Vorrei sentirmi più libero

Post n°219 pubblicato il 10 Marzo 2010 da Terpetrus
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Anche oggi parliamo di un argomento per me inconsueto, e a dire il vero inconsueto per molti, forse per quasi tutti.

Parliamo di libertà. E infatti di libertà non si sente più parlare, oggi. Non è un argomento tabù, semplicemente è un argomento desueto, un argomento che appare irrilevante.

Della libertà come tema di discussione ci si è semplicemente dimenticati.

Perché? Forse perché tutti ritengono di essere abbastanza liberi per non doverne parlare. Essere liberi nel mondo contemporaneo è un dato di fatto abbastanza sicuro, e quindi è inutile vederlo come un problema, perlomeno come un problema fondamentale.

Oppure semplicemente ci si è rassegnati a non essere liberi, nel senso che molti forse non si sentono in diritto di essere liberi.

La libertà fa paura. Non solo la libertà degli altri, ma anche la propria. Difendere la libertà come valore implica che non si difenda solo la libertà propria, ma ancora di più la libertà degli altri, e la libertà altrui oggi la viviamo come una minaccia.

La libertà degli altri implica la libertà dei musulmani e delle altre religioni di professare liberamente le loro religioni, di diffonderle nella cultura occidentale. Significa lasciare che la società si riempia di stranieri che parlano altre lingue, hanno un colore diverso della pelle, hanno usanze diverse e ci appaiono rozzi e primitivi.

Significa permettere che due uomini si bacino per la strada, che gente completamente nuda se ne stia tranquilla in spiaggia di fronte ai bambini, anch’essi nudi…. E da lì a chissà quali orribili licenze….. fino a un mondo dove si è costretti a vedere stravolto il proprio quieto vivere.

Il proprio quieto vivere è più importante della libertà, sia propria che altrui.

Comunque, è difficile dire perché della libertà oggi non si parla più. Forse perché di fatto la libertà oggi sembra più identificarsi con la licenza pura e semplice, ma non con la vera libertà.

Così i figli sono “liberi” di stare attaccati a mamma e papà fino a più di trent’anni, tranquilli nella loro cuccia calda, rassegnati a una vita di semi-parassitaggio, rinunciando a una piena libertà pur di poter stare tranquilli e coccolati, facendo finta di fare i bravi ragazzi e sfogandosi ogni tanto con sesso, droga e rock’n’roll, sperando di non finire al cimitero per un incidente in macchina o sui giornali per aver pestato un compagno o un professore.

Non sono liberi, ma cos’altro possono fare? Andare a vivere sotto i ponti, come fanno i figli in America, non è una scelta di libertà, ma solo di disperazione.

Loro non si ribellano a questa situazione, non protestano per il loro futuro spento ancora prima di poter fiorire, per il lavoro che non trovano, o per un lavoro schifoso che hanno trovato solo per poter sbarcare il lunario, non certo per realizzare i loro talenti.

Non protestano per il fatto di non poter avere una casa loro in cui andare a vivere da soli o con il partner, non protestano per poter avere una scuola decente che non sia una fabbrica di disoccupati, ma che invece gli insegni veramente a lavorare e costruire un progetto di vita in base ai loro talenti.

No, non lo fanno. Non sono liberi e non gli interessa esserlo. Credono che essere liberi significa fare il cazzo che ti pare con il benestare dei genitori, mica che essere liberi significhi essere autonomi e decidere della propria vita senza interferenze.

Un giorno i vecchi, quelli che si sono tenuti egoisticamente stretti i loro beni e i loro privilegi infischiandosene delle generazioni successive, moriranno di vecchiaia, assieme alla loro inutile e dannosa spilorceria e assoluta mancanza di senso del bene collettivo, e lasceranno generazioni intere di falliti e perdenti che si troveranno a dover gestire un mondo che non gli è mai stato permesso di imparare a mandare avanti.

Solo allora forse capiranno quanto è importante la libertà, intesa non come libertà di starsene in una cuccia calda fino a cinquant’anni, ma libertà di decidere come deve essere la propria vita e magari anche come deve essere la società in cui viviamo.

Capiranno che libertà non è subire le situazioni, ma guidarle ed esserne protagonisti.

Sarà una spaventosa crisi epocale, e forse sarà il colpo  di grazia dato a una civiltà, quella occidentale, ormai esaurita nelle sue produzioni ideali e spirituali.

Sarà giusto così, perché l’avremo  voluto noi. Altri ideali, altri valori provenienti da chissà dove, forse da paesi dell’Oriente che ora stanno emergendo, avranno la meglio e forse saranno migliori e più razionali di quelli che abbiamo prodotto noi.

Questo per un futuro che prevedo fra venti-trenta anni, quando coloro che adesso hanno cinquant’anni come me o quasi saranno giunti alla fine della loro vita. La mia generazione segna lo spartiacque fra coloro che ancora potevano credere nel futuro, e chi invece ha dovuto rinunciare a credere nel futuro per non cadere nel vuoto della depressione totale.

Ma ora? Ora io come vivo il resto della mia vita, sapendo che non mi sono mai preoccupato a sufficienza della mia libertà?

Io non mi sento libero, e lo dico con certezza. Non mi sono mai sentito veramente libero, e ora più che  mai sento il futuro come un muro invalicabile, chiuso, disperante.

Fintanto che mi aggrappavo alla speranza di un futuro migliore, potevo sentire di meno questa negazione della libertà, potevo sopportarla. Ora non la sopporto più, ma è troppo tardi, non posso farci niente.

L’unica cosa che posso fare è riflettere. Riflettere sui momenti in cui non mi sento libero, i momenti in cui sento che la mia libertà è negata, ma anche devo cercare quei momenti in cui magari credo di essere libero, e non lo sono affatto.

Nella speranza di trovare una chiave d’uscita, un modo per sentirmi più protagonista della mia vita, e non vittima rassegnata.

Quindi penso che scriverò diversi post di riesame della mia esistenza, dei momenti in cui sento od ho sentito negata la mia libertà, e perché.

Sarà deprimente, ma lo ritengo necessario.

 

 
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Il Mito della Genesi: la Signora della Costola

Post n°218 pubblicato il 09 Marzo 2010 da Terpetrus
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Concludo con questo post la lunga digressione sul vero significato della Genesi, parlando della recente scoperta che ho fatto tramite internet sulle origini del mito di Adamo ed Eva e del povero (è il caso di dirlo) Serpente Tentatore.

É necessario per comprendere appieno come il mito della Genesi sia appunto un mito nel senso originario del termine, cioè semplicemente un racconto, una favola sulle origini del mondo.

Non c'è in esso nessun significato mistico recondito, nessun simbolo spirituale mascherato da immagine materiale.

La sostanza dei miti della Genesi non è diversa dalla sostanza dei miti greci sulla creazione dell'universo, con la storia di Eurinome, la Madre del Mondo, e il grande serpente Ofione.

E il Dio (o gli Dei, dato che la cosa è ambigua) che compare nella Genesi non ha niente a che fare con il Dio di Gesù Cristo.

Ma per dare un colpo finale alla tradizione cristiana che crede che la Genesi sia un libro "ispirato da Dio", bisogna dire cosa ha scoperto la ricerca archeologica dei testi mesopotamici al riguardo.

Come ho già detto, il vero Eden, il suo archetipo, è in realtà la mitica isola di Tilmun, nel Golfo Persico, da identificare con un luogo realmente esistente: lo stato del Bahrein, che ora è un arcipelago arido e spoglio, ma che al tempo dei Sumeri e della precedente civiltà di Ubeid, era un luogo verde e ubertoso, come tante altre isole dei Mari del Sud.

Secondo il mito mesopotamico, era lì che era avvenuta la creazione degli uomini,  da parte della Dea della Terra, Ninhursag, che li aveva tratti dalla creta e dal fango.

Ninhursag aveva per sposo il Dio dell'Abisso e della Sapienza, Enki, il cui nome significa "Signore della Terra", signore del mondo sotterraneo e dell'oceano di acque dolci sotterranee, da cui nascono tutti i fiumi, secondo le credenze mesopotamiche.

Da notare che, per molti popoli antichi, i serpenti erano simboli dei fiumi e delle divinità ad essi preposte. Non è quindi da escludere che ci fosse una certa identificazione fra Enki e il Serpente Antico, dato che hanno caratteristiche personali simili.

Enki e Ninhursag vivono assieme nel giardino di Tilmun dove ha origine l'umanità, e lì generano molte Dee con cui il padre ha poi dei rapporti incestuosi.

Ma non è certo quello a suscitare le ire di Ninhursag, dato che probabilmente in tempi remoti i connubi incestuosi, in particolar modo padre-figlia, dovevano essere molto comuni.

No, ciò che fa imbestialire Ninhursag contro il marito è il fatto che, dopo che lei ha fatto nascere e crescere un albero di nuovo tipo, lui le frega tutti i frutti e se li mangia.

Lei lo maledice e gli scaglia addosso ogni genere di malattie, poi scompare.

Il povero Enki si copre di piaghe e si riempie di malanni, e invia la volpe a spingere Ninhursag a più miti consigli.

Ninhursag si lascia convincere dalla volpe e torna dallo sposo, e per l'occasione crea tante Dee quante sono le malattie di Enki.

La Dea preposta a curargli la costola si chiama Ninti, il cui nome significa "Signora della Vita".

Ma per una coincidenza linguistica, in antico sumero "vita" e "costola" si dicono con la stessa parola: "ti". Quindi la "Signora della Vita" è anche la "Signora della Costola", e infatti è lei che tira su.... una costola a Enki!

Ninti è il vero archetipo di Eva, il cui nome in ebraico significa "vita" ed è stata tratta da una costola di Adamo.

Ma in ebraico non c'è la stessa coincidenza linguistica, e quindi il significato di "Signora della Vita" come "Signora della Costola" nella tradizione ebraica è andata persa.

Ecco perchè Eva è stata tratta dalla costola di Adamo!

Il bello è che per secoli gli esegeti si sono scervellati cercando significati mistico-esoterici in questo simbolo, pensando che per "costola" si intendesse "cuore" o magari "forza" o che altro.

Niente di tutto questo. Si tratta solo di uno stupidissimo gioco linguistico di cui si è perso il significato.

Il che dimostra che dietro certi cosiddetti "simboli misteriosi" si nasconde il nulla, o una stupidaggine.

La verità è che il misticismo dovrebbe emanciparsi dal mito, e non considerarlo più di quanto consideri la favola di Biancaneve e i Sette Nani.

Ma una spiritualità post-mitica sarebbe inevitabilmente una spiritualità post-cristiana e post-biblica. E anche post-New Age. Il mondo è pronto per accedere a una tale forma di spiritualità.

Sinceramente, non lo so. Mi sembra che i miei contemporanei siano ancora legati a un modo di pensare mitologico.

Basti pensare a quanto successo hanno ancora le teorie dei complotti, che sono il corrispondente delle superstizioni e dei miti antichi nel mondo contemporaneo....

 
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Il mito della Genesi: quinta parte

Post n°217 pubblicato il 07 Marzo 2010 da Terpetrus
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Riprendendo dal post precedente, parlo dei collegamenti mesopotamici con il mito della Genesi.
Abbiamo già detto che la prima redazione della Genesi risale al V-VI secolo a. C., risalente al ritorno degli Ebrei in Palestina da Babilonia.
Prima la Bibbia non c’era, anche se penso che non si può escludere la possibilità dell’esistenza di testi scritti. La dottrina ebraica si trasmetteva oralmente.
Poi si deve essere formato un contrasto fra la cultura degli Ebrei deportati, che avevano assorbito la cultura di una civiltà senz’altro molto più evoluta e sofisticata, e gli Ebrei che invece erano rimasti in Palestina, sottoposti alle influenze di altre culture limitrofe, come quella dei Fenici, o degli Egiziani.
Dunque quella è l’epoca in cui ha cominciato a formarsi la religione ebraica come la conosciamo, mentre prima, mancando i testi scritti, si possono solo fare delle ipotesi.
La tradizione della settimana deve probabilmente essersi introdotta con il ritorno dei deportati.
Essa è stata inventata dai mesopotamici, e si riferisce a una forma di astrologia, per cui ogni giorno della settimana è sotto il dominio di uno dei sette pianeti del firmamento: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno. Ancora adesso i nomi della settimana, anche in italiano, dimostrano questa provenienza.
Ma cos’altro possono aver portato gli Ebrei da Babilonia e dal suo vasto impero? Forse anche il mito del giardino dell’Eden?
Come ho già detto, anche i Sumeri avevano un giardino dell’Eden nella loro mitologia: un luogo splendido in riva al mare, un’isola verde e ubertosa, ricca di alberi da frutto, dove aveva avuto inizio la Creazione, e che aveva avuto per protagonisti due divinità sumere particolarmente importanti: Ninhursag, Dea della Terra, ed Enki, Dio dell’Abisso di acque sotterranee da cui scaturiscono i fiumi. Ninhursag era stata la Dea che aveva creato gli uomini, evidentemente traendoli dalla sua stessa sostanza: la terra.
Quel luogo si chiamava Dilmun, ma non era un luogo immaginario: aveva una collocazione geografica ben precisa: il Barhein, nel Golfo Persico.
In quel luogo, alle più lontane origini della civiltà dei Sumeri, era sorta una civiltà con essa imparentata. Essa era un luogo di commercio e di scambio, poiché faceva da porto di scambio fra le città-stato sumeriche, e la misteriosa civiltà dell’Indo, che aveva indubbi legami con la prima.
Ora la zona è un deserto, ma in quel tempo remoto, più di cinquemila anni fa, gli abitanti di Dilmun, il vero Eden, avevano avuto contatti commerciali, ancora prima che con le città-stato di Sumer, con la cultura neolitica di Al-Obeid, che l’ha preceduta.
La cultura di Al-Obeid, più primitiva, ci ha lasciato molti reperti, fra cui alcune stranissime statuette di esseri umanoidi con la testa di serpente, o perlomeno di rettile.
Non è dato sapere chi fossero queste divinità “ofidocefale”, ma esse vengono rappresentate come esseri che camminano sulle due gambe, e che si immagina che parlino e che si comportino esattamente come esseri umani, dato anche che una di loro è una donna che tiene in braccio un bambino.
In seguito, pare che Al-Obeid decadde e scomparve a causa di una grande alluvione, forse quella che viene tramandata come il Diluvio. Dalle sue ceneri nacque, sembra, la civiltà di Sumer, con le sue città-stato.
La leggenda riferita da Berosso parla della fondazione di Sumer da parte di un essere umanoide “metà uomo e metà pesce”, anfibio ed ermafrodito, che doveva tornare nell’acqua a ogni tramonto per non morire. Si chiamava Oannes, e pare che debba essere identificato con Enki, Dio della Sapienza. Di fatto, secondo la leggenda Oannes era stato portatore di civiltà presso i Sumeri, ed era legato all'acqua. La somiglianza è evidente.
A Dilmun invece la prosperità proseguì senza interruzioni fino a quando la caduta della civiltà dell’Indo rovinò gli affari dell’isola, e piano piano, anche a causa del cambiamento del clima, essa fu progressivamente abbandonata, man mano che diventava sempre più arida.
Ma in quel luogo c’era un importante santuario di Enki, ancora e sempre lui, considerato là il Dio principale.
Era davvero lui il serpente dell’Eden? Sembra di sì, dato che pare che fece molto arrabbiare la Dea della Terra, creatrice degli uomini, nel giardino di Dilmun, commettendo una grave trasgressione, per essere poi condannato a subire grandi sofferenze. Pare anche che avesse rapporti incestuosi con le figlie. Si noti che il serpente è anche un simbolo fallico, e il suo culto è associato a culti di fecondità, culti sessuali.
Culti che sicuramente non potevano piacere agli Ebrei. Se poi consideriamo che la religione sumerica prevedeva la presenza di sacerdotesse-prostitute, cioè della prostituzione sacra, allora si capisce ancora meglio perché gli Ebrei dovevano provare non molta simpatia per Enki, ed identificarlo con il serpente “ingannatore”.
Purtroppo non ho particolari della leggenda più dettagliati, né della civiltà di Dilmun.
Ma a questo punto viene da chiedersi: non è forse vero che a questo punto il serpente dell’Eden, anziché essere un nemico dell’uomo, assomiglia molto al povero Prometeo, l’unico Titano buono, che per amore degli uomini gli regalò il fuoco, dando inizio alla civiltà, e per questo fu punito da Zeus, il Dio Supremo?
Dovremmo forse leggere il libro della Genesi non dico in senso completamente rovesciato, ma senz’altro obliquo, o ambiguo?
È possibile inoltre che gli autori ebraici che redassero per la prima volta la Genesi, avessero voluto, come dire, mettere in guardia, o presentare negativamente, un culto che sentivano come rivale, e che avevano conosciuto bene durante il loro lungo soggiorno a Babilonia?
Un Dio della saggezza e della conoscenza che aveva per simbolo il serpente, un Dio astuto e seduttore, che esercitava un notevole carisma sulle folle? Il culto di Enki o Ea, beninteso. O di Oannes, che forse era la stessa cosa.
Perlomeno, penso che non lo si possa escludere.
Dunque, abbiamo visto nel precedente post, che il significato del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male è la spiegazione del semplice fatto che gli uomini sono gli unici esseri sulla Terra simili agli Dei, per il fatto di poter distinguere il bene dal male, il buono dal cattivo.
Sono in grado di fare cioè delle scelte e di essere responsabili.
Le Chiese Cristiane hanno cercato di dare spiegazioni arrampicate sugli specchi, per giustificare Dio e per non far pensare la cosa più immediata e semplice: che l’uomo e la donna, mangiando del frutto, non hanno perso qualcosa, bensì l’hanno guadagnato.
Una delle spiegazioni che ho trovato, era che in realtà la “conoscenza del bene e del male” andava intesa nel senso di “decidere da soli cosa è bene e cosa è male, senza preoccuparsi dei comandamenti di Dio”.
La scacciata dall’Eden, poi, sarebbe stata una metafora per indicare la perdita delle facoltà spirituali di cui erano portatori, e che rendevano i progenitori “senza peccato”.
Ma così non è, perché in nessun punto della Genesi si dice che Adamo ed Eva erano diventati “peccatori”, bensì si dice che “gli si aprirono gli occhi” e che “erano simili a Dio”. L’esatto opposto della perdita di una facoltà.
Ciò che hanno perso, l’hanno perso solo perché poi Dio li ha maledetti per sempre, lui, la donna e il serpente. Hanno perso una cuccia confortevole, non l’anima. Anzi, si può dire che in un certo senso, secondo il senso di “anima” del tempo, essi l’hanno finalmente trovata mentre Dio non voleva questo.
E non ha dato a nessuno di loro tre una possibilità di redenzione, né a loro, né ai loro discendenti. Non c’è nessuna promessa di una salvezza messianica, nessuna speranza di una vita ultraterrena. C’è solo una vita di fatica e dolori che si conclude nel nulla della morte, e tutto perché l’uomo e la donna non hanno voluto rimanere nella loro condizione di servi.
Dio li ha scacciati non perché erano “peccatori”, ma perché non gli servivano più, anzi, erano diventati una minaccia, perché l’uomo era diventato “uno di loro”, per la conoscenza del bene e del male.
Il Signore Dio doveva scacciare Adamo ed Eva dall’Eden, altrimenti avrebbero continuato a mangiare dell’albero della vita, e oltre che intelligenti come “Loro”, sarebbero diventati anche immortali come “Loro”. Loro chi?
Ritorna la questione del plurale: si è detto che il plurale “Elohim” nella Bibbia è molto vago, e si riferisce a un plurale di indefinibilità. Credo che si intenda qualcosa che corrisponda in certo modo all’italiano ai termini astratti e generici, cioè in questo caso significherebbe “la Divinità” anziché “gli Dei”, un termine ambiguo che in italiano può essere usato per riferirsi sia al singolare che al plurale. “la Divinità” può essere inteso sia come “Dio” o anche come “gli Dei”.
Certo, questo può valere quando il plurale è riferito in terza persona…. Ma quando è riferito in prima persona, e indica chiaramente un gruppo di persone?
Il Signore Dio l’ha detto chiaramente “ora l’uomo è come uno di noi per la conoscenza del bene e del male, che non stenda la mano sull’albero della vita e viva per sempre”.
Innanzitutto, attesta che il serpente aveva detto la verità, e lui aveva mentito, e poi fa capire che non c’è solo lui, ma che ci sono altri come lui.
Nel Medio Oriente esistono diversi miti di uomini che rischiano di diventare simili agli Dei, carpendo poteri e conoscenze, e perciò vengono puniti.
Gli Dei sumerici e mesopotamici sono gelosi del loro potere, tengono per sé il segreto della vita, e non lo vogliono condividere con gli uomini, i quali sono destinati a scendere poi nel regno dei morti, il quale viene generalmente dipinto a tinte fosche. Gli Ebrei condividevano all’inizio la stessa concezione dell’aldilà.
Quando Dio maledice l’uomo e la donna, dice alla donna che “moltiplicherà le sue gravidanze e partorirà figli con dolore”, ma dalle sue parole sembra che prima non fosse neanche previsto che dovesse avere figli. Infatti, solo dopo aver mangiato del frutto proibito, suo marito la chiama Eva, perché diventerà la madre dei viventi.
Non c’è dunque neanche l’assicurazione che Adamo ed Eva avrebbero avuto dei figli, nell’Eden, perché quando Dio crea la donna, non dice ai due: “crescete e moltiplicatevi”, come invece ha detto nel primo capitolo.
Qui invece la riproduzione sembra una maledizione, dovuta anche al fatto che l’uomo e la donna non possono più mangiare del frutto della vita come facevano prima, e quindi dovendo invecchiare e morire, devono procurarsi numerosi eredi.
Questo per far capire di nuovo quante contraddizioni, quante ambiguità ha il testo della Genesi.
Eppure di una cosa possiamo essere certi: che quello che vi è narrato non ha nulla a che fare con la teologia cristiana, e il voler giustificare i dogmi delle Chiese cristiane con l’interpretazione della Genesi, è un’operazione indebita e improponibile, in quanto la Genesi c’entra con il Dio cristiano tanto quanto il Budda c’entra con gli Dei dell’Olimpo.
La dottrina del “peccato originale” dimostra l’utilizzo improprio della Genesi da parte del Cristianesimo, e il fondamento stesso della teologia del Cristo, così come viene interpretata dalle Chiese tradizionali.
Tale dottrina è stata introdotta da San Paolo, il vero iniziatore della dottrina cristiana, quello che più ha influenzato, fra i vari apostoli, la formazione della dottrina cristiana.
San Paolo diceva che, come il peccato era entrato nel mondo per colpa di un solo uomo, cioè Adamo (le donne non le considerava per niente, manco si ricorda che è stata Eva la prima a mangiare il frutto proibito), così la redenzione dal peccato era avvenuta per causa di un solo uomo, Cristo.
Ma la teologia ebraica non ha mai detto che esiste qualcosa che si chiama “peccato originale”, e nemmeno i musulmani, perché entrambe le religioni, che non considerano Cristo il Figlio di Dio, dicono che, anche se il mangiare del frutto proibito fu un peccato, non per questo i loro figli e discendenti erano segnati da tale peccato, nascendo anch’essi “senza peccato” come erano nati Adamo ed Eva.
In pratica, ognuno ha i suoi peccati, e ne subisce le conseguenze, ma nessuno ha i peccati dei progenitori, né ne deve seguire le conseguenze.
Perché allora le Chiese Cristiane, solo loro, sono così tenacemente legate a questa dottrina?
Perché se la abbandonassero, sarebbero costrette ad abbandonare anche l’idea della redenzione universale del Cristo.
Cristo diventerebbe un profeta come gli altri, anche se più importante. Il suo sacrificio non sarebbe servito a redimere i peccati del mondo, cioè dei figli di Adamo ed Eva, e tutta la teologia cristiana dovrebbe essere riveduta.
Per questo le Chiese, in particolar modo la Chiesa Cattolica, tenacemente legata alla sua storia dottrinale, non potrebbe mai accettare di leggere la Genesi semplicemente come un mito antico che non ha niente da dire, dal punto di vista religioso, ai cristiani di oggi.
E probabilmente anche a nessun altro.
Il Dio della Genesi, o forse gli Dei, dato che più di una volta abbiamo la sensazione di trovarci a un gruppo di persone, e non a una sola, non ha niente a che vedere con le concezioni di Dio del nostro tempo.
È un Dio egoista e geloso, che non appena si rende conto di non poter utilizzare il proprio servo, lo scaccia dal giardino, nel mondo brullo e ostile di fuori, a cavarsela da solo.
E tutto appare così misterioso, così ambiguo e irrisolto….
Per impedire che Adamo e la sua stirpe rientrino in qualche modo nel suo preziosissimo giardino, Dio pone dei Cherubini a guardia dell’accesso al giardino, “ad oriente”.
Era forse a loro che si rivolgeva quando diceva: “ecco, ora l’uomo è diventato come uno di noi, dobbiamo impedirgli di diventare anche immortale”?
Cosa sono i Cherubini? Secondo la tradizione, essi paiono essere gli Angeli più potenti, più vicini a Dio. Quelli che stanno accanto al suo trono.
Il loro aspetto è spaventoso: hanno quattro ali e quattro volti: uno di uomo, uno di aquila, uno di toro e uno di leone.
Sul loro modello sono stati rappresentati i Quattro Viventi che governano il mondo, e che stanno subito sotto Dio nella gerarchia celeste, o almeno così sembra nelle pagine dell’Apocalisse. Essi sono appunto un leone, un toro, un’aquila e un uomo.
Sul significato di tali immagini ci sono diverse teorie.
E cosa è la “spada infuocata” che loro usano per impedire a chiunque di entrare e ottenere il segreto dell’immortalità?
Comunque, della loro nascita, della loro origine non si dice nulla nella Genesi.
La storia di Lucifero e della sua battaglia nei cieli è nata molto tempo dopo, da tradizioni probabilmente diverse, probabilmente legate anche alla religione zoroastriana.
Lucifero poi è un nome di origine latina.
Gli Angeli dunque restano un’incognita. Forse potrebbero essere stati originariamente gli Elohim compagni di Jahweh, ma immagino che molti respingerebbero questa tesi.
Mi accorgo che anche qui ho tirato in lungo, e non sono stato capace di finire tutto il discorso.
Diciamo però che il “grosso” l’ho elaborato a sufficienza.
Per concludere quindi posso dire che la Genesi va vista appunto non come un testo che possa essere ancora attuale e valido, e nemmeno come una serie di assurde favole, quanto piuttosto come il prodotto di una mitologia antica che ancora non era riuscita a raggiungere una idea di Dio sufficientemente coerente (non che oggi ci siamo riusciti, beninteso).
E che la Genesi va letta in modo molto diverso da come siamo abituati a leggerla, e che vi possiamo trovare particolari misteriosi e ambigui, ma questo non ci dà il diritto di immaginare dietro le parole qualsiasi strampalata dottrina, trovando collegamenti che non esistono con cose assolutamente estranee ad essa.
Ho fatto notare come effettivamente la figura del serpente sia molto misteriosa, e va vista attraverso una comparazione di miti molto vasta. Ma come vedete, sono stato molto cauto. Non mi sono lasciato andare ad audaci ed estrapolate teorie alla Sitchin, per intenderci. Anche se devo dire che Sitchin mi ha suggerito molti spunti, che però ho preso appunto con molta cautela.
Deve rimanere fermo lo studio delle epoche remote a cui tali testi appartengono, uno studio scientifico.
Chi ha orecchie da intendere, intenda.

 
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Il mito della Genesi: quarta parte

Post n°216 pubblicato il 06 Marzo 2010 da Terpetrus
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Passiamo ora al capitolo 3 della Genesi. In questo capitolo si conclude veramente la vicenda iniziale, ciò che ha fatto sì che il mondo e l’uomo avessero una determinata struttura e determinate leggi naturali.
Poiché è questo il senso di ogni mito delle origini: far capire, in un modo immaginifico, perché la vita umana e la vita dell’universo sono regolati da determinate leggi, far capire che sono iniziate all’origine e che non è possibile modificarle. Lo fa poi in un modo che se ne infischia dei nostri concetti moderni di “giusto” o “sbagliato”, di “coerente” e “contraddittorio”, in quanto proviene da culture che hanno concetti completamente diversi dal nostro, non basati su un’organizzazione razionale della vita umana e della conoscenza, ma su presupposti diversi.
Vediamo dunque cosa ci dice la Genesi al riguardo:

Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio.
Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: non dovete mangiare di nessun albero del giardino?».
Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete».
Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».
Allora vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò.
Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi;
intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino.
Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?».
Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».
Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?».
Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato».
Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?».
Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita.

Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».
Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà».
All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre.
Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!».
L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi.
Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì.

Il Signore Dio disse allora: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male.
Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!».
Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto.
Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita.

Così si conclude la storia della Creazione e del giardino dell’Eden, e comincia la storia dell’uomo così come lo conosciamo.
Infatti, nella frase iniziale del quarto capitolo, si dice subito che Adamo si unì ad Eva e generò Caino.
Se analizziamo i versetti del terzo capitolo, se li leggiamo con attenzione come se li leggessimo per la prima volta, ci accorgiamo di una serie di fatti sconcertanti, a tal punto che ci si domanda come sia stato possibile, per tanti secoli, che nessuno facesse caso a quello che vi è scritto.
Il serpente viene definito “il più astuto delle bestie selvatiche”. Non si sa perché. Perché il serpente dovrebbe essere ritenuto particolarmente astuto?
Di fatto, il serpente è una bestia che, più che strisciare senza farsi notare, non fa. Non emette nemmeno suoni. Tanto è vero che è anche sordo. Di fatto, è il prodotto di un’involuzione da rettili più evoluti, ma ovviamente gli Ebrei e i Mesopotamici non potevano saperlo. Ma si saranno pure accorti che il serpente non appare certo brillante come un cane, un lupo, un gatto o una volpe, anche loro considerati animali astuti e intelligenti dagli antichi, come dai moderni.
Da dove è venuta l’idea che il serpente sia una bestia astuta, quando di fatto non lo è?
Eppure nella vicenda della Genesi, è l’unico animale che sembra avere il potere di parlare.
Non si spiega neanche che tipo di serpente sia, il che può apparire strano, dato che anche nell’antico Medio Oriente si sapeva benissimo che esistono diverse specie di serpenti.
Abbiamo visto poi nel primo capitolo che essi sono considerati un genere a parte, come se avessero qualcosa di speciale. Forse perché assomigliavano in parte a qualcosa o qualcuno di cui qui sono diventati un simbolo, un nascosto riferimento?
Forse, fatto sta che, per quanto strano, il serpente della Genesi è semplicemente un serpente.
Non è Lucifero, in quanto viene detto a chiare lettere: è una delle bestie di Dio, la più astuta.
E ribadisco: la più astuta, non la più malvagia.
Ciò che lo caratterizza è l’intelligenza, non la malvagità.
E cosa fa, il serpente? Chiese alla donna una domanda che più o meno suona così: «Senti, bella… ma è vero quello che ho sentito dire, che il Signor Dio, oltre a farvi coltivare e custodire il giardino, vi proibisce di cogliere i frutti degli alberi?»
La donna, che non si chiama ancora Eva, e poi vedremo il perché, risponde qualcosa del tipo: «Ma no, figurati! Possiamo mangiare tutti i frutti che vogliamo, di qualsiasi specie. A parte quelli dell’albero che sta proprio in mezzo al giardino, che si chiamano “frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male”. Di quello ci ha detto: “non mangiate e non toccate quella roba! È veleno! È cacca! Ha detto che se mangiamo, moriamo sul colpo! Perché si tenga un albero dai frutti velenosi proprio non lo so… fatti suoi!».
Il serpente, che forse voleva essere sicuro di come erano messe le cose, o forse le sapeva già e stava solo cercando un pretesto per portare la donna dove voleva lui, le dice qualcosa del tipo: «Seeee… e tu credici, bella! Non ti accorgi che ti sta intortando? Non è per niente velenoso, ti ha mentito! Mentito spudoratamente! E sai perché? Perché non vuole che diventiate come lui, intelligenti e consapevoli come lui, in grado di distinguere fra bene e male, giusto e sbagliato…. Insomma, di fare le vostre scelte e sapere perché le fate. Vuole tenervi nell’ignoranza!».
La donna non si pone il problema di come il serpente sappia questo. Come fa a esserne sicuro? Lui è solo un animale, no? Eppure è l’unico animale che sentiamo parlare nella Genesi e la sa anche più lunga della donna e dell’uomo… la sa lunga quanto il Signor Dio, o i Signori Dei.
Così la donna gli dà ascolto, si accorge che il frutto è bello da vedere e buono da mangiare, e sì, vuole sapere, vuole conoscere… qualche maligno direbbe che le donne sono sempre curiose. In realtà, da quel che sembra, è assetata di conoscenza.
E lo strano è che non ha paura! Manco si pone il problema se magari il serpente sia lui a mentire, e non invece Dio. Perché se il serpente ha ragione, allora lei potrà diventare come Dio, con una mente pari alla mente divina, mentre se invece è il serpente a mentire, lei morirà… e non ha alcun modo per sapere se è vero.
Manco dice al serpente: “prova tu a mangiare per primo, così sono sicura che non mi vuoi ammazzare!”. Chissà, forse sapeva che il serpente l’aveva già mangiato anche lui, il frutto, e perciò era diventato tanto astuto e intelligente.
Forse, la verità è che non vedeva l’ora di fare le scarpe a Dio…..
La donna quindi ne mangia e lo dà al marito, il quale fa ciò che faranno tutti i mariti di questo mondo, in tutta la storia: fa quello che gli dice di fare la moglie!
Non si capisce se, nel suo caso, sia un folle e sventato coraggio, come nel caso della moglie, e non piuttosto una stolida ossequienza alla supremazia muliebre.
Mangiano del frutto, che non si sa cosa sia, anzi probabilmente non è nessuno degli alberi esistenti, anche se forse un certo frutto tropicale dell’isola di Dilmun può averlo ispirato, e per prima cosa “gli si aprono gli occhi”, cioè diventano consapevoli, mentre prima non lo erano.
La loro nuova autoconsapevolezza, la loro capacità di distinguere fra giusto e sbagliato, fra buono e cattivo, fa capire loro che non è bene che siano nudi.
Evidentemente, il pudore fisico era considerato una delle basi del vivere civile, a quel tempo.
Essi non sono più come animali o selvaggi, cominciano ad essere persone che agiscono e pensano autonomamente e non seguendo ordini, come automi o animali domestici.
Sono d’accordo sulla possibilità che l’albero della conoscenza possa essere il fico, dato che Adamo ed Eva per prima cosa si fanno dei vestiti improvvisati di foglie di fico. Tuttavia, penso che sarebbe opportuno analizzare prima il significato dell’albero di fico nell’antica cultura mesopotamica, se ne aveva uno.
Di fatto, assieme al dattero, doveva essere uno degli alberi da frutto più comuni, tant’è vero che compare anche in uno dei Vangeli, come protagonista di una parabola di Gesù.
Poi avviene il patatrac: il Signor Dio si sta facendo una passeggiata ristoratrice nel giardino, godendosi la brezza diurna. Beh, è il suo giardino, no? E i signori potenti e nobili si fanno sempre le loro passeggiatine nei loro parchi personali…. E magari vogliono incontrare i giardinieri e sapere se stanno facendo bene il loro lavoro….
Apriti cielo! Il giardiniere e la sua spalla, sua moglie, hanno fatto proprio la cosa che gli aveva tanto proibito di fare.
Inutili le minacce di morte, il dire: “non farlo, o crepi all’istante! Te lo sei messo in testa bene???”.
Come è stato possibile?
Eh…. Ci si è messo uno che, a dire il vero, appare più furbo di lui.. Qualcuno che evidentemente non aveva piacere che il Signor Dio trattasse Adamo ed Eva come due servi, tenendoli nell’ignoranza, impedendogli di fare le loro scelte di vita.
Perché di fatto, leggendo il racconto nudo e crudo, è questa l’impressione che se ne ha.
E il Signor Dio s’in….. kavola a morte! E scaglia una maledizione per ognuno dei tre colpevoli, in ordine di misfatto.
Certo, Adamo ed Eva sono bravi a fare gli scaricabarile!
Soprattutto Adamo, ci fa la figura peggiore! Prima fa la parte del marito grullo che fa quello che la moglie gli dice di fare senza neanche discutere, poi quando gli si chiede perché lo ha fatto, lui si giustifica scaricando la colpa non solo sulla donna, ma sul Signor Dio stesso!
“La donna che TU mi hai messo accanto mi ha detto di mangiare del frutto….”. Come dire: “se tu non mi avessi dato quella mascalzona come mio braccio destro, mi sarei comportato bene! Prenditela con lei o con te stesso! Ma non con me!”
Molto coraggioso, eh?
Ma lei adesso non si dimostra molto meglio: mentre prima aveva dimostrato un coraggio da incosciente, forse dovuto al fatto che NON aveva ancora mangiato il frutto, e quindi era molto meno consapevole delle corbellerie che faceva, ora invece inventa delle scuse in cui sicuramente non crede lei stessa, infatti dice: “il serpente mi ha ingannata….”. Sicuro che ti ha ingannata, bella? Non hai ottenuto ciò che volevi? Volevi essere uguale a Dio, uguale nella conoscenza del bene e del male…. Non ti eri resa conto che magari il Signor Dio avrebbe trovato da ridire, dato che te l’aveva fatto chiaramente capire, anche se raccontando delle balle?
Comunque, per prima cosa Dio maledice il serpente, e gli dice quale sarà il suo destino, il destino di tutti i serpenti: strisciare la terra, mangiare la polvere, essere odiato e maledetto da tutti gli uomini e le donne, essere un pericolo per tutti loro, perché nell’erba e nascosto tra le rocce, azzannerà il calcagno dei figli di Eva, avvelenandoli. Come dire: hai voluto rendere l’uomo e la donna i miei nemici, i miei avversari, e renderli tuoi alleati per i tuoi oscuri scopi, ma io faccio in modo che tu diventi per sempre il loro nemico, e che tu gli dia il veleno veramente, e non solo per minaccia, come facevo io.
Il serpente diventa ciò che è ora, dunque.
Questo mito non è diverso dal mito dei Tre Giorni della Merla, che spiega perché i merli sono diventati tutti neri: perché prima erano tutti quanti bianchi, ma un giorno, negli ultimi tre giorni di gennaio una merla si rifugiò in un caminetto del Polesine per ripararsi dal gran freddo e ci rimase per tutti i tre giorni. Alla fine dei tre giorni, lei uscì ma era diventata nera. E così poi tutti i merli divennero neri.
Il mito spiega e giustifica il perché delle cose. I serpenti sono nemici dell’uomo perché il loro antenato ha cercato di metterli contro Dio.
Meglio stargli lontani…. Qualsiasi cosa si intenda per “serpenti”.
E nelle religioni del tempo i serpenti erano molto comuni, come simboli e come oggetto di culto, e a quel punto devo fare un intermezzo riguardo altri miti e altre divinità.
Ho già detto nei precedenti post che il serpente è simbolo dei fiumi, delle acque sotterranee che sgorgano dalla terra. È anche simbolo di sapienza, come in questo caso.
In moltissime parti del mondo, praticamente in tutte le antiche civiltà, il serpente, o il drago, occupa un posto importantissimo, e non è affatto simbolo di malvagità, ma di fecondità, di saggezza, di progresso e di crescita, e anche di vita eterna, perché il serpente cambia la pelle e si rinnova.
Ovunque compaiono Dei-Serpente regolarmente associati al sottosuolo e all’acqua, a volte al cielo, come nel caso di Quetzalcoatl, e si trovano perciò associati anche ai numerosi Dei-Pesci che compaiono del pari dappertutto, esseri ugualmente portatori di saggezza e di prosperità, fondamentalmente benevoli.
Gli Oannes sumerici, i Naga indiani, Dagon il Dio-Pesce dei Filistei, i Telchini e i Tritoni della Grecia, Cecrops l’uomo-serpente fondatore di Atene, i Kappas giapponesi, gli uomini-pesce delle leggende precolombiane sia messicane che peruviane, la fata Melusina, il Dio Enki dei Sumeri e il Dio Quetzalcoatl dei Maya, i Nommo dei Dogons, appaiono tutti come misteriosamente collegati tra loro.
E il serpente della Genesi è del pari loro parente.
Ma come è possibile questo?
Ritorniamo dunque alla fonte del mito.
Ritorniamo in Mesopotamia, nell’antica Sumeria e nell’antico archetipo dell’Eden: la terra di Dilmun, nel Golfo Persico.
Ma qui mi interrompo, accorgendomi che non sono stato capace di esaurire le analisi del racconto della Genesi.
Sperando di riuscirci nel prossimo post.

 
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Il mito della Genesi: terza parte

Post n°215 pubblicato il 04 Marzo 2010 da Terpetrus
Foto di Terpetrus

Dopo aver analizzato il primo libro della Genesi, proverò ad analizzare il secondo, per capire come prosegue il racconto della Creazione.
I versetti del secondo capitolo dicono:

Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere.
Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro.
Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto.
Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.
Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo.
Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo, e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato.

Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi.
Il primo fiume si chiamava Pison: esso scorre tutto intorno al paese di Avila, dove c’è l’oro, e l’oro di quella terra è fine; qui c’è anche la resina odorosa e la pietra d’onice.
Il secondo fiume si chiama Gihon: esso scorre intorno a tutto il paese d’Etiopia.
Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur.
Il quarto fiume è l’Eufrate.
Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.

Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti».
E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile».
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome.
Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.
Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto.
Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.

Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e ossa dalle mie ossa.
La si chiamerà donna (ishà), perché dall’uomo (ish) è stata tolta».
Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.
Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.


Questo è il capitolo 2 della Genesi, e se il primo capitolo appariva problematico, qua si apre una voragine, perché di fatto il secondo capitolo dice cose che sono assolutamente in contrasto con il primo.
Infatti, se notate, viene detto all’inizio del secondo capitolo che, una volta che Dio ha creato il cielo e la terra, essa è un vero e proprio deserto dove non piove e non cresce nulla. Non ci sono né piante, né animali, né uomini.
Nel primo capitolo invece abbiamo assistito alla creazione di tutte le forme di vita, uomo compreso, sia esso concepito come individuo ermafrodito, come ipotizza Ariel, o come insieme di individui maschi e femmine. E non si parla di nessun costola di Adamo….
Ora invece lo svolgersi della Creazione appare completamente diverso. La terra è un deserto, e anche il cielo, che non ha uccelli.
Dio pensa bene allora di piantare un giardino in un non ben identificato paese chiamato Eden, e fa scaturire dal suolo un fiume per irrigarlo, che poi si divide in altri quattro fiumi. Due si sa benissimo quali sono, altri due invece sembrano fiumi mitici, dato che uno passa per un paese chiamato Avila, che non è ben chiaro dove sia, e l’altro gira addirittura attorno all’Etiopia, che è in un altro continente, almeno secondo i concetti attuali. Chiaramente la cosa non è possibile, quindi l’ubicazione dell’Eden, in base a questi dati, è puramente mitica e rende pressoché impossibile stabilirla con certezza.
Si suppone che il giardino dell’Eden abbia il suo prototipo nell’isola mitica di Dilmun, secondo la mitologia sumerica, posta presumibilmente nel Golfo Persico, dove poi pare che ci sia un’isola, ora molto arida, ma che a quel tempo doveva essere rigogliosa, dove sono state trovate delle rovine e delle tombe sumeriche, per cui Dilmun non sarebbe soltanto un luogo mitico, ma una splendida isola oceanica. Niente di strano: da sempre le isole dei Mari del Sud sono state spesso identificate con l’Eden o quello che più gli si avvicina al mondo.
Comunque, il Signor Dio, che appare molto più antropomorfo nel secondo capitolo che nel primo, sembra essere un gran lavoratore e uno non che se ne sta in cielo, ma che vuole vivere e lavorare su questa terra.
Infatti, mentre Elohim, (sia esso Dio o gli Dei nel loro insieme) nel primo capitolo, creava l’universo apparentemente solo pronunciando delle parole, il Signor Dio del secondo capitolo, che è di fonte jahwista e quindi suppongo che venga nominato con il nome di Jahweh e non di Elohim, si vede che “fabbrica” le cose con le sue mani, e si comporta come un agricoltore che vuole bonificare e coltivare il deserto.
Infatti all’inizio del capitolo si dice: “non c’era ancora nessuno che scavasse canali per irrigare il suolo”.
Un simile scenario dà l’idea che questo racconto si riferisca a una terra dove la gente doveva appunto scavare canali che portavano acqua dai fiumi per irrigare un suolo arido, dove non pioveva mai o quasi mai, come per esempio avveniva in Egitto e in Mesopotamia.
Poi il Signore Dio si accorge che ha bisogno di un servitore, uno schiavo per coltivare e custodire il giardino, che è di sua proprietà, esattamente come un potente signore terriero affida a braccianti la sua terra oppure vi mette degli schiavi per coltivarla.
Questo Dio antropomorfo fabbrica l’uomo dalla polvere della terra, e soffia nelle narici per dargli vita.
Ora, la tradizione cristiana dice che con l’atto del soffio nelle narici, Dio avrebbe dato all’uomo l’anima spirituale, che lo differenziava dagli animali.
Ma è un errore pensare così, perché a quel tempo non c’era l’idea dell’anima come principio spirituale separato dal corpo, né c’era la distinzione e contrapposizione fra anima e corpo, che sarebbe invece iniziata con i Greci, tramite le religioni misteriche e la filosofia platonica.
Per gli antichi Ebrei, l’anima era semplicemente il principio vitale che dava vitalità e movimento agli esseri corporei, fossero essi animali o uomini.
Ma in ogni caso poi, vediamo che mentre nel primo capitolo Dio o gli Dei hanno creato l’uomo semplicemente per popolare la terra e dominarla, nel secondo capitolo invece risulta che Dio ha creato l’uomo per fargli da fedele servitore.
Dio crea così l’uomo, ma si rende conto che non basta. Un servitore solo non basta per coltivare e custodire tutto il giardino, quindi gli fa un aiuto.
E solo allora Egli crea tutti gli animali terrestri e celesti, nello stesso modo in cui ha creato l’uomo, cioè traendoli dalla polvere del suolo.
Ma come… non li aveva già creati nel precedente capitolo?
E poi, nel capitolo primo risulta che prima furono creati i pesci e gli uccelli, poi le bestie della terra, e infine l’uomo.
Qui invece vediamo che l’uomo è il primo di tutti gli esseri viventi creati sulla terra, e i pesci non vengono neanche nominati, così come non si parla dei rettili come di una categoria separata, come nel primo capitolo.
Bastano già queste contraddizioni, per capire che appunto il primo e il secondo capitolo hanno una fonte mitica diversa, e nascono da due racconti diversi della Creazione, che sono stati malamente fusi insieme.
Dico “malamente” perché agli occhi di un lettore smaliziato, essi appaiono semplicemente un unico racconto contraddittorio, mentre invece vanno visti come due racconti diversi, che parlano di cose diverse e hanno, secondo me, persino protagonisti diversi.
Il Dio e l’uomo del primo capitolo non sono gli stessi Dio e uomo del secondo.
Si tratta di due diversi miti.
A questo punto, ritengo necessario dire cosa ho trovato a livello di ricerca storica su Internet.
Si sa che la prima redazione del Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia, che ne costituiscono la base originaria, risale circa al V o VI secolo a. C. e corrisponderebbe al ritorno degli Ebrei dalla deportazione di Babilonia.
Babilonia era una città semitica in cui gran parte della cultura e della religione derivava dagli antichi Sumeri, esattamente come a Roma gran parte della religione e della cultura derivava dagli Elleni.
I Sumeri erano stati la fonte della civilizzazione in Mesopotamia, e quando gli Ebrei erano stati deportati a Babilonia, la grande capitale della Mesopotamia, avevano anch’essi assorbito parte della cultura mesopotamica nella loro cultura.
Per questo, tutte le strane somiglianze fra la mitologia della Genesi e quella sumerica e assiro-babilonese, che deriva in parte dalla prima.
La stessa leggenda di Abramo, che sarebbe venuto da Ur in Sumeria fino alla Palestina, potrebbe essere una prefigurazione del ritorno dell’esilio a Babilonia.
E probabilmente deriva anche dalla deportazione di Babilonia l’idea di un Dio che fa lavorare l’uomo nel suo giardino in mezzo al deserto, irrigato da un fiume che, guarda caso, si divide poi in quattro fiumi di cui due sono proprio quelli mesopotamici.
O forse, anche il ricordo ancora più antico del tempo in cui, prima di Mosé, gli antenati degli Ebrei vivevano in Egitto.
Fatto sta che mentre il secondo capitolo è di tradizione jahwista, ed è imparentato di più con la mitologia babilonese, il primo capitolo deve venire da un’altra fonte mitica, simile ma comunque diversa.
Forse in parte egiziana, perché ho notato una strana somiglianza fra il primo capitolo della Genesi e certi aspetti del mito cosmogonico egiziano della città sacra di Heliopolis.
Una delle traduzioni antiche della Bibbia, la Vulgata, dice che lo Spirito di Dio “covava” sulle acque, come se fosse un uccello.
Nel mito egiziano, all’origine dell’universo c’è solo il Nun, che è uguale all’Apsu mesopotamico, e in esso compare l’uccello Bennu, la Fenice, che con il suo canto crea la luce e fa emergere un’isola dall’oceano buio, da cui poi emergerà l’Egitto e la terra intera, mentre sul luogo dell’isola sorgerà Heliopolis, città sacra alla Fenice.
Questa è solo una mia ipotesi, beninteso.
Nel giardino c’è ogni specie di albero di frutto. In pratica sembra essere un grande frutteto, e fra questi c’è anche l’Albero della Vita, di cui si parla nelle leggende mesopotamiche, per esempio nell’Epopea di Gilgamesh, poema sumero che parla del Re di Uruk, che cerca la pianta che può tenere indietro la vecchiaia.
L’uomo non è immortale, ma può mangiare dell’albero della vita e vivere per sempre. Se non fosse mortale, non avrebbe bisogno di mangiare il frutto dell’albero della vita, per diventarlo.
Probabilmente, però, dovrebbe continuare a mangiarne per sempre, per mantenersi eternamente giovane. Ma il testo biblico non è chiaro.
Quello che invece non deve mangiare, è il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male.
Perché? Dio dice all’uomo che, se lo fa, sicuramente morirà.
Cosa intendeva dire Dio con questo? Che l’uomo sarebbe “morto” spiritualmente? No di certo. Simili concetti al tempo non esistevano.
Che sarebbe diventato mortale? No di certo, abbiamo visto che non c’è nessun motivo per pensare che l’uomo fosse immortale al tempo. Semplicemente, poteva usufruire dell’albero della vita, che respingeva la morte e serviva da elisir di lunga vita.
E allora cosa? Semplicemente, bisogna dedurne la cosa più semplice: che Dio intendeva dire proprio questo. Se mangi il frutto, muori!
Però sappiamo bene che il frutto non era velenoso, anzi. E l’uomo non è morto, né sua moglie.
E allora perché Dio dice che se mangia il frutto, muore? Ha mentito dunque? E ha mentito semplicemente perché così credeva di poter spaventare abbastanza l’uomo da tenerlo lontano da quel frutto che non voleva assolutamente che mangiasse?
Certo allora che questo Signor Dio non ci fa una bella figura….. crea un giardino nel deserto, e sembra che sia quello il fine di tutto, dato che crea l’uomo non per popolare la terra, ma per lavorargliela, e per aiutarlo a lavorare meglio crea gli animali, poi si accorge che non serve a molto perché l’uomo non li ritiene dei validi aiuti e gli crea la donna. Probabilmente voleva che poi figliassero in modo da avere tanti servitori che gli lavoravano il giardino.... E poi cosa fa? Per impedire loro di fare qualcosa che lui non vuole, li spaventa con minacce di morte. Un po’ come un padre o una madre direbbe al figlio: “non andare nel bosco, o le vipere ti saltano addosso e tu muori avvelenato”!
In questo caso però è un padrone che minaccia i servi che lui ha portato alla vita solo per servirlo, non certo per fare loro dei regali. E non per servirlo in cielo, ma qui sulla terra, dove sembra che viva anche lui, altrimenti non si capirebbe perché ha voluto piantare un giardino nel deserto, facendone scaturire ben quattro fiumi.
Da notare che il Dio della Genesi, sia nel primo che nel secondo capitolo, non ha una locazione precisa. Non pone la sua sede "nel cielo", e non si capisce bene dove voglia vivere, o se davvero vive in un luogo, pur essendo un essere, o più esseri, antropomorfi.
Per finire, vediamo che viene fatto notare che l’uomo e la donna erano nudi, ma che non provavano vergogna di questo.
Chi è che non prova normalmente vergogna di essere nudo? In genere, due categorie di esseri: gli animali, e i selvaggi.
Sembrerebbe che il significato della loro condizione prima di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, sia proprio questo. Non si vergognavano perché erano persone senza consapevolezza, senza conoscenza, come i selvaggi e le bestie del bosco.
In pratica, detto così non sembra tanto un segno di innocenza perduta, quanto piuttosto il fatto che alla coppia di progenitori mancasse qualcosa di fondamentale per diventare esseri umani compiuti.
La loro condizione dunque appare ambigua: è una benedizione, o una situazione di incompletezza?
Il Signor Dio appare troppo una figura ambigua per poterlo capire chiaramente.
Mi interrompo qui, e nel prossimo post vedremo la conclusione della vicenda.

 
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