SO CHE E' FINITAOh madre, sento la terra che mi cade sulla testa E mentre mi arrampico su un letto vuoto Oh va bene.. ho detto abbastanza Io so che è finita, eppure non desisto Non so cos'altro fare Oh madre, sento la terra che mi cade sulla testa Guarda, il mare vuole impadronirsi di me Il coltello penetrarmi Pensi di potermi aiutare? Triste sposa velata, sii felice Bel consorte, dalle il suo spazio Amante chiassoso e villano, trattala con gentilezza Sebbene lei abbia bisogno di te più di quanto ti ami Ed io so che è finita, eppure non desisto Non so cos'altro fare So che è finita Ed in realtà non è neppure mai cominciata Ma dentro di me era tutto così reale E tu addirittura ti sei rivolto a me dicendo: "Se sei un tipo così divertente Allora perché te ne stai da solo stasera? E se sei un tipo così sveglio Allora perché te ne stai da solo stasera? Se sei tanto simpatico Allora perché te ne stai da solo stasera? Se sei tanto affascinante Perché dormi solo stanotte? Lo so perché.. Perché questa è una sera come tutte le altre Ecco perché te ne stai da solo stasera Con i tuoi trionfi ed il tuo fascino Mentre loro sono l'una nelle braccia dell'altro.." é così facile ridere é così facile odiare Ci vuole del coraggio per essere buoni e gentili é così facile ridere é così facile odiare Ci vuole del fegato per essere buoni e gentili L'amore è Naturale e Vero Ma non per te, amor mio Non stasera, amor mio L'amore è Naturale e Vero Ma non per quelli come noi, amor mio Oh madre, sento la terra che mi cade sulla testa Ultimi commentiANIMA BLUESUno dei miei film preferiti Area personale- Login
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Post n°44 pubblicato il 06 Settembre 2008 da wolands
“Tu onnipotente supplice, ottieni da Dio il trionfo del bene, la liberazione dal male, dal comunismo, dal marxismo”. Non è, come può sembrare a prima vista, un slogan per le prossime campagne elettorali nazionali e regionali commissionato dal Popolo delle libertà, oppure una esternazione di Berlusconi registrata in qualche programma televisivo, magari con Emilio Fede, ma un passo della preghiera che i fedeli di Sciacca, città in provincia di Agrigento, hanno trovato dietro la “santuzza” della Madonna del Soccorso. Il titolo della preghiera è già una ammissione di colpa: Preghiamo e Ripariamo. Insomma si dà per scontato che chi abbia in mano quella “santuzza” raffigurante la Madonna del Soccorso, abbia commesso qualche peccato e quindi tocca riparare con la preghiera e con il “voto” alla Madonna auspicando, si legge, che “il trionfo del tuo cuore immacolato avvenga presto”. Peccatori di tutte le età, con la “santuzza” in mano e la preghiera riportata nel retro, possono “riparare” ai propri peccati non solo dal punto di vista morale, ma anche dal punto di vista politico. Ed è proprio questo che molti fedeli si sono chiesti: cosa c'entra, nella preghiera alla Madonna del Soccorso, la politica e la liberazione dai comunisti? Vuoi vedere che a forza di dichiararsi il nuovo Gesù, il cavaliere abbia convinto la Madonna a partecipare alla campagna elettorale? Il fatto è che i tempi cambiano, e con loro anche i peccati. Se fino ad alcuni anni fa alla patrona di Sciacca, che viene portata in processione il 2 febbraio ed il 15 agosto in mezzo ad una folla di gente, si chiedeva un aiuto morale, una guarigione da una malattia, il ritorno del figlio dal servizio di leva, insomma un miracolo di quelli standard, o per meglio dire divino, e come preghiera ci si affidava alla classica “Ave Maria” che ci liberava da “ogni male”, adesso si ringrazia per i papi, i vescovi e i sacerdoti, si identificano i mali da sconfiggere: l'ateismo e l'immoralità, e si chiede di liberarci dai comunisti e dal marxismo. Insomma, oggi, essere comunista è un peccato (mortale o veniale non è specificato) che va confessato e “riparato” con la preghiera alla Madonna. Che anche le “santuzze” distribuite ai fedeli siano diventate un mezzo per fare campagna elettorale?
Post n°43 pubblicato il 01 Agosto 2008 da wolands
Aumentano i prezzi, gli stipendi sono sempre gli stessi, e la maggior parte delle famiglie saccensi non ce la fa ad arrivare a fine mese. Ad ogni aumento, togliamo dalle nostre abitudini quelle cose che ci sembrano superflue. Se prima si andava a mangiare la pizza ogni fine settimana adesso dimezziamo le uscite, se vogliamo andare al cinema, preferiamo aspettare che esca un film che sia assolutamente da vedere. Non parliamo poi di viaggi e vacanze... Accursio Soldano
Post n°42 pubblicato il 17 Luglio 2008 da wolands
Steve Buscemi, il paranoico mister pink del film “Le iene” di Tarantino, ha compiuto 50 anni. Il paranoico mister pink di “Le iene”, che discuteva animatamente sulla scelta del soprannome da usare per la rapina in banca nel film di Tarantino, l’ho incontrato durante un suo viaggio in Sicilia, e precisamente a Menfi, alla ricerca delle proprie origini. D'altronde il cognome non lascia dubbi sulle sue origini italiane, ma ci tiene a precisare che in realtà, malgrado la discussione animata con Mister black, a lui il colore viola piace. Il suo bisnonno Giuseppe Buscemi, nel 1909 all'età di otto anni, così come tanti siciliani, partì da Menfi con una valigia piena di speranze e una targhetta con il suo nome appiccicata al petto. Anche lui in cerca di fortuna in America. Si stabilì a Brooklyn, dove nacquero i suoi figli. Adesso il popolare attore americano ha deciso di venire in Sicilia e visitare quei posti immaginati nei tanti racconti del nonno, ma che né lui né suo padre avevamo mai visto. Un ritorno alle origini, dopo quattro generazioni, per respirare l'aria di famiglia. Ed ha incontrato i suoi cugini. Steve Buscemi è cresciuto a Long Island, e fino al 1986, non pensava di diventare uno degli attori preferiti di Quentin Tarantino e dei fratelli Coen: faceva il pompiere. La svolta arriva quando si trasferisce nell'East Village per frequentare i corsi di recitazione del Lee Strasberg Institute. Ed è lì, che nel 1986 viene scelto da Bill Sherwood per interpretare Nick, cantante rock malato di Aids, nel film Parting Glances. È l'inizio di una carriera di attore che lo vedrà impegnato con registi del calibro di Jim Jarmusch e dei fratelli Coen, con i quali ha lavorato in “Barton Fink”, poi nel ruolo del barista beat in “Mister Hula Hoop e ancora nel bellissmo “Il grande Lebowski”. Ma il ruolo che lo renderà famoso al grande pubblico, sarà il “Mister pink” nel film di Quentin Tarantino, per il quale ha vinto il premio della IFP Spirit Awards Steve è una persona semplice, a parlare con lui non hai proprio l’impressione di parlare con un divo del cinema… chissà… magari fra divi ci capiamo! Facciamo una passeggiata sul parco e discutiamo dei fratelli Coen, gli dico che sono i miei registi preferiti e che quel film "Fratello dove sei" ogni volta che lo vedo mi fa scassare dalle risate. Lui sorride e annuisce e si diverte a pensare George Clooney che fa la parte dello scemo con la mania della brillantina.
Post n°41 pubblicato il 16 Luglio 2008 da wolands
Ad avere tutti i francobolli che ricordano la Sicilia, si ha in mano una vera e propria enciclopedia, divisa per sezioni. Una guida turistica alla scoperta delle bellezze dell'isola. A guardare bene, dipinto su quel piccolo pezzetto di carta, non manca un vero e proprio itinerario che porta il viaggiatore alla scoperta di manifestazioni popolari come le Candelore di Catania, la via Crucis di Caltanissetta, il presepe di Caltagirone e la storica Targa Florio, così come, sfogliando la raccolta di francobolli, si può ricostruire un ideale itinerario storico-archeologico siciliano, alla scoperta dei monumenti. Si parte dal campanile del Duomo di Messina, si passa dal teatro greco di Tindari, magari con in mano il libro di Camilleri, poi si prosegue per il Castello Ursino di Catania e si arriva fino a Piazza Armerina per ammirare i mosaici. Dopo esserci fermati ad Enna ed a Mussomeli per visitare il castello di Lombardia e quello Manfredonico, si continua il viaggio verso Gela con le sue famose Mura Timoleontee. Si prosegue per Agrigento, e dopo avere visitato la valle dei templi e il Museo archeologico, si entra dentro la villa Palagonia di Bagheria, e nel duomo di Monreale. E infine si arriva a Palermo. Quattro i francobolli dedicati al capoluogo siciliano, e raffigurano il Teatro Massimo, l'orto botanico, la fontana di Piazza Pretoria e Piazza Giuseppe Verdi. A questi, si aggiungerà il teatro greco di Eraclea Minoa. Come dire, il giro della Sicilia su un piccolo pezzetto di carta appiccicato su una busta. Per chi invece non vuol visitare i monumenti, ma andare in giro per le città siciliane, e visitare le bellezze dell'isola, i francobolli propongono un itinerario di ben diciotto posti che vale la pena di vedere. Ci son tutte le isole, da Lampedusa a Pantelleria, da Lipari a Stromboli e per chi ama l'avventura, a parte l'Etna, si può andare alla ricerca del famoso Grifone dei Nebrodi. Insomma, non il solito giro turistico, ma un viaggio attraverso un pezzetto di carta.
Post n°40 pubblicato il 08 Luglio 2008 da wolands
Sono ben 560 lettere, quelle che Luigi Pirandello scrisse a Marta Abba, e lei gli rispose ben 280 volte, a testimonianza di un rapporto che andava al di là della semplice collaborazione artistica. Musa ispiratrice del grande scrittore e commediografo agrigentino, Marta Abba fu una delle più grandi interpreti del Novecento, e soprattutto, una delle più grandi interpreti delle commedie del grande drammaturgo siciliano. Nata a Milano il 25 giugno 1900, primogenita del commerciante Pompeo Abba e di Giuseppina Trabucchi, ebbe con Pirandello un rapporto molto intimo, al punto che lo stesso scrittore agrigentino in una delle sue lettere scriveva “…Marta non m’abbandonare,… non è possibile che tu non sia, come autrice vera e sola, in tutto quello che ancora faccio. Ma io sono la mano. Quella che in me detta dentro, sei tu” Si è molto discusso, su una presunta storia d'amore, da alcuni ritenuta solo platonica, tra l'attrice e il grande scrittore siciliano, ma sebbene nessuno, ancora oggi sia in grado di affermare con certezza che fra i due non ci fosse solo un amore platonico, e che tutto fosse amplificato dalla celebrità raggiunta da Pirandello dopo il conferimento del premio Nobel, si può affermare con certezza che il rapporto fra i due fu di notevole intensità sentimentale. Senza contare che la loro collaborazione artistica regalò pagine importanti al teatro italiano. Marta Abba cominciò a studiare recitazione presso l'Accademia dei Filodrammatici, ed esordì sulle scene teatrali nel 1922 nel Gabbiano di Cechov. Nel 1925 avvenne la svolta decisiva della sua carriera artistica. Luigi Pirandello, che l’anno prima grazie ad una sovvenzione di 50.000 lire concessagli da Benito Mussolini aveva creato il teatro “dei dodici”, letta una critica di Marco Praga che ne esaltava le qualità sceniche, la scritturò come prima attrice del suo nuovo Teatro d'Arte di Roma con un contratto che prevedeva una paga di 170 lire giornaliere. Da quel momento, la giovane attrice milanese divenne la musa e l'interprete preferita dal drammaturgo siciliano, portando in scena quasi tutti i suoi lavori. Da “Diana e la Tuda” a “L'amica delle mogli”, fino a “Come tu mi vuoi”. Marta Abba conquisterà il drammaturgo fino a identificarsi in una immagine vivente del teatro pirandelliano: il successo dell’uno sarebbe stato il successo dell’altra. A testimonianza del rapporto con Pirandello, rimane un epistolario. Un carteggio di circa 560 lettere scritte dallo scrittore, alle quali l'attrice rispose per 280 volte, poi donato all'Università di Princeton nel New Jersey e pubblicato integralmente soltanto nel 1994 da Mursia “Caro maestro... lettere a Luigi Pirandello (1926-1936)”; mentre “Lettere di Luigi Pirandello a Marta Abba”, pubblicato da Mondadori nel 1995, contiene solo le lettere scritte da Pirandello all'attrice. La pubblicazione avvenne tardi perché per decenni la grande attrice italiana aveva meditato sull'opportunità di mettere a disposizione degli studiosi quei documenti, e continuava a rimandare ogni decisione, combattuta tra il desiderio di rivelare al mondo un Pirandello intimo ed ancora ignoto, e il pudore d'infrangere il velo di riserbo sul loro rapporto. Nel 1985, all'età di ottantacinque anni, finalmente l'attrice si mise in contatto con l'università di Princeton, che fu ben disposta ad accettare la donazione, garantendone la conservazione e la pubblicazione da parte della Princeton University Press. Gli ultimi anni li trascorse a San Pellegrino Terme dove morì il 24 giugno 1988, il giorno prima di compiere 88 anni.
Post n°39 pubblicato il 25 Giugno 2008 da wolands
C'è uno strano filo conduttore che unisce idealmente l'Italia, la Sicilia ed alcuni dei maggiori poeti americani della Beat Generation. Un denominatore che forse, a cinquanta anni di distanza dal romanzo “On the road” di Kerouac, pubblicato nel 1957, non è stato ancora pienamente esplorato. Ma non può essere un caso che proprio Jack Kerouac nella sua raccolta di poesie intitolata “Mexico City Blues” dedichi alcuni “refrain” all'Italia, e non è da sottovalutare il fatto che grandi poeti come Gregory Corso e Philip Lamantia abbiano avuto a che fare con l'Italia e soprattutto con la Sicilia. E' già passato mezzo secolo dalla pubblicazione di quella che è considerata la “Bibbia” della Beat generation, eppure i poeti e gli scrittori di quel periodo continuano ad essere attuali. Per giustificare il legame con l'isola, basterebbe ricordare la poesia che Gregorio Nunzio Corso (vero nome di Gregory) scrisse nel luglio del 1990 per la “Fiumara Arte”. Tanto tempo fa Serse ispezionando le sue vaste divisioni gridò: Tra cento anni non saranno più!/Sicilia non Italia/Palermo tragico / Santo Stefano bello/un giovane ricco sa che morirà/ Egli crea la bellezza/e mi domanda perché?/Io, anch'io sto morendo/in vista di tutto ciò. Gregory Corso era nato a New York, nel Greenwich Village da genitori italiani, e forse questo suo grande legame paterno, insieme all'amore per il poeta inglese Percy Shelley lo portò a chiedere alla figlia di di essere seppellito a Roma, nel "Cimitero degli Inglesi" dove riposa lo stesso Shelley. A ricordare le sue origini italiane, oltre ai riferimenti nelle sue poesie, ci pensò Jack Kerouac, quando in una intervista dichiarò che “Gregory era un ragazzino duro dei quartieri bassi che crebbe come un angelo sui tetti e che cantava canzoni italiane con la stessa dolcezza di Caruso e Sinatra”. Insieme a Corso, figlio di genitori italiani (sua madre lo abbandona per tornarsene in patria), un altro poeta, assiduo frequentatore dello storico gruppo di poeti Beat, composto da William Burroughs, Allen Ginsberg, lo stesso Corso e Jack Kerouac, era Philip Lamantia. Nato a San Francisco da genitori immigrati di origine siciliana, Lamantia è stato il primo poeta americano a fare ricorso al modello di versificazione dei surrealisti francesi e nella seconda metà degli anni sessanta, è diventato, con le sue poesie che inneggiavano ai valori di libertà, amore e pacifismo, “il poeta” per eccellenza della stagione Beat.
Post n°38 pubblicato il 13 Maggio 2008 da wolands
Le fiabe di Heinrich Hoffman e le musiche del gruppo londinese dei Tiger Lillies, sono quanto di più carino e simpatico si trova oggi in circolazione. Soprattutto dal punto di vista musicale, visto che i tre pazzi Tiger compongono uno dei miei gruppi preferiti (che gusti!!!) Ma non sono le solite fiabe che siamo abituati a leggere, queste sono completamente diverse anche perché non tutti i libri di fiabe, per dimostrarsi educativi devono essere rassicuranti. E’ il caso ad esempio di Stuwwelpeter, scritto nel 1845 da Heinrich Hoffmann, medico di Francoforte direttore del locale ospedale psichiatrico. Originariamente raccontate ai pazienti più giovani, queste storie vennero poi raccolte e illustrate dallo stesso Hoffmann come regalo per il proprio figlio di tre anni. Curiosamente, sebbene si tratti di un libro per bambini, sulla copertina compare ancora oggi la scritta “non adatto ai bambini”.Questo perché le dieci storie raccolte nel libro sono davvero terrificanti. A cominciare da quella del bambino col vizio di succhiarsi il pollice, al quale la mamma, uscendo, raccomanda di non farlo per via dell’uomo cattivo che taglia i pollici. La mamma esce, il bambino si mette il pollice in bocca, ed allora un mostruoso essere taglierà i pollici al bambino che morirà dissanguato.Da qualche anno queste inquietanti fiabe sono diventate uno spettacolo teatrale di successo dei Tiger Lillies. Guidati da Martyn Jaques, il trio londinese ha dato vita a musiche da “junk opera” a metà strada fra Kurt Weil e Tom Waits. Pauroso e affascinante allo stesso tempo, la messa in scena delle fiabe di Hoffman si avvale di una scenografia che si rifà al teatro illusionistico vittoriano, con i personaggi che saltano fuori inaspettatamente da varie zone del palcoscenico. Se potete... andate a vedere lo spettacolo... a Vienna. Io ci vado!
Post n°35 pubblicato il 06 Marzo 2008 da wolands
To è una preposizione Come è un verbo To Come: venire, verbo intransitivo Vengo e una voce del verbo venire io vengo, tu vieni, noi veniamo Ah, la voce del verbo venire! E’ come un grande assolo di tamburi Sei venuto? Sei venuta? Bene. Sei venuto bene? Sei ben venuto? Sei venuta ben bene? Sei ben ben venuta? Sei venuto di gusto? Vengo meglio con te, io, tesoro, che con chiunque altro, chiunque altro in questo mondo boia. Me ne sono venuta di gusto. Sono venuta di gusto perché ti amo Sono venuto di gusto un bel po’ Vengo meglio con te, amore mio che con chiunque altra donna al mondo. Sul serio sai' mi fai godere tanto. Oh tanto. Ma non venirmi dentro non venire dentro di me. Non riesco a venire Perché tu non mi ami, ecco perché non riesci a venire Ti amo invece, non riesco a venire, ecco tutto. Ho un complesso. Non riesco a venire quando sono troppo carico. D'accordo? No. E’ perché non mi ami. Ma insomma cosa cavolo hai? Che ti succede? Ma che dici? Cosa ha a che fare questa roba con l’amore? Non riesco a venire ecco tutto. Ora… se c'è qualcuno in questa sala, o in tutto il mondo, che trova questa parola, questo verbo venire, indecente, volgare, osceno, decadente, amorale, immorale, asessuale, se il verbo venire lo mette a disagio, se mi giudica volgare perché lo pronuncio davanti a lui, ebbene, probabilmente costui non riesce a venire. E allora non serve a niente. Perché questo è lo scopo della vita: ricrearla.
Post n°34 pubblicato il 01 Marzo 2008 da wolands
Il 24 ottobre del 1807, moriva a Roma il pittore saccense Mariano Rossi, conosciuto soprattutto per aver affrescato con “Camillo che scaccia i Galli” la Volta del salone d'ingresso della palazzina di Villa Borghese a Roma; per aver dipinto “il Sogno di Papa Innocenzo III” nella chiesa di S. Maria all'Ara Coeli, e, su commissione del Re di Napoli Ferdinando IV, aver decorato la Volta del salone che fa da anticamera agli appartamenti reali della Reggia di Caserta. In questo salone, il pittore saccense raffigurò “Le nozze di Alessandro Magno con Rossana”. Ma le opere di Mariano Rossi, riconosciuto come uno dei maggiori pittori del 700 italiano, ed oggi in esposizione al Museo del Louvre di Parigi, si trovano in tutta Italia. E soprattuto in Sicilia. Fu lui, che nel 1802 ricevette l'incarico di decorare la Cattedrale di Palermo. Gli affreschi, secondo il disegno orginale, dovevano ricoprire il catino dell'abside, la volta del coro, la cupola e la navata centrale, e dovevano rappresentare idealmente, il ristabilimento della religione cristiana in Sicilia ad opera dei Normanni. Mariano Rossi non terminò tutto il lavoro, ma ancora oggi si possono ammirare gli affreschi nel catino dell'abside dove sono rappresentati Roberto il Giuscardo e il Conte Ruggero che restituiscono la chiesa al vescovo Nicodemo e nella Volta del coro, dove è dipinta l'Assunzione di Maria Vergine. L'occasione di affrescare la Cattedrale di Palermo gli venne data nel 1978, quando, insieme a Ferdinando IV fuggì da Napoli per recarsi a Palermo. E' in questa occasione che “il degno e celebre pittore don Mariano Rossi che fortunatamente si trova in questa città” ricevette dal sovrano l'incarico di decorare gli interni della Cattedrale. Per quel lavoro, avrebbe percepito uno stipendio annuo di 60 onze. Ma dopo due anni e dopo aver affrescato il catino dell'abside e la Volta del coro, il pittore saccense venne sospeso dall'incarico perchè considerato inadempiente ai suoi doveri. Quest'anno, in occasione del duecentesimo anniversario della morte, la città di Sciacca, che per lungo tempo ha dimenticato questo grande artista, che nel corso della sua vita fu amato dalla Chiesa, dai Re e dai Principi, e pur di non lavorare per i francesi si ridusse in miseria, sta preparando una serie di manifestazioni che si concluderanno il prossimo mese di ottobre con un grande convegno al quale sono stati invitati critici d'arte, e docenti di storia moderna e contemporanea. Ma chi era questo pittore? Mariano Rossi nacque a Sciacca da Francesco Russo e da Margherita Cottone l'8 dicembre 1731. In seguito cambiò il cognome in Rossi. Fin da piccolo comincia ad apprendere i primi rudimenti dell'arte pittorica presso la bottega del suo compaesano Gaspare Testone. Questi, avendo intuito le grandi potenzialità del giovane Rossi, e grazie ai buoni uffizi di Don Gioacchino Manno, Barone di Lazzarino, lo avvia a Palermo alla scuola di Filippo Randazzo. Alla morte di questi, avvenuta nel 1747 Mariano Rossi parte della volta di Napoli, dove rimane quasi tre anni, per poi trasferirsi a Roma, accolto dal sacerdote Antonio Pavone che lo inserisce nella bottega di Marco Benfial. Da qui parte la fortuna e la fama del giovane Mariano Rossi che a soli 23 anni, il 10 maggio 1754 al concorso di pittura indetto dall'Accademia di San Luca, ottiene il secondo premio con il disegno raffigurante Elia che ordina al popolo l'arresto dei falsi profeti di Baal. La proclamazione ufficiale avviene sei mesi dopo con una solenne celebrazione in Campidoglio. La fama del giovane pittore siciliano comincia a crescere a tal punto che il 5 ottobre del 1766 viene accolto fra i membri dell'Accademia di San Luca e il 21 dicembre si insedia nella carica. Il lavoro non manca mai, e gli anni che vanno dal 1764 al 1768 Mariano Rossi li dedica, soprattutto, ad affrescare la chiesa di San Giuseppe alla Lungara, a Roma. Vi dipinge l'Adorazione dei Magi, la Strage degli innocenti, tredici riquadri con la scena centrale di Cristo nell'orto e, lateralmente, i dodici apostoli. E ancora, quattro tondi con la nascita del Redentore, lo sposalizio della Vergine, Gesù nella bottega di Giuseppe, e la morte di Giuseppe. Ma in quegli anni lavora anche in Sicilia. A Sciacca, nella chiesa delle Giummare, dipinge l'Assunzione della Vergine con S. Benedetto e, lateralmente, due riquadri con i santi Pietro e Paolo, mentre nel presbiterio raffigura la Santissima Trinità. Sempre per le chiese di Sciacca realizza “La Vergine e le Anime purganti” per la chiesa del Purgatorio, e per la chiesa di San Francesco di Paola la Madonna della Luce ed i dipinti con la Deposizione e la Sacra Famiglia. Questi ultimi tre, restaurati, sono oggi esposti nell'ex chiesa di Santa Margherita, nell'ambito di una mostra dedicata al Rossi. Le tre grandi tele sono accompagnate da un omaggio che sette pitori saccensi hanno voluto dedicare al maestro. Favorito dalla crescente fama e dalle segnalazioni del Cardinale Alessandro Albani, il Rossi, nel 1770, è chiamato a Torino dal duca di Savoia e Re di Sardegna Carlo Emanuele III. In quella città, nell'appartamento estivo del re, dipinge un affresco rappresentando in maniera allegorica le arti della pittura, della scultura, dell'architettura e del disegno, due dipinti per le camere delle principesse Madama di Savoia e Maria Felicita e un cartone per un arazzo con Enea che salpa verso il Chersoneso. Finito il lavoro, rientra a Roma, e il 3 febbraio 1772 per procura, sposa la cugina Rosa Navarra dalla quale avrà tre figli, Tommaso, Arcangelo e Teresa. Solo Tommaso si dedicherà alla pittura, ma non riuscirà ad eguagliare il padre. Nel 1774 dipinge quello che è considerato il suo capolavoro. In quell'anno riceve dal cardinale Scipione Caffarelli Borghese l'incarico di decorare la Volta del salone d'ingresso nella palazzina di Villa Borghese. La Volta misura 19 metri di lunghezza per 13 metri di larghezza. L'affresco rappresenta l'apoteosi di Romolo accolto da Giove nell'Olimpo, mentre propizia la vittoria dell'eroe romano Furio Camillo contro i Galli, guidati da Brenno. Il tema sembra che fu scelto in occasione della nascita del primogenito di Marcantonio IV Borghese. Nel dipinto viene raffigurato Camillo che arriva con la spada sguainata sul colle capitolino rovesciando la bilancia su cui all'oro dei romani fa da contrappeso la spada di Brenno che, caduto a terra, alza il braccio destro per proteggersi. I lavori per questo grandioso affresco lo impegnarono dall'ottobre del 1776 al giugno del 1779 e alla fine ricevette un compenso di 4800 scudi. Ma gli eventi storici e la rivoluzione napoleonica condizionarono la vita del Rossi. Nel 1979 nel corso di un tumulto provocato da alcuni rivoluzionari italiani e francesi, venne ucciso un generale francese. Questo fornì il pretesto per una la cosiddetta occupazione francese di Roma. Il generale Berthier marciò sulla città, occupandola senza incontrare resistenza e dandosi poi al saccheggio dei tesori d’arte del Vaticano. Ridottosi quasi in miseria in seguito all'arresto di Papa Pio VI da parte dei francesi, Mariano Rossi si rifugiò in Sicilia al seguito di Ferdinando IV di Borbone e vi rimase fino al 1804. In questi ultimi due anni dirigerà l'Accademia del Disegno di Palermo. Nel 1806 viene richiamato dal Sovrano a Caserta, ma in seguito all'ingresso delle truppe francesi, che ormai, con Napoleone avevano invaso l'Italia, si rifugia a Roma dove muore in solitudine, il 24 ottobre 1807, non volendo lavorare per i nuovi signori francesi. E' sepolto nella chiesa di Santa Susanna.
Post n°33 pubblicato il 16 Febbraio 2008 da wolands
Lenny Bruce era un comico. Morì a quarant’anni il 3 Agosto 1966 per un collasso provocato da una dose eccessiva di eroina. Il suo corpo fu trovato dentro il bagno della sua casa, completamente nudo.
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Inviato da: yama_san
il 28/10/2009 alle 12:46
Inviato da: nichivrocchiblu
il 21/10/2009 alle 20:16
Inviato da: jonica1
il 15/10/2008 alle 11:24
Inviato da: silvietta_36
il 16/07/2008 alle 15:45
Inviato da: silvietta_36
il 16/07/2008 alle 15:41