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Ripartire dal capitale umano

2021, David Lazzari, HuffPost 15 marzo.

Lo spirito del Rinascimento per ripartire dal capitale umanoRicordiamoci il significato profondo dell’Uomo Vitruviano di Leonardo: ripartiamo da qui per dare linfa alla psiche degli italiani

Siamo tutti consapevoli che da anni l’Italia appare un paese in difficoltà, ripiegato su sé stesso. Che cerca di guardare a modelli considerati più virtuosi per uscire dalla stagnazione e rilanciarsi.

Il post pandemia, se la storia non si smentisce per la prima volta, produrrà una accelerazione nei processi sociali ed economici e chi stava indietro dovrà accelerare ancora di più per non rendere il gap drammatico ed essere troppo penalizzato nelle dinamiche internazionali.

Noi arriviamo a questo appuntamento con diverse evidenti criticità, come l’eccessiva burocratizzazione, una visione economica spesso miope, la grave carenza di infrastrutture sociali adeguate e moderne. Pubblica amministrazione e servizi pubblici, come la scuola, la sanità, il welfare, i servizi per il lavoro, sono stati considerati più una spesa passiva che un fattore di sviluppo.

Questa logica ha penalizzato il Paese perché non si è compreso la forte interdipendenza che esiste tra economia e capitale umano, e come va inteso quest’ultimo.

L’idea che il capitale umano sia il frutto di crescita spontanea, che non necessità di investimenti o che sia solo la somma di un budget informativo (trasferimento di nozioni) o dell’economia è fuorviante. L’italica arte di arrangiarsi, il “genio” italico, è una ottima base ma da solo non basta più, ha bisogno di investimenti mirati.

La mancanza di supporti e strutture efficaci per lo sviluppo degli individui e della comunità incide molto non solo sul clima sociale ma anche sulla capacità delle persone e della società nel suo complesso. La storia dell’umanità mostra come lo sviluppo sociale ed umano ha comportato la necessità di investimenti mirati pubblici in settori prima lasciati al dominio privato ed individuale: la scuola o la sanità pubbliche sono esempi eloquenti di questo tipo. Garantire un certo livello di istruzione o di cure è diventato ad un certo punto della storia un’esigenza di promozione e competitività di una società nel suo complesso.

In questa prospettiva una società “libera” ma anche “civile” non può certo dire ai singoli che cosa devono fare della loro vita, deve però rendere disponibili strumenti per fare in modo che le persone possano fare al meglio i loro percorsi di vita, sviluppare ed esprimere le proprie potenzialità. Fornire questo supporto al fattore umano vuol dire aumentare il capitale umano nel suo complesso e quindi divenire più ricchi come Paese di una fondamentale materia prima, moltiplicatore basilare di ogni progresso sociale, culturale, tecnologico ed economico.

La “madre” Grecia ci ha consegnato un seme: “conosci te stesso” e “l’uomo è la misura di tutte le cose” che, a Roma prima ed in Italia poi, ha dato i suoi frutti più potenti, arrivando sino a far sbocciare quel Rinascimento che si basa sulla valorizzazione della dignità e della capacità umana, sulla possibilità dell’uomo, attraverso la conoscenza di sé e della realtà, di costruire nuove visioni e nuove prospettive.

“Fattore umano”, cuore del Rinascimento, significa tutto ciò che caratterizza il sapiens sapiens rispetto alle altre specie: ovvero la sua psiche, quella potente dimensione capace di dare identità e specificità al singolo, di trasformare gli accadimenti in esperienze e memorie personali, di darci le facoltà per essere coscienti di noi stessi e della nostra vita e le capacità per organizzarla. La psiche è il luogo che mette in relazione, che integra tutti gli aspetti della nostra realtà e della nostra vita: tra biologia e contesto, tra situazioni ed emozioni, tra sentimenti ed affetti, tra un “io” e gli altri.

Così un organismo biologico diventa una persona e un corpo vissuto, un insieme di situazioni diviene una storia personale, così si costruisce il mio (o il tuo) modo di vedere e affrontare le cose, così, in definitiva, una vita biologica diviene una esistenza dotata di scopo.

Dopo la seconda guerra mondiale molti Paesi occidentali hanno capito che lo sviluppo psicologico era la base del capitale umano e doveva diventare un investimento pubblico: hanno così cominciato a rendere disponibili strumenti ad hoc nell’ambito della scuola, del lavoro, del welfare e della sanità. Non a caso la Psicologia è una delle sette scienze “hub” più influenti.

Ma in Italia questo, purtroppo, non è avvenuto, per fattori culturali che non possiamo approfondire in questa sede.

Viviamo in una società che ha amplificato le complessità e sviluppato nuove sensibilità e bisogni in questo campo, che richiede strumenti psicologici molto più complessi del passato per orientarsi e realizzarsi, mentre i tradizionali contesti e percorsi “naturali” per acquisirli si sono frammentati ed indeboliti e si rivelano sempre più insufficienti.

E dobbiamo affrontare quella che Jeremy Rifkin chiama (prima della pandemia) “l’età della resilienza”, pensando alle indispensabili transizioni ecologica e digitale, che – attenzione – saranno delle “transizioni umane” di portata storica, con enormi implicazioni psicologiche individuali e collettive.

La pandemia ha messo a nudo l’assenza in Italia di un uso sociale della Psicologia, fattore fondamentale per ridurre gap e discriminazioni ma anche per potenziare le risorse del Paese. Non mi dilungo su questo, perché ne ho parlato in diversi altri articoli: gli italiani sono lasciati a se stessi da questo punto di vista per la mancanza di una rete pubblica per la promozione e il sostegno. Aumentando il divario tra chi può procurarsi col danaro questi servizi e chi non può.

Quello che temo è che, mentre il principale pensatore del World Economic Forum, Klaus Schawb, parla della Psicologia come risorsa fondamentale per il “great reset” che deve costruire il post pandemia, in Italia si manchi ancora una volta questo appuntamento. Che Piano di Resilienza finisca col dimenticarsi che proprio la resilienza è una capacità eminentemente psicologica, che si può sviluppare e potenziare in modo ben definito e assai vantaggioso per tutti.

Ecco perché parlo di recuperare la visione che ci ha regalato il Rinascimento, dove si è partiti dalla realtà umana, da ciò che ci rende umani, persone, soggetti, protagonisti della vita, per creare un mondo dove la bellezza si sposa con i commerci e l’economia.

Ricordiamoci il significato profondo dell’Uomo Vitruviano di Leonardo che ci guarda dalle monete da un euro: ripartiamo da qui per dare linfa alla psiche degli italiani.

 
 
 
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