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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Marzo 2023

Litigi ma non guerra

Post n°3845 pubblicato il 14 Marzo 2023 da namy0000
 

Se ci sono dei problemi – sempre ci saranno dei problemi, dappertutto – i problemi non vanno risolti come fa lo struzzo mettendo la testa sotto terra, i problemi si risolvono camminando, andando, litigando… Sì, litigando, fa bene! A volte fa bene una bella litigata… E capirsi bene ma come i fratelli, litigando come fratelli, i buoni fratelli sanno litigare bene. Io ricordo una volta – una cosa famigliare – noi siamo in cinque e mio fratello, il secondo, si è arrabbiato con la terza, entrambi già sposati, grandi e si sono detti (cose) di tutti i colori! Io lì che li ascoltavo, pensavo: “Dio mio, questi non se le mandano a dire!”. “Tu hai fatto… tu sei una cretina… tu sei questo, quell’altro…”. Di tutto. Poi si sono fermati. E mio fratello ha detto: “Io me ne vado perché ho da fare… Ciao bella!”. Un bacio ed è finita. I fratelli sanno discutere ma senza arrivare a distruggere l’essenziale che è il legame fraterno. Noi dobbiamo fare questo, cercare la verità, ci sono punti di vista diversi, si discute, bene, ma quello non si tocca, quello rimane sempre, la fratellanza. (papa Francesco, 14 novembre 2022)

 
 
 

La pazienza di Dio

2023, fra Roberto Pasolini, 51 anni, FC n. 11 del 12 marzo

La pazienza di Dio, la più grande medicina dei nostri sensi di colpa

Il senso di colpa da una prospettiva esistenziale. L’uomo che sbaglia, ma non per questo viene condannato da Dio. Occorre cambiare prospettiva: passare dalla caccia al colpevole alla scoperta dell’autore della vita. L’incarnazione, infatti, ci svela che l’uomo sbaglia perché non ha ancora scoperto il disegno divino su di lui, cioè la bellezza inscritta nel suo essere, e che Dio è paziente. Detto in termini teologici, siamo fatti a immagine dell’umanità di Cristo, siamo belli, e questo diventa per noi un destino, una meta: dobbiamo camminare, dobbiamo diventare… È importante, quindi, integrare il tema della pazienza di Dio, che attende che la nostra bellezza ci sia pienamente rivelata.

Non siamo stati noi, ma è stato Dio a farci a sua immagine: nella Scrittura possiamo scoprire in tanti modi come possiamo diventare veramente noi stessi, accogliendo la responsabilità piena della nostra vita, che solo a questo punto, capito cioè come stanno le cose, è veramente nelle nostre mani. Solo allora iniziamo a partecipare in modo cosciente al nostro meraviglioso progetto di vita. Qui, partendo dalla Pentecoste si trova la strada per obbedire al proprio cuore.

Il senso di colpa dell’uomo viene dal dispiacere di non essere stato all’altezza delle situazioni e delle aspettative che erano state riposte in noi. Fa pensare che in un tempo in cui è venuto meno il senso di Dio-Amore è cresciuto il senso di colpa. Non avendo più il parametro di giudizio della Misericordia di Dio-Amore, dobbiamo misurarci con standard che ci schiacciano e mortificano. È la cultura della prestazione, del dover essere vincenti a tutti i costi e su tutti i fronti che tortura l’uomo contemporaneo. Per non parlare delle aspettative nelle relazioni, sempre più esigenti e, quindi, soffocanti. Invece Dio-Amore libera perché i suoi parametri verso di noi non soffocano né umiliano.

La Chiesa storicamente ha favorito questo senso di colpa tutte le volte che ha smarrito la centralità del Vangelo nel suo porsi davanti all’essere umano, scivolando così nel moralismo e in tutte quelle forme di rigidità che conosciamo. Così la Chiesa ha finito per assomigliare più a un “tribunale” che a un “ospedale”.

Dai racconti biblici emerge che Dio-Amore, davanti ai nostri errori, non fa mai un dramma, ma pazientemente cerca sempre di tracciare dei nuovi cammini per dirci che siamo sempre più grandi dei nostri errori e che la vita è come un fiume, che trova sempre la forza di correre in avanti, verso il futuro.

Riprendo solo le storie bibliche e le spiego nella trilogia in modo che nel cuore del lettore venga gettato un seme di speranza, perché da esse si evince che non è la correzione o il giudizio ad avere l’ultima parola, ma l’ampiezza di una storia di cui siamo partecipi e in cui possiamo sentirci pienamente reintegrati. Con la possibilità, quindi, di guarire dalle nostre ferite. Si può allora ricominciare a camminare. Se gli uomini biblici sono caduti e poi si sono rialzati, perché questo non dovrebbe valere anche per noi?

 
 
 

Adolescenti e adulti

2023, FC n. 10 del 5 marzo

Quegli studenti provocati da un anziano gesuita austriaco

Fa notizia che 200 adolescenti si mettano in fila per scattare un selfie con un uomo di 76 anni, come se fosse uno degli influencer più in voga del momento. Quest’uomo con barba e capelli bianchi è padre Georg Sporschill, sacerdote gesuita che da decenni opera tra i poveri in Romania.

Tutto è scaturito dalla lettura del libro Chi salva una vita salva il mondo intero (San Paolo, 2014), in cui si racconta la sua esperienza di frontiera e il suo pensiero. L’incontro ha catturato l’attenzione dei giovani, che hanno potuto rivolgere domande all’ospite. A Chiara ha colpito il coraggio di padre Georg di fare scelte difficili: «Ciò che fa è straordinario, ci vuole tanta forza. Per me è fonte di ispirazione, oltre che un esempio da seguire. Ha provato paura in certi momenti ma, nonostante ciò, è andato avanti, ha lottato ed è sempre stato accanto ai più deboli. Spero che le sue parole possano produrre in noi una sensibilità talmente grande da poter cambiare il mondo a partire dai piccoli gesti quotidiani».

Egli ha dedicato l’intera sua esistenza ai più poveri, prima con i tossicodipendenti e gli ex carcerati di Vienna; dagli anni ’90 si è trasferito in Romania, a Bucarest e poi in Transilvania tra i rom stanziali. Una scelta forte e controcorrente.

Asia ha ricordato una sua frase: «Meno cose si hanno, più è facile condividere, perché non si ha nulla da perdere. In un mondo frivolo e materialista sono poche le persone che si dedicano almeno un po’ alla felicità degli altri». Queste parole sono un programma di vita che affascina anche i più giovani.

Le ha fatto eco Ilaria: «Dovremmo un po’ tutti aiutarci a vicenda, perché alla fine, aiutando gli altri, aiutiamo noi stessi».

Il gesuita ha sollecitato a cantare tutti insieme una canzone. Per lui la musica ha un valore terapeutico e, infatti, in Romania utilizza quest’arte per creare aggregazione, in maniera semplice ma efficace. Silvia: «Padre Georg mi ha insegnato a essere una persona semplice, proprio come lui, perché, in fondo, è di questo che vivono i poveri: piccole cose che, se fatte con amore, possono diventare la cura per l’angoscia e la tristezza».

Martina poi, è stata così affascinata da dire: «Non credevo che ci fossero ancora persone con un cuore così grande».

La semplicità di cui parla padre Georg è fatta di tre ingredienti: avere amici; farsi tante domande; e saper dire “grazie”. A ogni domanda è seguito un po’ di silenzio riflessivo da parte del gesuita e poi, con poche parole, una risposta concreta che si concludeva solitamente così: «Grazie, la tua domanda è più importante della mia risposta». Elijah è il progetto di padre Georg, di poter ospitare alcuni suoi giovani per uno scambio culturale e di crescita comune.

 
 
 

Nedda

Post n°3842 pubblicato il 08 Marzo 2023 da namy0000
 

A2 - Giovanni Verga, Nedda. Bozzetto siciliano, Arnoldo Mondadori, Milano, 1977, pp. 40-41 e 58-59.

Nella novella Nedda la protagonista intreccia una relazione con Janu, un giovane contadino che ha contratto la malaria. Quando Nedda resta incinta, Janu promette di sposarla; poi, nonostante sia indebolito per la febbre, si reca per la rimondatura degli olivi a Mascalucia, dove è vittima di un incidente sul lavoro. Nel brano qui proposto Verga, dopo aver tratteggiato la condizione di vita di Nedda, narra della morte di Janu e della nascita della loro figlia. "Era una ragazza bruna, vestita miseramente; aveva quell'attitudine timida e ruvida che danno la miseria e l'isolamento. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e le fatiche non ne avessero alterato profondamente non solo le sembianze gentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoi capelli erano neri, folti, arruffati, appena annodati con dello spago; aveva denti bianchi come avorio, e una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente il suo sorriso. Gli occhi erano neri, grandi, nuotanti in un fluido azzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a quella povera figliuola raggomitolata sull'ultimo gradino della scala umana, se non fossero stati offuscati dall'ombrosa timidezza della miseria, o non fossero sembrati stupidi per una triste e continua rassegnazione. Le sue membra schiacciate da pesi enormi, o sviluppate violentemente da sforzi penosi erano diventate grossolane, senza esser robuste. Ella faceva da manovale, quando non aveva da trasportare sassi nei terreni che si andavano dissodando, o portava dei carichi in città per conto altrui, o faceva di quegli altri lavori più duri che da quelle parti stimansi inferiori al còmpito dell'uomo. La vendemmia, la messe, la raccolta delle olive, per lei erano delle feste, dei giorni di baldoria, un passatempo, anziché una fatica. È vero bensì che fruttavano appena la metà di una buona giornata estiva da manovale, la quale dava 13 bravi soldi! I cenci sovrapposti in forma di vesti rendevano grottesca quella che avrebbe dovuto essere la delicata bellezza muliebre. L'immaginazione più vivace non avrebbe potuto figurarsi che quelle mani costrette ad un'aspra fatica di tutti i giorni, a raspar fra il gelo, o la terra bruciante, o i rovi e i crepacci, che quei piedi abituati ad andar nudi nella neve e sulle roccie infuocate dal sole, a lacerarsi sulle spine, o ad indurirsi sui sassi, avrebbero potuto esser belli. Nessuno avrebbe potuto dire quanti anni avesse cotesta creatura umana; la miseria l'aveva schiacciata da bambina con tutti gli stenti che deformano e induriscono il corpo, l'anima e l'intelligenza. Così era stato di sua madre, così di sua nonna, così sarebbe stato di sua figlia".

 
 
 

Oh Terra!

Post n°3841 pubblicato il 07 Marzo 2023 da namy0000
 

Oh Terra, Madre nostra infinitamente bella e generosa, ti ringraziamo per la vita che ci hai dato: parte del tuo spazio, tuo dono; uomini tutti interconnessi e interdipendenti. Ti ringraziamo per la salute che ci ha permesso di godere dei tuoi preziosi doni: l’aria, l’acqua, la bellezza dei fiori, dei fiumi, di tutto ciò che freme nelle tue foreste, esplosione di bellezza. Gli uomini e le donne che vi abitano, perché sappiamo ammirarla e custodirla. Per il vento e per l’aria, per le nubi, la pioggia e per il sereno, e per qualsiasi tempo, per mezzo dei quali tu ci nutri. Grazie per tutte le tue creature, animali e insetti i più vari che ci aiutano e ci fanno compagnia; e per tutte le meraviglie che vi abitano che permettono la Vita su questo Pianeta. Che fantasia, Madre!  In te non c’è niente di permanente, eccetto il cambiamento, che è l’unica costante. Donaci la capacità di meravigliarci e di contemplarti.

Perdona l’ingratitudine e il dolore che ti provochiamo infertendoti ferite e sofferenze crudeli. Perdona i nostri continui ingrati tradimenti. Perdona il non amarti, il non rispettarti, perdona la quantità esagerata di rifiuti malsani con i quali ti intossichiamo, perdona la produzione di armi sempre più sofisticate che ti procurano ferite irreparabili, perdona le inutili uccisioni di animali, perdona gli infiniti buchi che pratichiamo nel tuo corpo; perdona il luridume con il quale sporchiamo e intossichiamo le tue acque; perdona lo sfruttamento delle tue risorse; perdona gli esperimenti nucleari che ti distruggeranno e distruggeranno anche noi stessi. Perdona che del tuo paradiso terrestre ne abbiamo fatto una discarica puzzolente e malsana. Perdona la rottura della relazione fra te e noi, Madre ricca, immensamente generosa e premurosa. Perdona la stupidità umana.

 
 
 

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