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Va fermata
Post n°3072 pubblicato il 01 Luglio 2019 da namy0000
Va fermata al più presto questa strage degli innocenti Se i genitori non sono in grado di amare i figli, se ne deve fare carico la comunità attraverso i servizi territoriali La scorsa settimana, una bimba di 8 mesi e una di 2 anni, a distanza di poche ore, sono morte per le violenze subìte in famiglia. La loro storia si aggiunge ad altre – atroci – che la cronaca ha già raccontato: dalla periferia di Napoli a quella di Milano, da Cassino a Novara, quasi una decina di casi solo negli ultimi sei mesi. In un accesso di rabbia, sotto l’effetto di droghe, incapaci di tollerarne il pianto protratto, delusi da una vita che appare senza sbocchi, alcuni adulti scaricano tutto sul corpo dei loro figli, piccoli martiri, che muoiono senza colpa, diventando i “punching ball” di persone incapaci di vivere la genitorialità con la responsabilità e l’affetto che dovrebbero invece esserne i pre-requisiti essenziali. Si tratta di nuclei famigliari in cui manca tutto: non ci sono soldi, non c’è lavoro, non c’è una coppia in grado di far fronte al grande stress che la nascita di un bambino porta con sé. Sì, perché un neonato è gioia e meraviglia, ma anche fatica e ansia. Saper affrontare tutto questo implica che gli adulti abbiano costruito il loro progetto di vita, la loro convivenza, la loro generatività su poche e fondate certezze: la stabilità economica e lavorativa, la stabilità emotiva e affettiva. E poi c’è la famiglia allargata, i nonni in particolare, che possono fungere da ammortizzatori sociali e da sostegno emotivo, mettendo “pezze” laddove necessario, ri-aggiustando tutto, evitando che il peggio accada. Nelle storie che la cronaca ci ha raccontato tutto questo manca. Perciò i genitori si trovano in balìa della loro incompetenza, della loro intolleranza alla frustrazione, della loro dipendenza da droghe, della loro rabbia, che diventa violenza agita. La salvezza in questi casi può arrivare solo dalla rete dei servizi territoriali, che devono essere capaci e attrezzati per identificare il rischio relazionale precoce, per dare sostegno alle fragilità di famiglie isolate, “emotivamente vulnerabili” e sguarnite di tutto. Bisogna identificarle subito queste famiglie, già nel reparto di ostetricia e poi sviluppare un progetto di assistenza ed educazione domiciliare, con monitoraggi sistematici finalizzati a tutelare la salute e il benessere del minore. Nelle storie di cronaca che ci hanno straziato il cuore questo probabilmente è mancato. Ed è stato peggiorato dalla tossicodipendenza, la cui diffusione è sempre più epidemica proprio laddove è maggiore il disagio sociale. I bambini non possono chiedere aiuto. Devono essere amati e protetti. Se non ci riescono i genitori, ci deve riuscire la comunità in cui nascono e crescono. Per crescere un bambino ci vuole un villaggio. Non lo dimentichino i politici. Non lo dimentichi ciascuno di noi (Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta, FC n.26 del 30 giugno 2019). |
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