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Porte sbarrate

Coronavirus, le storie. L’altra emergenza: i dimenticati

Centri diurni, asili nido, attività di inserimento sociale e lavorativo per persone in difficoltà, luoghi di assistenza e riabilitazione: nei dieci Comuni della provincia di Lodi che fanno parte della cosiddetta “zona rossa” i servizi sociali sono sospesi fino a data da destinarsi.
Da una settimana, porte sbarrate e tutti a casa: bambini, anziani, disabili, malati non autosufficienti. Sono centinaia le famiglie coinvolte in questa crisi, che è l’esito del dramma epidemia. S’è spezzata una rete. La battaglia per fermare il coronavirus ha fatto scattare un’altra emergenza: quella dei più fragili, dei dimenticati che in questi (per adesso) 14 giorni di “quarantena” non possono più essere sostenuti dalle strutture di solidarietà che operano sul territorio: onlus, cooperative sociali, associazioni di volontariato.

Spezzata la rete dei servizi sociali.

Un mondo vitale in Lombardia. Una popolazione di quasi 50mila abitanti “blindata”, da Codogno a Casalpusterlengo, da Maleo a Castiglione d’Adda, da Somaglia a San Fiorano, che rischia di implodere, costretta entro i confini di quella che i tecnici chiamano “cintura di sicurezza”, da dove nessuno può entrare né uscire. Quanto durerà? «Non lo possiamo sapere, ma il vero dramma è che nel frattempo non possiamo fare niente, se non stare vicino, magari con una telefonata, ai ragazzi e alle loro famiglie» dice Monica Giorgis, direttore della Cooperativa “Amicizia”, con sede principale a Codogno, che gestisce anche in due filiali, nel comprensorio, 8 tra centri diurni, ambulatori per minori, realtà educative e formative rivolte agli adolescenti e tre residenze sanitarie per disabili. «La maggior parte delle persone di cui si occupa la cooperativa sono persone con autismo o con problemi psichici, che fanno fatica ad accettare un cambiamento della loro giornata – spiega –, che non vogliono rinunciare a una vita piena insieme agli altri: non si va più a cavallo, niente più passeggiate all’aria aperta o gite col pullmino, basta serate in pizzeria o pomeriggi al bar: sono costretti a rimanere a casa tutto il giorno a fare niente». Le loro giornate sono stravolte.

«Come spiegare a un autistico che dobbiamo lasciarlo a casa?»

«Di storie da raccontare ce ne sarebbero tante» prosegue la dottoressa Giorgis. Come questa. Una mamma è alle prese 24 ore su 24 con il figlio autistico, un giovane di 21 anni, che da quando è cominciato l’isolamento in paese si è chiuso in se stesso, non vuole uscire di casa e non riesce a convivere con il padre e la sorella più piccola. E se i genitori cercassero di farlo uscire c’è anche il rischio che scappi chissà dove. I medici e gli operatori sociali (165 persone in tutto) che ancora possono recarsi in sede, inoltre, devono sottostare alla misurazione della febbre e ai necessari controlli medici, i locali devono essere quotidianamente disinfestati. «Grave però è soprattutto la ricaduta sui bambini che devono rinunciare ai trattamenti riabilitativi» conclude Giorgis. Un lavoro interrotto che può causare serie conseguenze nel loro percorso di cura.
L’Officina, nella zona industriale di Codogno, offre lavoro a 7 adulti tra i 25 e i 30 anni con problemi di autismo e a 4 tirocinanti. «Assembliamo componenti in plastica e parti elettriche per diverse ditte della zona – spiega la presidente della cooperativa, Paola Pozzo – ma adesso è tutto fermo, i laboratori sono chiusi e i ragazzi sono spaventati: l’hanno presa male, è difficile far capire loro perché non si può lavorare più e non si sa quando si potrà ricominciare. Ma se l’emergenza dovesse durare ancora molto – dice – è in gioco la nostra stessa sopravvivenza come cooperativa».

La "zona nera" dei carcerati

A Casalpusterlengo ci sono le cooperative Il Ponte, impegnata nella gestione di servizi socio-sanitari, assistenziali ed educativi rivolti a disabili, minori e anziani, e Mamida che si occupa di assistenza a minori, immigrati, disabili e donne in difficoltà. Anche qui le famiglie devono farsi carico dei loro cari per tutta la giornata, senza un attimo di respiro.
E non va dimenticata, poi, la condizione dei carcerati: una “zona nera” che comprende, oltre la cerchia della quarantena forzata nella Bassa Lodigiana, il Milanese, con 19 strutture e circa 9mila detenuti. «Ai volontari è stato interdetto l’ingresso negli istituti, gli incontri e le celebrazioni eucaristiche sono stati annullati e i colloqui ridotti – ha commentato l’ispettore dei cappellani, don Raffaele Grimaldi –. Tutte queste privazioni colpiscono una realtà, quella del carcere, già emarginata dalla società e che avrà come effetto l’assoluta solitudine. Facciamo in modo che non ci sia il “virus” dell’isolamento nei detenuti, perché la paura rende prigionieri di una grande muraglia». (Avvenire, 2 marzo 2020)

 
 
 
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