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Solidarietà

Post n°3759 pubblicato il 20 Agosto 2022 da namy0000
 

2021, Scarp de’ tenis, Dicembre

Cristina: «Incontri che segnano la tua vita».

Dobbiamo cambiare modo di intendere la solidarietà. Che non è semplicemente aiutare chi non ha, ma farsi cambiare dagli incontri con le persone. Per migliorarsi

«Solidarietà è una parola difficile per me, perché non mi piace com’è declinata nella nostra cultura: “Io che sono solidale e che ho, ti do”. Ma non è solo questo. Tutto ciò che ho ricevuto in questi anni è immenso e non sarei quella che sono senza il continuo crescere e imparare dall’altro. Per questo dico che le scelte della mia vita, più che da uno spirito di solidarietà sono state guidate da incontri con le persone».

Cristina A., presidente da oltre 20 anni della cooperativa sociale torinese Progetto Tenda e da 7 della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (fio.PSD), ringrazia ironicamente per essere stata associata alla parola solidarietà per questo numero di Scarp. Ma si presta volentieri, collegando il termine solidarietà ad altre parole-chiave che hanno caratterizzato la sua vita professionale e non solo. Ricorda il suo primo impegno sociale, quando studiava psicologia, un’attività volontaria di doposcuola per i figli delle famiglie straniere ricongiunte in Italia. Un incontro con culture diverse e una prima presa di coscienza dei meccanismi di esclusione, per ragazzini inseriti in una scuola non ancora preparata ad accoglierli.

«Sono stata accompagnata nel loro mondo, nella loro cultura e mi sono sentita davvero accolta con una forma di gratitudine pulita, semplice, fatta di piccoli gesti quotidiani».

Poi qualche anno dopo, nella cooperativa sociale, l’incontro con le donne rifugiate e vittime di tratta. «Sapevo dei loro vissuti drammatici e non riuscivo a capire come facessero a sopravvivere – racconta Cristina -, invece in loro la fiammella della vita non si era spenta».

Afferma di aver ricevuto una lezione di vita: «Non potrò mai pensare di perdere la speranza, perché se non l’hanno persa loro significa che non sarebbe giusto farlo. Con queste donne la solidarietà è stata anche apprendimento». Incontri e scambi alla base di un percorso di attività sociale: «Per me la solidarietà è questo: l’incontro che ci rende reciproci. Perché io posso aiutarti concretamente, ma tu hai la ricchezza della vita, le esperienze che io non ho e che tu mi doni. E allora per me solidarietà è reciprocità, non solo dare».

L’incontro successivo è stato con le donne senza dimora, nel primo dormitorio femminile avviato a Torino. «Emerse un mondo incredibile, venivano in quella struttura perché era riservato alle donne, si sentivano accolte e protette». Così come con le rifugiate e vittime di tratta, anche con le donne senza dimora Cristina racconta di aver vissuto la solidarietà femminile, quella “sorellanza” che non è un bel termine ma rende l’idea: «È una solidarietà diretta, spiccia, che non ha bisogno di spiegazioni, è istintiva e credo che solo tra donne si riesce a sviluppare». Da lì nacque l’impegno in fio.PSD, prima nel direttivo nazionale e poi come presidente, sui diritti e la loro esigibilità, «Perché va benissimo dare vestiti, pacchi viveri e alloggio, ma sono la dignità e i diritti i due pilastri fondanti della solidarietà, perché l’individuo ha diritto a una vita dignitosa».

Costruire dei percorsi politici affinché chi ha il potere decisionale capisca questo tema, lo assuma e si impegni a portarlo avanti, riconoscendo dignità e diritti.

Questa è diventata l’espressione di solidarietà di Cristina A. Anche perché «gli homeless non sono alieni, ma persone che per una serie di motivi si trovano in questa condizione, quindi non è pensabile non avere questo tipo di solidarietà, che non è beneficenza bensì riconoscimento dei diritti di cittadinanza». La marcia in più per svolgere con entusiasmo questo lavoro sociale, spiega Cristina, è data dallo spirito che deve rimanere quello iniziale, cioè della «partecipazione sociale e politica a una società che deve essere reciprocamente solidale». «il mio lavoro mi dà tanto, mi nutre. Poter fare qualcosa per migliorare la vita degli altri rende migliore anche la mia vita. Mi fa stare bene anche il lavorare in una cooperativa sociale, dove la distribuzione economica è più orizzontale e assume un valore di equità, che è un’altra parola che abbinerei alla solidarietà».

Così come il termine collaborazione, a cui dedica un’ultima amara riflessione: «Non ne posso più di sentir parlare della competitività del terzo settore. Non dobbiamo essere competitivi, ma lavorare assieme, riconoscendo l’altro in una logica collaborativa. Perché se non riusciamo a farlo tra Enti, difficilmente potremmo riuscire con le persone».

 
 
 
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