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Il presepe
Post n°3491 pubblicato il 28 Dicembre 2020 da namy0000
Il presepe non basta, dobbiamo viverne fino in fondo l’essenza Il 2020 mi porta a ripensare il concetto di “normalità”: capisco che la vera ricchezza non è nell’avere, ma nella casa misera eppure aperta di quand’ero bambino Il Natale di quest’anno dobbiamo avere il coraggio di non viverlo attorno al presepe. Teniamocelo lì, carino, nell’angolo più bello della casa, come teniamo volentieri qualche quadro di valore o qualche foto dei nostri cari sulle pareti. Ma poi dobbiamo capire, una volta per sempre, perché Lui ha scelto la povertà come unica via; l’ha citata come prima beatitudine e nella sua vita sono esistite solo la strada, le notti, una tunica e forse i calzari. Per noi la povertà consiste nella mancanza di qualche cosa e la consequenziale voglia di recuperarla per tornare nella normalità. Per lui la povertà è scelta definitiva di vita. Anzi, Lui, quel bambinello lì, ha davanti trent’anni vissuti perché il mondo capisca che solo così si può vivere fraternamente senza guerre, senza l’ansia del potere, senza straricchi e pezzenti, in Stati non democratici nei quali impera il “mammona iniquitatis”. La povertà che nasce con la nascita di Cristo è ben altro. E nessuno, anche il più cristiano e il più francescano del mondo, nonostante promesse, voti e il saio, mai arriva a questa normalità di vita. I movimenti cattolici poi hanno inventato la solidarietà per superare proprio questo stato di povertà permanente. A causa di questa maledizione mondiale mi faccio, a 91 anni, per la prima volta, una domanda seria sul concetto di povertà espresso dal Cristo pellegrino. E allora mi esplodono cento quesiti: la povertà umilia o esalta? È giusta o ingiusta? È possibile o impossibile? È inquietudine o beatitudine? Riscatta o schiavizza? Fa parte di un’esistenza umana dignitosa o sul filo della precarietà? Poi ci ripenso, e a mia insaputa si traducono in sogno queste mie “paturnie”. Capisco che solo così ognuno potrebbe vivere dignitosamente, con le cose di cui ha bisogno, libero dalla massa di altre cose che si possono godere senza il bisogno di possederle, e di ammassarle dentro case vere, accoglienti, profumate dai vasi di fiori e calde come sono caldi i luoghi dell’amicizia e della fraternità sociale. Ricordo, oggi, quando bambino andavo dentro le cucine della gente della grande “corte” con tutte le porte aperte, e che avevano sul tavolo sempre qualcosa da mangiare e bere. Fino a ieri pensavo: eravamo poveri! Invece, causa il virus, il Dio del Natale è diventato un “grande intervallo” tra ciò che siamo e ciò che dovremmo essere (Antonio Mazzi, FC n. 52 del 27 dicembre 2020). |
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