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Il Sole di Stagno - Romanzo

 

Il Sole di Stagno - Vincenzo Aiello - con-fine ed. - Bologna, 2006

C'è qualcosa che accomuna questo racconto di Aiello al grandioso romanzo di Walter Siti, Troppi paradisi. Così lontani e tra di loro diversi, entrambi si sono proposti di tematizzare il tempo, fissandolo alla svolta del secolo e del millennio. Per narrare come storia la contemporaneità e la propria stessa esperienza, senza consegnarsi all'autobiografia, bisogna scegliere una lingua e giova inoltre (secondo me) una cornice esplicita di referenti cronologici. Che annunci subito il carattere del testo, di selettiva ricostruzione. Distante dal testo soggettivo della semplice memoria. È il problema che Aiello, nella sua prova d'esordio, ha in parte eluso, affidandosi ai soli dati interni. Quanto alla lingua invece, o meglio alla voce di scrittore, ha usato felicemente, la sua, che nella nuova generazione è una delle più personali.

Lidia De Federicis (L'Indice dei Libri) 

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"Resistere, resistere"

Post n°46 pubblicato il 10 Giugno 2009 da VincenzoAiello68
 

La narrazione d’esordio del quarantenne sociologo puteolano Rosario Zanni, “Mal’aria – Colerosi, affamati e ribelli di fine ‘800 (Stampa Alternativa/Nuovo Equilibri; pagg. 264, euro 15)” è un romanzo storico che partendo dall’episodio realmente accaduto dell’epidemia di colera avvenuta a Pozzuoli nel 1887,  e che costrinse i paria della contrada vinifera “in un panico di tufo e carne”, ci racconta le vicende della famiglia popolare allargata dei Pollio.  Il tutto partendo dagli occhi di una bambina di nove anni Luigina , figlia del capostipite Gennaro Pollio, che nella malattia del padre vede il riflesso della cattiveria del mondo. Ma c’è chi resiste come il figlio Giacomo e la madre Maria Angela che organizzano la resistenza contro i linguaggi dei prefetti e dei medici e contro gli untori veri e presunti che generano lazzaretti in progress che servono solo a giustificare economicamente gli ingenti utilizzi di costosi distillati. Queste “energie baldanzose e puerili” incroceranno tante storie di lavoratori ancora in balia di curati e di garibaldini che cercano la consapevolezza della loro condizione, presagendo nelle rughe di Giacomo Pollio che un mondo – quello rurale – sta per finire e che presto nascerà una prima industrializzazione, figlia di un’incerta modernità. Questa classe di malasalariati incrocerà la loro protesta contro i ceti dei notabili e degli affaristi che l’ordine costituito contribuirà a spalleggiare con la leva dell’ordine pubblico manovrato per gli interessi di quelli di sempre. In tutto questo affresco storico-sociale Zanni ha innestato anche la vicenda d’amore di Giacomo Pollio con Rosa Bonito giovane apprendista sarta, virgulto di bellezza popolana, che sarà contesa dal cavatore del Rione Terra e dal giovane borghese Procolo De Simone. Insomma in questo esordio dell’autore puteolano c’è una felice unione di Storia e di storie minime e quotidiane che vengono tenute insieme da una lingua leggera – ma mai banale – che ha un pregio che emerge prezioso: quello di sapere disegnare non solo le connessioni tra le persone e le cose, ma soprattutto quello conseguente degli stati d’animo dei protagonisti, con una profonda conoscenza della loro umanità. I lettori potranno rintracciare, e trarne giovamento, queste scansioni cesellate di sentimenti comuni come la rabbia, l’odio e la voglia di azione, soprattutto, nel rapporto altalenante della giovane coppia Rosa-Giacomo. In tutto questo Zanni cuce i suoi riferimenti sociali – Denza, Munch, Richardson – e quelli sociali e politici di un’epoca di trasformazione – il mazziniano Ettore Cuocolo; il collettivista Domenico Plinio -, con delicatezza narrativa che non appesantisce l’ordito di quello che è un romanzo storico particolare nella produzione meridionale, che non riusciamo ad avvicinare a nessuno di quelli che da De Roberto a Striano fino alla Orsini Natale, abbiamo letto. Forse per la maestria dell’autore che più che al genere – puro espediente narrativo - strizza l’occhio con la lente celiniana della memoria storica, più che a quello che è già accaduto, alla nostra attualità potilico-sociale, sempre più confusa.  “Mal’aria vuole dire colera, ma anche mancanza di lavoro e l’unica solitudine possibile è quella che temprava il corpo allenava la mente. Era il cuore, l’istinto, la pellaccia e la fatica ad indicare loro il torto e la ragione: un principio di realtà, una parvernza di perché” Solo così forse  “la vita può rimettersi all’opera per espropriare la morte”.

Vincenzo Aiello

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