Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Marzo 2020

Ci servirebbero altre mascherine

Coronavirus. Il messaggio di speranza dai beni confiscati che ospitano persone fragili

Difficoltà e iniziative nelle realtà che nel Lazio e Campania costruiscono nuova vita per minori, ragazzi autistici e soggetti psichiatrici. Malgrado il Covid-19 nelle ville che erano dei boss si va avanti

Anna vorrebbe raccontare agli altri bambini che le medicine che prende per la sua malattia, che la fanno stare meglio, le stanno usando con risultati positivi anche nella lotta al coronavirus. Ma Fortuna e Antonio l'hanno convinta che è meglio di no. "Potrebbero preoccuparsi". Anna, sicuramente i lettori di Avvenire lo ricorderanno, è la ragazzina ammalata di Aids che non volevano a scuola e di cui abbiamo raccontato la storia cinque anni fa. Fortuna e Antonio sono la coppia che gestisce la casa famiglia "La Compagnia dei Felicioni" della Comunità di Capodarco, dove Anna, che oggi ha 16 anni e frequenta il liceo artistico, è ospitata. Una villa a Trentola Ducentaconfiscata al boss della camorra Dario De Simone. In questi giorni ospita sei minori allontanati o abbandonati dalle famiglie. Ma come si vivono i giorni di emergenza in questa casa così speciale? "Siamo tutti in casa. Il Tribunale dei minori ha sospeso le visite dei genitori e i preaffidi in famiglia". Ma i bambini reagiscono bene. "Hanno capito cosa sta succedendo e che è una cosa seriaMa gli piace essere tutti in casalo vivono come una festa". Certo vedono che Antonio, Fortuna e gli operatori portano la mascherina, e si sono accorti che i volontari non vengono più, ma non sembrano preoccupati. La vita va avanti, sono impegnatissimi coi compiti online, mentre Antonio è l'unico a uscire per fare la spesa.

"Ci servirebbero altre mascherine", è l'unica richiesta che ci fanno. Qualcuno li può aiutare? Da loro, ancora una volta, arriva un messaggio positivo. "Speriamo che alla fine torneremo più sociali e meno social. Sarà difficile, ma ce la faremo!". È il messaggio che arriva anche da altri beni confiscati dove hanno trovato casa e vita tante persone fragili e scartate. Prudenza, protezione e, se possibile, ancora attività. Ma soprattutto speranza.

Come la bellissima foto di Erasmo sorridente con un cartello con l'arcobaleno e la scritta "Andrà tutto bene!". L'ha pubblicata sul proprio profilo facebook la cooperativa sociale "Al di  dei sogni" che gestisce un bene confiscato a Maiano di Sessa Aurunca dove si fa agricoltura sociale, con ben il 60 per cento di soggetti svantaggiati. Erasmo è sordomuto e per 25 anni è stato solo un numero in un ospedale psichiatrico giudiziario. Ora è socio della cooperativa e lavora. Non in questi giorni. "Per non rischiare teniamo tutti a casa. Molti di loro sono soggetti fragili, a rischio per varie patologie", ci spiega il presidente della cooperativa Simmaco Perillo. Ma non si possono abbandonare i campi. "Vado a lavorare io e gli altri soci non svantaggiati. Sarà dura ma ce la faremo". Proprio come comunica Erasmo.

Così come Casal di Principe nella villa confiscata a Francesco Schiavone "Sandokan" il potente boss del clan dei "casalesi". Qui opera l'associazione "La forza del silenzioche si occupa di 80 ragazzi autistici. Proprio uno di loro ha realizzato un lavoro grafico poi sviluppato nel laboratorio di serigrafia Everytink, dove lavorano ragazzi autistici e operatori. È una maglietta allegra e coloratissima. Anche qui l'arcobaleno, la scrittà "Andrà tutto bene" e l'hashtag #distantimauniti. È un arrivederci a presto. Infatti dal 13 marzo l'associazione ha sospeso l'attività, chiuso il laboratorio di serigrafia e quello di prodotti da forno per celiaci "Farinò". "È stata una scelta sofferta ma inevitabile - ha spiegato il presidente Enzo Abate, papà di due gemelli autistici -, ma in questo momento la salute viene prima di tutto. Non ce la sentiamo di continuare a far finta che un metro possa bastare, e di mettere a rischio i nostri terapisti, le nostre famiglie e l'intera comunità. È un atto d'amoreper proteggere i nostri ragazzi e i loro splendidi operatori". Nella struttura oltre agli 80 ragazzi si alternano 80 operatori e spesso sono presenti genitori. Numeri e attività che rendono difficile rispettare le distanze. Ma i ragazzi e le loro famiglie non sono stati lasciati soli. Così l'associazione è disponibile a fornire assistenza da remoto a tutti coloro che ne faranno richiesta, "offrendo sostegno e vicinanza in questo particolare momento". Solo una pausa. "Faremo tutto il possibile - scrivono - per tutelare quanto abbiamo costruito insieme a voi, per ripartire quando sarà il momento giusto". Storie di chi ha dovuto sospendere o ridurre le attività per i più fragili.

Attività sospese anche per la cioccolateria "Dulcis in Fundo"dove sette disabili producono cioccolata e dolci nella villa confiscata al camorrista Maurizio Russo. "Lo abbiamo fatto per tutelare la salute dei ragazzi e degli operatori", ci dice Tina Borzacchiello, mamma di un giovane disabile e presidente della cooperativa sociale Davar di Casal di Principe che ha fatto nascere la cioccolateria. "Ci salta tutto un anno di attività. Dovevamo realizzare le uova di Pasqua e altri dolci. Quei pochi che siamo riusciti a fare li regaleremo". Annullate anche le visite di scuole e gruppi che da tutta l'Italia vengono a vedere questa bella iniziativa. Ma la conseguenza più pesante anche qui, è che ora tutto si scarica sulle famiglie. "Stiamo cercando di aiutarle, contattandole via facebook e via telefono. Ma non è facile", aggiunge Tina. E anche lei ci lascia un messaggio di speranza. "Siamo abituati a una vita amara e per questo abbiamo scelto di realizzare dolci, per renderla meno amara. Passerà anche questa nottata e ne usciremo migliori".

L'Angsa (Associazione nazionale soggetti autistici) del Lazio non è neanche riuscita a cominciare. Il 15 febbraio era stata inaugurata la "casa", ospitata in una villa confiscata ai Casamonica.

Tanti progetti pronti a partire, ma poi i decreti per l'emergenza Covid-19 hanno bloccato tutto. "Il 21 marzo era previsto il primo incontro di formazione su come comportarsi nei momenti di crisi dei ragazzi. Non potremo farlo", spiega la presidente Stefania Stellino, di due ragazzi autistici. Mai iniziati i laboratori di cucina, ceramica, arte e informatica, il centro di ascolto per le famiglie. "Con tutte le attività ferme, con la didattica e gli interventi di terapia sospesi - si legge nel sito dell'associazione -, noi famiglie con una o più persone nello spettro dell’autismo stiamo già pagando, e sono trascorsi pochi giorni, un prezzo molto alto: il senso di abbandono nel dover gestire la difficoltà di affrontare un imprevisto così imprevedibile". E il grido d'aiuto delle famiglie ha avuto una prima importante risposta. "Non riesco a stare senza fare niente", dice ancora Stefania. Così è stato attivato uno "sportello autismovia WhatsApp/Skype "per offrire - spiega ancora la presidente - consulenza e supporto, ma anche conforto con l'intento di far sentire meno abbandonate le famiglie". Lo sportello, che è completamente gratuito, ha avuto subito un grande successo, a conferma di come le famiglie con ragazzi autistici stiano vivendo con grande difficoltà questo momento. "Non hanno chiamato solo da Roma - ci rivela Stefania -, ma anche da Napoli, Palermo, Lodi e Pordenone". E i suoi ragazzi come stanno vivendo questi giorni? "Uno sta in continuazione a scrivere, l'altro era abituato ad andare in piscina e non capisce. Chiede e indica la porta". (Avvenire, 20 marzo 2020)

 
 
 

Pane per tutti

«Quale futuro? Devi attendere pazientemente, nella preghiera e nella pace... Ti consiglio di non pensare troppo al fatto di essere felice o meno... Non abbiamo alcun diritto di rifugiarci in una felicità che gran parte del mondo non può condividere ». Chi è l’autore di questa lettera e a chi è indirizzata lo diremo dopo. Per adesso vogliamo farne tesoro noi. Sono giorni, questi, in cui il futuro ci appare nebuloso, incerto; giorni in cui ci sentiamo confusi, spaesati.

Eppure, chi ha confidenza col Vangelo sa che, a riguardo, Gesù, non ci ha mai ingannati, anche quando ci veniva difficile aderire ai suoi inviti, alle sue richieste, ai suoi comandi. Tutto è nelle mani del buon Dio. Mani affidabili più delle nostre, mani amorevoli oltre ogni dire. Mani nodose e tenere. «Solo in Dio riposa l’anima mia».

Un futuro, però, da attendere «pazientemente». Non sempre la virtù della pazienza ha goduto buona fama, soprattutto nel nostro tempo. Da quando poi il mondo ci è arrivato in casa e perfino in tasca, tanti si son convinti di poterne fare del tutto a meno e le hanno dato il benservito. Oggi, isolati, per dovere e per amore, la andiamo riscoprendo.

E ci accorgiamo che ci rende un ottimo servizio, ci mette in contatto con quella parte di noi che non grida, non appare, non recrimina. Ci fa scendere negli anfratti del nostro essere più profondo, là dove più veri siamo, la menzogna tace e il mistero è grande. Ci fa riscoprire l’importanza della sua più grande amica, la prudenza, anch’essa troppo spesso bistrattata. La pazienza cristiana, però, non è mera rassegnazione. Il padre spirituale che stiamo prendendo in considerazione ricorda al suo figliolo che deve sapere attendere, sì, ma «nella preghiera e nella pace».

La fede si nutre di preghiera; non a caso Gesù ci ha consigliato di pregare sempre. Generazioni di cristiani, monaci, consacrati, santi hanno pregato tanto che a noi, non poche volte, sono sembrati esagerati. Pregare, sì, ma quando ne ho voglia, quando ne sento il bisogno, quando il tempio, l’arte, la musica riescono a emozionarmi. Il tempo – pensavamo – è poco e deve essere usato al meglio. Sicché tra le tante incombenze quotidiane, giunti a sera, a rimetterci erano sempre la preghiera, la meditazione, la riflessione. Pregare seriamente costa fatica? Certo. Tutto ciò che vale costa. I risultati però non tardano ad arrivare. Questione di amore. Chi ama sente il bisogno di rimanere con la persona amata.

«Rimanete nel mio amore» ci chiede Gesù. In queste ore difficili e dolorose stiamo riscoprendo la gioia del rimanere insieme. Come purtroppo non poche volte accade, ci accorgiamo di quanto fossimo ricchi soltanto dopo essere caduti in povertà. Peccato. Molte volte siamo stati ingrati verso l’aria, la terra, l’acqua, il pane, gli amici. Era così normale che ci fossero. Ma cosa vuol dire “normale”? Niente è normale.

Tutto è straordinario. È tanto bello, giusto, umano invocare i miracoli. Gesù stesso ci ha invitato a farlo. Ci ha detto di bussare, chiedere, cercare senza stancarci mai. Vogliamo insistere, insistiamo, lo faremo ancora, certi che il suo cuore non saprà reggere al nostro pianto. Per amore di verità, occorre aggiungere, però, che dai miracoli siamo inondati. Sempre. Ogni respiro, ogni battito di cuore, pensiero, paura, speranza è un miracolo. Ci siamo, avremmo potuto non esserci, ma ci siamo. E, al di là di ogni apparenza, continueremo a esserci anche dopo. L’immenso miracolo della nostra vita che scaturisce dalla Sua vita. «Non abbiamo alcun diritto di rifugiarci in una felicità che gran parte del mondo non può condividere» continua il nostro autore.

O si è felici insieme o nessuno lo sarà mai davvero. In particolare non si illudano di esserlo gli amici di Gesù. Occorre imparare a spezzarla, sbriciolarla, la felicità; condividerla, donarla, respirarla insieme ai più poveri, anche e soprattutto quella che ci viene dalla fede. Una fede che ti spinge a cercare gli altri per portarli all’unica Sorgente che disseta. Una fede che si bea di restare al sicuro nel tempio di Dio mentre i fratelli soffrono, hanno paura, muoiono, inquieta non poco. Una fede che non sa spalancare le porte alla carità e alla speranza in breve tempo implode, inaridisce, muore. Facciamo tesoro, in questi giorni, di queste parole scritte da Thomas Merton a Ernesto Cardenal nell’agosto 1959. (Avvenire, 19 marzo 2020).

 
 
 

Due borse di studio

Nino De Masi, imprenditore calabrese, sa bene cosa vuol dire vivere chiusi in casa. Da quasi sette anni vive sotto scorta e coi militari davanti alla sua azienda. Perchè ha detto no alla 'ndrangheta. Ma mai avrebbe pensato di dover stare chiuso al Nord, lontano dalla sua terra, a causa di un altro "nemico". Come ogni fine settimana Nino, all'inizio del mese, aveva lasciato Rizziconi, il suo paese nella Piana di Gioia Tauro, per raggiungere la famiglia da tempo al Nord per motivi di sicurezza. Un momento di serenità in una vita blindata. Ma quando è scattato l'allarme coronavirus, Nino, diversamente da tanti altri ha scelto di non tornare, anche se la scorta era già pronta per accompagnarlo. "È un gesto d'amore per la mia terra", spiega, anche se un forte sacrificio come imprenditore. E sul suo profilo facebook scrive: "Torneremo insieme, torneremo al lavoro che amiamo, torneremo a produrre innovazione e a condividerla con la gente: il mio pensiero va soprattutto ai miei lavoratori, alla mia famiglia, intendo raggiungerli con un abbraccio per ora solo virtuale, ma che sono sicuro sarà forte e vero non appena tutto sarà finito. Forza!". Ma Nino non si è fermato qui. "Dal mio luogo forzato di quarantena fuori dalla Calabria e dalla mia azienda mi sto chiedendo cosa posso fare per la mia terra, per il mio Paese".  Da attento osservatore vede quello che si sta facendo al Nord. "Il sistema universitario e della ricerca si è unito intorno alla politica per creare delle nuove start up per avviare progetti ed attività imprenditoriali per poter sopperire alle criticità materiali del momento". Invece in Calabria, denuncia, "vedo immobilismo". Così Nino, il vulcanico combattente, ha creato "due borse di studio da 5mila euro cadauna per i migliori progetti e proposte diretti a gestire alcuni aspetti e tematiche connessi alla pandemia Covid-19". Destinate ai calabresi. Non solo soldi. Infatti, spiega ancora l'imprenditore, "questi progetti insieme ad altre proposte che un'apposita commissione scientifica valuterà, potranno essere sostenuti, incubandoli e accelerandole la fattibilità e renderli presentabili alle Istituzioni locali e nazionali in adeguati ambiti e tavoli di governo delle decisioni utili per il Paese". Un progetto rapido da chiudere in due settimane, per poi realizzare subito le idee. "Questo è il mio contributo, questo risponde al mio modo di vedere la mia terra, la mia gente, protagonista, lottatrice e non certo piagnona. Questo è il momento di dimostrare a noi stessi di cosa siamo capaci", aggiunge Nino col suo consueto orgoglio calabrese. "Dobbiamo riprenderci spazi che altri indegnamente hanno preso, dimostrando al mondo intero cosa è la Calabria". "Non ho nessun interesse personale in questa proposta - ci dice al telefono dalla sua riservata quarantena al Nord -. Vorrei solo dare la possibilità ad ogni cittadino, ad ogni centro di ricerca, ad ogni imprenditore, alle Università, a tutti coloro i quali, hanno capacità di dare e fare, di contribuire tutti insieme per fare quello che si può, per dare risposte immediate ai bisogni del nostro territorio". Chi è interessato troverà tutte le informazioni sul sito www.demasialsud.com.  E Nino ci lascia con un appello ai colleghi e un nuovo messaggio positivo. "Mi auguro che altri imprenditori possano, se lo ritengono, partecipare a tale iniziativa per ampliare il progetto stesso. Lo spero proprio. Il nostro domani passa anche dalla nostra capacità di stare insieme. E buona fortuna al nostro Paese, alla nostra Calabria ed a noi tutti". Ancora una volta, anche questa volta, continua a coltivare il sogno di una Calabria migliore. "I have a dream", la celebre frase di Martin Luther King che Nino da tanti anni tiene appesa dietro la scrivania del suo ufficio in azienda. Laggiù nella sua terra, ora così lontana ma nel suo impegno vicinissima. (Avvenire, 19 marzo 2020).

 
 
 

Non trasgressione, è reato

Controllando la cronologia del telefono di mio figlio 13enne, a sua insaputa, mi sono accorta che negli ultimi mesi ha visitato spesso siti porno, che vanno al di là della naturale curiosità verso il sesso, visto che proponevano contenuti violenti e umilianti per le donne. Ho anche scoperto che nella sua classe un ragazzo diffonde attraverso un gruppo WhatsApp foto da siti porno, razzisti e pedopornografici. Noi, come famiglia, abbiamo sempre dato un’immagine “sana” dell’amore. Mio marito ha detto che ne parlerà lui con nostro figlio. Mi chiedo se anche io come mamma devo dire a mio figlio che ho visto il suo telefono oppure lasciare che ne parli solo con il papà – Giulia.

Cara Giulia, è urgente che tu e tuo marito decidiate insieme quale strategia educativa adottare nei confronti delle navigazioni di tuo figlio preadolescente. Ma credo anche che sia fondamentale che tu  “ampli lo zoom” del tuo intervento e della tua preoccupazione. Perché qui non c’è da proteggere solo la crescita di tuo figlio, ma anche quella di tutti i suoi compagni. Il fatto che nella classe abbiano realizzato un gruppo attraverso il quale vengono diffusi video come quelli che hai scoperto dovrebbe promuovere una riflessione di tutti i genitori, perché ciò che i vostri figli stanno facendo non è ascrivibile solo alla voce della trasgressione, ma anche a quella del reato. Detenere e diffondere materiale di natura pedopornografica in Italia è un reato, così come fare la medesima cosa con video filonazisti. Immagino che per te sia molto difficile fare un “outing” di questo tipo, ovvero sensibilizzare i genitori degli altri compagni su ciò che sta accadendo nella loro vita on line. Ma io sono convinto che questo è un passaggio di importanza fondamentale. Solo se i nostri figli comprendono da noi adulti che ciò che guardano e si scambiano va oltre il concetto di trasgressione, è qualcosa che noi genitori disapproviamo in modo totale e li può esporre all’intervento del legislatore, ecco, solo se succede questo, allora cominceranno a introiettare cornici che danno il giusto valore e significato alle esperienze diseducative e totalmente non adatte alla loro età in cui si trovano coinvolti. Leggi e fai leggere ai genitori della tua classe Tutto troppo presto. L’educazione sessuale dei nostri figli ai tempi di Internet, che ho pubblicato per De Agostini, che affronta i comportamenti problematici di cui parli e indica a noi genitori quali tracce educative seguire. Può essere molto utile anche la lettura, condivisa in parte con i ragazzi, di Sexting o amore? Educare ai sentimenti nell’era dei social network di A. Bilotto e I. Casadei (Ed. La Meridiana) (Alberto Pellai, Medico, psicoterapeuta, FC n.11 del 15 marzo 2020).

 
 
 

Al tempo del coronavirus

Coronavirus. Noi, preti del Policlinico di Milano, testimoni di dolore ed eroismo

La solitudine di chi, contagiato, entra nell’ombra della morte senza poter avere il conforto di un familiare al capezzale. E senza poter chiamare un prete per confessarsi e fare la comunione. Lo strazio dei parenti per l’impossibilità di accompagnare la degenza e l’agonia del proprio caroLa dedizione quotidiana, eroica, dei medici e degli infermieri. «E i bambini che continuano a nascere – tanti! – alla clinica Mangiagalli e ci riempiono di gioia e di speranza». Ecco, nelle parole dei suoi cappellani, il Policlinico di Milano al tempo dell’emergenza coronavirus. Tempo di dolore. Di prova. Di fraternità che si rinnova. Tempo che mette a nudo quello che siamo davvero.

Qui, oggi, è atteso l’arcivescovo Mario Delpini per celebrare – alle 11 nella chiesa di San Giuseppe ai Padiglioni, una delle quattro del Policlinico – la Messa nella terza domenica di Quaresima. «L’arcivescovo di Milano è il parroco di Santa Maria Annunciata, la parrocchia dell’Ospedale Maggiore Policlinico. Qui, dunque, è di casa. E viene, pur nelle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria, per stare fra la sua gente, come fa ogni buon parroco. Lo accogliamo con gioia e riconoscenza. La sua presenza, per chi crede, è un segno di speranza; per chi ha altre fedi o convinzioni, è un segno di umanità, di quell’umanità che tutti ci unisce al di là di ogni differenza», spiega don Giuseppe Scalvini, rettore vicario di questa parrocchia – con i suoi quattro preti, l’ausiliaria diocesana e le sei suore di Maria Bambina – al servizio della complessa, articolata comunità del Policlinico.

«In questo tempo d’emergenza – incalza, al suo fianco, don Marco Gianola – non possiamo avvicinare gli ammalati, né quelli di Covid-19 né gli altri, per non essere vettori del virus. Così ci dedichiamo ai medici e agli infermieri, sottoposti a carichi di lavoro, ansie e stress che è difficile immaginare. "All’inizio sembrava un’onda, ora è arrivato lo tsunami", mi diceva un medico in questi giorni. Come preti cerchiamo di essere un segno di speranza e di prossimità nella fatica e nell’angoscia». «Quello che diamo – riprende don Scalvini – sono cose semplici: un sorriso, un saluto, un po’ di ascolto. Nel personale vediamo un eroismo che non nasce ora: qui è così ogni giorno, qui lo straordinario è ordinario, ma è questa emergenza che ora lo porta alla luce. Io vedo persone che lavorano mettendo in gioco tutta la propria umanità».

Per tante persone, è come essere messi nuovamente alla luce. «Un’infermiera che mi diceva di non essere molto religiosa mi ha raccontato, in lacrime, di essere entrata in chiesa, dopo turni di lavoro massacranti, giorni e notti senza riposo, e di aver affidato tutto alla Madonna. È stato come riscoprire qualcosa – Qualcuno? – che si portava dentro fin da bambinaIl dolore, a volte, può allontanarci da Dio, altre volte ci avvicina», riflette don Gianola. «A preoccupare chi lavora qui – riprende – è anche il timore di portare il virus a casa, di contagiare figli, mariti, mogli, genitori magari anziani».

Avvicinare i degenti, dunque, è impossibile. La pastorale ordinaria, qui come in ogni altra parrocchia, è messa fuori gioco. «Così, la sera, passiamo sotto i padiglioni per una preghiera e una benedizione – racconta don Scalvini –. Un paio di settimane fa, quando l’emergenza era ai primi passi e – con adeguata protezione – potevamo ancora accostarci ai malati, mi ha fatto grande tenerezza un signore di 93 anni, ricoverato per coronavirus e poi deceduto, che mi ha chiamato dicendo: "Sono sereno, mi fido di Dio, ma vorrei mettere le cose a posto". E ha chiesto di confessarsi. Ma per chi è venuto dopo, non è stato più possibile».

«Ora ci troviamo a fare molte benedizioni in camera mortuaria – testimonia don Gianola – e a condividere lo strazio dei familiari che non hanno potuto in alcun modo accompagnare l’agonia e la morte del loro caro, né possono portarlo al cimitero con il funerale come si è sempre fatto». «Siamo di fronte a esperienze di dolore che è difficile immaginare – scandisce don Scalvini – . Per chi è uscito dalla malattia come per quanti hanno perso un familiare o un amico, credo ci vorranno grandi tempi di rielaborazione, e servirà l’aiuto e l’ascolto di sacerdoti, psicologi e altre figure competenti».

A dare sostegno e sollievo al cammino di degenti, familiari e lavoratori, intanto, le tre chiese rimaste aperte per la preghiera personale (la quarta, la chiesa dell’Annunciata, è chiusa come l’Università Statale della cui sede fa parte) e la Messa celebrata ogni giorno senza fedeli, ma che un’app permette di seguire sullo smartphone. Questa Quaresima al tempo del coronavirus «si offre come occasione per riscoprire l’essenziale e risvegliare il desiderio di Dio e dei sacramenti – osserva don Gianola –. Forse non daremo più per scontate la Messa e l’Eucaristia, come ben sanno tanti nostri fratelli del Terzo Mondo». «In questo dramma – conclude don Scalvini – vedo tanta dedizione, generosità, solidarietà. Vedo cose straordinarie che ci restituiscono la bellezza e la grazia della nostra umanità. E se non si è uomini e donne in pienezza, è difficile essere cristiani e diventare santi». (Avvenire, 14 marzo 2020)

 
 
 

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