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Messaggi di Novembre 2013

Considerazione meteolinguistiche

Post n°344 pubblicato il 29 Novembre 2013 da viburnorosso
 

Perché le mezze stagioni, quelle oramai ufficialmente estinte, al pari della rana di Darwin, si chiamano mezze?
Quando ancora esistevano mica duravano la metà di quelle intere!

Comunque a me queste misure drastiche mica mi convincono per niente!
Non se ne poteva lasciare un pezzetto, chessò, un terzo, un quarto di stagione?
giusto così, per non passare direttamente dal pareo al colbacco!

 
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Racconti vongole e pomodorini

Post n°343 pubblicato il 26 Novembre 2013 da viburnorosso

 

-         Mamma disegnava i cartoni animati. Ricordi la vecchissima sigla del TG, quella col mondo che girava e uscivano le lettere della parola telegiornale?

-         Sì, come no!

-         Ecco, quella l’aveva fatta lei. Che poi, pensa, a quei tempi, non solo lavorava, ma era pure a capo di un ufficio di tutti uomini … Io ti consiglio gli gnocchetti vongole e pomodorini, sono eccezionali.

-         Allora due gnocchetti! Anche la mia lavorava, prendeva la corriera la mattina presto perché insegnava fuori città, usciva che io ancora dormivo e poi la rivedevo il pomeriggio. Senti, e tuo papà invece cosa faceva?

-         Di papà mi ricordo poco perché se ne è andato presto.

-         È morto molto giovane?

-         Macché, se ne è andato a comprare le sigarette e non è più tornato.

-         Ah! Si è rifatto una vita?

-         Sì, con un’altra donna, hanno avuto un figlio, ma io questo fratello l’ho conosciuto che ero già grande, mi piaceva, ma siamo stati fratelli solo per due anni, perché a 18 anni se ne è andato in un incidente stradale. Lui se ne è andato veramente, niente sigarette come scusa ... Per cortesia mi porta una cicoria ripassata in padella?

-         Una pure per me, grazie!
Che storia! E tu invece è tanto che sei separata?

-         Sette anni, sì, sette anni, da dopo che ho avuto l’arresto cardiaco, però ora mi hanno messo un pace-maker e sono tornata più nuova di prima. Mi hanno detto che con questo posso fare quello che voglio senza correre il rischio di spegnermi.

-         Ti sei risposata?

-         No, non ci penso proprio! Ho un nuovo compagno,  ci vediamo il fine settimana, è il segreto per andare sempre d’accordo.
La cosa più importante comunque rimangono gli amici: prima ci piaceva andare a mangiare insieme al ristorante, ma oramai è diventato un lusso che non possiamo più permetterci. Molti di noi non se la passano affatto bene.

Allora sai che abbiamo fatto? abbiamo scritto su un foglio dei menù completi, dall’antipasto al dolce, tutti piatti di alta cucina, eh! poi una volta al mese, uno a turno mette la casa, e gli altri preparano un piatto del menù. Io l’ultima volta ho fatto il purè, ma quello vero, con le patate schiacciate e il burro, e l’abbiamo mangiato insieme al brasato al Barolo.  

-         Mamma mia, mi stai facendo tornare la fame, se non fossi pienissima.

-         Però il dolce ce lo facciamo?

-         Beh sì, direi proprio di sì.

 

S. è bella.
Un aspetto che inganna l’età di almeno 10 anni. E lei ne ha quasi sessanta.
Alta e magra senza essere esile: il fisico di una che ha fatto la resistenza sul fronte  della vita. Hai capelli biondi, raccolti a coda di cavallo come una ragazzina,  e una frangia dritta su gli occhi  come a nascondere i pensieri che certe volte le strozzano il sorriso.
Ma lei manda giù il boccone e torna subito a ridere.
Ride di una risata infantile e contagiosa.
Tant’è che di riflesso rido anche io.
Ci siamo conosciute due anni fa, forse tre, il suo nome pescato a caso da una lista di B&B un giorno che cercavo una sistemazione per degli studenti Erasmus in zona Università. Quel giorno avrò fatto più di 10 telefonate  e lei è stata la prima a dirmi di sì.
Da allora ci sentiamo spesso, per lavoro ovviamente.
Anche se tra una comunicazione e l’altra ci scappa sempre qualche chiacchiera.
Ogni tanto un caffè.
L’altroieri però abbiamo deciso di concederci il tempo di un intero pranzo.
Un’ora che è volata via in dieci minuti.
Mi sono alzata da tavola sazia di cibo e ancora affamata di altre storie:
S. ha una tale grazia nel raccontare la vita, che ne avrei ordinata volentieri un’altra porzione.
Per quanto anche gli gnocchetti vongole e pomodorini erano buonissimi.

 

 

 

 

 

 

 
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L’obsolescenza programmata, ovvero quando il fashion diventa un affare squisitamente politico

Post n°342 pubblicato il 22 Novembre 2013 da viburnorosso
 

“Ci  rivediamo presto!”
L’ aveva promesso l’anno scorso, prima di salutarci,  e così è stato.
Serge Latouche, il  teorico della decrescita felice, è tornato a raccontarci della sua idea di mondo. 
Così utopistica e visionaria da sembrare ragionevole e possibile. 

Stavolta ha parlato di obsolescenza programmata, che è il termine con cui in economia si indica il fatto che le merci siano progettate per durare un tempo decisamente inferiore a quanto il progresso tecnologico oggi consentirebbe loro di sopravvivere.
Si tratta di una pratica introdotta nel secolo scorso per sostenere il mercato in epoca di recessione e poi utilizzata in maniera sistematica per incentivare il consumo di beni oltre alle reali necessità dei consumatori.

Cosa sia l’obsolescenza programmata lo sa bene l’economista e il pubblicitario, ma lo intuisce anche il povero consumatore, la cui lavatrice esala il suo ultimo giro di centrifuga esattamente il giorno dopo della data di scadenza della garanzia.
Del resto questa storia di regolare artificiosamente  l’usura delle merci non è che sia ‘sta gran trovata: se ci pensiamo la moda pratica lo stesso meccanismo da che esiste l’uomo, anzi, la donna, inducendola a disfarsi di oggetti ancora perfettamente funzionali in nome di un’obsolescenza non reale, ma solo percepita.  
Con tutto quello che poi ne consegue in termini di sprechi e produzione di rifiuti.

Insomma, a me questi ragionamenti mi trovano perfettamente d’accordo.
Anche perché mi restituiscono allargata una visione della realtà che coincide perfettamente con quello che pure io vedo passare dietro alla piccola finestrella da cui osservo il mondo, io, che non sono teorica di decrescite e non ho certo un’alta formazione economica.

E poi, lo ammetto, questi ragionamenti mi convincono anche per una motivazione squisitamente privata.
E qui abbasserei il tono della voce, se non foste veramente in due gatti a leggermi, perché sto per confessare qualcosa di cui mi vergogno un po’.  
Dicevo che questi ragionamenti  mi convincono perché rivestono di un significato profondamente ideologico la mia insana passione per la moda e l’abbigliamento vintage.
L’accessoristica e le scarpe (col cinturino).
Le borse e i cappelli anni '30.
Le sciarpe di seta e i foulard.
Secondo un gusto che se ne frega delle mode, trascura l’utile e punta dritto ad una sua personale idea di bello.

Ecco, dopo aver sentito parlare di obsolescenza programmata, posso finalmente smetterla di vergognarmi quando mi aggiro come una tossica tra i banchi del mercato, scavando alla ricerca del foulard da abbinare al vestitino a fiori. 
Grazie a questa nuova visione,  non mi sento più affetta da schizofrenia ideologica: posso agevolmente conciliare il mio animo fashionista con il mio credo marxista leninista.
Perché io non consumo, ma riciclo. 

E perché è più bello percorrere la strada della decrescita felice con una borsa intonata alle scarpe. 

 
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Cose intrinsecamente dimenticabili. Anche se talvolta capita di fermarsi al piano giusto

Post n°341 pubblicato il 20 Novembre 2013 da viburnorosso

Ti è mai capitato che vai a casa di qualcuno  
e non ricordi bene a che piano abita
e citofoni per dirgli di scendere
e quello ti risponde di salire un attimo,
ti è mai capitato, dicevo, che ti viene l’imbarazzo, per quanto stupido, di farti dire nuovamente il piano, perché lì ci sei già stato altre volte e pensi che dovresti ricordatelo?
E allora dici, adesso lo trovo da solo, il piano,
e così prendi l’ascensore,
e spingi un numero a caso,
ecco, hai mai fatto caso, che se vai direttamente al terzo, è quasi certo che quello abiti proprio lì?
e se non sta al terzo, allora sta al quarto?
Ma mai che stia al primo o al secondo, e men che meno al quinto?
Come mai?

Io questo fatto qui proprio non riesco a spiegarmelo. 
Anche perché teoricamente in un palazzo abitato di 5 piani, la probabilità che l’inquilino si trovi al terzo è esattamente la stessa che abiti su ciascuno degli altri piani, eppure tutte le persone di cui non ricordo il piano stanno al terzo, o massimo, al quarto. 

Che sia una qualità intrinseca del terzo piano, quella di essere facilmente dimenticabile?
Un po’ come nelle storie, che ci si ricorda bene l’inizio e la fine, mentre di tutto quello che sta in mezzo rimane solo un’indefinita corsa di ascensore tra il primo e il quinto piano. 
Talvolta con qualche fermata casuale al piano giusto. 

 
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Il principio di galleggiamento (però non credo che Archimede insegnasse nuoto sincronizzato)

Post n°340 pubblicato il 18 Novembre 2013 da viburnorosso
 

All’uscita di scuola Orsetta e Occhibelli discutono animatamente del compito di matematica.

Occhibelli ha trovato estremamente difficile un problema.
Orsetta [con tono di sufficienza] le fa osservare che per risolverlo bastava applicare il principio di Archimede.

- Archi-chi? -  trasecola Occhibelli, che non ricorda di conoscere nessun’altro con questo nome, oltre all’amico di Paperino.
- Su, Occhibelli, mi fa specie di te! - [E qui, con un paio di scarti sillabici, il tono dal sufficiente vira decisamente verso il saccente] - Dovresti conoscerlo bene Archimede visto che fai anche nuoto sincronizzato. Come pensi di tenerti a galla?
- No guarda che io a galla mi ci tengo benissimo da sola e Archimede non ce l’ho mai avuto come insegnante, anche perché nuoto sincronizzato è una disciplina femminile!

 
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