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Lo studio mi ha cambiato

Post n°3693 pubblicato il 03 Gennaio 2022 da namy0000
 

2021, Scarp de’ tenis, Novembre

Hector ora ha una vita nuova «Lo studio mi ha cambiato»

Hector e Maria si sono conosciuti alcuni anni fa nel carcere di Montorio, a Verona, dove sono stati studente e insegnante. «Il mio percorso scolastico è arrivato come una possibilità, una di quelle che devi prendere quando arrivano: non me la sono lasciata scappare. L’ho presa così, al volo. Io vengo dall’Ecuador, non avevo avuto possibilità di studiare nel mio Paese. E non avrei mai detto che sarebbe stato proprio in carcere che avrei avuto quest’opportunità. Lì dentro sembrava tutto finito, il futuro, il presente, la vita. Non c’era più niente che mi desse speranza. Ma poi è arrivato lo studio, e mi ci sono aggrappato». «Quello che studiavo era interessante e mi piaceva», continua Hector «tutto il tempo che avevo a disposizione lo dedicavo allo studio. Mi aiutava a trovare un senso alla mia esistenza anche lì, e a pensare meno negativamente al futuro. Dopo la terza media mi hanno proposto di continuare con l’istituto alberghiero, e in quel momento ho davvero cominciato a pensare che una volta uscito avrei potuto fare qualcosa di buono, che avrei trovato un lavoro e cambiato vita. A scuola ho incontrato insegnanti splendidi, che ci accompagnavano e ci motivavano. Credevano in noi. E così la scuola mi tirava fuori da quelle mura. Quando studiavo ero libero».

«E come si fa a non sostenere persone che si impegnano ad imparare», dice Maria «che studiano in per fortuna c’una condizione simile? Hector ce la metteva davvero tutta, proprio perché lo studio lo appassionava. Era la punta di diamante della nostra scuola. All’inizio era titubante, diceva di non capire. Ma è sempre così all’inizio: la scuola affrontata da adulti e in quel contesto, è un impegno enorme e sembra uno scoglio insormontabile. “Non ci riesco” è il minimo che uno possa pensare. Poi, un po’ alla volta, i nostri studenti sbocciano». «Lo abbiamo visto (Hector) immergersi sempre più in ciò che lo studio gli dava. Mi colpiva la sua curiosità per ciò che imparava. Non avevo mai visto una persona che vivesse così intensamente lo studio. Il suo esame finale è stata un’esperienza incredibile. Non è stato un semplice riportare contenuti ma una discussione con gli insegnanti in cui ha rielaborato a modo suo, con il suo sentire, ciò che lo studio gli aveva dato: la siepe di Leopardi come le sbarre della cella e lo spleen di Beaudelaire, che aveva già incontrato e vissuto nel laboratorio di teatro, attraversando la propria rabbia e l’angoscia, l’ha interpretato in un modo tale che avremmo voluto poterlo registrare perché fosse lui, con le sue parole, a spiegarlo ai nostri prossimi studenti. Non lo lasciavamo più andare via tanto era un piacere ascoltarlo».

«Sembra una cosa folle a dirsi, ma noi che insegniamo, in carcere ci andiamo volentieri. Lì si sta bene perché la scuola all’interno di un carcere è un luogo vitale, un luogo di scambio, persone davanti a persone. Per noi insegnanti è impagabile, ci porta al cuore del nostro lavoro, a ciò che davvero significa insegnare: aiutare a far emergere ciò che le persone hanno dentro, in uno spazio in cui sentono di poter essere persone».

Hector conferma. «In carcere non trovavo un senso a nulla, c’erano solo angoscia e sofferenza. Ci si chiede per che cosa si vive e la mia risposta era che la mia vita, arrivato lì dentro, era finita. Per fortuna c’erano spazi di umanità, i volontari ci ascoltavano e questo mi faceva bene. Ma avevo bisogno di uno scopo e l’ho trovato nella scuola. Lo studio mi ha permesso di portar fuori quello che sentivo dentro, mi ha fatto rivivere. Le mie passioni sono l’italiano e la storia e studiando queste materie, ho conosciuto personaggi che mi hanno aperto la mente. Mi sono anche accorto che lo studio mi ha reso più umile. Ora penso che studiare sia stata la prima cosa buona che sono riuscito a fare nella mia vita. La scuola mi ha reso anche più consapevole. Ora, quando ho un problema, mi fermo a pensare a quello che ho superato e mi dico che se ce l’ho fatta allora non posso non farcela adesso». «A volte, se ci penso, mi sembra incredibile – conclude Hector -. Ma ci sono dei momenti in cui quello che ho studiato viene fuori, è bellissimo. A Verona lavoravo nelle cucine e, anche se ora faccio un altro lavoro, mi è rimasta la passione e la voglia di mettere in pratica quello che ho imparato. Quando preparo i pasti per la mia bambina e la guardo mentre mangia così contenta, trovo sia una bellissima soddisfazione poterle regalare qualcosa che ho imparato. Non importa dove è accaduto: l’importante è che l’ho fatto mio e che glielo posso trasmettere. E che dire di quando, questo mi sembra davvero incredibile, mi chiede di aiutarla nei compiti, proprio in italiano? E il bello è che io sono in grado di aiutarla… Mai l’avrei creduto possibile. «Papà, ma dove l’hai imparato?»», mi chiede mia figlia. E io le rispondo orgoglioso: «L’ho imparato a scuola».

 
 
 
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