolio e gas, merci che nessuna nazione che non li abbia nel proprio sottosuolo può fare a meno di acquistare. Tanto che, tra agosto e ottobre 2023, la Russia rappresentava ancora il 12% delle importazioni di gas naturale dell’Unione e oltre il 20% delle importazioni di fertilizzanti. E ad oggi risulta che le importazioni dei Paesi Ue di Gas naturale liquefatto siano russe. A parte noi italiani, che siamo stati capaci di distruggere tre miliardi di export verso Mosca grazie a sanzioni precedenti alla guerra, ben poche nazioni possono quindi fare a meno di ciò che Putin vende. Le aziende private russe hanno trovato il modo di sopravvivere nonostante le sanzioni creando nuovi canali di vendita e catene d’approvvigionamento alternative. Inoltre, se la Russia non cresce di più è, semmai, a causa dell'incapacità di trovare lavoratori, non a caso la disoccupazione è al 2,4% anche a causa della mobilitazione militare e dell'esodo di russi e immigrati a causa della guerra, non a caso la manodopera è spesso irachena, iraniana, pachistana e cinese. Un altro motivo è l’inflazione con gli alti tassi di interesse delle banche centrali, fino al 16%. Il secondo grande limite all’efficacia delle sanzioni è il fatto che la Russia ha un forte alleato commerciale nella Cina, il secondo paese più potente del mondo e il principale rivale geopolitico degli Stati Uniti. Seppure Pechino non abbia ancora fornito armi letali ai russi per ovvie ragioni strategiche, il regime vuole assolutamente evitare uno scenario in cui lo Stato russo sia sconfitto, ma certo approfitterebbero del suo indebolimento a livello commerciale, come già avviene. Dall’inizio della guerra, le esportazioni cinesi verso la Russia sono cresciute del 40% e quelle russe verso i paesi vicini sono aumentate ancora di più il 63% in più di beni e servizi viene venduto al Kazakistan e le esportazioni verso Bielorussia e Georgia sono più che raddoppiate. Poco dopo l’inizio dell’invasione russa il valore totale delle merci vendute a Kirghizistan, Armenia, Georgia e Kazakistan è quasi triplicato. Quanto agli acquisti russi, i cittadini vogliono ancora determinati prodotti e sono disposti a pagarli in valuta forte, che nonostante sia il rublo è più robusto di quelle locali di chi i prodotti li vende, quindi, i venditori trovano un modo per aggirare le sanzioni. Ma mentre questa mitigazione delle sanzioni è molto efficace, quella occidentale lo è meno, soprattutto per le esportazioni, e la politica fin qui applicata ha danneggiato non soltanto l’Unione europea, ma anche la Gran Bretagna. Una situazione pessima per l’Europa politica: costretta a sostenere Kiev per non giocarsi la credibilità, ma incapace di rinunciare ai beni di Mosca.

Alla luce di queste considerazioni, non mi si venga a raccontare quindi, che il problema delle false notizie sia solo un problema di Internet o dei social network, escludendo media e testate mainstream, è un discorso che non regge.

 
 
 

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