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Rispa

Post n°2035 pubblicato il 10 Febbraio 2017 da namy0000
 

“All’interno anche delle famiglie più sventurate può brillare la luce della tenerezza e della dolcezza. Rispa, in ebraico “brace”, nella Bibbia, nel Secondo Libro di Samuele, una sposa secondaria (“concubina”) del re d’Israele Saul, aveva avuto da Saul due figli di nome Armonî e Merib-Baal. Morto in battaglia il re, asceso al trono il suo avversario Davide, la storia di questa donna  che, tra l’altro, in passato aveva subìto violenza dal comandante dell’esercito di Saul, il generale Abner, aveva avuto un’ulteriore svolta tragica. Il nuovo re Davide, per placare una popolazione perseguitata dal suo predecessore, gli abitanti della città di Gabaon, aveva deciso di consegnare loro il resto della famiglia di Saul, cioè cinque nipoti (figli di sua figlia Merab) e i due figli di Rispa. I Gabaoniti li impiccarono tutti e sette su un colle, in estate, quando iniziava la mietitura. In questo scenario macabro, elevato quasi a truce monito e a segno di vedetta, avanza lei, la madre, Rispa. Sale su quella collina, recando con sé solo un telo di sacco, lo distende sulla roccia pianeggiante della vetta ove si lavavano i pali degli impiccati, trasformandola nel suo letto. Inizia, così, una veglia, prima sotto il sole cocente dell’estate e, poi, quando subentra l’autunno, rimane immobile anche sotto le prime piogge. In ogni momento, si legge nel racconto biblico, ‹‹essa non permise agli uccelli del cielo di posarsi su di loro (i cadaveri) di giorno e alle bestie selvatiche di accostarsi di notte››. Questo atto di affetto materno genera a sua volta un gesto di compassione: Davide, commosso per l’atteggiamento di Rispa, fa raccogliere quegli scheletri martoriati e scarnificati e li depone accanto alle salme di loro padre Saul e del loro fratellastro Gionata nella tomba di famiglia, nel territorio della tribù di Beniamino di cui era originario il primo sventurato re d’Israele. La presenza statuaria di Rispa su quel colle, mentre scaccia gli uccelli rapaci e le bestie selvatiche, diventa l’emblema di tutte le madri che vegliano sui loro figli, sulle loro vicende spesso drammatiche, senza perdere mai il calore del loro amore...” (Gianfranco Ravasi, FC n. 5 del 31 genn. 2016).

 
 
 
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