Creato da thefairyround il 30/12/2005

The Fairy Round

Il diario di una rapsodica psico-musicista

 

 

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Pane, famiglia e università (con coincidenze qua e là)

Post n°116 pubblicato il 24 Settembre 2006 da thefairyround
Foto di thefairyround

Ho fatto il pane questa mattina. Non con la macchina per il pane, ma proprio a mano, cuocendolo in forno.
Visto che non ho certo un forno a legno in cucina, ho fatto il “soda bread” irlandese che viene benissimo anche nel forno di casa. E regala un bel profumo di pane appena sformato, che trasmette un senso “di casa”.
Forse vale solo per me, ma ci sono profumi, colori, suoni che più di altri mi danno l’idea di casa, una casa accogliente, un nido.
Ho fatto il pane perché sono un paio di giorni che mi sento un po’ “così”.
So che è “fuori ruolo”. Io sono quella che sorride sempre.
Però i pensieri vengono anche a me.
Fortuna che ci sono le strategie compensative. Suonare la viola. Fare il pane.
Siccome tirando fuori la viola mi si è rotta davanti agli occhi la corda centrale (il do – tra l’altro costa un fracco ‘sta corda… porca paletta)… l’ho interpretato come un segno e ho ripiegato sul pane.
Tutta questa mia atipica melanconia è nata in realtà da una cosa molto bella.
Venerdì ho inizio le lezioni. Nuova sede universitaria, nuovo corso, nuovi studenti.
Ricordando il mio primissimo corso (anni fa…), quando venivo puntualmente scambiata per una studentessa (e buttata fuori da tutti gli uffici), tanto che avevo dovuto studiare uno stile di abbigliamento ispirato a Mary Poppins con un tocco della signorina Rottermaier, e, siccome spesso non bastava, entravo negli uffici urlando – modello tenente dei Marines – “Psicologia Generale”… temevo (continuando a dimostrare meno anni di quelli che ho) lotte per veder riconosciuto non dico il ruolo (di cui me ne frega una pippa) ma la competenza rispetto al mio lavoro.
Invece…. Mi sono ritrovata in una specie di paradiso terrestre.
La nuova sede è molto piccola, in una cittadina molto piccola (per arrivare materialmente all’università mi sono ritrovata praticamente a camminare tra i campi di granturco, i canali e i passeggini a livello in mezzo all’erba. Mi sembrava di essere stata teletrasportata in “Fratello dive sei?”) – e l’ambiente splendido.
Vado in segreteria didattica per le faccende burocratiche. Tutte le segretarie si presentano, ci si dà del tu con grandi sorrisi. Dopo di che chiudono la segreteria e mi portano al bar per offrirmi un caffè di benvenuto e farmi vedere un po’ la sede. No, dico, vi rendete conto?
Vado in biblioteca…. Un’atmosfera bellissima, tranquilla. Con tanti sorrisi. (Da noi i bibliotecari sono talmente stressati dalla folla che se non stai attento ti mordono o ti sospendono al tessera all’infinito). Mi sono trovata a chiacchierare di libri e di psicologia con il responsabile, il quale mi ha anche detto. “Qualsiasi libro tu voglia basta che me lo dici. Lo ordiniamo subito”. Una frase del genere potrebbe far scattare in me (amante dei libri più di un topo di soffitta) deliri di onnipotenza peggio dell’abuso di sostanze stupefacenti!
E poi… di solito queste trasferte sono caratterizzate da pranzi solitari, al massimo in compagnia di un libro. Invece qui, siccome ormai conoscevo tutto il personale amministrativo e tutti i bibliotecari, ho allegramente mangiato in compagnia, parlando di musica e psicologia.
Anche gli studenti sono carini.
Poveretti… Credo che all’inizio fossero un po’ traumatizzati. Mi vedevano giovane (glielo leggevo negli occhi)… E poi… si aspettavano una lezione tradizionale, erano pronti a prendere diligentemente appunti.
E io ho iniziato a fargli vedere vignette ironiche sugli psicologi. Abbiamo simulato un incidente giocando agli investigatori, abbiamo disegnato, mimato, riso (e incredibilmente nel contempo ho anche passato delle nozioni di psicologia della comunicazione…).
Devo dire che dopo lo choc iniziale mi hanno seguito bene, e alla fine parevano contenti…
E allora perché dopo questo inizio alla grande sono tornata a casa modello girasole appassito?
Un po’ la stanchezza, forse.
Un po’ anche il fatto che questo ambiente famigliare mi ha fatto sentire un po’ la mancanza di un ambiente famigliare “mio” con cui condividere questa come mille altre cose.
Ma poi ho fatto il pane… E ho pensato che la vita non possiamo scegliercela noi (almeno non del tutto). E bisogna ricavare il meglio da ciò che abbiamo. E io sono già fortunata così.
E per concludere con un sorriso… Ricordate il libro sulla sincronicità del post 114?
L’inizio del nuovo corso è stato marcato da tantissimi eventi sincronici.
Una delle bibliotecarie veniva proprio dalla Val Camonica dove quest’anno ho tenuto con Ale quel bellissimo corso di cui al post 113.
A pranzo scopro che una delle mie compagne di pranzo era appena andata a sentire un concerto di musica barocca, che le era piaciuto molto… e il brano che meglio ricordava è quello che sto studiando in questi giorni (corde permettendo).
Sempre a pranzo nel tavolo accanto due ragazzi paravano di tecniche di regia, per poi passare a palare di Lynch… argomento già oggetto di sincronicità durante il corso di cui sopra. La sincronicità nella sincronicità….
Ciliegina sulla torta… mentre scrivevo questo post mi arriva un sms da una persona a cui voglio molto bene che voleva sapere se mi erano passati i brutti pensieri. Rispondo che va meglio perché ho fatto il pane. E a sua volta risponde: “Incredibile! Io sono in coda dal fornaio a prendere il pane. Ho sentito il profumo del pane e ho pensato di chiederti come stavi…”.
Mi fermo qui…
La volte la ricetta del pane irlandese? 
(è buono anche quando si è di ottimo umore comunque!)

B.

 
 
 
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...grazie Ale! ;-)

 

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