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Messaggi del 14/03/2014

28 minuti per stupirsi

Post n°370 pubblicato il 14 Marzo 2014 da viburnorosso

Ci vogliono 28 minuti esatti.
30 per arrotondare.
Che a volte diventano pure 35 se per caso a Bologna o Tiburtina il treno rimane fermo con le porte aperte, che dopo un po’ tutti cominciano a guardare l’orologio e a sbuffare.
Perché l’abitudine innesca l’irritazione, invece di prevenirla.

Di solito capita che sali a Marconi che è ancora giorno, con tutti i colori e le cose del giorno, e quando risbuchi fuori a Rebibbia, è già notte, col buio e i lampioni accessi che disegnano l’ombra lunga ai pensieri della sera.
È passata solo mezzora e nel frattempo è successo un tramonto.
E quello che hai davanti è lo stesso giorno di prima, solo che non lo riconosci più.
Un po’ come quando incontri una persona dopo tanti anni, che è sempre lei, ma è anche tutto quello che è diventata mentre tu non c’eri.
E così hai davanti la sera di un giorno di cui ti manca un pezzo.
Li cuci insieme cercando di farli combaciare uno su l’altro. Tanto il mondo funziona lo stesso pure con qualche rattoppo.
Però ogni volta che accade non puoi fare a meno di stupirti.

La volta più sorprendente fu però un paio di anni fa, quando mi capitò di entrare in stazione proprio all'inizio di uno spaventoso temporale.
Che poi, pensavo, è sempre antipatico da tenere in grembo, l’ombrello bagnato, se per caso hai la fortuna di trovare un posto a sedere.
Allora mi sono inventata questa cosa qui, che lascio asciugare l’ombrello trattenendolo dritto tra le caviglie e le ginocchia, attenta che rimanga sollevato quel tanto che basta per non fargli toccare il pavimento del vagone.
E mentre sostengo questo precario equilibrio, mantenendo la giusta tensione tra muscoli e ragionamenti, e mancheranno giusto cinque minuti all’arrivo, ecco che il treno sbuca fuori nel tratto scoperto tra Santa Maria del Soccorso e Ponte Mammolo:
l’occhio finisce oltre al finestrino e io non posso fare a meno di trattenere il fiato.
Allento la presa.
L’ombrello cade.
Il mondo come lo conosco è sparito, cancellato da strati di bianco.
La neve ha coperto tutto, tanto che viene da chiedermi se per sbaglio il treno a Termini non abbia infilato la galleria del monte Bianco.
Fu vero stupore quella volta.

Ma la meraviglia non ha neanche bisogno di eventi così improbabili.
Si accontenta dell'ordinario.
Ieri per esempio mi è capitato di mettere il naso fuori a Rebibbia nel momento esatto in cui il sole esplodeva in un tramonto rosa dietro una striscia di nuvole viola, che sembravano delimitare in tondo la pancia del cielo.
Non ho potuto fare a meno di pensare che l’intero universo si sia originato proprio attorno a questo periferico e degradato ombelico di città.
E che la scala del sottopasso di via Tiburtina sia solo la strada per entrarci dentro.

 
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