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Messaggi del 06/11/2021

L'ultimo menestrello

Post n°3673 pubblicato il 06 Novembre 2021 da namy0000
 

Bugelli. La vita, l’arte e la virtù dell’ultimo menestrello

Luigi Fabbri da Panicale di Licciana Nardi, 78 anni, è l’ultimo menestrello della Lunigiana. Con vecchie nenie e canzoni da bambini racconta in dialetto un mondo che non c’è più, ma anche come tutto sta cambiando.

La sua valle, verde e silenziosa, è la Lunigiana, terra affascinante e oggi ampiamente ignorata dagli uomini, incastonata tra la Liguria e la Toscana.

Lui, cappello sempre calato in testa, canta la sua terra, terra santa e partigiana, da quand’era bambino, e oggi in molti lo conoscono come Bugelli, l’ultimo menestrello della Lunigiana.

«Qui, quand’ero bambino, tutti cantavano. Nei boschi quando raccoglievamo le castagne, nei campi mentre si lavorava, e poi la sera, tutti radunati nella piazza del paese. Ero affascinato da questi momenti in cui donne, vecchi, bambini, tutti cantavano i racconti di questa terra, le storie dell’Appennino tosco-emiliano, le vicende di chi partiva per le Americhe e di chi tornava. Ho iniziato a cantare anch’io e non ho più smesso».

Luigi Fabbri è nato in uno dei borghi di questa valle, Panicale di Licciana Nardi, da una famiglia di contadini, ai tempi del re, specifica lui. Veramente tutti qui, in qualche modo, erano contadini e lo sono rimasti nella cultura. Le storie e le tradizioni di questa gente si sono sempre tramandate attraverso i canti, per memoria, e Bugelli, per memoria, impara a cantare.

A suonare, invece, impara più tardi. A vent’anni, finite le scuole, raggiunge i fratelli emigrati a lavorare in Svizzera: in un locale, si imbatte in una chitarra e per lui, che al massimo aveva costruito zufoli nel bosco come gli altri bambini, quello strumento è un colpo di fulmine.

Ha la fortuna di trovare un grande maestro, inizia a studiare musica e da allora la sua attività di musicista non si ferma più. A Ginevra per alcuni anni lavora con i fratelli e suona la sera nei locali. Si chiamano Hot Rabbit e sono un gruppo decisamente assortito: insieme a lui suonano due inglesi, tre svizzeri e un francese, studente della Sorbona. Fanno rock, blues e folk, sono gli anni di Donovan e Bob Dylan. … Ho preso vecchie nenie, canzoni da bambini, ho elaborato la musica per raccontare nel nostro dialetto il mondo che si stava perdendo. Piano  piano, Bugelli ha iniziato a diventare una personalità in questi paesi. Osterie, sagre, feste di piazza: a lungo Bugelli è stato il riempitivo di tante serate.

«Allora giravo per la Lunigiana a piedi e con l’asino, quando ancora non avevamo le macchine; qui è difficile andare da un paese all’altro, le strade son quelle che sono, ci vuole tempo. Ma continuo a dire sì a tutti e andare dove mi chiamano», ricorda. «i contadini sono sempre al centro delle mie canzoni. Ma io racconto anche altro: non canto solo il mondo che non c’è più, canto anche il presente e il futuro. Nelle mie canzoni ci sono l’Amazzonia, la Palestina, ci sono i migranti che vengono dal mare». «La Lunigiana è un paradiso per certi versi, con le sue valli verdi e la sua cultura, ma certamente oggi, qui, non si può vivere solo di questo», sospira Bugelli.

L’immaginazione ci porta subito alla mente scene di castelli, vita di corte o piazze di villaggi medievali. La figura del menestrello, in effetti, nasce intorno all’anno mille in Europa occidentale, ma cantare la vita e le sue storie non è mai passato di moda. Ogni anno a settembre, nel caratteristico villaggio di Ribeauvillé in Alsazia, regione della Francia ai confini con la Germania, si tiene la più grande festa dei menestrelli…

In Italia, oggi, il più famoso cantastorie di un territorio resta Davide Van De Sfroos, che canta la vita semplice che ancora vive sulle sponde e le montagne del lago di Como.  (da Scarp de’ tenis, agosto-settembre 2021).

 
 
 

Pellegrini

Post n°3672 pubblicato il 06 Novembre 2021 da namy0000
 

La Santiago italiana

Il cammino è fatto da chi lo percorre e di chi se ne prende cura.  Fare attenzione a ogni pellegrino che si mette in marcia, assicurarsi che il suo cammino proceda al meglio, dargli indicazioni se un torrente è troppo alto da guadare o fargli trovare un bicchier d’acqua quando arriva a fine tappa. E

anche poi ci sono gli anziani della montagna, che preferiscono offrirti il vino e ti fanno sorridere il cuore.

… Mi invade un senso di pace.

La toscana: città d’arte, spiagge, montagna con i suoi boschi avvolgenti, i suoi torrenti rigeneranti, la sua gente straordinaria. Andare a piedi da Firenze a Prato mi permette di riscoprire in maniera nuova i luoghi in cui vivo da sempre. È con l’incedere lento dei passi che ti accorgi di tutto ciò che perdi con la frenesia quotidiana e la velocità dell’auto sull’asfalto.

Da Prato a Pistoia, il bosco mi ripara dal sole, mentre attraverso gli sconfinati vivai del pistoiese, un’auto si accosta e la ragazza alla guida mi invita a fermarmi a casa sua, poco più avanti, per rifornirmi di acqua fresca. Varcando il cancello, oltre all’acqua mi vedo offrire un piatto di spaghetti alla carbonara, un’insalata e una fetta di dolce. E così lascio nello zaino il mio pane e formaggio, condividendo un pasto decisamente migliore con nuovi amici. Nonostante le distanze obbligate in epoca Covid,la vicinanza dell’ospitalità scalda il cuore. E quale onore essere il primo a firmare il quaderno dei pellegrini che questa bella famiglia sta predisponendo in un tabernacolo accanto all’uscio di casa.

Seguiamo il corso del Reno, attraversando i paesi che lo costeggiano, per poi deviare in un mare di girasoli e arrivare in serata nei pressi di Marzabotto.

Anche il secondo giorno, il cielo velato e la cappa di caldo umido ci portano a camminare lentamente lungo il fiume che scorre piano, affaticato quanto noi. Le balle di paglia se ne stanno lì nei campi, ad ignorarci, inconsapevoli che i nostri piedi sono talmente arroventati da poterle bruciare al solo contatto.

Il cammino vissuto fianco a fianco è occasione di confronto: mentre si condivide la fatica, si ha tempo di parlare, di raccontarsi e confidarsi. I momenti di preghiera si alternano alle risate, i tratti passati in silenzio intervallano le canzoni a squarciagola.

La terza tappa è faticosa ma suggestiva: si svolge fra i boschi e il crinale dell’Appennino e per raggiungere il castello di Sambuca calpestiamo l’antico sentiero acciottolato che tanti pellegrini hanno calcato nei secoli.

Con una birra suggelliamo il compimento del cammino e già il treno ci aspetta per tornare a casa. I piedi gioiscono per l’atteso riposo, ma il cuore versa una lacrima, in attesa di tornare a pellegrinare.

 

Romea Strata, antica via dove passavano i pellegrini

Riscoperta e resa agibile nel 2013 grazie a don Raimondo Sinibaldi, collegava l’Europa centrorientale ai Balcani, a Gerusalemme e all’Italia.

L’Europa è nata pellegrinando, afferma Goethe.

Con bisaccia e bastone il viandante partiva per raggiungere una delle tre Vie di pellegrinaggio maggiore: Roma, Santiago, Gerusalemme. Intricati sentieri, strade terrestri e marittime, conducavano ai luoghi santi. (da Scarp de’ tenis, agosto-settembre 2021)

 
 
 

Vogliono danzare ancora, nonostante

Post n°3671 pubblicato il 06 Novembre 2021 da namy0000
 

FC n. 44 del 31 ottobre 2021

VOGLIONO DANZARE ANCORA, NONOSTANTE

«Ci hanno detto che prima o poi morirò, ma prima o poi moriamo tutti. E io non voglio morire prima di morire».

Quando in uno studio medico gli hanno diagnosticato un tumore grave, Michael, originario di Termoli, che oggi (2021) ha 29 anni, è sprofondato nell’angoscia come tutti coloro che ricevono una notizia del genere. Ma piano piano l’amore, l’amore che vince tutto, ha scavato dentro quel male, piano piano, per riaffiorare in un impeto irresistibile di vita. L’amore è quello per Elisabetta, 27 anni, ballerina professionista come lui. Entrambi sono due ballerini specializzati in danze latinoamericane. Si erano conosciuti nel marzo 2014 nel paese di lei, Ruvo di Puglia, e insieme avevano deciso di percorrere l’esistenza a passo di danza. Una vita frenetica fatta di prove, gare, interminabili tournée all’estero, la vita al ritmo di salsa e bachata, quella che volevano. Poi i primi dolori alla schiena. «Non è niente, vedrai». E invece erano i segnali di una malattia rara. Nell’agosto 2017 la diagnosi: il sarcoma di Ewing, un tumore al bacino che di solito si manifesta prima dei 18 anni. Una malattia che non guarisce, ma che si può rallentare con le cure. Il posto migliore per curarsi è l’Ospedale Meyer di Firenze, dove operano tra i massimi specialisti a livello europeo.

Da qui la decisione di trasferirsi dalla Puglia in Toscana e l’incontro con don Fabio M., vicepresidente della Caritas fiorentina e cappellano dell’ospedale. «Al Meyer vado tutti i pomeriggi», ci racconta «e appena posso mi reco in visita al reparto di Oncologia. Lì, in una delle camere, ho trovato Michael ed Elisabetta, che gli stava accanto quando veniva a fare la chemioterapia. Sono ballerini professionisti di altissimo livello. Siamo diventati amici, mi danno tanto, li considero tra i giovani cui sono più affezionato, sono i miei ragazzi, voglio accompagnarli in questo loro percorso che è di dolore ma anche di vita e di fede».

Un giorno don Fabio entra nella camera di Michael e trova la coppia intenta a ballare, al ritmo di salsa, come se fossero su una pista e attorno a loro non ci fosse nient’altro, come se non ci fosse un domani. Il loro amore muove i passi che sanno a memoria, in perfetto affiatamento: Elisabetta si lascia avvitare tra le sue braccia, lui danza con la flebo ancora attaccata, come Tom Hanks in Philadelphia. «Stanno attraversando la malattia con una determinazione incredibile. Il loro amore ha rafforzato questa loro determinazione. La sua fede concreta scende nella quotidianità, questo atteggiamento positivo è un esempio per tutti noi». Quel vivere la vita come se niente e nessuno potrà interromperla, quel godersela come si gusta il fondo del bicchiere, ha conquistato tutti: parenti, amici, lo stesso don Fabio. A Natale dell’anno scorso la decisione di sposarsi. In alcune foto si vede anche Gina, la loro golden retriever, che porta le fedi all’altare. A benedire le nozze, “nella salute e nella malattia”, sabato 26 giugno di quest’anno, naturalmente don Fabio. Da allora è tutta vita. Michael si è comprato, con i risparmi, una moto e appena possono fanno delle bellissime gite all’Impruneta e tra i colli del Chianti.

Salgono fino a piazzale Michelangelo, dove si vede tutta Firenze, puntano gli occhi sul Duomo, con la sua cupola che troneggia in mezzo ai tetti, e si dichiarano amore eterno tra gioia e lacrime, come tutti gli innamorati fiorentini. Quest’estate se ne sono andati in vacanza all’Elba, incuranti della malattia e di tutto. Elisabetta ha trovato un lavoro a Sesto Fiorentino come operatrice sanitaria. Lui si gode la vita appena può, tra una chemio e l’altra, la Fondazione Tommasino Bacciotti gli ha messo a disposizione un bell’appartamento. «Mi colpisce sempre come danno valore a ogni momento della giornata», commenta don Fabio. Michael ed Elisabetta sono un esempio per chi è colpito come loro dalla malattia, ma anche e soprattutto per chi è sano e non sa quanto sia bella una vita di gioia e di fede, con la speranza della resurrezione. A chi gli chiede perché vuole raccontarla, Michael fa un sorriso e spiega: «Questa storia, la nostra storia può servire a chi può leggerla: per questo vogliamo condividerla».

 
 
 

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