Creato da scricciolo68lbr il 17/02/2007

Pensieri e parole...

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ENNESIMA AMMISSIONE DI ZUCKERBERG SULLE PRESSIONI DELLA CASA BIANCA PER CENSURARE LE VERITÀ SULLA PANDEMIA!

Post n°1913 pubblicato il 28 Agosto 2024 da scricciolo68lbr

Era già accaduto. Il 31 di luglio a.D. 2023: Zuckerberg obbligato dal Congresso, consegnò i documenti che dimostrarono il controllo politico dell'amministrazione Biden sui contenuti dei social relativi al Cov*d.

L’amministrazione Usa guidata da Joe Biden esercitò pressioni su Facebook per ottenere censure in materia di Cov*d-19. Questo emerse dai cosiddetti «Facebook Files»: una serie di documenti che la società di Mark Zuckerberg consegnò alla commissione Giustizia della Camera dei rappresentanti. Si trattava di file che il presidente della commissione, il deputato repubblicano Jim Jordan, cominciò a rendere pubblici su Twitter in quei giorni.

«Documenti interni mai pubblicati prima, ottenuti dalla commissione Giustizia tramite ordine di comparizione, dimostrano che Facebook e Instagram hanno censurato i post e modificato le loro politiche di moderazione dei contenuti a causa di pressioni incostituzionali della Casa Bianca di Biden», scrisse Jordan. Il deputato anche pubblicò un’email di un dipendente dell’aprile 2021, indirizzata sia a Zuckerberg sia all’allora direttrice operativa di Facebook, Sheryl Sandberg, in cui diceva: «Stiamo affrontando continue pressioni da parte di stakeholder esterni, Casa Bianca inclusa e media, per rimuovere più contenuti che scoraggiano l’uso del vaccino».

Jordan proseguì riportando che, nello stesso mese, il presidente per gli Affari globali di Facebook, Nick Clegg, riferì al suo team che l’allora senior advisor di Biden per il contrasto al Covid, Andy Slavitt, si era «indignato» perché la piattaforma non aveva rimosso un meme sul vaccino. Jordan quindi pubblicò un messaggio, in cui Clegg raccontava il suo scambio di battute con Slavitt. «Ho ribattuto che rimuovere contenuti come quello avrebbe rappresentato una significativa intromissione nei tradizionali paletti della libertà d’espressione negli Usa». Eppure, secondo Jordan, «Slavitt aveva ignorato l’avvertimento e il Primo emendamento».

Sempre documenti alla mano, il deputato repubblicano affermò che, a seguito dell’irritazione di Slavitt, «Facebook andò nel panico» e che i suoi dirigenti «volevano ricucire il rapporto con la Casa Bianca per evitare azioni avverse». Ma non era ancora finita. Secondo i documenti, la Casa Bianca chiese alla piattaforma social per quale ragione non avesse censurato un video del giornalista Tucker Carlson. Nella risposta preparata dalla società di Zuckerberg per l’amministrazione Biden, il colosso di Menlo Park riferì di aver ridotto del 50% la diffusione del video in questione, pur ammettendo che quel contenuto «non violava» le politiche della piattaforma sui vaccini.

Jordan riferì inoltre che, durante l’estate del 2021, Facebook decise di mutare le proprie politiche in materia pandemica in conseguenza di ulteriori pressioni alcune provenienti dal Surgeon general (il responsabile della sanità pubblica negli Usa, che - ricordiamolo - era stato nominato da Biden); altre provenienti dallo stesso Biden che, in luglio, aveva esplicitamente accusato la piattaforma di «uccidere persone», veicolando «disinformazione». In un documento interno di agosto 2021 relativo alle pressioni del Surgeon general, si poteva leggere: «Durante la discussione, abbiamo concordato di esplorare ulteriormente quattro opzioni discrete di policy per ridurre la diffusione della disinformazione sul Covid-19 sulle nostre piattaforme».

Le pressioni di Biden si concentrarono anche contro la teoria, secondo cui il Covid poteva essere fuoriuscito da un laboratorio. I documenti rivelavano che i dirigenti di Facebook decisero di censurare tale teoria «perché eravamo sotto pressione da parte dell’amministrazione». In un altro file, pubblicato da Jordan, un dipendente scriveva che «il Surgeon general vuole che rimuoviamo informazioni vere sugli effetti collaterali, se l’utente non fornisce informazioni complete sul fatto che l’effetto collaterale sia raro e curabile».

Tali interferenze stupirono fino a un certo punto, visti gli stretti legami tra Facebook e l’attuale Casa Bianca. A novembre 2020, Politico riferì che Biden aveva assunto nel team di transizione presidenziale vari ex dirigenti della società. L’allora direttrice operativa, Sheryl Sandberg, intratteneva inoltre storici legami con Kamala Harris, a cui aveva in passato garantito endorsement e finanziamenti elettorali. Inoltre, secondo il sito Open Secrets, nel 2020 la quasi totalità delle donazioni elettorali del colosso di Menlo Park era andata al Partito democratico.

Sarà un caso, eppure Facebook limitò la diffusione dell’ormai famoso scoop del New York Post che, a pochi giorni dalle ultime presidenziali, rischiava di mettere seriamente in imbarazzo Biden e suo figlio Hunter in riferimento allo spinoso «caso Burisma»: lo stesso Zuckerberg rivelò l’anno prima che quella misura di censura fu adottata a seguito di alcuni avvertimenti arrivati dall’Fbi. Quello stesso Fbi che, come dimostrato da documenti interni resi pubblici da Elon Musk, effettuò pressioni anche su Twitter, per censurare utenti conservatori e scienziati non allineati all’amministrazione Biden in materia pandemica (come il professore di Stanford Jay Bhattacharya).

Poteva considerarsi normale tutto questo? Secondo i documenti che Jordan ottenne e rivelò, la Casa Bianca spinse Facebook a censurare non solo teorie magari bislacche sui vaccini, ma anche meme scherzosi e, addirittura, informazioni vere sui loro effetti collaterali. Senza ovviamente trascurare l’aver messo nel mirino l’ipotesi della fuoriuscita dal laboratorio, che all'epoca non solo era considerata concreta ma che, secondo un report investigativo pubblicato ad aprile dai senatori repubblicani, risultava addirittura altamente probabile.

A dimostrazione della problematicità di quanto accadde c'erano d’altronde le stesse preoccupazioni di Clegg sulla salvaguardia della libertà di espressione: un principio con cui l’attuale Casa Bianca a guida dem sembrava evidentemente avere qualche problema. Forse i repubblicani non avevano proprio tutti i torti a condurre delle inchieste parlamentari sulle attività di censura dei big del Web e sulla politicizzazione delle agenzie governative.

 

articolo di Stefano Graziosi, "La Verità".

 

27 agosto a.D. 2024. Pressioni da parte della Casa Bianca su Meta per limitare e censurare diversi contenuti riguardanti la pandemia, che comprendevano persino l’umorismo e la satira, decine di milioni di post rimossi a causa delle “regole di moderazione dei contenuti” e persino una fantomatica operazione di «disinformazione russa» sulla famiglia Biden, che è costata la censura al New York Post e che si è poi rivelata tutt’altro che infondata: si può riassumere così quanto emerge dalla lettera scritta dall’amministratore delegato di Meta, Mark Zuckerberg, alla commissione giudiziaria della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti. Il proprietario dei social network Facebook e Instagram si è detto «dispiaciuto» e «rammaricato» per quanto accaduto e, sempre all’interno della lettera, si concede anche un passaggio sulla campagna elettorale per le presidenziali USA 2024, assicurando che l’obiettivo è quello di «essere neutrale e di non giocare un ruolo in un senso o nell’altro».

All’interno della lettera, pubblicata in versione integrale dalla Commissione giudiziaria della Camera su X, si legge: «Nel 2021, alti funzionari dell’amministrazione Biden, inclusa la Casa Bianca, hanno ripetutamente esercitato pressioni sui nostri team per mesi affinché censurassero determinati contenuti relativi al COVID-19, inclusi umorismo e satira, e hanno espresso molta frustrazione nei confronti dei nostri team quando non eravamo d’accordo. In definitiva, è stata una nostra decisione se rimuovere o meno i contenuti e siamo responsabili delle nostre decisioni, comprese le modifiche relative al COVID-19 che abbiamo apportato alla nostra applicazione in seguito a questa pressione». Un documento che certamente assomiglia a una lettera – almeno indiretta – di scuse, visto che Zuckerberg prosegue scrivendo: «Credo che la pressione del governo sia stata sbagliata e mi rammarico di non essere stati più espliciti al riguardo. Penso anche che abbiamo fatto alcune scelte che, con il senno di poi e con nuove informazioni, non faremmo oggi. Come ho detto ai nostri team in quel momento, sono fermamente convinto che non dovremmo compromettere i nostri standard di contenuto a causa delle pressioni di qualsiasi amministrazione in entrambe le direzioni, e siamo pronti a respingere se qualcosa del genere dovesse accadere di nuovo».

L’amministratore delegato di Meta prosegue citando un esempio concreto: in vista delle elezioni presidenziali del 2020, l’FBI avrebbe avvertito la piattaforma di una eventuale «potenziale operazione di disinformazione russa» riguardante la famiglia Biden e Burisma, azienda con cui faceva affari il figlio Hunter. Ciò ha causato la censura ad un articolo del New York Post che riportava accuse di corruzione riguardanti l’allora candidato democratico alle presidenziali. «Abbiamo inviato quell’articolo ai verificatori dei fatti per la revisione e l’abbiamo temporaneamente retrocesso in attesa di una risposta. Da allora è stato chiarito che la notizia non era disinformazione russa e, in retrospettiva, non avremmo dovuto declassare la storia. Abbiamo modificato le nostre politiche e i nostri processi per assicurarci che ciò non accada di nuovo: ad esempio, non declassiamo più temporaneamente le cose negli Stati Uniti in attesa dei verificatori dei fatti», ha aggiunto. Infine, Zuckerberg ha promesso il suo impegno a rimanere neutrale durante la campagna in corso per le prossime presidenziali e ciò, alla luce delle numerose accuse riguardanti spese da milioni di dollari che avrebbero portato ulteriori elettori a Biden, sembrerebbe quindi una rassicurazione tutt’altro che indifferente per i repubblicani. «Il mio obiettivo è essere neutrale e non interpretare un ruolo in un modo o nell’altro, o addirittura dare l’impressione di recitare un ruolo. Quindi non ho intenzione di dare un contributo simile in questo ciclo», ha poi aggiunto.

In conclusione, la lettera conferma ciò di cui avevamo scritto in molteplici occasioni, ovvero che durante la pandemia di Covid-19 numerosi contenuti, post satirici o riguardanti informazioni non allineate alla comunicazione governativa, sono stati rimossi con lo spauracchio del “pericolo di disinformazione” mentre in realtà vi era l’influenza della politica e di agenzie governative come l’FBI.

di Roberto Demaio - L'Indipendente.

FONTE:

https://www.lindipendente.online/2024/08/28/zuckerberg-ha-confessato-le-pressioni-della-casa-bianca-per-censurare-i-contenuti-sul-covid/

 
 
 

DISASTRO BAYESIAN, COSA SAPOIAMO.

Post n°1912 pubblicato il 25 Agosto 2024 da scricciolo68lbr

Quello strano naufragio della Bayesian a Palermo: la fotocopia del vertice di spie sul lago Maggiore? 
FONTE:

di Cesare Sacchetti.

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Ancora una volta ci pare di rivivere storie e copioni già scritti e letti qualche tempo fa.

Ieri mattina ci svegliamo e apprendiamo che nella notte ci sarebbe stata una presunta tromba d’aria nei pressi di Porticello, nel Palermitano, che avrebbe causato l’affondamento di una barca a vela di ben 56 metri, il Bayesian.

Non appena abbiamo letto “tromba d’aria” ci è sembrato di rivivere il deja vu del lago Maggiore, quando nell’aprile del 2023 una congrega di agenti dell’AISE assieme a uomini del Mossad quali Erez Shimoni, già impegnato in diverse delicate missioni per conto dello stato ebraico, si riunivano su una barca a vela nei pressi della ridente località lombarda a non molta distanza dal confine svizzero prima che il natante affondasse anche lì per una fantomatica “tromba d’aria”.

Non è proprio una zona qualunque quella del lago Maggiore. Alcuni operatori del settore immobiliare ci avevano già scritto per farci sapere che lì da un po’ di tempo a questa parte si stavano affollando una serie di personaggi che non si erano mai visti da quelle parti, quali agenti dei citati servizi segreti israeliani, oltre a militari della NATO.

Il lago Maggiore che un tempo era una località nota per gite ed escursioni domenicali si è trasformato improvvisamente in una zona affollata da agenti dei servizi Occidentali e uomini del patto atlantico, tanto che questo lago oggi potrebbe essere ribattezzato ormai come il lago delle spie.

A qualcuno potrebbe giustamente sorgere il dubbio su come mai l’Italia sia così interessata suo malgrado da queste trame clandestine del mondo dell’intelligence, e la risposta a questa domanda sta tutta nella ormai sempre più precaria posizione dell’establishment politico italiano che mette tutto quello che ha a disposizione, poco per fortuna, per provare a salvare la baracca dell’anglosfera.

Siamo infatti in un momento storico delicato e senza precedenti, poiché gli equilibri del passato che hanno governato questo Paese sin dall’infamia di Cassibile vengono oggi tutti rimessi in discussione dalla dissoluzione dell’impero americano che è stato il vero arbitro della politica italiana dal dopoguerra in poi, e dalla contemporanea avanzata del mondo multipolare che si sta espandendo in tutto il mondo.

Il vertice di spie del lago Maggiore aveva una ratio ben precisa.

Serviva a pianificare una qualche provocazione in Kosovo ai danni della Serbia in modo da poter innescare un possibile conflitto tra Belgrado e lo stato fantoccio creato dalla NATO nel 2008 per indebolire l’odiata Serbia e impossessarsi dei suoi vasti giacimenti sotterranei di oro, zinco, argento e petrolio che ci sono nel sottosuolo kosovaro.

A distanza di 16 anni, vediamo i “frutti” che ha prodotto l’instaurazione della repubblica fantoccio del Kosovo, che oggi si è conquistata il “primato” di Paese più corrotto d’Europa e regno dei più sporchi traffici criminali, quali quello di droga e di esseri umani.

L’AISE assieme al Mossad avevano allo studio in quell’occasione una operazione per distrarre la Russia dal fronte ucraino e dall’avanzata inesorabile delle forze armate russe, anche se a leggere i giornali si entra praticamente in un’altra dimensione e sembra quasi che gli ultimi rimasugli delle forze armate ucraine, spazzate via in larghissima parte da due anni di guerra, siano ad un passo dal marciare su Mosca e spodestare Vladimir Putin dal Cremlino.

Siamo più o meno sulla stessa lunghezza d’onda della propaganda nazista che nel 1945 affermava che le forze armate tedesche stavano avendo la meglio sugli alleati con le loro forze soverchianti prima poi che i sovietici giunsero a Berlino e sconfissero definitivamente la Germania nazista, mentre il Fuhrer, secondo i documenti declassificati dell’FBI, se l’era intanto svignata in America Latina con la benedizione di Washington.

Ora ci troviamo di fronte ad un altro bunker che è quello dell’anglosfera e dello stato profondo italiano nel quale sono asserragliati i vari personaggi di questa decadente umanità politica quali Mattarella, Meloni, Crosetto, Schlein, Conte e Matteo Renzi.

Lo yacht Bayesian di Porticello: replica del lago Maggiore?

Ecco che arriviamo al citato episodio di Porticello che sembra essere il diretto figlio di quello del lago Maggiore del 2023.

Intanto la prima cosa da fare è passare in rassegna la ricostruzione che ci hanno offerto i media che appare molto lontana dall’essere credibile.

I media italiani a distanza di poche ore dai fatti sembravano aver già ricevuto la velina da scrivere sulle pagine della carta stampata, nonostante questa ormai non se la legga, comprensibilmente, più nessuno.

Ci viene detto che questa barca a vela lunga, il Bayesian, sarebbe affondato in seguito ad una improvvisa “tromba d’aria”.

L’Ansa nel suo articolo ricostruisce così l’accaduto che avrebbe provocato il disastro.

“Secondo alcuni testimoni l’imbarcazione quando si è scatenato il tornado era ancora in rada davanti al porto di Porticello. L’ancora era abbassata. Il nubifragio che si è abbattuto avrebbe spezzato l’imponente albero a vela. Questo avrebbe provocato uno sbilanciamento dell’imbarcazione che ha provocato il naufragio. I velieri in rada erano due. E’ stata propria l’altra imbarcazione a soccorrere la Bayesian.”

Non abbiamo quindi un resoconto diretto dei giornalisti, ma quello di alcuni presunti testimoni che riferiscono che la barca era in rada, quindi ancora vicina al porto, e che questo “nubifragio” sarebbe stato così imponente e violento da spezzare addirittura l’albero della barca nel giro di pochi minuti.

Ora, in tutta onestà, non risulta che la notte del 19 agosto a Porticello si sia abbattuta sulla località siciliana una sorta di potentissima e violentissima “tempesta perfetta” tale da spezzare l’enorme albero di una barca in pochi minuti.

Chi ha qualche conoscenza di barche, sa perfettamente che per buttare giù un natante simile ci vuole ben altro. Se leggiamo poi le caratteristiche del Bayesian, sempre in un articolo dell’Ansa, comprendiamo meglio il perché.

“Alimentato da due motori diesel Mtu a 8 cilindri da 965 CV naviga a 12 nodi e raggiunge una velocità massima di 15 nodi. La barca ha il secondo albero più alto al mondo e il più grande albero in alluminio di 75 metri.”

Non parliamo, come si può vedere, di una barchetta qualunque, ma di uno yacht a vela che ha uno degli alberi più alti al mondo che non si spezza subito in seguito al maltempo, altrimenti ogni qual volta si prende il mare e ci sono tempeste e maltempi ben più violenti, questo tipo di barche dovrebbero subito affondare, e ciò non accade al largo in condizioni molto peggiori, figuriamoci se qualcosa del genere può verificarsi nella rada di un porto.

Il Bayesian era una delle eccellenze di cantieristica navale prodotte dal gruppo Perini Navi, il cui sito da ieri risulta stranamente irraggiungibile.

Le immagini poi che ci sono state mostrate dai media non fanno pensare francamente a nessun “tornado” ma certamente a delle forti e intense folate di vento, che da sole non sono certo in grado di spezzare un albero di 75 metri in alluminio e di provocare poi il rapido affondamento della barca.

Appare strano poi che questo “violento nubifragio” sia stato in grado di affondare il Bayesian mentre l’altra barca che era in rada, più piccola dello yacht a vela, non ha avuto nessuna difficoltà con questo presunto “tornado”, tanto che questa seconda imbarcazione è stata persino in grado di dare assistenza alla prima.

Leggiamo poi un’altra testimonianza riportata sempre dall’Ansa di un uomo che avrebbe presumibilmente assistito alla scena, ma del quale non si fa il nome.

“Quell’imbarcazione era tutta illuminata. Verso le 4.30 di mattina non c’era più. Una bella imbarcazione dove c’era stata una festa. Una normale giornata di vacanza trascorsa in allegria in mare si è trasformata in tragedia. L’imbarcazione non era distante dal porto. Bastava poco per alzare l’ancora e dirigersi in porto. Evidentemente sono stati sorpresi dalla burrasca che si è abbattuta improvvisamente e non sono riusciti ad evitare l’affondamento”.

Sarebbe interessante sapere come fa questo anonimo testimone a sapere che a bordo ci sarebbe stata una “festa”, se lui non era appunto a bordo e non conosceva nemmeno apparentemente nessuno che era salito sulla barca, a meno che non si tratti dello stesso tipo di “festa” che i media hanno provato a far credere che si stesse svolgendo sulla barca affondata sul lago Maggiore.

Sullo Bayesian c’erano diverse persone di diverse nazionalità quali inglesi, canadesi, statunitensi, neozelandesi, con doppio passaporto francese ed inglese, e un irlandese e questa varietà di Paesi non fa pensare ad una comitiva di turisti dello stesso Paese che fa una gita in barca, ma a diverse persone che si erano date appuntamento sullo Bayesian non per sorseggiare un bicchiere di vino in una calda domenica d’agosto, ma per qualche altro tipo di attività “professionale”.

Mike Lynch, Darktrace e i servizi inglesi

Sulla barca c’era anche un personaggio come Mike Lynch, attualmente ancora scomparso, che nel Regno Unito era noto per essere una sorta di Bill Gates inglese, dato il suo ruolo nella informatica inglese, ramo nel quale avevano avuto anche delle grane per un processo a suo carico per frode dal quale era uscito indenne soltanto pochi mesi fa.

Lynch era comunque certamente vicino agli ambienti del mondialismo che contano, in quanto era stato premiato dal forum di Davos nel 2015 per le innovazioni portate dalla sua società, Darktrace, attiva nel settore della sicurezza informatica e covo di agenti dei servizi segreti britannici quali l’ex direttore dell’ MI5 il generale Lord Evans of Weardale e l’agente della CIA Alan Wade.

Darktrace ha anche ricevuto l’appalto dal governo inglese per occuparsi della sicurezza informatica del servizio sanitario inglese, il National Health Service, il quale si serve di una società israeliana, la Carbyne911, per gestire la mole dei dati dei pazienti inglesi.

La Carbyne911 però non è una società qualunque. Nel suo consiglio di amministrazione ci sono uomini quali Ehud Barak, già primo ministro israeliano e molto vicino a Netanyahu, e Nicole Junkermann, ex membro delle forze armate israeliane, amica del pedofilo e agente del Mossad, Jeffrey Epstein.

Gli ambienti nei quali era, o è, qualora dovesse essere ritrovato vivo, integrato Lynch sono quelli dei servizi segreti britannici ed israeliani.

C’è poi un altro elemento molto interessante da prendere in considerazione. Lo scorso 23 luglio, nell’azionariato di Darktrace, era entrato il noto, o famigerato, fondo di investimenti BlackRock, che assieme a Vanguard, come abbiamo visto in molteplici occasioni, controlla le più grosse corporation del mondo.

BlackRock è un enorme deposito di scatole cinesi che serve a mascherare le partecipazioni dei Rothschild, i quali da più di due secoli si servono di tutta una rete di prestanome e agenti per non figurare direttamente tra i proprietari delle loro società.

Non era solo Lynch, tra l’altro, l’unico pezzo da novanta del mondo finanziario e tecnologico presente su quella barca.

Assieme a lui c’era un personaggio di alto profilo della finanza di Wall Street, quale Jonathan Bloomer, presidente di Morgan Stanley, altra banca partecipata dalla solita accoppiata BlackRock-Vanguard, che risulta anche lui disperso nei fondali di Porticello.

Questi, come si vede, non sono i profili di un gruppo di allegri turisti della domenica ma sono i nomi che contano della finanza internazionale e del settore della cyber sicurezza strettamente legato al mondo dell’intelligence.

Dopo aver fatto le nostre verifiche, siamo in grado di confermare che anche in questa occasione sullo Bayesian non c’era affatto una innocente festicciola agostana, ma un incontro di alto livello tra membri della finanza e di diverse agenzie di intelligence Occidentali, in particolare quelle del gruppo Five Eyes, del quale fanno parte i 5 Paesi che costituiscono la cosiddetta anglosfera quali Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda.

Stavolta, secondo quanto riferiscono fonti di intelligence dei Paesi dell’Europa Orientale, gli uomini di questi servizi stavano studiando una qualche operazione di destabilizzazione della Turchia di Erdogan, finita sulla lista nera dell’anglosfera dopo il suo avvicinamento con la Russia e la sua recente richiesta di entrare a far parte dei BRICS.

Uno scenario non affatto dissimile dal precedente del lago Maggiore, dove invece i servizi italiani, anglosassoni ed israeliani stavano preparando una provocazione in Kosovo, come detto in precedenza.

Il governo Meloni, ancora una volta, si sarebbe prestato a mettere a disposizione delle varie spie il territorio italiano che sotto questa disgraziata e corrotta classe politica ormai è diventato una zona franca per consentire all’anglosfera e ad Israele di mettere in atto le sue provocazioni contro la Russia.

A guastare la “festa” ci risulta che sia stato ancora una volta un intervento esterno, e non certo una “tromba d’aria”, in maniera non molto dissimile da quanto si era già visto sul lago Maggiore, quando i russi intervennero per sabotare l’incontro e mandare un segnale molto chiaro ai provocatori atlantici.

Il sito Uncensored Foreign Policy ha scritto che ad affondare la barca potrebbe essere stata un’arma ad energia diretta. A noi è stata fornita una versione alquanto simile a questa.

Quella che abbiamo letto sui quotidiani in questi giorni evidentemente è la solita storia di copertura dei media, che non è altro che una velina già scritta dai servizi Occidentali e che i quotidiani si limitano a trascrivere fedelmente come gli è stato ordinato.

La lezione che ha lasciato il compianto Udo Ulfkotte, giornalista tedesco morto in circostanze ancora oggi non chiarite, resta più attuale che mai.

La stampa nel mondo Occidentale non è altro che una emanazione dei servizi israeliani e angloamericani e ciò non avviene al di fuori delle democrazie liberali, ma all’interno di esse.

Lasciamo i lettori con questa ultima considerazione per dare loro uno spunto di riflessione sulla vera natura delle liberal-democrazie concepite dagli illuministi massoni ai tempi del secolo dei Lumi.

La fitta tela di menzogne di questo sistema non viene dal tanto vituperato “fascismo”.

Viene dal tanto osannato liberalismo.

 
 
 

GIORNALISTI RAI SCORRETTI: AVRANNO DIMENTICATO L’ETICA PROFESSIONALE A CASA?

Post n°1911 pubblicato il 25 Agosto 2024 da scricciolo68lbr
 

Dopo il caso dei giornalisti del Tg1 Battistini e Traini, denunciati per aver violato il diritto internazionale, avendo attraversato illegalmente il confine russo per le riprese video a Sudzha, nella regione di Kursk, un altro giornalista della RAI finisce nella bufera. Questa volta, a scatenare le ire di Maria Zakharova, portavoce del ministro degli Esteri russo Lavrov, e a innescare la polemica, è un reportage di Ilario Piagnerelli, inviato di RaiNews24 in Ucraina, che ha intervistato un soldato con un simbolo nazista sul cappello. Lo stesso Piagnerelli in un post su X, ha spiegato di non aver notato se non dopo la messa in onda, la presenza del simbolo: «Mi rammarico profondamente di aver dato voce, anche se per pochi secondi, a un soldato ucraino che solo dopo la messa in onda del reportage ho notato indossare una patch con un simbolo nazista». Peccato che i più non si siano accorti che i soldati con i simboli nazisti in bella mostra fossero, in realtà, due: il primo, in mimetica, reca uno Schwarze Sonne (“Sole Nero”), cucito sulla divisa. Si tratta di un antico simbolo della runologia esoterica che rappresentava la ruota solare, di cui si appropriò il misticismo nazista e che venne poi ripreso a partire dagli anni Novanta da diversi movimenti legati al neonazismo.

Il secondo militare intervistato nel servizio RAI reca sul berretto un altro simboloche fa riferimento alla 1. SS-Panzer-Division “Leibstandarte SS Adolf Hitler”, la più importante divisione delle Waffen-SS impegnata fin dal 1939 in tutti i fronti nei quali fu dispiegata nel corso della Seconda guerra mondiale. Già trovare un tale concentrato di simboli nazisti in un unico breve reportage della RAI è preoccupante. A giudicare dal montaggio del video, sembrerebbe che il tecnico abbia provato, con scarso successo, a nascondere i due simboli, che però non sono sfuggiti a un occhio attento. È quantomeno incomprensibile che chi lavora come inviato di guerra per il servizio pubblico non sappia riconoscere i simboli nazisti o, volutamente, li ignori, mandando in onda interviste a esponenti di milizie neonaziste. 

Per carità, nulla di nuovo e nulla di cui stupirsi. Abbiamo già analizzato in passato le acrobazie lessicali e il processo di mistificazione adottato da numerosi giornalisti per edulcorare la narrazione riguardante i neonazisti del Battaglione Azov o diPravyj Sektor. Sebbene la presenza di potenti gruppi neonazisti armati in Ucraina sia nota almeno dal 2014 e documentata oltre ogni ragionevole dubbio, dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina la narrazione mainstream, pur di glorificare la resistenza di Kiev, ha falsificato la storia, dipingendo i battaglioni nazisti semplicemente come romantici “nazionalisti”, “patriottici” che leggono Kant o“partigiani anti-Putin”, come ha fatto lo stesso Piagnerelli in un altro servizio per Rainews relativamente alla Legione Libertà della Russia (un’unità militare creata dal Ministero della difesa ucraino, formata da oppositori politici, ex prigionieri di guerra e disertori russi) e il Corpo Volontario Russo (un’unità militare dell’Ucraina, formata da oppositori politici russi, indicati come in gran parte appartenenti all’estrema destra neonazista). 

Il fondatore del Corpo Volontario Russo è il neonazista russo Denis “Nikitin” Kapustin, uno dei più famosi estremisti di destra del continente europeo, cresciuto in Germania, dove il ministero degli Interni tedesco Herbert Reul lo ha definito«uno dei più influenti attivisti neonazisti» del Paese. È anche un imprenditorelegato a una ditta svizzera, Fighttex, gestita da Florian Gerber, un estremista di destra. Soprannominato il “re bianco”, è il fondatore di un marchio di abbigliamento diventato un punto di riferimento della galassia nera eversiva: si tratta di White Rex, un brand nato nel 2008, attraverso il quale ha prodotto magliette con immagini di svastiche, dell’onnipresente Sole nero, croci celtiche e testi violenti di stampo suprematista e xenofobo.

Per ribattere alle polemiche di questi giorni, Piagnarelli, nomen omen, si è lamentato ancora su X dell’esistenza di una «una rete di profili pro-invasione legati a Mosca, che dedica le sue risorse a screditare il lavoro mio e degli altri inviati. Fingono sconcerto, ma hanno trovato in quell’immagine un formidabile argomento di propaganda anti-ucraina». Proprio questa “rete di profili” su Telegram ha raggruppato alcune delle numerose “anomalie” dal punto di vista deontologico, che mostrano l’esuberanza del giornalista nell’avallare o giustificare con compiacenza posizioni di estrema destra, come quando su X ha difeso le motivazioni dei neonazisti del Corpo Volontari Russo, perché, a suo dire, «l’ideologia è una cosa loro personale». Curioso osservare la corrente alternata per cui il neonazismo diventa accettabile se chi lo abbraccia porta avanti battaglie “liberali” che piacciono all’Occidente collettivo

La simpatia per i “partigiani” neonazisti non si ferma qui: in un servizio Piagnerelli ha definito Dmytro Kotsiubailo come un “giovane combattente”, dimenticandosi di precisare che Kotsiubailo era il leader del gruppo neonazista Pravyj Sektor, che nel gennaio 2014 è stato uno degli attori più importanti negli scontri in Via Hruševs’k, come parte della protesta Euromaidan. Pravyj Sektor fu coinvolto anche negli scontri che portarono all’incendio della casa dei sindacati di Odessa, avvenuto il 2 maggio 2014, in cui trovarono la morte 48 persone fra attivisti e personale del sindacato.  È stata poi la volta di un reportage in cui il nostro ha curato un appassionato ritratto del defunto Maksim Kryvtsov, il “soldato poeta”, omettendo anche in questo caso di ricordare che anche Kryvtsov era un combattente di Pravyj Sektor (come si evince peraltro bene dai simboli che campeggiano sulle bandiere al suo funerale).

L’inviato RAI tradisce, peraltro, la sua simpatia per la propaganda ucraina e anti-russa anche in altre occasioni, come quando ha condiviso il video del canale neonazista Radicalnya di Oleg Rachko (il cui logo è ancora una volta il Sole nero nazista), dove urinano sulla tomba dei genitori di Putin. Al di là del cattivo gusto, un calo di diottrie deve aver appannato la vista a Piagnarelli che nuovamente non ha riconosciuto il simbolo nazista del Sole nero nel logo del canale. Evidentemente, tutto fa brodo pur di demonizzare il nemico russo.

[di Enrica Perucchietti]

FONTE:

https://www.lindipendente.online/2024/08/21/la-preoccupante-attrazione-dei-giornalisti-rai-per-lideologia-e-i-simboli-neonazisti/

 
 
 

QUANDO VERRÀ ARRESTATO ZUCKERBERG?

Post n°1910 pubblicato il 25 Agosto 2024 da scricciolo68lbr
 

Zuckerberg deve avere qualche santo in paradiso. Instagram, social appartenente alla galassia Meta, proprietà del tycoon americano, è una piattaforma privilegiata dai pedofili di tutto il mondo. Anche andare sul dark web non serve. Eppure Zuckerberg non viene, a differenza divDuriv, arrestato dalle autorità europe, ci si chiede come mai.

Per la corrotta istituziond Europea, il problema non è rappresentato dalla presenza della pedofilia sui social di Zuckerberg. Il problema per l'UE sono le verità sgradite a Bruxels, differenti e divergenti dalla narrativa europea a cui tutti devono adeguarsi; mentre le verità che circolano su Telegram e su X vanno censurate.

Perchè mi domando il perchè Zuckerberg non viene arrestato? Ricordate tutti cosa accadeva a gennaio scorso? Mark Zuckerberg, fondatore di Meta, sedeva al centro della sala del Senato americano per l’audizione sulla sicurezza dei minori sui social media. Dietro di lui, le famiglie di bambini che per una “challenge” su Facebook o Instagram si sono tolti la vita o sono rimasti gravemente feriti. Incalzato dalle domande del senatore repubblicano Josh Hawley (“Chi hai licenziato per queste violenze? Hai mai compensato qualcuna delle vittime? Perché no?”) ha infine ceduto: si è alzato, si è girato verso il pubblico e ha detto: “Mi dispiace”. 

Alle pubbliche scuse, “nessuno dovrebbe vivere il dolore che avete attraversato”, è seguito un breve inciso a sottolineare “gli investimenti” che la sua azienda ha fatto per prevenire questi incidenti e l’impegno a fare altri “sforzi” per evitare che si ripetano.L’applauso appena accennato del pubblico è stato stroncato dalla muta levata dei cartelli con le foto dei bambini morti in rete. All’audizione erano presenti anche i rappresentanti di altre piattaforme social come X (ex Twitter), Snap, TikTok e Discord.

“Avete sangue sulle vostre mani”, ha tuonato il senatore della South Carolina, Lindsey Graham. Parole che hanno amplificato l’urgenza di una stretta sull’uso improprio dei social media. La discussione è arrivata all’indomani di un altro video choc. Justin Mohn, 32 anni, della Pennsylvania, è apparso su YouTube con la testa del padre in mano raccontando di averlo decapitato. Il video è stato bloccato dopo aver raccolto cinquemila visualizzazioni. (*)

(*) FONTE:

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/zuckerberg-chiede-scusa

 
 
 

QUANDO GLI ANGLO AMERICANI SOFFIANO SUL FUOCO, ANZICHÉ SPEGNERLO…

Post n°1909 pubblicato il 23 Agosto 2024 da scricciolo68lbr
 

Penso che gli inglesi e gli americani non abbiano nessun interesse affinchè il conflitto russo-ucraino possa giungere al termine. Il teatro di guerra russo-ucraino è geograficamente così lontano dagli Stati Uniti, eppure gli "interessi" di coloro che dal conflitto in corso traggono enormi profitti, vedi in testa alla lista le aziende americane, inglesi ed anche quelle europee che producono e vendono armi, sono così "attenti" a che il conflitto si mantenga acceso. Si tratta di quei gruppi economici di potere sionista-askenazita-khazaro che controllano le scelte politiche statunitensi, grandi gruppi di potere che ottengono vantaggi ai danni dell’umanità intera. 

Vista dagli Stati Uniti, come ho già detto, la guerra è lontana. Le sue polveri non soffiano sui volti delle persone, come invece accade in Europa e, per quanto le bandiere ucraine sventolino dalle abitazioni californiane di Berkeley, la stragrande maggioranza degli americani non sa neppure dove l’Ucraina si trovi, così come a stento – e solo dopo molti anni di conflitto – era accaduto nel recente passato, quando il popolo americano aveva imparato a collocare l’Afghanistan sulla cartina geografica.

Tuttavia anche la popolazione statunitense come quella europea, sta già fin d’ora scontando alcuni effetti collaterali della guerra:il prezzo della benzina per esempio, che ha ultimamente subito aumenti senza precedenti, con quel che ne segue in termini di inflazione. La guerra, però, che sia condotta in prima persona o sia partecipata attraverso il sostegno a una delle parti in conflitto, è raramente il frutto di scelte democratiche, anche nel paese dipinto come gli “States”, sempre dipinto come la culla e la patria della democrazia.

Quel che importa veramente secondo me, non è il sentimento collettivo o l’opinione pubblica degli americani, pur mediaticamente spronata, da una parte politica a parteciparvi anche se per ora in via indiretta, ma ciò che conta veramente sono gli interessi di coloro che credono di contare davvero nella società statunitense, che vi stanno dietro. Negli Stati Uniti, tanto il Presidente quanto il Parlamento sono solo apparentemente l’espressione di coloro che li hanno votati: senza il fondamentale aiuto di grandi gruppi economico-finanziari che sostengono economicamente le sempre più dispendiose d costose campagne elettorali, difficilmente infatti avrebbero potuto essere eletti. Ciò significa che, per assicurarsi la rielezione, la stragrande maggioranza dei politici americani, deve costantemente rispondere non ai reali bisogni di coloro che li hanno votati, quanto agli interessi di chi li ha "finanziati".

Siccome, poi, le scadenze elettorali sono ravvicinate – soprattutto per la House of Representatives, che viene rinnovata tutta ogni due anni –, occorre assolutamente evitare di voltare le spalle anche una sola volta, ai gruppi di potere economico da cui si è stati appoggiati, che se traditi, non assicureranno più il loro sostegno economico al turno successivo. Si tratta di un sistema noto, già in vigore prima del 2008, ma che a livello di elezione presidenziale diventa irreversibilmente pervasivo da quando Barack Obama pur di sfondare con soldi privati il tetto altrimenti previsto per il finanziamento pubblico, decide per la rinuncia ai fondi federali per la sua campagna elettorale. Una mossa che gli consente di raccogliere l’astronomica somma di 745 milioni, contro gli 84 che altrimenti avrebbe ottenuto come finanziamento pubblico, ricevuti invece dal suo avversario, John Mc Cain.

Dopo il 2008 nessun candidato presidenziale accetterà più il finanziamento pubblico per campagne dai costi ormai elevatissimi, e la cifra record ottenuta da Joe Biden nel 2020, che ha oltrepassato il miliardo divdollari, ben esprime l’inevitabile commistione fra interessi privati e politica negli States.

Due anni dopo, la dipendenza delle elezioni dal danaro privato diviene definitivamente strutturale anche a livello di Congresso. Nel 2010, infatti, la Corte suprema degli Stati Uniti, nell’ormai famoso caso Citizen United, si pronuncia nel senso che occorre tutelare il diritto di parola delle corporation durante le campagne elettorali. Siccome le persone giuridiche parlano con i soldi, il risultato è che esse devono poter spendere al di là dei tetti massimi in precedenza previsti per le donazioni ai candidati politici, purché lo facciano attraverso comitati indipendenti (che indipendenti sono assai poco): gli ormai famosi “Super PACs”.

Ecco perché le "vere" domande da porsi, per "cercare" di comprendere le scelte strategiche degli Stati Uniti in relazione alla guerra in Ucraina, concernono "l’individuazione dei grandi gruppi economici" che dominano la politica statunitense e i loro interessi al riguardo. La risposta breve è che per i tre grandi gruppi di potere (strettamente intrecciati fra di loro) che controllano tramite il loro denaro le scelte politiche in Usa, ossia il complesso militare-industriale, quello energetico estrattivo e quello finanziario, la guerra che si sta svolgendo nel cuore dell’Europa è una grande opportunità di introiti. Proviamo a vedere più da vicino seppure per sommi capi, chi sono e in che modo guadagnano dalla guerra in corso i grandi gruppi di potere economico statunitensi. 

Il primo di essi è quel complesso militare-industriale della cui pericolosa crescente influenza politica già Dwight Eisenhower, alla fine del suo mandato, aveva esortato i cittadini americani a diffidare. «In the councils of government, we must guard against the acquisition of unwarranted influence, whether sought or unsought, by the military-industrial complex. The potential for the disastrous rise of misplaced power exists and will persist», aveva detto il Presidente repubblicano nel 1961. L’inquietante previsione si è certamente avverata: mai come oggi, infatti, i legami fra quel complesso e i rappresentanti politici all’interno del Congresso e dell’Esecutivo sono stati più forti. Non soltanto i grandi produttori di armi come Raytheon, Boeing, Lockheed-Martin, Northrop Grumman o General Dynamics,mle società, cioè, che monopolizzano il mercato delle armi e della tecnologia militare per la difesa, sono presenti con le loro fabbriche in quasi ogni Stato dell’Unione, soprattutto nei distretti elettorali in cui vengono eletti i presidenti dei cruciali comitati del Congresso che, debitamente finanziati, ne fanno in quella sede gli interessi. Addirittura il Dipartimento di Stato, quello della Difesa e la National Intelligence vedono alla loro testa uomini e donne i cui rapporti con l’industria bellica sono caratterizzati da un legame di porte girevoli. Si pensi a Tony Blinken, scelto da Biden come Segretario di Stato, noto per aver sempre abbracciato la linea interventista più dura possibile in materia di politica estera, dalle invasioni in Afghanistan e in Iraq all’operazione in Libia, fino alla richiesta di pesanti interventi militari contro la Siria. Uscito dall’amministrazione Obama, forte della sua esperienza governativa, nel 2018 aveva co-fondato una società di consulenza, la WestExec Advisors, che offre i propri servizi alle più importanti società di high tech, aerospaziali e in generale del settore militare privato, fra cui (secondo un’indagine di The American Prospect la Winward, società israeliana di elevata tecnologia di guerra. Dello staff della società di “informata” consulenza faceva parte anche Avril Haines, nominata da Biden a capo della National Intelligence (prima donna a ricoprire tale carica) e nota non solo per il suo ruolo nella strategia di guerra con i droni inaugurata da Obama, ma anche per aver coperto le torture dei prigionieri perpetrate durante la presidenza di George W. Bush Anche il primo afroamericano mai nominato a capo del Pentagono, l’ex-generale Lloyd Austin, oltre ad avere fortissimi legami col mondo militare da cui si era troppo recentemente congedato, ha ampiamente partecipato al sistema di revolving door fra pubblico e privato. È stato, infatti, nei consigli di amministrazione delle più disparate società, ma soprattutto in quello della Raytheon Technologies, leader nella costruzione di armamenti per il Pentagono stesso.

È questo il quadro all’interno del quale è possibile comprendere non solo la richiesta dell’amministrazione Biden, già nel dicembre 2021, ad avventura Afghanistana conclusa e con un personale bellico in Iraq ridotto rispetto all’anno prima, di aumentare il budget per la difesa, cui il Congresso aveva risposto entusiasticamente, incrementandola addirittura di ben 24 miliardi e approvando così, con maggioranze straordinariamente altissime, uno stanziamento militare senza precedenti.

È anche possibile dare un senso al recente nuovo aumento di quelle spese per l’anno fiscale in corso, che arrivano oggi all’astronomica cifra di 782 miliardi di dollari e, soprattutto, all’accordo peculiarmente bipartisan, in un contesto politico altrimenti estremamente polarizzato, con cui il 10 marzo di quest’anno il Congresso ha varato, insieme al primo, anche un pacchetto di aiuti all’Ucraina per ben 13,6 miliardi, di cui 3,65 per acquistare e spedire armi e altri 3 per supporto militare alle truppe americane in Europa. Pure in questo caso la richiesta di Biden era stata molto più bassa, addirittura della metà, ma un provvidenziale accordo fra il democratico Chuck Schumer e il repubblicano Mitch McConnell in Senato, ha fatto lievitare la spesa armata, votata a stragrande maggioranza anche dalla House of Representatives, addirittura 361 a 69,  che il Pentagono ha ovviamente ringraziato di cuore.

Gli interessi della potentissima industria bellica, che apparivano in crisi per lo svanire dei teatri di guerra più redditizi, paiono insomma chiamare a raccolta i loro debitori nel Governo e in Parlamento, diretti o indiretti, democratici o repubblicani che siano, ed essi rispondono tendenzialmente compatti, mossi non solo – pare lecito immaginare – da ragioni umanitarie e di solidarietà fra popoli. La guerra in Ucraina rappresenta una splendida opportunità di crescita per il military industrial complex e giustifica l’inversione di rotta di una politica volta a ridurne i proventi, che pur Biden aveva dichiarato di voler inaugurare al momento della rovinosa ritirata dall’Afghanistan, esprimendo l’intenzione di dedicare finalmente parte del danaro speso in quella guerra, 300 milioni al giorno per due decenni, al cd. “dividendo di pace”, ossia a spese sociali interne.

Anche il riarmo dell’Europa con Germania in testa, che l’invasione russa sta portando con sé, contribuisce ad aumentare i profitti dell’industria bellica statunitense. «Dallo scoppio del conflitto i titoli dei grandi gruppi della difesa hanno spiccato il volo: Northrop Grumman e Lockheed Martin hanno guadagnato oltre il 30% in meno di un mese. In deciso rialzo anche il terzo colosso della difesa Usa Raytheon Technologies. Sono le aziende che costruiscono, tra l’altro, i missili Stinger e Javelins di cui si sente molto parlare nello scenario ucraino, oltre ai jet F35 per cui stanno fioccando nuovi ordini», racconta, per esempio, Mauro Del Corno sul Fatto quotidiano del 26 marzo.

Strettamente collegati agli interessi dell’industria bellica sono gli affari della finanza, il più potente dei tre gruppi economici di influenza politica negli Stati Uniti. «Nell’industria delle armi si distingue in particolare la statunitense State Street Global Advisory, quarto gestore di patrimoni al mondo. Detiene una partecipazione del 14,5% in Lockheed Martin, del 9,2% in Raytheon Technologies e del 9,5% in Northrop Grumman. Altro grande socio dell’industria militare è Vanguard, società statunitense che gestisce asset per oltre 5mila miliardi di dollari. Possiede il 7,2% di Northrop Grumman, il 7,2% di Lockheed Martin, il 7,5% di Raytehon. Ha una quota del 2,8% nella tedesca Rheinmetall, l’1,3% della francese Thales, l’1,9% di Leonardo e lo 0,7% di Hensoldt. Tra i nomi più noti della finanza si segnalano l’onnipresente Blackrock che in portafoglio tiene il 4,1% di Northrop Grumman, il 4,8% di Lockheed Martin, il 4,7% di Raytheon, il 3% di Leonardo e lo 0,2% della britannica Bae Systems. C’è poi Jp Morgan, con quote in Northrop Grumman (2,9%) e Raytheon (1,5%). Soci di peso sono anche i gruppi di investimento Fidelity e Capital Research», continua Del Corno. E ancora: «In concreto cosa significa avere in portafoglio queste partecipazioni? Prendiamo ad esempio il caso di State Street, uno dei più rappresentativi. Le tre aziende di armi in cui è presente hanno registrato nelle ultime settimane un incremento della capitalizzazione complessivo di circa 35 miliardi di dollari. Significa che il valore delle sue partecipazioni è cresciuto di 3,7 miliardi in meno di un mese. C’è anche qualcuno che forse, nonostante tutto, stappa champagne».

Lo champagne lo stanno certamente stappando anche le corporation che estraggono energia dal suolo statunitense e che, accanto ai gruppi dell’industria bellica e della finanza, rappresentano l’altro grande complesso economico di influenza politica negli States. Così come i primi due, il secondo dei quali ha sempre sostenuto l’attuale Presidente Biden nelle sue avventure senatoriali ed è risultato uno dei maggiori finanziatori della sua ultima vittoriosa campagna presidenziale, anche il cd. “OGAM [oilgasminingcomplex” esprime in Congresso i suoi rappresentanti. «Se le attività petrolifere, gasiere o minerarie non sono situate in ogni collegio elettorale, i suoi investitori però lo sono», ci dice Michael Hudson, dando per implicita la conseguente capacità di pressione politica degli stessi. Nessuno meglio di Joe Manchin, senatore della West Virginia, chiarisce quel legame profondo, che ha finora impedito l’attuazione del Build Back Better Plan di Biden, soprattutto nel suo aspetto di incentivazione delle energie rinnovabili ai danni delle fossili. Sotto questo profilo, lo scoppio della guerra in Ucraina ha rappresentato la perfetta giustificazione per affossare definitivamente i buoni propositi di attenzione al clima, che pur Biden aveva espresso appena nominato Presidente, quando – con un executive order del 27 gennaio 2021 – aveva ordinato al Segretario degli interni di sospendere l’attivazione di nuove licenze estrattive di petrolio e gas e di rivedere quelle correnti, al fine di porre gli Stati Uniti sul cammino di un’economia libera dall’energia fossile e dai gas serra entro il 2050. Per quanto il complesso energetico estrattivo si fosse allarmato e avesse, quindi, attivato i suoi rappresentanti politici al Congresso affinché il progetto naufragasse, solo con l’aiuto di un’emergenza capace di catturare davvero la sensibilità collettiva, esso poteva sperare in un cambio di rotta che mettesse da parte le preoccupazioni climatiche ormai globalmente troppo fortemente condivise. La guerra in Ucraina era quello che ci voleva. La necessità di procurare energia a un Europa indotta dal conflitto a rinunciare al fondamentale apporto russo ha infatti immediatamente riattivato l’interesse per una massiccia estrazione di gas naturale negli Stati Uniti, i quali all’inizio del 2022 hanno visto crescere il loro export di gas naturale liquefatto (LNG) in Europa del 34% rispetto all’anno prima. Così, se Biden ha cominciato a pompare quanto più petrolio può per i bisogni domestici di un mercato i cui prezzi sono stabiliti dall’estrazione ed esportazione globali, la Federal Energy Regulatory Commission (FERC) ha cancellato il suo piano di controllo sull’impatto climatico delle nuove infrastrutture di estrazione di energia dal terreno. L’agenzia federale di regolamentazione dell’energia ha anche approvato in fretta e furia tre nuovi progetti di estrazione di gas naturale da tempo bloccati, con grande sdegno degli ambientalisti, che ne hanno – non senza serie ragioni – addebitato la responsabilità ai politici corrotti dai finanziamenti del complesso OGAM.

Accantonata – grazie all’emergenza guerra – la crisi climatica come preoccupazione immediata, Biden incoraggia oggi l’uso di tutti gli oltre 9000 permessi estrattivi già concessi a livello federale. E il complesso energetico estrattivo non sta certamente mancando di seguirne il consiglio, giacché finalmente i più alti prezzi sul mercato, dovuti all’attesa minor esportazione russa, assicureranno loro ingenti profitti. Gli Stati Uniti hanno, infatti, un’enorme quantità di gas naturale che la tecnologia del fracking consente di ricavare facilmente dal terreno, ma i cui costi per l’esportazione sono alti anche a causa del processo di congelamento necessario per il trasporto. La tanto attesa emancipazione degli europei dall’energia russa, ben esemplificata dall’estenuante trattativa – già risalente a Trump e continuata, poi, con Biden – relativa al gasdotto “Nord Stream 2”, che avrebbe potuto portare alla Germania tanto gas naturale a basso prezzo, sembra infatti – grazie al conflitto – finalmente giunta. Non solo la Germania si è impegnata a non usare il gasdotto russo e ad aprire infine un terminale per la liquefazione del gas naturale che arriverà dagli Usa; l’intera Europa ha anche preso accordi con gli Stati Uniti per una riduzione progressiva della sua dipendenza energetica dalla Russia, cui sopperirà – scontando un aumento dei costi non indifferente – almeno in parte attraverso l’“aiuto” statunitense. Il patto, siglato fra Stati Uniti ed Europa il 25 marzo 2022, prevede infatti che i primi inviino per quest’anno 15 miliardi di metri cubi di gas naturale in più alla seconda. Per il 2030, ha però assicurato Biden, gli Stati Uniti saranno in grado di incrementare l’aiuto fino a 50 miliardi di metri cubi l’anno.

Un vero bingo, insomma, per il complesso dell’energia estrattiva statunitense, che chiama oggi a raccolta gli investitori. Precedentemente frenati dalla probabile immagine negativa che avrebbe potuto loro derivare dalla poca attenzione dimostrata verso la questione climatica, questi ultimi sono oggi invece legittimati a investire in energia sporca dalla retorica della solidarietà fra popoli. La costruzione di nuovi costosi terminal per il congelamento e la liquefazione del gas, già in corso negli Stati Uniti e in Europa, così come l’intensificazione dei processi di fracking in atto negli States, allontana tuttavia a tempo indeterminato ogni progetto di abbandono dell’energia fossile e di emissione-zero di gas serra, pur annunciato da Biden – come si è detto – per il 2050, con buona pace per ogni preoccupazione di sostenibilità del pianeta.

Delle sofferenze di coloro che le armi le vedono impiegare contro di sé, di coloro che dall’aumento dei prezzi dell’energia ricava difficoltà per individui e famiglie; di chi pianifica scelte politiche come quelle a base di sieri miracolosi inutili ed inefficaci e assai spesso dannosi oppure di inventate di sana pianta emergenze climatiche; di chi, a causa dell'uso della geoingegneria, subisce e subirà catastrofi del territorio e dei propri beni sempre più devastanti, i grandi gruppi economici che dominano gli Stati Uniti e ne influenzano le strategie politiche, si disinteressano. È questo il risultato di aver lasciato che il potere si concentrasse nelle mani delle corporation, ossia di persone non fisiche ma giuridiche, che non hanno un cuore e neppure un’anima, ma sono mosse da puri meccanismi di accumulazione di capitale. Tornare alla semplice ma smarrita "umanità" nelle decisioni politiche, a rappresentare nelle sedi parlamentari i bisogni della gente comune, quella che non conta ma a cui ci si rivolge per ottenerne il voto, a una “democrazia” degna del nome, insomma, sembra l’unica via di salvezza possibile, negli Stati Uniti come ovunque. 

E forse l'avvento dei BRICS servirà a raggiungere questo obiettivo, visto che tantissimi sono quei paesi in tutto il mondo che hanno già aderito e giorno dopo giorno sempre più aderiscono, sarà quella novità caoace di indebolire sino ad annullare la forza arrogante del dollaro delle corporation sioniste-askenazite-khazare, per tornare a livelli umani più accettabili... sempre a Dio piacendo.

Chi vivrà...

 
 
 

QUANDO GOOGLE PERDE… È SEMPRE UNA FESTA…

Post n°1908 pubblicato il 23 Agosto 2024 da scricciolo68lbr
 
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Google perde la causa antitrust sulle ricerche online: "Violate leggi"

©Ansa

 

Mountain View ha già preannunciato il ricorso all'appello contro la sentenza di un giudice federale secondo cui il colosso di Manl Park ha agito illegalmente per mantenere un monopolio nella ricerca online

Google ha agito illegalmente per mantenere un monopolio nella ricerca online: lo ha stabilito il giudice federale della capitale Usa Amit P. Mehta, con una decisione che colpisce il potere di Big Tech e che potrebbe alterare radicalmente il loro modo di fare affari. La decisione da' ragione al dipartimento di Giustizia e agli stati Usa che hanno fatto causa a Google, accusandola di aver consolidato illegalmente il suo predominio, in parte, pagando ad altre aziende, come Apple e Samsung, miliardi di dollari all'anno per far sì che il colosso di Menlo Park gestisse automaticamente le ricerche sui loro smartphone e browser web.

La sentenza del giudice federale Mehta

"Google è un monopolista e ha agito come tale per mantenere il suo monopolio", ha affermato il giudice Mehta nella sua sentenza di 286 pagine, la prima decisione antitrust dell'era moderna di internet in un caso contro un gigante tecnologico. La sentenza è la vittoria più significativa fino ad oggi per le autorità regolatorie americane che stanno cercando di frenare il potere dei colossi della tecnologia. Secondo il New York Times, è probabile che influenzi altre cause antitrust governative contro Google, Apple, Amazon e Meta (proprietario di Facebook, Instagram e WhatsApp). Il provvedimento non include rimedi per il comportamento di Google. Il giudice Mehta deciderà ora in merito, costringendo potenzialmente l'azienda a cambiare il suo modo di operare o a vendere parte della sua attività.

La partnership incriminata

Il giudice ha stabilito che il colosso di Menlo Park ha bloccato circa il 90% del mercato della ricerca su Internet tramite una partnership con Apple (18 miliardi di dollari nel 2021 secondo il New York Times) e gli altri operatori di tlc. E ha sentenziato che Google ha penalizzato Microsoft nel mercato degli annunci pubblicitari visualizzati accanto ai risultati di ricerca, consentendole di dominare illegalmente anche quel mercato. La decisione arriva dopo un processo di 10 settimane celebrato lo scorso anno. Il governo federale e vari stati sostenevano che pagando miliardi di dollari per essere il motore di ricerca automatico sui dispositivi dei consumatori, Google aveva negato ai suoi concorrenti l'opportunità di costruire la scala richiesta per competere con il suo motore di ricerca. Nella sua testimonianza, il ceo di Microsoft Satya Nadella si era detto preoccupato che il dominio del suo rivale avesse creato un "Google web" e che il suo rapporto con Apple fosse "oligopolistico". E aveva ammonito che se avesse continuato imperterrito, probabilmente Google sarebbe diventato dominante anche nella corsa allo sviluppo dell'intelligenza artificiale. Google dal canto suo si era difesa affermando che stava vincendo la sfida "perché era migliore".

 
 
 

ADDESTRAMENTO DURO, LOTTA SPIRITUALE FACILE…

Post n°1907 pubblicato il 22 Agosto 2024 da scricciolo68lbr
 

Detengono quasi tutti i centri nevralgici di controllo (informazione, spettacolo e intrattenimento, governi) e cosi da secoli dirigono la vita di tutti noi. Eppure adesso qualcosa si è rotto, il web che le menti malvagie avevano creato per se, si è ritorto loro contro ed è andato a vantaggio della informazione alternativa, la cosìddetta controinformazione. Hanno stretto la cinghia in maniera eccessiva, volevano dare una bella sfoltita al totale complessivo della popolazione mondiale, troppo alto secondo i loro gusti, alla mandria dei goim, delle bestie parlanti, come i sionisti-ashkenaziti-khazari amano definire quelli che non appartengono alla loro genia. Qualcosa è andato storto, ringraziando Dio, e il loro mondo adesso sta andando in frantumi, poichè grazie ai loro errori, la gente ha iniziato a risvegliarsi e adesso non sinfida più di loro!

Quando la gente non riesce più ad arrivare alla fine del mese, si sente minacciata e messa in condizione di perdere la vita, oppure ammalarsi in maniera cronica, apre gli occhi, quelli dell'anima, e comincia a porsi delle domande e a ridestarsi ed allontanarsi dai potenti strumenti di distrazione di massa di cui è vittima (la macchina mediatica dello spettacolo, dell'intrattenimento e della disinformazione).

Per tale ragione, economisti, politici, capi di stato e persino il Vaticano avevano iniziato a premere l'acceleratore sulla presunta "necessità" di realizzare un Nuovo Ordine Mondiale. Il loro sostegno al progetto di globalizzazione lo dichiarano ormai apertamente da anni nelle interviste, nei talk-show e nei discorsi pubblici, invocandolo come unica soluzione possibile per uscire dalla crisi. L'élite finanziaria voleva agire in fretta e senza ostacoli. Per evitare che la crisi le sfugga di mano adopera i mass-media, la borsa, le agenzie di rating, i partiti e i governi, corrompendo tutti. La popolazione viene terrorizzata quotidianamente con notizie negative (psico-info-pandemie, notizie negative sullo spread e sul rischio di bancarotta degli Stati, delle Borse, dell'economia, del cambiamento climatico, una vera e propria fake) e viene poi ricattata e costretta ad accettare qualsiasi condizione imposta da "governi tecnici".

Nel frattempo, nessuno spiega la verità sull'origine della crisi, visto che l'informazione è saldamente nelle loro mani: i popoli non hanno "mai governato realmente", la loro volontà è stata sempre aggirata, condizionata in modo da credere fosse autentica; la democrazia rappresentativa è un inganno e il debito pubblico è una colossale truffa nei confronti dei cittadini.

Tanti libri sull'argomento sono stati scritti, la gente li ha letti ed ha capito ed ora sa come affrontare il nemico, che oramak non si nasconde più, ed agisce alla luce del sole.

Esistono elenchi con una mole impressionante di prove "oggettive" in grado di demolire ogni dubbio sui veri scopi perseguiti dall'attuale classe politica e dai governi di tutto il mondo, governi scelti dalle èlite finanziarie, governi fantocci che non hanno a cuore gli interessi comuni, solo quelli del Deep State e i propri.

La lotta è appena iniziata, state allerta, è una lotta spirituale, non dobbiamo averne paura, perchè se l'affronteremo avendo sempre a mente due obiettivi fondamentali, amore e verità, la vittoria non potrà che essere della Luce, perchè la Luce ha già vinto, adesso tocca a noi... Buona vita.

 
 
 

TIM AGLI AMERICANI DI KKR!

Post n°1906 pubblicato il 20 Agosto 2024 da scricciolo68lbr
 

Un'altro pezzo di Italia cambia proprietà, ed è un pezzo da nivanta, parlo della rete telefonica. Colpevolizzano la Meloni, quando invece il responsabile è Giorgetti, bocconiano, già al Mef con Draghi. E tutti i governi comunisti che hanno spolpato l'azienda con assunzioni clientelari e malagestione.

Così l’azienda guidata da Pietro Labriola ha confermato il 1° luglio 2024 – con una nota ufficiale – la vendita della sua rete. La rete TIM diventa quindi parte integrante degli asset di KKR (Kohlberg Kravis Roberts & Co. L.P.), fondo di investimenti statunitense, di proprietà di un ex agente della CIA, non serve aggiungere altro.

Da NetCo a FiberCop a KKR. L’intesa tra le due aziende prevede il trasferimento di NetCo, società del gruppo Telecom Italia che si occupa della gestione della rete fissa e che ha un controllo diretto sulla gestione dei cavi sottomarini Sparkle, all’interno di FiberCop (azienda a sua volta controllata al 58% da TIM). KKR, tramite la controllata Optics BidCo andrà ad acquisire l’intero capitale di FiberCop. Quanto si aspetta di guadagnare KKR da questo investimento? Secondo la regola del 72 (t~72/r) se vuole rientrare dall’investimento in cinque anni, assumendo che sborsi 18 miliardi, ha bisogno di un rendimento del 14,4%, quasi 3 miliardi all’anno da estrarre dalle "tasche" di quegli italiani che malauguratamente resteranno clienti Telecom e pagheranno le bollette ai nuovi padroni. Se si accontenta di rientrare in dieci anni gli basta il 7,2%, ma questo mi sembra più improbabile.

L’operazione di cessione è valorizzata fino a un massimo di 22 miliardi di euro, comprensivi di earn-out legati al verificarsi di determinate condizioni, e permette a TIM una riduzione dell’indebitamento finanziario in linea con quanto già comunicato al mercato.

A seguito del trasferimento degli asset verso KKR-Optics BidCo, i rapporti tra TIM e NetCo saranno regolate attraverso un Master Service Agreement (MSA) della durata di 15 anni, rinnovabile per ulteriori 15 anni. I servizi saranno resi a prezzi di mercato e senza impegni minimi di acquisto. 

Nel comunicato diramato da TIM, l’amministratore delegato Labriola sostiene che la società saprà essere più efficace sia sul mercato consumer che enterprise. L’operazione di vendita è il culmine del lavoro di due anni e mezzo. Oltre a TIM, i protagonisti sono ovviamente KKR ma anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), che ha seguito da vicino tutte le vicissitudini.

Raggiungiamo un traguardo che è anche un nuovo punto di partenza: lo abbiamo fatto centrando tutti gli obiettivi che avevamo annunciato e rispettando tutte le tempistiche promesse. Intendiamo continuare su questa strada per far crescere la fiducia dei dipendenti, dei clienti e degli azionisti“, ha commentato Labriola.

L’organico totale di TIM scende da 37.065 a 17.281 persone. Ciò significa che buona parte del personale cambierà formalmente, a questo punto, datore di lavoro. La “nuova FiberCop” nasce con 4 miliardi di ricavi, circa 2 miliardi di margine operativo e oltre 20 mila dipendenti. Ci sono diversi miliardi di debiti, parte dei quali “scaricati” su TIM, ma l’azienda di Labriola vuole a questo punto puntare sui servizi e, forse, in futuro tornare a parlare di acquisizioni maggiormente in linea con quello che d’ora in avanti sarà il suo core business.

La nota firmata TIM anticipa che maggiori dettagli sulla chiusura dell’accordo sono stati condivisi pubblicamente il 1° agosto.

Dopo la cessione della rete fissa di TIM a KKR, attraverso la società NetCo, l’azienda guidata da Labriola incasserà la quota di vendita che sarà utilizzata per appianare in parte il debito societario. Non avendo più controllo sulla rete, TIM sarà di fatto un operatore di servizi come tanti, alla stregua di tutti gli altri concorrenti.

KKR, dal canto suo, diviene comproprietaria delle infrastrutture di rete fissa e sottomarina ex Gruppo Telecom Italia. Ciò significa che il fondo d’investimento statunitense controllerà asset strategici per le telecomunicazioni italiane. Insieme con il MEF che avrà il 20% delle quote e F2i (Fondi Italiani per le Infrastrutture, società di gestione del risparmio italiana) che si aggiunge con il 10%. George Roberts e Henry Robert Kravis, cugini di primo grado, sono soci fondatori del fondo di private equity americano KKR e co-presidenti esecutivi. 

TIM manterrà comunque per sé (avendo estrapolato le risorse dall’accordo) la dorsale, 16 data center e la rete mobile.

A valle di tutto questo, TIM giocherà certamente da player più libero, scrollatosi di dosso l’oneroso fardello della rete. E in tanti sono già pronti a preconizzare accordi importanti con altri operatori, in alcuni casi proprietari e gestori di una loro rete. Fino a qualche anno fa sarebbe stata fantascienza, a dir poco.

Con la cessione di Netco-Fibercop, TIM passa in altre mani anche la sua storica sede romana di Corso D’Italia 41. Lì si insedierà l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Anche questa, a suo modo, una novità davvero epocale.

L’acquisizione della rete di telecomunicazione italiana di TIM da parte del fondo statunitense KKR e l’affidamento di attività di intelligence economica di Cassa Depositi e Prestiti alla Globintech, una società di cybersecurity guidata da ex dirigenti della CIA, sollevano preoccupanti interrogativi sulla sovranità tecnologica e sulla sicurezza nazionale dell’Italia.

Questi due eventi evidenziano un’inquietante tendenza: la crescente influenza di entità straniere, legate ai servizi di intelligence e militari americani, su settori strategici italiani.

L’acquisizione della rete TIM, che passerà attraverso FiberCop e poi a Optics BidCo controllata da KKR, rappresenta un passaggio cruciale. Il think tank che affianca KKR nell’analisi geopolitica e degli scenari globali, il KKR Global Institute, è guidato da David H. Petraeus, ex direttore della CIA e generale con una lunga carriera nelle forze armate statunitensi.

Parallelamente, la Cassa Depositi e Prestiti ha affidato alla Globintech la fornitura di servizi di intelligence per la cybersecurity. Globintech è co-fondata da Robert Gorelick, ex capo centro della CIA in Italia, e Alberto Manenti, ex direttore della branca estera dei Servizi Segreti italiani (Aise). Questa collaborazione, sebbene prometta servizi di alta qualità in termini di business intelligence e risk advisory, suscita preoccupazioni per la gestione dei dati sensibili. La presenza di figure con un passato così rilevante nei servizi di intelligence solleva dubbi sulla possibilità di influenze straniere nella gestione delle informazioni critiche.

Questi sono solamente due esemplificazioni che sottolineano in maniera netta e chiara il percorso che l’Italia ha intrapreso, cedendo il controllo su settori chiave come quello della sua economia e della sicurezza a entità private ex intelligence legate agli Stati Uniti. L’acquisizione della rete TIM da parte del fondo KKR, con Petraeus al timone, potrebbe essere vista come un sottolineare se ce ne fosse bisogno, ll spadroneggiare degli Stati Uniti dalla fine del secondo conflitto mondiale, e di estendere la loro influenza non più limitatamente alle scelte politiche ed economiche, fino ad arrivare al controllo delle infrastrutture di comunicazione italiane. Questo mette l’Italia in una posizione vulnerabile rispetto e rispetto al "padrone" statunitense e rispetto all'anglosfera.

L’affidamento di "attività di intelligence economica" di CDP a Globintech, guidata da ex dirigenti della CIA, rimarca ulteriormente questa vulnerabilità. La gestione di dati sensibili da parte di una società con forti legami con i servizi segreti americani, potrebbe compromettere l’autonomia decisionale del paese, mettendone a rischio la sicurezza nazionale.

L’Italia non sa reagire, nulla a che vedere coi governi della prima Repubblica, quando Craxi disse no nell'affair Sigonella; attualmente non proteggere più adeguatamente la sua sovranità nelle comunicazioni, né la sua sicurezza nazionale, in un contesto di crescente mutamenti a livello globale.

La vendita di infrastrutture "critiche" a soggeti privati stranieri e l’affidamento di servizi di intelligence interna, a società con legami con i servizi segreti americani, rappresentano una minaccia sottovalutata alla sovranità del paese.

Il governo italiano doveva valutare attentamente le implicazioni di queste scelte e di conseguenza adottare misure per garantire che le infrastrutture critiche e i dati sensibili siano gestiti in modo sicuro e indipendente. La protezione della sovranità tecnologica è fondamentale per la sicurezza nazionale e per la preservazione dell’autonomia decisionale del paese.

In un mondo sempre più interconnesso, è essenziale che l’Italia mantenga il controllo sulle sue risorse strategiche per garantire la sicurezza e la prosperità futura.


 

 
 
 

GLI USA SEMPRE PIÙ “USA E GETTA”.

Post n°1905 pubblicato il 17 Agosto 2024 da scricciolo68lbr

Gli USA hanno smarrito il loro fascino: il Rock N'Roll, Elvis Presley, le lotte tra indiani e cow boy, Grease, American Graffiti, Hamburger e patatine fritte... tanti miti che avevano contribuito a fare degli USA un mito! Ebbene in poco tempo tutto è stato incenerito... il dollaro improvvisamente perde il ruolo di moneta internazionalmente usata negli scambi economici, soprattutto i prodotti petroliferi, e viene scaricato.

Ad infliggere un duro colpo alla quota globale in dollari delle riserve valutarie è stata proprio la Cina che, insieme al Giappone, è il maggiore detentore estero del debito statunitense: quest’ultimo ha raggiunto livelli record, superando per la prima volta i 34 mila miliardi di dollari. Nel primo trimestre del 2024, Pechino ha venduto una quantità record di Titoli del Tesoro americani e obbligazioni di agenzie statunitensi, per un totale pari a circa 53,3 miliardi di dollari, aumentando allo stesso tempo gli acquisti di oro. La necessità di diversificare gli asset abbandonando i dollari americani, è determinata dalla guerra commerciale con gli USA, come anche la volontà di indebolire l’apparato militare americano e rafforzare il proprio.

Sempre a proposito di Cina, parallelamente all’abbandono di asset statunitensi, il Paese del Sol Levante ha aumentato le sue riserve auree, che ad aprile sono cresciute per il diciottesimo mese consecutivo del 16,3% con un nuovo stock di 60.000 once troy, a quota 72,8 milioni, per un valore attestatosi a 167,96 miliardi di dollari dai 161,07 miliardi di fine marzo. Similmente, molti Paesi soprattutto occidentali hanno a loro volta ridotto le loro riserve in yuan a partire dal primo trimestre del 2022, secondo un rapporto di Goldman Sachs: tra questi compaiono Ucraina, Norvegia, Brasile, Svizzera e Israele.

Il rapporto del World Gold Council attesta come il 2023 sia stato il secondo anno di fila in cui gli acquisti netti del metallo giallo da parte delle banche centrali hanno superato le 1.000 tonnellate: nel 2023, infatti, gli acquisti di oro sono stati pari a circa 1.030 tonnellate, dopo il record di 1.082 tonnellate nel 2022. Nel secondo trimestre del 2024, invece, gli acquisti netti sono stati pari a circa 183 tonnellate, con un aumento del 6% su base annua.

Inoltre, secondo un sondaggio della Central Bank Gold Reserves (CBGR), condotto tra il 19 febbraio e il 30 aprile 2024 con un totale di 70 risposte, il 29% delle banche centrali intervistate intende aumentare le proprie riserve auree nei prossimi dodici mesi. Questa propensione è motivata non solo da ragioni geopolitiche, ma anche da preoccupazioni finanziarie legate a potenziali scenari di crisi e all’aumento dell’inflazione. Tra le banche centrali che hanno aumentato la quantità di riserve auree, oltre alla Cina, compaiono quella brasiliana e indiana. Il Brasile ha fatto sapere che il suo coefficiente di riserva aurea si attestava al 2,6% alla fine del 2023, in aumento di 0,08 punti percentuali rispetto all’anno precedente, mentre la quota dello Yuan è scesa di 0,57 punti percentuali al 4,8%. Le riserve auree dell’India, invece, sono aumentate del 30% rispetto al 2023, attestandosi a 57,6 miliardi di dollari a fine luglio. Tra le altre nazioni, anche Singapore e le Filippine avrebbero aumentato le loro riserve in oro.

La tendenza ad accumulare il metallo giallo diminuendo al contempo le valute straniere, in primis il dollaro, riflette il rapido mutamento degli equilibri geopolitici e finanziari globali, ma anche un aumento di sfiducia nel sistema finanziario occidentale fondato sul dollaro, specie nel momento in cui la valuta statunitense viene usata come arma di ricatto geopolitico e il debito pubblico americano ha raggiunto cifre record, intimorendo gli investitori. L'obiettivo principale dell'abbandono del dollaro per i Paesi del cosiddetto “Sud globale” è innanzitutto ridurre il potere del dollaro ridimensionando l’egemonia statunitense. È una strategia complessa: la progressiva sostituzione del biglietto verde negli scambi bilaterali, il controllo delle materie prime del Sud e il rafforzamento di blocchi alternativi al G7, come quello dei BRICS.

Le varie banche centrali in definitiva, cercano di diversificare le proprie riserve valutarie diminuendo la disponibilità di dollari americani e Yuan cinesi in favore dell’oro, considerato un asset più sicuro, in quanto non legato ad alcun Paese specifico. 

Come già detto secondo un rapporto del World Gold Council, infatti, gli acquisti di oro da parte delle banche centrali sono stati pari a circa 1.030 tonnellate nel 2023, dopo il record di 1.082 tonnellate nel 2022. 

E non è tutto: contemporaneamente, si assiste a una riduzione delle riserve valutarie in dollari e Yuan che, secondo il quotidiano economico asiatico Nikkei Asia, «riflette la frammentazione globale». In base ai dati citati dal medesimo quotidiano, la quota del dollaro nelle riserve mondiali registrata a marzo 2024 è pari al 58,9%, mentre nei primi anni 2000 era pari al 70%. Allo stesso modo, anche lo Yuan è in calo dal 2022 nonostante si sia deprezzato di circa il 3% rispetto al dollaro: la sua quota nelle riserve valutarie globali nel marzo 2024 era pari al 2,2%, lo 0,7% in meno rispetto al massimo registrato nel marzo 2022. 

Inoltre il sostegno cinese nel conflitto della Russia con l’Ucraina potrebbe aver pesato sulla decisione dei Paesi occidentali di ridurre la loro esposizione in Yuan.

Così l’obiettivo per molti Paesi è quello di ridurre la dipendenza dal dollaro, ma anche da altre valute come lo Yuan, raggiungendo una stabilità finanziaria non legata a valute e al potere di Paesi stranieri.

 
 
 

MUOS DI NISCEMI: ARMA DI GUERRA?

Post n°1904 pubblicato il 15 Agosto 2024 da scricciolo68lbr

La stazione MUOS (Mobile User Objective System) secondo i siciliani, è una pericolosa arma di guerra. 

Il MUOS(tro) di Niscemi e l’impegno dei siciliani contro un fattore incontrollabile di degrado ambientale e di accelerazione delle guerre.

Intervista ad Antonio Mazzeo.

Il MUOS (Mobile User Objective System) è un nuovo sistema militare di telecomunicazioni satellitari che consente la trasmissione di informazioni, video, dati, a tutti gli “utenti mobili”: centri di comando e controllo, reparti e mezzi terrestri, unità navali, sottomarini, cacciabombardieri, droni d’attacco, batterie missilistiche, e altro ancora.

Il  MUOS è un sistema adottato  dalle forze armate degli Stati Uniti d’America, perché possano affermare la propria superiorità universale, tramite una rete di mega-antenne e satelliti per telecomunicazioni ad alta velocità, affinché sull’infinito domini l’oscurità della violenza, della guerra, della morte.

Il MUOS è un sistema atto a propagare, dilatare, moltiplicare gli ordini di attacco militare di tipo convenzionale, chimico, batteriologico e nucleare, per bombardamenti sempre più virtuali, computerizzati, disumanizzati e disumanizzanti perché la coscienza degli assassini non possa mai incrociare gli occhi di chi soffre e la disperazione delle vittime innocenti.

Il MUOS incarna le molteplici contraddizioni della globalizzazione neoliberista e capitalista, in quanto uccide in nome della pace e dell’Ordine sovranazionale, devastando il clima, l’ambiente e il territorio.

Come hanno reagito i pacifisti e gli attivisti nonviolenti all’installazione di questo sistema d’arma?
L’ Eco MUOStro à stato installato a Niscemi, nei pressi di Caltanissetta, in Sicilia, nel cuore di un’importante riserva naturale. L’impianto verte su tre grandi antenne paraboliche che emettono onde elettromagnetiche in grado di penetrare la ionosfera e i tessuti di ogni essere vivente. La popolazione locale si è mobilitata per oltre dieci anni contro questo dissennato progetto bellico dagli enormi impatti di tipo ambientale e sulla salute.

In Sicilia, donne e uomini si sono indignati per essere stati ignorati, traditi, svenduti e così sono scesi in piazza a protestare e a manifestare il proprio dissenso, costringendo sindaci, consigli comunali e provinciali a votare delibere contro il MUOS. Sono state presentate numerose interrogazioni parlamentari; sono stati sottoscritti moltissimi appelli e firmate innumerevoli petizioni per revocare le autorizzazioni ai lavori, insieme a dibattiti, convegni, marce, digiuni e altre forme di contestazione nonviolenta e pacifica.

Ci sono stati scioperi generali indetti dal basso a Niscemi e per la prima volta nella storia una base ad uso esclusivo delle forze armate statunitensi è stata occupata per ore da migliaia di manifestanti. Purtroppo alla fine è prevalsa la logica di distruzione e morte dell’apparato militare-industriale transnazionale.

Avete vissuto l’EcoMUOStro come una grande sconfitta? vi siete sentiti impotenti di fronte a questo sistema di potere imposto dall’alto?
Il Movimento No Muos è stato sempre consapevole della sproporzione delle forze in campo: da una parte migliaia di cittadini, giovani, donne che hanno sentito il diritto-dovere di rimettersi in gioco in prima persona in difesa del loro territorio e dei valori della pace, del disarmo e della cooperazione tra i popoli; dall’altra, la prima potenza militare e nucleare del pianeta, aggressiva e arrogante come sempre, in campo per affermare la piena supremazia sulle risorse della terra e la sempre più iniqua ridistribuzione della ricchezza. Ciononostante il Pentagono e i suoi più stretti alleati politici e militari in Italia e in Sicilia sono stati messi più di una volta sotto scacco.

I lavori d’installazione del terminale terrestre del MUOS sono stati bloccati e ritardati per anni e le ragioni dei No MUOS sono state riconosciute dai Tribunali penali e amministrativi (si pensi alla recente sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa che ha dichiarato del tutto illegittime le autorizzazioni al progetto rilasciate dalla Regione Sicilia).

Certo se dovessimo limitarci a vedere che l’esito finale di queste straordinarie mobilitazioni è stata la messa in opera del Muostro, dovremmo dire che tutto è stato inutile. Ma quelle campagne di opposizione hanno rappresentato per intere generazioni di siciliani fondamentali momenti di crescita individuale e collettiva e una presa di coscienza dei propri diritti e degli effetti nefasti dei processi di militarizzazione e stupro dei territori. Ciò non potrà non avere rilevanti conseguenze sociali e culturali a medio e lungo termine. E ciò concorrerà, ne sono certo, a sviluppare nuovi percorsi di lotta per la pace, la giustizia e la difesa dell’ambiente.

I governi nazionali che si sono succeduti e l’attuale governo dei banchieri dell’alta finanza sono sempre favorevoli alla costruzione del MUOS. Il libro di Antonio Mazzeo vuole denunciare, attraverso le tante voci della gente di Niscemi, la prepotenza ottusa e la protervia ostinata dei vertici del potere, favorevoli all’Eco MUOStro, un sistema-business per i mercanti di morte, che comporta soprattutto la proliferazione della grande industria bellica, ma anche un intenso inquinamento elettromagnetico, proveniente dai trasmettitori del sistema, con devastanti microonde ad altissimo impatto ambientale. L’industria della morte si impone ancora, famelica, insaziabile, inesorabile.

Con questo tuo libro sul MUOS sei riuscito a smuovere le coscienze di molti fino ad arrivare a un processo. Puoi parlarcene?
No, davvero, non credo che un libro, da solo, possa riuscire a smuovere coscienze e generale proteste, mobilitazioni, opposizioni.

Il MUOStro di Niscemi è stato solo un lavoro di analisi, sintesi e sistematizzazioni per rendere il più possibile chiare a tante e tanti siciliani le tantissime contraddizioni, anzi i crimini, di tipo sociale e ambientale, geostrategico, perfino mafiosi, di questo progetto di rafforzamento della presenza militare statunitense nell’Isola. Spero di esserci riuscito in parte ma non è più di quello che può essere chiesto a un impegno di controinformazione. In fondo è poco, davvero poco, rispetto alla portata educativa e formativa e generatrice di dissenso delle azioni dirette e delle pratiche di disobbedienza civile dei No MUOS.

Cosa ti aspetti per il nostro futuro prossimo anche dal momento che siamo sul crinale del baratro difg una terza guerra mondiale e potenzialmente nucleare con l’attuale guerra tra Russia e Ucraina e con le tante guerre imposte nel mondo dai poteri forti?
Sì, da quel maledetto 24 febbraio 2022 avverto profondamente il timore dell’ennesimo rapido balzo dell’umanità verso l’olocausto globale.

L’inarrestabile escalation di questo conflitto fratricida ha rafforzato la mia convinzione degli immani pericoli che potranno derivare a breve per la popolazione mondiale. E del resto sono già tantissime le persone in tutto il pianeta che stanno pagando un prezzo enorme in termini di sofferenza, fame, salute, accesso alle risorse energetiche, e via dicendo.

Mi addolora poi la scarsissima opposizione generale, alla guerra e alla cultura di morte imperante. Mai come adesso siamo a un passo dalla guerra nucleare totale eppure le piazze sono vuote come non mai e il pacifismo si presenta fragilissimo.

Sì, gli scenari futuri appaiono tragici. Ma forse proprio per questo dobbiamo provare ad esserci con tutte le nostre energie. Dobbiamo resistere all’uragano della morte, coscienti dei rapporti di forza, ma decisi e intransigenti. Siamo certamente stanchi, delusi e avvertiamo il peso delle tante, troppe sconfitte. Ma siamo ancora vivi. Noi e i nostri figli. Per noi e i nostri figli.

FONTE:

https://www.farodiroma.it/pacifismo-il-muostro-di-niscemi-e-limpegno-dei-siciliani-contro-un-fattore-incontrollabile-di-degrado-ambientale-e-di-accelerazione-delle-guerre-intervista-a-antonio-mazzeo-laura-tussi/

 
 
 

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tante volte rimangono
fanno male anche se dette per rabbia
si ricordano
In qualche modo restano.
Le parole, quante volte rimangono
le parole feriscono
le parole ti cambiano
le parole confortano.
Le parole fanno danni invisibili
sono note che aiutano
e che la notte confortano.
                                  i
 
 

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