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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Dicembre 2021

Capire

Post n°3692 pubblicato il 29 Dicembre 2021 da namy0000
 

Capire

“Pietro rispose a Gesù: «Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,69). Ma perché ha detto prima «creduto» e poi «conosciuto»? Tommaso invece volle prima conoscere toccando, per arrivare a credere”, osservò il discepolo ad abba Cristoforo. L’abba apprezzò la domanda, e rispose, dopo un sospiro: “La fede viene da Dio e non dall’uomo. Tommaso voleva prima convincersi, ma così si sarebbe ingannato: non sarebbe arrivata la fede, ma una costruzione razionale. E invece la conoscenza vera, profonda, divina scaturisce dalla fede”.

Il discepolo ascoltava con impegno. “Ricordi? Gesù, con la brocca d’acqua in mano, aveva detto a Pietro: «Lo capirai dopo», cioè dopo che avrai obbedito, dopo che avrai creduto al mio Amore, dopo che ti sarai lasciato lavare i piedi da me.

Chi capisce dopo aver obbedito, la sua comprensione è interiore, non è superficiale”. Siccome il discepolo era attento, l’abba continuò: “Gesù ha corretto l’ordine dei titoli che i discepoli gli davano. Ha detto loro: «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore»: dicevano prima maestro e dopo Signore. Ciò significa che lo apprezzavano come un insegnante, uno che sa, e per questo lo ubbidivano. La loro ubbidienza aveva le radici nel proprio giudizio, cioè, in fin dei conti, ubbidivano al proprio discernimento. Troppo poco. Egli corregge così: «Se dunque io, il Signore e il Maestro…»”, cioè, prima mi considererete Signore, cioè mi ubbidirete, dopo comprenderete il mio insegnamento. Il discepolo dimenticò di ringraziare l’abba, perché aveva di che riflettere. (don Vigilio).

 
 
 

Partigiani della carità

Post n°3691 pubblicato il 26 Dicembre 2021 da namy0000
 

2021, Avvenire 23 dicembre

Trieste. Gli ultimi passi dei migranti. «I loro piedi, le fatiche dell’anima»

I giorni delle feste natalizie trascorsi con Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, che da anni curano le ferite dei profughi in arrivo dai Balcani: li chiamano i «partigiani della carità»

Il carrellino verde che con il marito si trascina ogni sera contiene dei doni per chi in regalo ha avuto una vita da dimenticare. Dentro ci sono chilometri di garze, litri di disinfettante, una montagna di cerotti, creme per il pediluvio e pomate che devono fare miracoli per riparare i piedi malmessi degli scacciati.

Lorena, con consumata eleganza, li estrae come non avesse fatto altro nella vita. China il capo sulle caviglie esauste dei sopravvissuti. Feriti, gelati, scorticati, le dita rotte o i talloni in pezzi. Da come li vede zoppicare mentre si avvicinano, sa già che anche stasera sarà come mettere i cerotti sul cuore, non solo alle estremità. Perché quei piedi raccontano le fatiche dell’anima. Piedi che hanno percorso più di cinquemila chilometri da Kabul e che l’ultimo pezzo di sentiero, i 300 chilometri tra la Bosnia e Trieste, li hanno dovuti rifare più volte. Se non ti catturano in Bosnia, all’andata puoi risparmiarti le botte di certa sbirraglia balcanica, ma se ti prendono in Slovenia ti ributtano indietro. E i croati te le daranno al ritorno con gli interessi.

Quando arrivano da Lorena Fornasir Gian Andrea Franchi i forestieri non hanno molta voglia di parlare. Basta sapere che dal carrellino verde non usciranno manganelli. E gli aiuti, quando pensi che le scorte stiano per finire, non mancano mai. L’ultima spedizione è arrivata dalla Brianza, con una lettera d’accompagnamento scritta di pugno: «C’è un pezzo della mia via, la via Fiume di Lissone. I vicini, soprattutto Stefano, hanno portato qualcosa per i ragazzi migranti ed io ho pensato alla spedizione». Lorena risponde con la solita disarmante tenerezza. La stessa con cui ha fatto entrare in casa i poliziotti che erano andati a sequestrare, per ordine della procura, computer, telefoni e documenti. «Cari amici di Lissone grazie da tutta Linea d’Ombra per la vostra solidarietà che rende migliore questo nostro mondo».
Nonostante le accuse per favoreggiamento dell’immigrazone clandestina e di partecipazione a un network di trafficanti internazionali, con Gian Andrea ha continuato come sempre. Perché le inchieste possono far male al morale, ma non guariscono i piedi dei superstiti che aspettano una fascia e una parola di benvenuto.

Alle volte ti domandi da dove venga quella forza. Non si offendono se gli ricordi che non sono più dei ragazzini. Gian Andrea ha passato gli 80 e Lorena vede avvicinarsi i 70. Dev’essere questione di tempra. È figlia di eroi, Lorena. Ma lei, che è psicologa clinica e per via dell’inchiesta ha dovuto rinunciare anche all’impegno da giudice onorario, ha saputo molto in là nel tempo quali erano davvero le sue radici. «Chi era mia madre l’ho dunque scoperto dopo averla perduta, quando la sua morte mi ha restituito ciò che di lei mi giungeva lontano e in parte ignoto. Conoscevo la sua forza, il suo coraggio, il suo amore per la vita, la sua cura, l’attrazione per il mistero che circonda un’alba, un tramonto, una goccia di rugiada». Maria Antonietta Moro era stata dapprima nelle file della resistenza jugoslava con il nome di battaglia “Nataša” e poi come “Anna” nelle formazioni garibaldine a Pordenone dove conobbe “Ario” Fornasir, commissario politico e poi comandante partigiano. Presentando i diari della mamma, scoperti solo nel 2009 e pubblicati da Iacobelli Editore nel 2014, Lorena spiegò che l’impegno di entrambi i genitori muoveva «da un’unica origine che è stata la loro diversa capacità di mettere al mondo un pensiero di civiltà». A modo loro, imprevedibile e neanche mai immaginato, Lorena e Gian Andrea ripercorrono quell’epopea facendosi «partigiani della carità». Non è da tutti slacciare le scarpe rotte e i calzini maleodoranti di uomini sconosciuti che domani magari non rivedrai più.

Gian Andrea Franchi, per quanto sia stato per tutta la vita un tranquillo professore di filosofia, non ha mai detto cose tranquille. Neanche adesso, dopo l’archiviazione delle accuse avvenuta un mese fa, che potrebbe cantare vittoria e recitare la parte comoda del nonno barricadero che attira le simpatie dei più giovani. Non rinuncia a ragionare di ideali con senso di realtà. «Siamo in un contesto – ripete agli intervistatori – in cui la questione dei migranti è stata da una parte demonizzata e utilizzata come strumento di lotta politica e per nascondere i veri problemi di una società in grave crisi come quella italiana, dall’altra c’è un grosso problema di gestione pratica di questo fenomeno».

Cominciare a vedere le cose dai piedi è un buon esercizio. La prospettiva dello sguardo e i rapporti di forza si invertono. I piedi dei disgraziati non raccontano solo le scarpinate sui boschi, i passi che tremano mentre si attraversano i campi minati rimasti senza bonifica, le corse a perdifiato con i cani della polizia croata alle calcagna. Raccontano soprattutto i respingimenti, i chilometri percorsi avanti e indietro per decine di volte, fino ad aggrapparsi agli speroni sul Carso che preannunciano l’Italia.

Pochi giorni fa il Danish refugee council ha aggiornato le statistiche. Quest’anno il più alto tasso di respingimenti è stato ancora registrato al confine tra Croazia e Bosnia, con un totale di 4.905 persone coinvolte, seguito da 592 persone respinte al confine tra Romania e Serbia e 522 dall’Ungheria alla Serbia. Di tutti i casi di respingimento il 18% ha riguardato famiglie con bambini, inclusi minorenni non accompagnati o separati dalla famiglia o da altri adulti di riferimento. Porte sbarrate anche a donne in viaggio da sole e anziani. Il 32% di tutti i pushback registrati sono stati segnalati da cittadini afghani.

Qualcosa però è cambiato. In parte per merito dei tribunali e in parte per colpa dei talebani. Dal gennaio del 2021 i respingimenti informali delle autorità italiane verso la Slovenia si sono pressoché azzerati. Era accaduto che il tribunale di Roma aveva condannato l’Italia per aver partecipato ai respingimenti a catena verso la Bosnia. Poi in agosto i talebani si sono ripresi l’Afghanistan. E da allora è arrivato da Roma il preciso ordine di non rimandare indietro nessuno.

Ognuno dei profughi nella Piazza della Libertà, ribattezzata “Piazza del Mondo”, è testimone delle macerie d’Europa. Quel Continente che la principessa Sissi osserva dalla sua statua cui s’appoggiano i giovani di "Linea d’Ombra", i compagni di strada di Lorena e Gian Andrea. Diceva Michelangelo Buonarroti che il piede umano «è un’opera d’arte e un capolavoro di ingegneria». A Trieste Lorena e Gian Andrea insegnano in silenzio che l’Europa di oggi guardando i piedi dei maltrattati potrebbe riconoscere il volto della propria decadenza. «Prendersi cura di loro – dicono – vuol dire prendersi cura anche di noi e della nostra storia».

 
 
 

Una specie di miracolo

Post n°3690 pubblicato il 24 Dicembre 2021 da namy0000
 

“Una volta qualcuno mi chiese se avessi mai assistito a qualche miracolo in vita mia.

Risposi: ‘Ogni giorno avviene una specie di miracolo. Non passa giorno senza qualche delicata attenzione da parte di Dio-Amore, senza qualche segno del suo Amore e del suo Affetto. Il miracolo più grande di tutti è che Dio-Amore si serva di tali nullità, di esseri tanto insignificanti, come noi, per compiere l’opera del suo Amore’.” (Madre Teresa di Calcutta, La mia vita)

 
 
 

Ritorno

Post n°3689 pubblicato il 20 Dicembre 2021 da namy0000
 

Ritorno

Non li aspettava, abba Gregorio, e invece quei giovani vennero, ed egli si rallegrò. Anche il cieco, di cui aveva parlato loro, Bartimeo, non attese che Gesù andasse da lui. Infatti, «Gesù si fermò». Gesù volle che il cieco facesse la fatica di farsi accompagnare e di venire. Egli venne e, grazie alla fede espressa di nuovo pubblicamente, aprì gli occhi.

Questi giovani apriranno gli occhi?

Gregorio li salutò, e poi: “Mantengo la mia promessa. Il cieco che gridava ha incontrato un uomo povero, Gesù di Nazaret. Era incamminato verso Gerusalemme, dove lo attendeva la croce. Si fermò ad ascoltare il mendicante che chiedeva pietà. Questi desiderava la luce che nessuno, nemmeno il suo benefattore più generoso, avrebbe potuto dargli. La domandò esplicitamente a quel Gesù, che stava incontrando per la prima volta e che sapeva essere di stirpe regale, di regalità divina. E Gesù non fu avaro. «Va’, la tua fede ti ha salvato», gli disse, e il cieco rimase abbagliato dalla luce del volto di Gesù. Non vide altro, tanto che decise di non andarsene, ma di seguire quell’uomo che diceva di recarsi là dove i grandi lo avrebbero deriso, condannato e ucciso. Ormai quel Gesù era diventato la sua vita, per cui valeva la pena anche morire”. I giovani ascoltarono, e ascoltarono anche il seguito. Non si aspettavano di sentir parlare di sofferenza e morte, ma il linguaggio della croce è più convincente di ogni altro, come del resto ebbe a scoprire Paolo di Tarso. Dissero ad abba Gregorio: “Possiamo venire ancora?”. Per Gregorio non fu un nuovo lavoro, ma una nuova gioia.

 
 
 

Mi è stato dato un corpo

Post n°3688 pubblicato il 19 Dicembre 2021 da namy0000
 

“Mi è stato dato un corpo;

che farò di questo dono unico e mio?

Il mio respiro si posa già sui vetri dell’eternità,

sì, il caldo del mio fiato

scola via la fanghiglia dell’istante,

rimane il caro disegno del mio essere”

(Poeta russo del 1800).

 
 
 

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