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Messaggi del 19/01/2023

La paura come una nuova religione

2023, FC n. 3 del 15 gennaio

SCEGLI DIO E SCONFIGGERAI OGNI PAURA

«La Paura sta diventando una nuova religione». Padre Guidalberto Bormolini vede un rischio all’orizzonte per la spiritualità della gente alle prese con la guerra, emergenza ambientale e pandemia: «Se non vigiliamo, l’oggetto della nostra paura diventa un idolo. È ciò da cui ci mette in guardia il Signore stesso nel Vangelo secondo Matteo quando dice “Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena”. Quando invece ci fidiamo, scegliamo Dio che ha cura di noi, e la Paura scompare».

Padre Guidalberto con il giornalista Mario Lancisi ha pubblicato un libro, Questo tempo ci parla, la rivoluzione spirituale e il sogno di una nuova umanità, Edizioni Terra Santa; che è quasi un compendio della sua spiritualità e parte proprio dalla Paura.

Barba lunghissima, eloquio rassicurante, Bormolini è un personaggio eclettico. Lombardo, di Desenzano del Garda, ex liutaio e falegname, in gioventù ha militato in movimenti pacifisti ed ecologisti. Da 30 anni è consacrato e prete nei Ricostruttori nella preghiera, un’associazione ecclesiale su modello monastico fondata dal gesuita padre Gianvittorio Cappelletto per «venire incontro al bisogno di preghiera e ricerca interiore» della gente d’oggi.

Il religioso oggi vive tra Firenze e Prato, dove è animatore di incontri di meditazione, promotore del Festival economia e spiritualità, studioso di vegetarianesimo e di dialogo interreligioso e specialisa in tanatologia, la branca della teologia e dell’antropologia che si occupa della morte. Con l’associazione Tutto è vita Onlus accompagna negli ultimi passi dell’esistenza le persone con diagnosi infausta e per loro sta ricostruendo un villaggio abbandonato sull’Appennino per creare un modello innovativo di “hospice”, dove l’assistenza spirituale, non solo cristiana, e la meditazione siano parte integrante del percorso di cura. Tra i suoi amici c’era Franco Battiato, di cui era confidente nella malattia e del quale ha celebrato i funerali nel suo ritiro alle pendici dell’Etna.

La morte è la paura delle paure, eppure è anche il “grande rimosso” della nostra società. «Il paradosso», sostiene Bormolini, «è che la nostra società ha un’ossessione patologica di respingere la morte che finisce per renderla necrofila. Io la chiamo “sindrome di Samarcanda”: come nel mito mediorientale reso celebre dalla canzone di Roberto Vecchioni, se si fugge continuamente dalla morte si finisce per cascarle tra le braccia. Mentre abbracciare “sorella morte”, come fa sanFrancesco con il lebbroso, permette di vivere con serenità».

Cosa significa abbracciare la morte?

«Vuol dire percepire la morte come un passaggio della vita», sorride serafico il monaco. «In un certo senso, noi moriamo continuamente: il bambino muore e rinasce come adolescente e l’adolescente muore per nascere come adulto. Accogliere la morte vuol dire aprirsi a un oltre». È ciò che la tradizione cristiana ha sempre insegnato: «Cristo è morto e risorto e ci fa morire e risorgere nel battesimo», ricorda padre Guidalberto.

Il monaco dei Ricostruttori nella preghiera sostiene che il passaggio d’epoca e le prove che stiamo vivendo siano il momento propizio per una “rivoluzione spirituale”. «Dobbiamo rimettere lo spirito al centro. E per noi cristiani è lo Spirito santo», spiega. «Ci sono stati momenti storici in cui abbiamo immaginato un mondo migliore instaurato da una rivoluzione. Io stesso da giovane ribelle sognavo un cambiamento radicale. Ma le nostre forze da sole non sono capaci di fare la rivoluzione: solo lo Spirito può. E opera quando lo invochiamo nella preghiera. Quindi, insieme all’impegno sociale (servire chi è povero e sfruttato, pacificare le guerre, difendere il Pianeta) dobbiamo pregare lo Spirito di “fare cieli e terra nuovi”».

Quando dice “preghiera”, padre Bormolini pensa in particolare alla meditazione, che fa tesoro della tradizione cristiana, ma anche delle esperienze di altre fedi. «Ma c’è una specificità cristiana: noi ci facciamo condurre da Cristo, il mediatore, a conoscere il mistero divino».

Come fare?

«Si può partire dal silenzio nel quale ascoltare il respiro e il battito del cuore, il ritmo della vita. Poi usiamo brevi parole ripetute e appoggiamole al respiro e al battito: i buddhisti lo chiamano il “mantra”, i musulmani e gli ebrei “il nome”, noi cristiani “giaculatoria”. Se invece la preghiera è solo mentale diventa sterile. È Gesù che ci dice: “Io sono la vita”».

 
 
 

Una fiammella fioca

Post n°3823 pubblicato il 19 Gennaio 2023 da namy0000
 

2023, Avvenire 18 gennaio

Lettera a Matteo. Uomo e mafioso: nel silenzio della cella, ora ascolta...

Ero a Palermo, lunedì, quando Matteo Messina Denaro è stato arrestato. Finalmente! Anche a me è sfuggito un grido di gioia. Della tua vita di spietato mafioso, caro fratello Matteo, si sa tutto, o quasi. A noi, però – per quanto ti possa sembrare inverosimile – interessi anche tu, il mistero che ti porti dentro, gli anni che avrai da vivere, la tua salute, la tua coscienza. Da tanto tempo ci chiediamo come sia stato possibile che voi mafiosi, nostri fratelli in umanità, battezzati nel nome della santissima Trinità, abbiate potuto fare tanto male a voi stessi, ai vostri cari, alla vostra gente, alla vostra terra.

Oggi siamo contenti, è vero. Siamo contenti di sapere che il caro popolo siciliano, e non solo questo popolo, ha fatto un altro passo avanti nel cammino di liberazione dalla mafia, che, come una mannaia, da anni incombe su di esso. Una lama affilata che ne ha condizionato e mutilato l’economia, il carattere, la fiducia nel prossimo e nelle istituzioni persino la fede in Dio. Una maledizione che ha costretto tanti giovani a emigrare in cerca di una vita normale. Siamo rimasti inorriditi davanti alla crudeltà che ha scandito le vostre vite, fino a portarvi alla diabolica decisione di sequestrare, tenere prigioniero per 779 giorni un bambino, per poi strangolarlo e scioglierlo nell’acido.

Non ti sei mai accorto, Matteo, che l’acido da voi usato per annientare gli altri, lentamente, andava consumando anche la vostra umanità? Abbiamo notato che al momento dell’arresto i carabinieri ti hanno portato via con gentilezza e senza le manette. Vogliamo ringraziarli. Hanno mostrato, a noi e a te, che l’Italia civile non infierisce sul reo. Avrai saputo della morte di fratel Biagio Conte. A ben guardare qualcosa vi accomuna. Ambedue caparbi e intelligenti. Biagio e Matteo, due siciliani che non si sono accontentati del poco che la vita offriva loro. Volevano di più.

Desideravano di più. Incontentabili. Ingordi. Due uomini che, però, hanno imboccato strade diametralmente opposte. Il primo ha spogliato sé stesso per arricchire gli altri, e ha trovato la gioia; il secondo – tu – ha umiliato, ucciso, affamato, strangolato gli altri per ammassare – inutilmente – oro, palazzi e conti in banca, senza poterseli mai godere appieno. Non trovandola mai, la gioia. A tutte le vittime innocenti, ai loro cari, va il nostro più caloroso abbraccio e la nostra preghiera. Non m’incuriosisce sapere a quanto ammonti il “tuo” patrimonio. So solo – e mi fa rabbia – che per sottrarlo ai legittimi proprietari hai sprecato e insozzato la tua unica vita.

Dimmi, fratello Matteo, quale demone ti ha tenuto prigioniero? Quello della quantità? Del potere? Del piacere? Perché ti scrivo? Perché so che la scintilla divina dentro di te, per quanto tu abbia tentato di sopprimerla, non si è mai del tutto spenta. Una fiammella, fioca, ha continuato a bruciare anche quando il freddo gelido del delirio di onnipotenza ti schiacciava. Adesso, nel silenzio della cella, dove ci hai costretto a rinchiuderti, se vuoi puoi ascoltare l’urlo muto della tua coscienza. Fallo. Non è facile, lo so, ma è possibile. La Chiesa – italiana, siciliana – non perde la speranza.

Con te esce di scena l’ultimo mafioso vecchio stile. Uno stile spietato e sanguinario. Quasi tutti i tuoi amici e rivali mafiosi che hanno terrorizzato l’Italia sono stati uccisi o sono finiti al carcere duro. Qualcuno ha collaborato con lo Stato. Spero lo abbia fatto per un vero bisogno interiore. Oso chiederti: vuoi permettere a Gesù di liberare il tuo cuore dai tormenti e dai rimorsi che l’opprimono? Vuoi iniziare ad assaporare la gioia vera che da sempre hai cercato e mai trovato? Vuoi smettere di barare con te stesso, gettare la maschera, liberarti dal personaggio, e chiedere perdono a Dio e al prossimo cui hai fatto tanto male? Vedi, sarebbe facile e comodo per noi, dopo averti rinchiuso, riprendere il cammino e dimenticarci di te. Non sarebbe il meglio, però. Il fuoco non si spegne con il fuoco. All’assetato – chiunque sia – va offerto un bicchiere di acqua.

Matteo, noi ci siamo. Gesù: «Non sono venuto per i giusti ma per i peccatori». Quindi anche per me, anche per te. Non aver paura. Apriti alla speranza. Il vero uomo d’onore non è colui che indurisce il cuore e non rinnega il suo passato, ma quello che sa pentirsi del male fatto, chiede perdono, espia le sue colpe e si impegna per il bene. Che la lunga schiera dei giusti caduti nella lotta alla spietata mafia ti aiuti a ritrovare la giusta via.

 
 
 

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