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Partire da sé stessi

Post n°3706 pubblicato il 09 Febbraio 2022 da namy0000
 

2022, FC n. 6 del 6 febbraio

RAPINAVO BANCHE, OGGI FACCIO L’EDUCATORE

Finché metti “soltanto” la colla sui capelli di un compagno di classe sei “solo” un bullo, quando cominci con le rapine e ne fai più di una per la legge diventi un «rapinatore seriale». L’orlo del precipizio sta tra un padre che mostra scarsa fiducia nelle tue capacità e la gerarchia di un quartiere difficile in cui conta chi ostenta potere e scarpe firmate. Pensare che procurarsele con la forza, incoraggiato da uno più “scafato”, sia la soluzione è un attimo. Non tutti i bulli finiscono prima al Beccaria, poi a San Vittore, ma può accadere. A Daniel Z. è accaduto. Non sempre si risale. A Daniel è accaduto. Si è laureato in Scienze dell’educazione e racconta nelle scuole la sua storia, affidata al libro di Andrea Franzoso Ero un bullo (De Agostini), sperando che aiuti altri a fermarsi prima.

«Ho toccato il fondo in isolamento a San Vittore», spiega oggi Daniel, educatore nei Servizi sociali del Comune di Milano: «Una frase di Aristotele rende l’idea: “Chi pensa di entrare nella città facendo a meno degli altri o è bestia o è Dio”. Mi sono sentito bestia, perso. Ho iniziato a leggere, poco convinto, su suggerimento di un vicino di cella, per evadere dalla noia, in biblioteca mi son trovato a cercare nelle vite degli altri risposte al senso della mia. Nei libri ho trovato le parole per dare voce al mio dolore».

Chissà quanti adulti gli avranno suggerito di leggere e studiare, invano fin lì: «Un’infinità», ammette Daniel, «anche persone capacissime. La verità è che io non ero pronto». Poi è scattato qualcosa che Fiorella T., volontaria a San Vittore e del Centro Portofranco, racconta con un aneddoto: «Ero andata a trovarlo dopo che aveva cambiato sezione. Alludendo al cineforum, cui mi occupavo, mi chiese: “Fai sempre vedere quei tuoi film noiosi?”». Replicai: “Perché non mi hai detto che li trovavi noiosi?”. “Perché vedevo come li guardavi tu e mi sforzavo di capire che cosa ci fosse di importante”. Da lì, l’ho convinto a riprendere gli studi interrotti e arrivare alla maturità, trovando in lui un caso anomalo, tanta era la sua sete di sapere. Ecco che cosa voleva dire Daniel con “essere pronto”: «Gli incontri sono decisivi, ma non ti salvano se non fai la tua parte».

Curiosamente, sono quasi le stesse parole che usa la dottoressa Annamaria F., allora pubblico ministero del Tribunale per i minorenni di Milano, che per Daniel è stata controparte nella dialettica processuale: «Rappresentavo l’accusa, sapevo che era intelligente, che poteva farcela, non per questo sono stata “buona” con lui, nel senso di chiedere una sanzione più mite: definirei la giustizia per minorenni “trasformativa”, perché può aiutare a cambiare. Ho insegnato per anni, prima: so che nel processo educativo serve rigore, che non significa severità, ma ribadire il rapporto di causa-effetto tra azioni e conseguenze: si deve percepire che non si scappa. L’assunzione della responsabilità è la più efficace arma di difesa: se ti difendi incolpando gli altri o la società, non arrivi a capire che si cambia a partire da sé stessi».

Il percorso è tosto, mai lineare. don Claudio B., anima della Comunità Kayros e cappellano del Beccaria, lo sa: «Non ho mai perso la fiducia in Daniel, non l’ho mai abbandonato, ma nel periodo di isolamento in carcere gli ho fatto sentire la distanza». A chi gli chiede come si intervenga ai primi segnali risponde: «Agli adulti che affrontano i bulli ripeto di non rimuovere l’esperienza della sofferenza dalle vite dei ragazzi, non li aiuta a crescere. Chi educa deve saper aspettare, anche a costo di soffrire lui per far sperimentare un po’ di frustrazione. Il bullo va disinnescato con l’autorevolezza: se come adulti usiamo la violenza, anche solo verbale, otteniamo l’effetto opposto. Serve pazienza, non nel senso di accettare tutto, ma di mettere in conto che si devono investire anni, con ricadute nel conto».

Anche Daniel sa di non essere arrivato: «A 29 anni, anche come educatore ho ancora tanta strada da fare, mi riconosco solo un piccolo valore aggiunto: il mio passato mi dà un po’ di intuito e di empatia in più con i ragazzi difficili. Sono fiero di come sono più che della mia laurea. So che nella vita farò ancora errori, escludo però di tornare a commettere reati». Che non lo dica per posa lo si è capito da come ha risposto al primo messaggio di una sconosciuta: «Macché dottore, io sono uno scappato di casa».

 
 
 
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