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Messaggi del 11/10/2013

Il paradosso di Virgilio

Post n°328 pubblicato il 11 Ottobre 2013 da viburnorosso
 

 

La mia amica S., di cui ammiro la sottile intelligenza, l’indiscutibile senso dell’umorismo, e la raggiunta autonomia emotiva per quelle questioni che si consumano tra i fianchi e il cuore, stanotte mi raccontava di un suo nuovo spasimante: un tale Virgilio, al cui corteggiamento non si decide a cedere.

C’è qualcosa in quest’uomo che non la convince del tutto, dice.
Abbiamo parlato un bel po’ sedute al tavolo di formica della cucina mentre io tracciavo disegni col cucchiaino sul fondo di una tazzina di caffè.
Poi lei ha archiviato l’argomento così:

“Non vado mai a letto con un uomo che non mi piace. Ma per capire se un uomo mi piace devo andarci a letto!”.

Mi sono svegliata che ripetevo tra me e me questa frase, apprezzandone la risoluta irrisolvenza.
Questo è un paradosso mi sono detta: è come se la mia amica S. avesse chiuso con un bel lucchetto la porta della sua camera da letto lasciandola al contempo spalancata, così da tenere il povero Virgilio sospeso in un punto che non è né dentro, né fuori la stanza.

Che soluzione arguta, ho pensato, complimentandomi mentalmente con lei. 
E in fondo complimentandomi con me stessa, che il paradosso di Virgilio gliel’avevo suggerito io,
visto che sono io che me la sono sognata e ho inventato per lei questo corteggiatore dal nome così appropriato, perché via, diciamolo, come nome per un paradosso, Virgilio non sfigura affatto accanto a Zenone e al sorite (che però non è un nome ma un mucchio di sabbia).

I paradossi sono il metodo argomentativo utilizzato dai filosofi dell’Antica Grecia per dimostrare come il pensiero talvolta  si arrotoli su se stesso come una macchina  che ripete all’infinito la stessa rotatoria senza riuscire a trovare il punto di svolta. 
Quindi la capacità di formulare paradossi - pensavo tra i fumi del sonno - è lo strumento metacognitivo che la mente umana mette a disposizione di sé stessa per dimostrare  i limiti della cognizione, e contemporaneamente l’acume intellettivo di chi il paradosso l’ha concepito.

Insomma ho provato una certa soddisfazione. E in quell’attimo sospeso tra il sogno e la veglia,
in cui la coscienza cerca a tentoni le pantofole sotto al letto,
mi sono sentita veramente molto intelligente.

Poi la sensazione è andata gradualmente sfumando quando ho iniziato a pensare che era un peccato aver sprecato una simile intuizione per il corteggiatore onirico della mia amica
e che in fondo avrei potuto spendere meglio il mio paradosso. Magari applicandolo a qualche ragionamento di portata più universale.

Per quanto c’è una domanda che ancora mi tormenta:
"Ma S. poi, gliela darebbe una possibilità a Virgilio?"
Quando la sento devo assolutamente ricordarmi di chiederglielo!

 

 
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