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Tempo di arare
Post n°3656 pubblicato il 07 Ottobre 2021 da namy0000
Tag: Abusi, arare, chiesa cattolica, conti, cultura, espiare, fede, identità, maturità, personalità, relazione, riconoscimento, rielaborazione, sessualità 2021, Avvenire 6 ottobre Fare i conti con gli abusi ed espiarli. Mai più alibi è tempo di arareIl tema non è come chiedere perdono, ma come espiare. Se non accettiamo questa postura, tutte le altre parole e dichiarazioni saranno vane. Non si tratta di essere d’ora in avanti più attenti, più sensibili, più vigili nei confronti dell’enormità di un delitto che abbiamo vergognosamente sottovalutato e ostinatamente rimosso. L’enormità dei numeri nel dossier su 70 anni di abusi nella Chiesa francese, diffuso ieri, non parla di una strada smarrita: parla di un sentiero frequentato. La credibilità del nostro processo di espiazione chiede un deciso rimescolamento delle carte, che deve sbarrare la strada per vocazioni sbagliate ed esigere la prova di personalità risolte. Non solo il godimento, ma neppure la tenerezza è identica: la persona matura sa come custodire la differenza, senza mortificarne la ricchezza. La cultura diffusa in questa fase, a proposito del consumo della sessualità, non guarda troppo per il sottile alla differenza. Non è un caso se la drammatica immaturità generata da questa confusione mostra sintomi orribili e tragiche ricadute sui rapporti affettivi: anche i più intimi e famigliari. Che cosa rende così permeabile l’ambiente religioso – e non solo dei sacerdoti – per un disorientamento di questo genere? La nostra testimonianza – della nostra vita, prima di tutto, ma anche della nostra cultura – dovrebbe rappresentare un elemento persuasivo e affidabile di contrasto nei confronti dello svilimento infantile della sessualità e della violenza drammatica che esso finisce sempre per coprire. Questa cultura mediocre e infantile non ci scusa. Piuttosto, essa aggrava la nostra responsabilità. Perché noi non siamo uomini e donne analfabeti e sprovveduti. Espiare, dunque, significherà anche questo. Noi impareremo a dichiarare con maggiore umiltà e con serena franchezza di non essere comunque all’altezza della grazia che predichiamo e dell’amore che portiamo. Non per accampare un facile alibi alla nostra vergogna, naturalmente. Ma piuttosto per accettare di esserne più severamente giudicati. La riconquista della differenza sostanziale fra uno stile ecclesiale devoto e sentimentale, carezzevole e possessivo, e quello evangelico di Gesù ci dovrà costare lacrime e sangue nei prossimi anni. E solo così ridiventeremo credibili. Come lo sono già – grazie a Dio – i molti che non cercano nella violazione degli inermi un risarcimento per l’impotenza della loro dedizione. La ruvida tenerezza della dedizione di Gesù – asciutta, forte, non appiccicosa, non clericale – è una rivelazione nella Rivelazione. Nella formazione è quasi scomparsa dai radar. Dobbiamo chiedere e accettare di essere giudicati su questo metro: è una priorità. Meno chiacchiere di sacrestia e futili dispute su quante candele o quanti kyrie eleison. La nostra espiazione deve essere una cosa seria. Proprio essa dovrà onorare la fede che ci è stata consegnata e riconciliare la comunità con il ministero che le viene dedicato. Dovremo vedere i frutti di questa espiazione, per essere sicuri che il suo seme ha rivoltato la terra. Dio sa fare questo. E se siamo credenti, chiediamogli di avere il coraggio di affondare l’aratro, anche dove fa male. |
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