Creato da namy0000 il 04/04/2010

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Nel mondo virtuale non c'è etica

2024, Alberto Pellai, medico psicoterapeuta, FC, 29 settembre

Nel mondo virtuale non c’è Etica. Torniamo al principio di realtà

Come può una giovane donna, studentessa universitaria, produrre per due volte la morte del proprio neonato, dopo averlo fatto nascere, tenendo nascoste al mondo entrambe le gravidanze? E come è possibile ritornare a una vita normale, un minuto dopo aver partorito e fatto morire il proprio bambino, come se niente fosse?

Queste domande, relative alla vicenda di Chiara P., (21 anni, studentessa) ad oggi non hanno risposte. Però vale la pena fare alcune riflessioni che, partendo da questo caso, ci devono interrogare sia come comunità educante che come società civile.

Le cronache ci riferiscono che durante la seconda gravidanza Chiara non ha coltivato nemmeno per un minuto l’idea di se stessa in quanto madre. Per mesi ha fatto domande atroci al motore di ricerca del suo computer. Erano domande di qualcuno che si interrogava continuamente su come si fa a non ingrassare durante una gravidanza e a tenere nascosta la pancia, su come si induce un parto, su quante sono le fasi di un parto e su come le si gestisce. Al computer viene pure chiesto «dopo quanto tempo si avverte la puzza di un cadavere». Ora, immaginiamo che queste domande vengano fatte da una giovane donna a qualche persona della sua comunità di riferimento. Immediatamente in chi le ascolta, si accenderebbero quesiti come: «Che cosa mi stai chiedendo? Perché me lo stai chiedendo?». Nella vita reale, proprio attraverso quelle domande che la ragazza sente l’urgenza di porre, avremmo avuto sentore del pericolo. Invece, Chiara queste domande le fa a un motore di ricerca. E cosa fa il motore di ricerca? Risponde a tutto. Valida la domanda e fornisce una risposta altrettanto valida. Perché il motore di ricerca non ha un’anima, non si pone domande. Fornisce risposte.

Nessuno nella vita reale si è accorto di nulla, ma il computer della ragazza, invece, sapeva tutto. Lì dentro c’erano tutti gli indizi che avrebbero permesso di identificare il problema e forse anche di rimettere la ragazza dentro il principio di realtà, sottraendola al suo delirio criminale. Nel virtuale una può quasi convincersi che ciò che sta pensando di fare si possa davvero realizzare. Anche se si tratta di un crimine orrendo. C’è sempre un tutorial che ti dice come si fa e che non ti giudica mai. I nostri figli chiedono tutto ai motori di ricerca, che diventano riferimento, spesso più di noi adulti. Dentro a quella virtualità non c’è morale, non c’è etica, non c’è bene e non c’è male. C’è l’algoritmo e l’intelligenza artificiale, ma non c’è l’anima. E se ci si dimentica l’anima, l’umano diventa disumano, fino all’orrore.

I motori di ricerca sanno tutto, ma non sanno che cosa è bene e che cosa è male. Rimettiamo le nostre vite nel principio di realtà. Ricominciamo a nutrire l’anima dei nostri figli, di noi stessi adulti, del mondo intero.

 
 
 
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