Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Luglio 2020

Faticare invano

Post n°3379 pubblicato il 19 Luglio 2020 da namy0000
 

2020, Avvenire 18 luglio.

Per quando ci sembra di faticare invano.

Può accadere che arrivi anche per te un momento in cui hai l’impressione di zappare l’acqua, dipingere il vento, faticare invano. Può accadere a quei genitori – tanti – che dopo aver donato tutto, vedono i figli incamminarsi per strade che mai avrebbero potuto immaginare. Può accadere ai discepoli di Gesù. Hanno creduto, hanno accolto la chiamata, sono partiti pieni di entusiasmo, forti di una promessa che, sovente, però, non sembra realizzarsi. Può accadere, allora – e, di fatto, tante volte accade – che s’inciampi nello sconforto. La preghiera si assottiglia, l’impegno si fa pesante, fai fatica a scorgere il bello di cui straripano il mondo e le persone. Dio – chissà perché – sembra divertirsi a nascondere il suo volto. Sono quelli i momenti in cui occorre tenere i piedi ben piantati a terra e non allentare la stretta della Speranza, quella con la lettera maiuscola. La Speranza è virtù teologale. Spero non perché le cose mi vanno bene ma perché mi fido di Colui che mi parla. Davanti a una bara che drasticamente, inequivocabilmente, dice che tutto è ormai finito, ho il coraggio di cantare la mia fede nella risurrezione.

Chi spera sa attendere perché sa che i tempi di Dio sono tanto diversi dai suoi. Si fa attento, quindi, si guarda attorno, indaga, cerca, pronto a cogliere nello scorrere degli eventi un segno che viene da Dio. Una telefonata, gradita e inaspettata, mi arriva di mattina. È mio fratello che mi chiama da Lecce, città dove si è recato per motivi familiari. Il tono della sua voce è gioioso, squillante. Confusamente, in pochi minuti, mi racconta dell’incontro fatto con l’autista dell’autobus in sosta. Si chiama Egidio, me lo passa. È emozionato, Egidio, non gli sembra vero di avermi ritrovato. "Sono il figlio del signor Pozzilli, si ricorda? Abbiamo abitato per un breve periodo nella sua parrocchia tanti anni fa; mio padre stava male, doveva essere trapiantato, ma il tempo passava inutilmente e noi versavamo in condizioni veramente misere. Lei, padre, ci ha aiutato tanto…». Al momento faccio fatica a ricordare. Poi un lampo. Una luce. Rivedo chiaramente il volto del signor Pozzilli, triste, e sempre più cupo e silenzioso. Rivedo Egidio, il suo bambino, anch’egli di poche parole e triste, che volentieri saliva con gli altri bimbi sull’Altare.

Ricordo nitidamente lo svolgersi della vicenda. L’attesa, il trapianto ben riuscito, la serenità ritrovata, la gioia della famiglia e della comunità. Il dolore del distacco quando, poco tempo dopo, decisero di trasferirsi altrove. Il velo del tempo, lentamente, ha incapsulato i ricordi e li ha depositati in cantina, ma non li ha distrutti. Ora la gioia – profonda, inaspettata – di ritrovarli intatti. La gioia di sapere che il bene seminato ha continuato a germogliare per conto proprio. «Getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molto tempo lo ritroverai», ci consiglia la Parola di Dio. Penso alle soprese che ci saranno riservate in paradiso per gli atti di carità di cui nemmeno conserviamo memoria. Una cosa è certa, i cristiani non hanno il diritto di scoraggiarsi. Mai. Mi ritorna in mente un battesimo celebrato una domenica mattina di un’estate rovente. La famiglia del bambino era distratta, chiassosa, con la mente altrove. Facevo fatica a farli partecipare al rito. Un pensiero mi balenò per la mente: non terrò, come di consueto, l’omelia, non ne vale la pena. Un altro pensiero sopraggiunse: è tuo dovere, fallo. Obbedii mentre un senso di frustrazione mi teneva compagnia. Stesso giorno, molte ore dopo. In chiesa, per la Messa della sera. Un giovane chiede di parlarmi: «Sono il fotografo di questa mattina. Ho anticipato le foto da fare al ristorante per tornare da lei, le sue parole mi hanno colpito profondamente...». E comincia a versare nel mio cuore i suoi problemi, i suoi dolori, la sua fede traballante, la sua vita. Guardo il Crocifisso e sento di dovergli chiedere perdono. Mentre pensavo di parlare, inutilmente, ai parenti distratti e noncuranti del bambino appena battezzato, il Signore stava attirando a sé il cuore del giovane che scattava fotografie. Mistero della fede.
Spero finalmente di avere imparato la lezione.

 
 
 

Uno splendido ricordo

Post n°3378 pubblicato il 18 Luglio 2020 da namy0000
 

2020, FC n. 29 del 19 luglio.

Dopo la maturità, dell scuola ho uno splendido ricordo

Ed eccomi di nuovo qui. A distanza di tre mesi dalla mia precedente lettera, quando la maturità sembrava un traguardo irraggiungibile, mi ritrovo diplomata e pronta ad affrontare l’avventura universitaria. Cinque anni sono passati e anche per noi il giorno dell’esame, tanto atteso, temuto, sognato, rimane ormai un prezioso ricordo, anche se non l’avevamo immaginato così. Il 18 giugno, giorno del mio colloquio, mi pensavo in classe con i miei compagni e con l’agitazione a mille a svolgere la seconda prova… e, invece, sì, a scuola c’ero, ma da sola con gli insegnanti, e con la mascherina. Ringrazio, però, di aver sostenuto l’esame in presenza: per me è stata una forte emozione svolgere l’ultima prova, la più importante, quella per cui mi ero tanto preparata, nella mia scuola. Lo schermo avrebbe fatto svanire la “magia” di quel momento.

Il nostro non è stato un esame semplice, come è stato, invece, etichettato da molti: ci siamo ritrovati da un giorno all’altro a dover studiare in casa, a preparare l’esame per via telematica, in balia di disposizioni in continuo cambiamento, facendo i conti con problemi di connessione e litigando con genitori e fratelli per impossessarci del computer. Abbiamo sperimentato la “didattica a distanza” che ci ha permesso di concludere il percorso scolastico, ma non di farci vivere quell’atmosfera magica che si crea in classe tra compagni e nsegnanti. Non abbiamo avuto il piacere di condividere con loro l’ultimo giorno di scuola e gli ultimi mesi, quelli più impegnativi, ma anche più belli, di fare il conto alla rovescia per l’ultima campanella o, semplicemente, di una cena tutti insieme.

In passato abbiamo vissuto momenti divertenti, dalle gite al viaggio studio a Londra. Altri momenti un po’ meno spassosi: tantissime verifiche e interrogazioni. La medaglia di bronzo spetta a Scienze, quella d’argento se la contendono Fisica e Matematica e…, quella d’oro è tutta tua, Dante. ‹‹Chi manca in mate?››, ‹‹Bene, allora non mi chiama››. Ultime parole famose. ‹‹Oggi chiama il quartiere di sinistra di sicuro››, ‹‹Oggi si dimentica››, ‹‹Ieri era un po’ raffreddata. Stamattina sta a casa››. Impossibile. Non è mai saltata un’interrogazione. E infatti: due del quartiere di destra, due di sinistra e uno di centro. Niente da fare. Meglio non scommettere più e iniziare a programmare le interrogazioni.

In qualche modo ce la siamo sempre cavata, tranne che per Dante. L’intenzione c’era: ‹‹Facciamo un’estrazione stavolta!››, ‹‹Se vengo estratto il primo giorno, io non vengo››, ‹‹Ragazzi, domani fa una strage››. Magari la strage l’avesse fatta la prof, invece l’ha fatta il virus che, però, non è riuscito a cancellare questi bellissimi ricordi. La memoria è uno scrigno prezioso, che custodisce tutte le esperienze passate: come diceva Proust, la mémoire involontaire ha il grande potere di farci rivivere le emozioni provate nel passato.

Fino all’ultimo, ho avuto la speranza (o, forse, l’illusione) di poter tornare a scuola, risentire queste frasi, condividere ansie e paure con i miei compagni, anche solo per pochi giorni: a noi maturi del 2020 non si presenterà più l’occasione di “vivere la scuola”. Conservo, tuttavia, uno splendido ricordo della mia esperienza scolastica: un ringraziamento va alla mia scuola e ai miei insegnanti, che mi hanno fatto studiare tanto, ma ai quali devo tutto quello che ho imparato; ai miei amici e alla mia famiglia, che mi hanno sempre sostenuto e incoraggiato. Un grazie speciale alle nonne, che hanno sempre fatto il tifo per me: una di loro è una fedelissima lettrice di Famiglia Cristiana.

Dicono che l’anno della quinta non si scorda mai. ed è vero! Noi non ci siamo mai arresi e siamo arrivati al traguardo. E ora… buone (meritate!) vacanze a noi! – Ilaria O., Cremona

 
 
 

L'arcobaleno

Post n°3377 pubblicato il 16 Luglio 2020 da namy0000
 

L’arcobaleno, segno dell’alleanza con Dio

Suggello alla catastrofe del diluvio, questo ponte fra cielo e terra diventa l’emblema di un patto di taglio universalistico e cosmico: con l’umanità intera e con la stessa Terra.

‹‹Questo è il segno dell’alleanza che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi… Pongo il mio arco sulle nubi, segno di alleanza tra me e la Terra›› (Genesi 9,12-13).

L’arcobaleno multicolore che si allarga nel cielo è il suggello alla terribile catastrofe del diluvio che, agli occhi dell’autore sacro, non è stato solo un giudizio divino sul male umano, ma anche un grandioso lavacro purificatorio e un grembo fecondo dal quale – attraverso Noè, i suoi figli e gli animali dell’arca – sboccia la nuova creazione.

La trilogia descritta nelle prime pagine della Genesi tra creazione, de-creazione (diluvio, distruzione) e ri-creazione ha ora il suo compimento definitivo, suggellato da un’alleanza con Dio di taglio universalistico e cosmico. Infatti, coinvolta non è solo l’umanità salvata (‹‹voi››) ma anche ‹‹ogni essere vivente›› e la stessa ‹‹Terra››. Questo patto ha come emblema proprio l’arcobaleno che si staglia nel cielo dopo una bufera. Alcuni hanno pensato che esso sia simbolicamente l’arco di guerra che il Dio guerriero e giustiziere del diluvio depone trasformandolo in quel pacifico e multicolore segno di quiete dopo la tempesta.

Certo è che per molte culture l’arcobaleno è stato quasi il ponte tra terra e cielo: è la scala dai sette colori per la quale Buddha ridiscende dal cielo, è il ponte degli dei per i pigmei e per i popoli della Polinesia, Melanesia e Indonesia, è il ‹‹ponte fluttuante nel cielo›› per i giapponesi, mentre per le leggende cinesi è la metamorfosi di un Immortale, la cui entità viene arrotolata come un serpente nel cielo. Nella mistica islamica, i suoi sette colori sono immagini delle qualità divine riflesse nell’universo, è quindi un’epifania di Dio iscritta nella Natura. Attraverso questo simbolo si cerca, perciò, di esprimere il dialogo tra la divinità e l’umanità, quello che la Bibbia chiama appunto ‹‹alleanza››.

I pigmei dell’Africa centrale, ad esempio, credono che Dio riveli il suo desiderio di entrare in relazione con loro attraverso l’arcobaleno. Appena esso compare nel cielo, essi afferrano un arco, lo dirigono verso l’alto e cantano: ‹‹Tu hai rovesciato sotto di te, vincitore nella lotta, il tuono che brontolava››. La litania si conclude con l’invocazione, indirizzata all’arcobaleno, di intervenire presso il supremo Essere celeste perché egli non tuoni più, non mandi più acque violente, non sia più adirato con gli uomini e più non li uccida. I temi suggeriti dalla nostra narrazione biblica attingono, quindi, a un archetipo comune a tante culture.

Anche nella successiva tradizione cristiana si cercherà di arricchire di significati questo segno cosmico di pace e di alleanza. Infatti il Cristo paleocristiano e bizantino spesso troneggia sopra un arcobaleno. Il simbolo diventa, così, espressione della grazia e dell’Amore di Dio. Non per nulla nel testo della Genesi si afferma che l’arcobaleno non è un segno destinato agli uomini perché si ricordino di Dio quando lo vedono sfolgorare in cielo, bensì si dichiara che è un segno per Dio perché ‹‹egli si ricordi›› della sua promessa. La nostra conservazione nell’essere e nella vita dipende esclusivamente dalla volontà di Dio, noi siamo sospesi al filo del suo Amore. Come dichiara Giobbe, ‹‹è Dio che ha nella mano l’anima di ogni vivente e l’alito di ogni carne umana›› (12,10).

Questa è, perciò, una pagina di grande serenità che avvolge il lettore dopo l’incombere cupo del diluvio. È la riscoperta dell’armonia tra Dio e l’uomo, tra Dio e il creato e tra l’uomo e la Natura. Ed è anche ciò che l’Apocalisse canterà nella sua raffigurazione della Gerusalemme nuova e discesa dal cielo (cc. 21-22) (Gianfranco Ravasi, FC n. 28 del 12 luglio 2020).

 
 
 

La focaccia

Post n°3376 pubblicato il 12 Luglio 2020 da namy0000
 

La focaccia

Una focaccia preparata e cotta  obbedendo. Un’obbedienza fatta tutta di fede e di umiltà, come la focaccia, fatta tutta di farina e di olio. Elia aveva fede, e ha trasmesso la sua fede alla donna pagana di Zarepta. Questa ha ubbidito, ha fatto la focaccia per Elia, e Dio l’h premiata: infatti la farina e l’olio dei suoi recipienti non finiva mai, per tutto il tempo della carestia. Così Gesù vuole che i suoi ubbidiscano, perché siano sale della terra e luce del mondo.

Ubbidire….. parola antipatica, non ti pare? Ma diventa sinonimo di benedizione quando esprime fede. I discepoli debbono accogliere le sue parole ubbidendo, senza sostituirle con i pensieri del mondo privo di Dio.

Che meraviglia! Discepoli poveri, mansueti, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace, decisi a fare la volontà del Padre pur se perseguitati, sono una meraviglia e un prodigio più grande della farina e dell’olio che, invece di calare, crescono nei recipienti della vedova povera. Una vera benedizione per il mondo e benedetti essi stessi! Proviamo a ubbidire!

 
 
 

Il ritorno dei pattini

Post n°3375 pubblicato il 12 Luglio 2020 da namy0000
 

Il ritorno dei pattini

(Il Post 11 luglio 2020)

A causa delle restrizioni per il coronavirus e di TikTok, da mesi è pieno di ragazzi che ballano e fanno acrobazie pattinando

Pattinare sta tornando di moda a causa delle restrizioni imposte per contenere il coronavirus e grazie a TikTok, il social network più usato dagli adolescenti per condividere brevi e divertenti video. Il fenomeno è particolarmente diffuso negli Stati Uniti ed è stato raccontato da molti giornali, dal New York Times a BuzzFeed, ma sta arrivando anche in altri paesi e regioni, tra cui l’Europa.

Le restrizioni agli spostamenti e l’imposizione del distanziamento fisico hanno comportato la sospensione degli sport di squadra, costretto molte persone a fare sport in modo solitario a casa, in giardino o nei dintorni della propria abitazione; inoltre molti stanno cercando modi alternativi ai mezzi pubblici per spostarsi, come le biciclette e i monopattini. Tutte queste ragioni hanno portato al successo del pattinaggio, che si può praticare in garage, nella strada sotto casa, al parco senza creare assembramenti, e che permette anche di spostarsi per tragitti non troppo lunghi. In più pattinare è divertente e non troppo difficile, non è costoso e permette di comprarsi un oggetto colorato che mette di buon umore. Per finire, soddisfa la nostalgia per gli anni Settanta, Ottanta e Novanta, che negli ultimi anni è stata un fattore importante nel determinare anche come ci vestiamo.

I pattini, sia i quad a quattro ruote che quelli con le rotelle allineate (i cosiddetti pattini in linea), non si vedevano così tanto dagli anni Novanta: da allora erano stati soppiantati da altre forme di trasporto e divertimento all’aperto. Ad aprile però, dopo l’approvazione delle misure restrittive in alcuni degli Stati Uniti, le vendite dei pattini sono aumentate. Tom Hyser, uno dei direttori del marketing di Rollerblade, l’azienda fondata nel 1980 che ha reso popolari i pattini in linea, ha raccontato al sito GearJunkie che c’è stato un aumento nelle richieste del 300 per cento negli ultimi due mesi. John Rushin, direttore del marketing di K2, un altro grosso produttore di pattini in linea, ha detto che prima delle restrizioni «le vendite erano paragonabili a quelle dell’anno precedente. In quel momento niente faceva pensare che sarebbe successo qualcosa di grosso. Poi, una volta arrivato aprile, l’interesse e le vendite per i pattini in linea sono aumentati all’improvviso».

Secondo Rushin, questo successo «ha qualcosa a che fare con l’interruzione della stagione degli sci e degli sport invernali» a causa del coronavirus, perché i pattini in linea assicurano un’esperienza simile a quella degli sci, del pattinaggio e dell’hockey su ghiaccio. Inoltre gli adolescenti che negli anni Ottanta e Novanta passavano i pomeriggi sui Rollerblade, ora sono adulti che spesso hanno figli a cui insegnare a pattinare. Sia Rollerblade che K2 hanno notato che lo sport si è diffuso in varie fasce demografiche: tra giovani, adulti, uomini, donne e classi socioeconomiche diverse.

Contemporaneamente, i social network, soprattutto Instagram e TikTok – dove l’hashtag #roller-skating ha più di 2 miliardi di visualizzazioni – si sono riempiti di video di gente che pattina e di tutorial su come farlo, con la conseguente nascita di nuovi marchi di pattini e abbigliamento dedicato. Il New York Times ha parlato, per esempio, con Marawa Ibrahim, che vende una linea di pattini e di vestiti: ha raccontato che «da quando è iniziato il lockdown, le vendite sono salite. Siamo rimasti completamente senza pattini, come tutti i rivenditori». Secondo lei, che pattina da quando aveva due anni, il motivo «è il connubio perfetto tra social media come TikTok, il lockdown e gente in cerca di cose visualmente kitsch».

Tra le persone che più hanno contribuito alla moda dei pattini su TikTok c’è l’attrice e ballerina Ana Coto, che ha 29 anni e vive a Los Angeles. Coto ha iniziato a pattinare tre anni fa, e a febbraio ha aperto un account su TikTok interamente dedicato a video in cui la si vede pattinare ballando nelle strade della città. Uno dei suoi video più famosi, sulla colonna sonora di Jenny From the Block di Jennifer Lopez, è stato visto più di 2,1 milioni di volte su TikTok.

Coto non è l’unica: sui social ci sono sempre più video di ragazzi impegnati in acrobazie sui pattini e ragazze che danzano, eseguendo complicate coreografie. Tra loro c’è Marician Dedeaux Brown, che ha 23 anni, vive in California e fa parte del corpo dei Marines: ha iniziato a pattinare tre mesi fa dopo aver visto video di ragazze che lo facevano su TikTok e ora ha aperto anche lei un account: ha quasi 120mila followers e alcuni suoi video hanno superato le 600mila visualizzazioni. Secondo Brown, pattinare aiuta a scaricare la tensione, ma è terapeutico anche per chi deve restare in casa a causa del lockdown perché trasmette un senso di leggerezza e divertimento.

Per finire, il ritorno dei pattini è in qualche modo legato alle proteste contro il razzismo in seguito alla morte di George Floyd e alla richiesta di maggior attenzione verso le persone nere, le minoranze in generale e la loro cultura. Il pattinaggio è stato molto praticato dalla comunità nera e ha avuto un ruolo importante anche nella nascita dell’hip hop, visto che molti rapper si esibivano sulle piste di pattinaggio quando gli era proibito farlo altrove, come ha raccontato anche il documentario United Skates, uscito nel 2019.

In molti hanno raccontato che nella comunità afroamericana underground il pattinaggio non era mai passato di moda e si tenevano feste a tema. Toni Bravo, una ventenne che vive in California, ha creato un account su TikTok per spiegare come la cultura nera abbia aiutato a definire la cultura del pattinaggio. C’è anche chi ha partecipato sui pattini alle manifestazioni antirazziste del movimento Black Lives Matter.

 
 
 

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