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Messaggi del 13/12/2018
Post n°1781 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
DA "IL CONTE DI CARMAGNOLA" TRAGEDIA SCRITTA DA A.MANZONI atto 1, scena 1 IL DOGE È giunto il fin de' lunghi dubbi, è giunto, |
Post n°1780 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: citazioni riportate integralmente dall'Internet. Ben 152 varianti geniche che ci proteggono da molti virus sono un'eredità dell'incrocio tra Neanderthal ed esseri umani moderni. Arrivati in Eurasia centinaia di migliaia di anni prima degli Homo sapiens, i Neanderthal avevano avuto il tempo di evolvere difese contro virus presenti in Europa e in Asia ma non in Africa, un vantaggio adattativo che ha assicurato la permanenza di quelle varianti nel nostro genoma. I Neanderthal ci hanno lasciato un'eredità genetica positiva: un cospicuo numero di mutazioni in alcuni geni che offrono protezione da molti virus a RNA. La scoperta - fatta dai biologi evoluzionisti David Enard, dell'Università dell'Arizona a Tucson, e Dmitri A. Petrov, della Stanford University, e illustrata su "Cell" - è un'ulteriore conferma dell'importanza del patrimonio genetico che abbiamo ereditato dai nostri cugini estinti. I Neanderthal sono scomparsi fra 30.000 e 40.000 anni fa, ma hanno fatto in tempo a incrociarsi con la nostra specie, che aveva da poco iniziato a diffondersi in tutto il mondo. Le tracce di questo incrocio sono presenti in buona parte delle popolazioni non africane, e rappresentano in media circa il 2 per cento del genoma. Alcune di queste tracce, inoltre, sono molto più diffuse di altre, tanto da suggerire che la loro persistenza sia legata a un vantaggio evolutivo. L'eredità Neanderthal che ci protegge dai virus
i primi esseri umani moderni giunti in Eurasia con i virus a RNA tipici del continente, ma grazie al mescolamento delle popolazioni trasmisero loro anche le difese genetiche che avevano sviluppato, secondo un modello detto "veleno-antidoto" Analizzando i circa 4500 geni che negli esseri umani moderni interagiscono con i virus attraverso le proteine che producono, e confrontandoli con il database dei geni neanderthaliani identificati finora, Enard e Petrov hanno individuato 152 sequenze di DNA tipiche dei Neanderthal. Una serie di test ha permesso di concludere che le proteine espresse da quei geni di origine neanderthaliana offrono una certa protezione dalle infezioni dovute a diversi tipi di virus a RNA. In particolare, le proteine prodotte dalle varianti neanderthaliane interferiscono con il ciclo di r eplicazione del virus all'interno della cellula i nfettata, impedendone quindi la riproduzione e la capacità di infettare a cascata sempre più cellule. I Neanderthal - osservano i ricercatori - hanno vissuto fuori dall'Africa per centinaia di migliaia di anni, un tempo sufficiente perché il loro sistema immunitario evolvesse delle difese contro virus presenti in Europa e in Asia ma non in Africa. "Gli esseri umani moderni - ha detto Enard - hanno 'preso in prestito' le difese genetiche già presenti nei Neanderthal senza dover aspettare che si sviluppassero le loro mutazioni adattative, che avrebbero richiesto molto più tempo." |
Post n°1779 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: LE SCIENZE. CITAZIONI RIPORTATE INTEGRALMENTE. I Neanderthal sono spesso presentati come una specie che viveva un'esistenza violenta e piena di pericoli. Ma un confronto tra i crani di Neanderthal e quelli di esseri umani moderni vissuti in Eurasia in epoca preistorica non rivela alcuna prova che fra di essi vi fosse un tasso di traumi maggiore rispetto ai nostri diretti antenatidi Marta Mirazón Lahr / Nature paleontologiaantropologiaLe lesioni fanno parte della vita quotidiana, da un graffio sulla pelle a un osso rotto fino a un trauma fatale. E anche se molte lesioni sono accidentali, altre possono essere una conseguenza del comportamento, dell'attività o delle norme sociali di un individuo o di un gruppo, caratteristiche che ci parlano delle società, delle tensioni e dei rischi presenti all'interno e tra i diversi gruppi. forniscono ora una serie di dati che sfidano la diffusa opinione che tra le popolazioni Le storie di feriti e di morti sono sempre al centro dei notiziari. Ma al di là della nostra attrazione per le vicende di singoli individui, queste informazioni sono interessanti anche per ciò che ci dicono sulle nostre società. Tuttavia, per capire appieno cosa potrebbe determinare l'attuale grado di violenza, dobbiamo gu essi che modellano le tendenze e le capacità comportamentali, sociali e cognitive. per ricostruire aspetti di vite antiche, costruendo una "osteobiografia" che mette in luce una parte della storia della vita di un individuo. Gli scheletri conservano - sotto forma di fori, superfici deformate, disallineamenti ossei e fratture secondarie che si irradiano da un punto d'impatto - una firma dei traumi che hanno portato alla frattura, al taglio o alla perforazione delle ossa anche dopo che le ferite sono guarite. I Neanderthal con un'evidente lesione cranica (© Science Photo Library / AGF)Nei fossili di Neanderthal sono state spesso identificate delle lesioni traumatiche, in particolare alla testa e al collo, e questo ha fatto ritenere che nelle popolazioni neanderthaliane le lesioni scheletriche fossero più frequenti che nelle popolazioni umane moderne. che hanno analizzato le descrizioni pubblicate di Neanderthal e di crani fossili umani moderni trovati in Eurasia fra 80.000 a 20.000 anni fa circa. Confrontando il numero di crani con ferite e non nei reperti di Neanderthal e di umani moderni, gli autori riferiscono livelli di trauma cranico simili in entrambi i gruppi. sta nella progettazione dello studio. Invece di confrontare i dati dei Neanderthal con quelli di popolazioni umane più recenti o viventi, come hanno fatto studi precedenti, gli autori hanno basato i loro confronti su esseri umani che non solo hanno condiviso con i Neanderthal aspetti dell'ambiente in cui vivevano, ma la cui documentazione fossile avesse anche un livello di conservazione simile. a 114 crani di Neanderthal e 90 crani di umani moderni, annotando i dati su 14 ossa craniche (le principali) e raccogliendo informazioni che andavano da quelle su un singolo osso, nei fossili mal conservati, a quelle relative a tutte e 14 le ossa nei fossili meglio conservati. dei traumi in 295 ossa di Neanderthal e 541 ossa di umani moderni. Hanno anche raccolto altre informazioni, come la percentuale di ciascuna delle 14 ossa conservatesi per ciascun individuo, oltre a dettagli come il sesso, l'età alla morte e la posizione geografica del fossile. di analisi statistiche - una basata sulla presenza o assenza di traumi in ciascuna delle ossa craniche, l'altra sui singoli crani fossili considerati nel loro complesso - per verificare se ci fossero differenze statisticamente significative tra la prevalenza di traumi nei fossili di Neanderthal e in quelli umani. Hanno inoltre valutato se la prevalenza dei traumi era legata al sesso o all'età, tenendo conto della conservazione dei fossili, della posizione geografica e dei possibili effetti di interazione tra le diverse variabili. Le due analisi hanno dato risultati simili. pericolose tecniche di caccia a distanza ravvicinata, con armi come le lance qui raffigurate (Cortesia Gleiver Prieto & Katerina Harvati)Più completi sono i fossili, più è probabile che abbiano conservato le prove di lesioni. Questo potrebbe sembrare ovvio, ma è un problema spesso ignorato in questi studi. Beier e colleghi offrono così un modo per affrontare questo tipo di distorsione nel materiale disponibile. Una volta tenuto conto del grado di conservazione dei fossili, la prevalenza di traumi prevista nei Neanderthal e negli umani moderni è quasi la stessa. moderni mostrano una maggiore incidenza di traumi rispetto alle femmine delle rispettive specie, un andamento che rimane lo stesso per gli esseri umani di oggi. sebbene le lesioni traumatiche fossero presenti in tutte le fasce di età studiate, i Neanderthal con un trauma alla testa avevano più probabilità di morire prima dei 30 anni rispetto agli umani moderni. Gli autori interpretano questo risultato come una prova che, rispetto agli umani, da giovani i Neanderthal riportavano più lesioni, o che avevano più probabilità di morire dopo essere stati feriti. precedenti stime sui traumi tra i Neanderthal, ma offre un nuovo quadro di riferimento per l'interpretazione di questi dati, mostrando che il livello dei traumi fra i Neanderthal non era straordinariamente più elevato rispetto a quello dei primi esseri umani vissuti in Eurasia. non richiede spiegazioni particolari e che il rischio e il pericolo erano parte della vita dei Neanderthal tanto quanto lo erano del nostro passato evolutivo. di prove che i Neanderthal avevano molto in comune con i primi gruppi umani. Tuttavia, la scoperta che i Neanderthal potrebbero aver subito traumi in età più giovane rispetto agli umani moderni, o che avevano un maggiore rischio di morte in seguito alle lesioni, è affascinante, e potrebbe essere una chiave di lettura del perché la nostra specie ha avuto un vantaggio demografico rispetto ai Neanderthal. La risposta è no. Beier e colleghi hanno valutato solo i traumi cranici. E' possibile che i Neanderthal subissero più lesioni in altre parti del corpo rispetto agli umani moderni? Ci sono dati che suggeriscono che potrebbe essere così. Inoltre, sebbene le analisi degli autori dimostrino la forza di uno studio ben progettato basato su grandi campioni, i dati usati sono stati registrati da molti ricercatori e a vari livelli di dettaglio, aumentando la possibilità di errori metodologici. fornire alcuni squarci sul comportamento, sulle attività o sulle norme sociali del passato. Dalla forma, dalla posizione e dall'estensione delle lesioni traumatiche negli scheletri e da caratteristiche quali l'affilatura dei bordi delle fratture o il grado di guarigione delle lesioni, talvolta è possibile stabilire la causa più probabile di un trauma; per esempio, se la lesione è dovuta a un incidente di caccia, a violenze interpersonali o a conflitti tra gruppi. trauma potrebbe indicare che la persona ferita è stata curata da membri della sua società. Stabilire la probabilità di ciascuno di questi scenari per i Neanderthal e per i primi esseri umani moderni continuerà senza dubbio a sfidare gli scienziati per molti anni. all'Università di Cambridge, dove dirige anche il Duckworth Laboratory, che ospita importanti collezioni di resti scheletrici di primati umani e non umani. |
Post n°1778 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: citazioni riportate integralmente dall?Internet. E' assai improbabile che un incrocio tra Neanderthal ed esseri umani possa aver dato origine all'attuale distribuzione dei frammenti genetici neanderthaliani nel nostro DNA. Lo afferma una nuova analisi, effettuata anche grazie all'aiuto dell'apprendimento automatico, che supporta l'ipotesi di contatti e incroci molteplici avvenuti in epoche diverse. antropologiagenetica Meno di 100.000 anni fa, Homo sapiens viveva quasi esclusivamente nel continente africano. I nostri antichi cugini - cioè le altre specie di Homo, come i Neanderthal e i Denisova - erano invece già sparpagliati nel continente euroasiatico, rispettivamente a occidente e a oriente. Poi però è cambiato tutto. I nostri antenati sono emigrati dall'Africa verso nord e si sono incrociati non una ma più volte con i neanderthaliani. È quanto emerge da uno studio pubblicato su "Nature Ecology & Evolution" a firma di Fernando Villanea e Joshua Schraiber della Temple University a Philadelphia, negli Stati Uniti. I tanti incroci di Neanderthal e Homo sapiens Ricostruzione dell'aspetto dell'uomo di Neanderthal. (Science Photo Library / AGF) definitivo un dibattito che dura da anni e riguarda il possibile numero d'incontri tra le due specie di Homo, cioè sapiens e neanderthalensis. Il dato incontrovertibile è che una percentuale variabile tra il 2 e il 6 per cento del genoma delle persone che non sono di origine africana deriva dai Neanderthal e dai Denisova. Ma l'ipotesi più semplice per questo dato, cioè che il mescolamento genetico sia avvenuto come conseguenza di un unico incontro, era già stata criticata perché nelle popolazioni asiatiche, la percentuale del DNA derivato dai Neanderthal è del 12-20 per cento più alta rispetto agli europei. E questo secondo dato faceva ipotizzare altri contatti che, nel corso della storia remota delle due specie, avrebbero potuto aumentare gli incroci genetici. Per fornire una solida base sperimentale all'ipotesi di più incontri, Villanea e Schraiber hanno analizzato le banche dati più complete sulla distribuzione dei geni neanderthaliani nel DNA di soggetti asiatici ed europei. Usando diversi modelli teorici e ricorrendo anche alla tecnica di apprendimento automatico nota come deep learning, gli autori hanno concluso che il modello di un singolo evento d'incrocio non è il più adatto a spiegare i dati empirici. Quindi bisogna dedurre che gli incroci sono stati più di uno. Come sottolinea Fabrizio Mafessoni, del Max-Planck-Institut per l'antropologia evoluzionistica di Lipsia, in Germania, in un articolo di commento pubblicato sullo stesso numero di "Nature Ecology & Evolution", lo scenario degli episodi multipli d'incrocio tra esseri umani e neanderthaliani è in accordo con un modello emergente di interazioni frequenti e complesse tra i diversi gruppi di ominidi. Recentemente, infatti, sono state scoperte prove dirette di un incrocio tra Neanderthal e Denisova, ed era già noto che gli stessi Denisova si fossero incrociati sia con Homo sapiens sia con altri ominidi. Rimane tuttavia da spiegare una differenza: l'impronta sul nostro DNA lasciata dai Denisova ha due componenti distinte, invece nel caso dell'impronta neanderthaliana non si osservano componenti distinte e chiaramente riconoscibili. La prima ipotesi è che all'epoca in cui H. sapiens iniziò la sua diaspora nel continente euroasiatico, la popolazione dei Neanderthal era molto omogenea, come peraltro confermato sperimentalmente dalla limitata variabilità degli antichi DNA neanderthaliani prelevati in Europa occidentale e in Siberia. L'alternativa è che i primi incontri siano avvenuti in una regione geograficamente ristretta, e che altri siano seguiti in epoca successiva, quando le popolazioni di H. sapiens europei e asiatici già si erano separate. |
Post n°1777 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: citazioni riportate integralmente dall' Internet. Scoperta una nuova luna nel nostro sistema solare Ci sono voluti tre diversi telescopi spaziali per trovare la nuova luna. Secondo gli scienziati è una scoperta rivoluzionaria La NASA e l'Esa (Agenzia Spaziale Europea) hanno raccolto le prove dell'esistenza di una nuova luna all'interno del nostro sistema solare. Grazie allo sforzo combinato dei telescopi spaziali Hubble, Herschel e Kepler gli scienziati sono riusciti a confermare la presenza di un lontanissimo satellite. Questa luna orbita attorno al pianeta nano 2007 OR10, i l terzo per grandezza dopo Plutoneed Eris, in una delle regioni più periferiche del sistema solare - la fascia di Kuiper. Questa importantissima scoperta permetterà agli scienziati di fare luce sull'origine dalla nostra galassia e sulla formazione dei corpi celesti quando il nostro sistema planetario era appena nato. La "nuova" luna, dal nome ancora sconosciuto, dimostra che quasi tutti i pianeti nani più grandi possiedono dei satelliti, con l'eccezione di Sedna che non ne possiede nessuno. La scoperta, coordinata dall'Osservatorio Konkoly di Budapest e pubblicata sulla rivista " The Astrophysical Journal Letters", illustra la formazione dei pianeti nani sulla fascia di Kuiper. "In principio ci doveva essere una grande densità di oggetti. L'attrazione gravitazionale deve aver causato un aumento della velocità dei corpi e, inevitabilmente, ha provocato delle collisioni", spiega il documento, "E questo significa che quando questi corpi sono nati, miliardi di anni fa, gli scontri dovevano essere molto frequenti, facilitando la formazione di lune. Questa scoperta ci fa mettere in discussione gli attuali modelli di formazione del sistema solare". Perché si formino delle lune e dei pianeti, la velocità di collisione non dev'essere né troppo alta, né troppo bassa. Nel primo caso il risultato non sarebbero che detriti, mentre nel secondo si formerebbero dei crateri. La ricerca, coordinata da Csaba Kiss, apre infinite possibilità sui modelli di creazione del nostro sistema solare e punta a rivoluzionare il nostro modo di guardare il cielo. I ricercatori hanno dato alla stampa questa ricerca dopo una verifica incrociata di vari centri spaziali. Hubble ha confermato l'esistenza della luna senza nome dopo che il telescopio Kepler aveva suscitato il dubbio della sua esistenza. Kepler ha osservato che il pianeta 2007 OR10 ha un periodo di rotazione molto lento, di circa 45 ore, e gli scienziati avevano ipotizzato che ci fosse un rallentamento dovuto ad un satellite ancora invisibile. È stato il telescopio spaziale Herschel (dell'ESA) ad analizzare il pianeta e la sua luna all'infrarosso per calcolarne le dimensioni. Che cos'è un pianeta nano? Il termine è stato coniato nel 2006, quando un enorme corpo celeste è stato scoperto oltre i confini di Plutone, quello che pensavamo essere "il pianeta più periferico" del sistema solare. Questi pianeti nani hanno una massa sufficiente ad acquisire una forma sferica, ma non forte abbastanza da ripulire l'orbita circostante da tutti i detriti. |
Post n°1776 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: citazioni riportate integralmente dall?Internet. Trovata "sorella" della Terra, potrebbe avere acqua in superficieGli scienziati hanno trovato una "sorella" della Terra che potrebbe avere dell'acqua sulla sua superficie Gli astronomi hanno scoperto una "sorella" della Terra che potrebbe avere dell'acqua in superficie. Il nostro Pianeta ha diversi "gemelli" sparsi per l'Universo. L'ultimo studio realizzato dagli esperti riguarda due "sorelle" situate a 111 anni luce da noi nella costellazione del Leone. Uno dei due corpi celesti, che orbitano intorno ad una nana rossa, potrebbe ospitare dell'acqua, un elemento fondamentale per la formazione della vita. La ricerca, pubblicata sulla rivista Astronomy and Astrophysics, è stata realizzata dall'astrofisico Ryan Cloutier dell'Università di Toronto, grazie ai dati raccolti tramite l'European Southern Observatory (ESO). Il pianeta K2-18b è stato scoperto nel 2015 e da subito gli astronomi si sono resi conto che aveva molte particolarità interessanti. Solo oggi però degli studi approfonditi hanno consentito di scoprire qualcosa di più sulla "sorella" della Terra. Innanzitutto la sua massa è maggiore di quella del nostro Pianeta e la superficie è rocciosa. Secondo le ipotesi degli scienziati potrebbe avere un'atmosfera gassosa oppure essere ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio. "Con i dati che abbiamo a disposizione, non possiamo distinguere tra queste due possibilità" ha spiegato Cloutier. La speranza dei ricercatori è a disposizione di avere molte più informazioni grazie alle osservazioni del James Webb Space Telescope (JWST) che nel 2019 verrà lanciato in orbita per raccogliere dati utili allo studio dell'Universo primordiale, degli esopianeti e del Sistema Solare. "Con il James Webb Space Telescope (JWST) - ha rivelato Cloutier - potremo sondare l'atmosfera del pianeta e vedere se ha un'atmosfera estesa o + un pianeta ricoperto d'acqua". Ma c'è di più: durante le sue osservazioni di K2-18b, Cloutier ha notato la presenza di alcuni segnali. Il primo si verifica ogni 39 giorni ed è provocato dalla rotazione della stella K2-18, il secondo viene avvertito ogni 33 giorni ed è frutto dell'orbita dello stesso pianeta, il terzo invece viene registrato ogni nove giorni. Il lancio del Telescopio Spaziale consentirà di risolvere anche quest'ultimo mistero. |
Post n°1775 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: citazioni riportate integralmente dall' internet. Secondo una ricerca, Venezia potrebbe essere più antica di quel che si pensaVenezia potrebbe essere più vecchia di quasi duecento anni. A testimoniarlo, il ritrovamento sorprendente fatto da un team di archeologi americani Venezia potrebbe essere più "vecchia" di quel che credevamo e avere quasi 200 anni in più. della Colgate University di Hamilton, a New York, che avrebbero spostato indietro di circa 180 anni la data della costruzione della città. La nascita del primitivo insediamento, chiamato Rivoaltus, è tradizionalmente posta al 25 marzo del 421, con la consacrazione della chiesa di San Giacometo, sulle rive dell'attuale Canal Grande. La ricerca a stelle e strisce, coordinata dal professor Albert Ammerman e pubblicata sulla rivista "Antiquity", andrebbe però a ribaltare ciò che finora attestava Chronicon Altinate. Secondo gli archeologi americani, la storia di Venezia sarebbe in realtà iniziata nel nono secolo, mentre l'edificazione della chiesa situata nel sestiere di San Polo sarebbe avvenuta solo nel 1100, dopo quella della Basilica di San Marco, consacrata nell'832 d.C.. A testimoniarlo, è stato il ritrovamento di due noccioli di pesca, rinvenuti a 4,2 metri di profondità sotto il pavimento a mosaico della Basilica di San Marco, che risalgono fra il 650 e il 770 dopo Cristo. Ciò significa che sono di quasi due secoli più vecchi del monumento più importante del capoluogo veneto. La prima chiesa dedicata a San Marco, voluta da Giustiniano Partecipazio, fu costruita accanto al Palazzo Ducale nell'820 per ospitare le reliquie del santo trafugate, secondo la tradizione, ad Alessandria d'Egitto da due mercanti veneziani. Le due pesche sarebbero state addentate 1300 anni or sono, quando la cattedrale non era stata ancora costruita, e i loro noccioli si trovano in uno strato di sedimenti che, nell'ottavo secolo d.C., doveva essere un metro sotto il livello del mare. Probabilmente potrebbero essere stati abbandonati dagli avi veneziani in un antico canale della laguna, prima della costruzione della città, o forse lanciati da una barca. Stando all'archeologo Ammerman, coordinatore della ricerca, i frammenti di ceramica e metallo ritrovati insieme ai noccioli proverebbero che si stava cercando di riempire i corsi d'acqua per formare un substrato asciutto, dove creare il primo insediamento. Una scoperta stupefacente, che potrebbe riscrivere la storia di Venezia. |
Post n°1774 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
A partire dal 28 gennaio e per tutte le domeniche di febbraio la città rende omaggio al re Giocondo, l'anima della festa e il protettore dei vari cantieri in gara che si contendono ogni anno il palio del carro più bello. Azzurri, Bombolo, Nottambuli e Rustici, le quattro contrade, da tempo immemore si sfidano sul campo della fantasia tra lingue di Menelik e coriandoli, nel marasma di una festa che affonda radici nella notte dei tempi. "Fuori dall'incubo" è il titolo del carro degli Azzurri che ha come tema i social network e il rapporto pervasivo che smartphone e i principali siti che accalappiano l'attenzione di migliaia di persone stiano cambiando il mondo. "Leoni e Pecore" è invece il titolo del carro realizzato dal cantiere di Bombolo che rievoca la leggenda dell'ultimo viaggio dell'esercito del Leone Nero e della trasformazione dei re della foresta in pecore. "Vinti dalla fortuna" è il titolo del carro elaborato dalla contrada dei Nottambuli che affronta la delicata tematica della ludopatia e dei problemi legati al gioco d'azzardo. Infine, il cantiere dei rustici propone un carro dal titolo "Non sarà l'ultimo ballo, questo apoca-twist", dove i protagonisti sono i 4 Cavalieri dell'Apocalisse in viaggio verso la terra, animata da un caos che appare come un preludio della fine del mondo. Oltre ai carri allegorici, che richiameranno nel centro aretino molti turisti, ampio spazio sarà dedicato ai bambini, veri protagonisti della festa di Carnevale, con i suoi colori, gli scherzi, i travestimenti e la diffusa allegria. |
Post n°1773 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
La scoperta è il frutto di studi e analisi compiuti da gruppo di ricercatori dell'Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISMAR-CNR), Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in collaborazione con la Marina Militare, Università di Messina e di Genova e l'Istituto per l'ambiente marino costiero (Iamc-Cnr). Una task force di scienziati, biologi e sommozzatori che hanno individuato il sito idrotermale che potrebbe cambiare l'approccio agli studi del Mediterraneo e fornire nuovi strumenti per la prevenzione sul fronte delle Lo studio «Exceptional discovery of a shallow-water hydrothermal site in the SW area of Basiluzzo islet (Aeolian Archipelago, South Tyrrhenian Sea): an environment to preserve)», risulta fondamentale per conoscere informazioni inedite sulla caratteristiche morfologiche dei nostri fondali e dei sistemi idrotermali Decine di strutture a forma di cono, composte da ossido di ferro, dall'altezza variabile tra 1 e 4 metri e dal diametro anche di 3 metri, è così composta la selva di camini alcuni dei quali emettono anidride carbonica che testimonia un'attività tutt'altro che silente. La scoperta nasce da un'intuizione dell'oceanografo Giovanni Bortoluzzi ripresa da alcune indagini dell' Ingv seguite a un'attività molto attiva che si verificò nel 2002. Da allora, a bordo dell'Astrea e dell'Ispra, le navi utilizzate per scandagliare i fondali dell'arcipelago delle Eolie, si è andati alla ricerca della fonte del misterioso fenomeno. Nel 2015 un robot filoguidato è finalmente riuscito a venire a capo dell'enigma individuando in una zona a sud dell'isolotto di Basiluzzo i camini idrotermali colonizzati da un notevole numero di alghe e organismi bentonici che hanno reso più chiara la situazione. La fase di studio, appena agli inizi resa possibile dalla notevole quantità di dati raccolti, ha consentito ai ricercatori italiani di concretizzare le prime ipotesi: con buona probabilità le Smoking Land dove si verifica il rilascio dei fluidi idrotermalisono dovute a una risalita di gas che mette in moto una circolazione di acqua marina dal sottofondo. Non è escluso quindi che il fenomeno del 2002 che incuriosì gli studiosi possa ripetersi, anche con forza maggiore. L'importanza di comprendere la nascita e lo sviluppo del fenomeno, attraverso il monitoraggio delle smoking land è quindi fondamentale per comprendere e tentare di prevenire l'attività vulcanica del mar Mediterraneo. |
Post n°1772 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
I misteriosi colossi sardi dagli occhi alieni Nello sguardo enigmatico dei colossi di Mont'e Prama è racchiuso il mistero di una civiltà che può riscrivere la storia del Mediterraneo Colossali, enigmatici, dagli occhi grandi e buoni, quasi stupefatti. I giganti di Mont'e Prama, statue scolpite in blocchi di granito alte anche due metri e mezzo che raffigurano guerrieri, arcieri, sacerdoti e pugilatori, sono affascinanti testimonianze del passato remoto della Sardegna. In quei tratti così minimali si nasconde la storia della civiltà nuragica e post-nuragica, in ogni scanalatura di granito la risoluzione di un enigma che potrebbe riscrivere la storia di tutto il Mediterraneo. La costa centro occidentale dell'isola, in provincia di Oristano è piena di questi giganti dall'aspetto buono. Tutto iniziò nel 1974, quando alcuni pastori e contadini notarono conficcati nella terra della collina di Mont'e Prama alcuni frammenti dei Kolossoi, come li ribattezzarono i primi ricercatori e archeologi che ebbero la fortuna di riportare alla luce, dopo millenni, testimonianze così rare e preziose del passato della terra sarda. Giovanni Lilliu, uno dei primi archeologi a studiarne forme, fattezze e ad elaborare le prime teorie, ne fu entusiasta e seguendo gli indizi lasciati da giganti bianchi riuscì a scoprire, assieme ai suoi collaboratori, strade, rifugi e tombe che fecero pensare di esser di fronte alla presenza di una necropoli risalente antica di almeno 2800 anni. Statue così grandi, belle e raffinate suggeriscono una realizzazione effettuata da una civiltà avanzata, nobile e ricca, abbastanza potente da realizzare un Heroon, cioè un monumento funebre legato all'esaltazione degli eroi. Alcuni elementi sembrano richiamare anche la società etrusca e le sue tombe. Di certo quegli occhi, quasi alieni, in cui lo sguardo dei primi archeologi si è perso nel tentativo di estrapolare i significati reconditi custoditi da statue così imponenti, ha dato ampio spazio alla fantasia. La concentricità delle pupille sembra richiamare alcuni rinvenimenti effettuati in Asia Minore. Con buona probabilità le statue vennero distrutte già in epoca antica, quando i Cartaginesi, conquistarono l'isola sarda e tentarono forse di cancellare le antiche testimonianze delle civiltà passate. I recenti studi su questi ritrovamenti contribuiscono ad aggiungere preziosi tasselli a un mosaico che anno dopo anno sembra sempre meno misterioso e apre inedite e interessanti novità sulla storia antica del Mediterraneo che racchiude profondi segreti, tutti ancora da scoprire. |
Post n°1771 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Scoperta un'antichissima necropoli sotto La Muraglia di Bari L'entusiasmo degli esperti per il ritrovamento che potrebbe cambiare pagine e pagine dei libri di storia dedicati a Bari.Effettuano dei l avori per rinnovare il sistema delle fognature nel cuore di Bari e a riemergere dalla terra, dopo secoli di oblio, è un'area cimiteriale del Medioevo. Così il cantiere aperto per ammodernare la rete fognaria e rinnovare le tubature idricheche servono il capoluogo pugliese è diventata un'area di grande interesse per archeologi e antropologi della sovrintendenza che cercano adesso tra i 15 scheletri rinvenuti ai piedi della Muraglia qualche altro reperto che possa svelare vita, segreti e misteri della Bari medievale, e rivelare così abitudini, tradizioni e consuetudini grazie a rinvenimenti rivelatori. Alcuni degli esperti non nascondono l'entusiasmo per la scoperta, un ritrovamento che potrebbe cambiare pagine e pagine dei libri di storia dedicati a Bari. Il lavoro degli studiosi sta proseguendo velocemente per ridurre al minimo i disagi apportati alla cittadinanza, ma allo stesso tempo c'è la volontà di non tralasciare nessun indizio che possa aggiungere qualche tassello alla storia antica della città dove riposano le reliquie di San Nicola. Secondo le prime stime i resti degli antichi baresi rivenuti dovrebbero essere risalenti al tardo Medioevo, in un lasso di tempo che va dal VII al X secolo. I resti della necropoli sono stati ritrovati a pochi metri dall'antica Muraglia, cinta aragonese costruita nel basso Medioevo testimone di pagine di storia, un fortino che protegge e custodisce vicoli, archi, chiese, monumenti, volti ed emozioni della Bari vecchia, una maestosa opera che oggi abbraccia il borgo antico con i suoi ristoranti, locali tipici e palazzi che portano testimonianza delle antiche architetture dellatradizione pugliese. Angoli inediti della basilica di San Nicola, le antiche colonne di Piazza di Santa Maria del Buonconsiglio, il porto nuovo, il complesso di Santa Scolastica, seguendo il percorso disegnato dalla vecchia Muraglia è possibile lasciarsi accompagnare alla scoperta degli angoli più belli del capoluogo pugliese. La cinta muraria è custode di antiche bellezze, ma anche di ritrovamenti archeologici preziosi. Ora le aspettative e le speranze della Soprintendenza di Bari si concentrano sugli strati inferiori alla necropoli, ritrovare ulteriori reperti magari di epoche ancora precedenti con reperti più antichi non è escluso dagli archeologi che monitorano i lavori. |
Post n°1770 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Molti la considerano l'ottava meraviglia del mondo ed è difficile dar loro torto. L'esercito di terracotta posto a guardia del Mausoleo del primo imperatore cineseQui Shi Huangdi è arrivato a Napoli dove rimarrà esposto fino al 28 gennaio. 170 statue, copie perfette delle statue reputate patrimonio mondiale dell'Unesco, ognuna con tratti somatici e caratteristiche differenti, in mostra nella Basilica del Santo Spirito che in occasione della mostra evento ha riaperto al pubblico dopo anni di chiusura. Una scelta tutt'altro che casuale: l'imponente luogo di culto situato nel cuore pulsante del passeggio partenopeo, richiama il Mausoleo dove le statue di terracotta, da secoli, vegliano sul primo imperatore cinese. La spettacolarità delle statue è esaltata non solo dalla bellissima basilica del cinquecento, cornice d'eccezione per i soldati di terracotta realizzati grazie agli antichi calchi ancora esistenti, ma anche da un'installazione luminosa con inserti audiovisivi arricchita da videoproiezioni e precise audioguide. La scelta di Napoli per la mostra internazionale sull'Esercito di Terracotta e il Primo Imperatore non è stata casuale, ma si basa su alcune importanti affinità culturali che esistono tra il capoluogo campano e l'estremo oriente. L'importanza che nella vita quotidiana assume il culto dei morti, la profonda forza evocativa che le sculture detengono nel tessuto urbano di Napoli e nella vita quotidiana dei napoletani sono solo alcuni degli aspetti e dei fattori che legano la città all'ombra del Vesuvio alla cultura cinese. "Non potevamo che iniziare da qui" hanno sottolineato i curatori della mostra che espone i soldati scelti dall'imperatore per proteggerlo, così come fecero in vita, anche dopo il passaggio nella vita ultraterrena. Soldati, cavalli, armi, utensili, riprodotti con certosina pazienza e precisione maniacale, una testimonianza unica che racconta la vita quotidiana della Cina antica, grazie agli antichi calchi che riportano in vita le antiche testimonianze di un passato che parla al presente. «Questo viaggio nel cuore della necropoli aperto alle scuole e alle università dell'Imperatore - ha sottolineato Fabio Di Gioia, curatore italiano della mostra - vuol essere anche un'occasione importante per stimolare l'attività di scambio tra istituzioni ed eccellenze culturali dei due paesi». |
Post n°1769 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
A Pompei è stata ritrovata una moneta che potrebbe cambiare la storia. Un denario di Tito, rinvenuto presso la Casa del Bracciale d'Oro, apre scenari inediti e sorprendenti sulla data della morte della città, sepolta da ceneri e lapilli durante una delle più devastanti eruzioni del Vesuvio. Forse quella tragedia non avvenne il 24 agosto del 79 dopo Cristo, data da sempre associata all'immane catastrofe, ma qualche mese dopo. È una teoria sulla quale archeologi e storici si arrovellano da lungo tempo e che si fonda su alcune prove derivanti dalla numismatica, lo studio scientifico delle monete. L'analisi della valuta ritrovata in un tesoretto di un pompeiano in fuga di 175 monete d'argento e 40 d'oro evidenzia un dettaglio sorprendente: accanto al volto dell'imperatore Tito, che regnò dal 79 all'81 dopo Cristo sull'impero Romano, è possibile scorgere la scritta "Imp XV" che indica la quindicesima acclamazione imperiale del "princeps". Un rinnovo che, secondo le documentazioni, avvenne dopo l'8 settembre del 79 d.C, diverse settimane dopo la canonica data del 24 agosto che è sempre stata associata all'eruzione del Vesuvio, data da sempre accettata come attendibile e derivante dalle testimonianze di Plinio il Giovane. In una lettera inviata a Tacito (nella variante più attendibile del manoscritto) Plinio dichiara che l'eruzione è avvenuta nonum kal. Septembres, cioè nove giorni prima delle Calende di Settembre, ovvero il 24 agosto. Ma i dubbi sull'attendibilità di questa testimonianza sono ormai troppi. Non c'è solo il ritrovamento della moneta a destare incertezze ma anche altre incongruenze, come il ritrovamento di frutta seccacarbonizzata, di bracieri per riscaldarsi e di mosto già in fase di invecchiamento ritrovato all'interno dei contenitori. Oggetti e sostanze che raccontano di atmosfere tutt'altro che estive, semmai molto più autunnali. La moneta che potrebbe riscrivere i libri di storia, per anni relegata nei depositi della soprintendenza del Museo Archeologico di Napoli, è una dei reperti protagonisti della mostra "Tesori sotto i lapilli", visitabile fino al 31 maggio a Pompei. La mostra espone i reperti provenienti dall'Insula occidentalis, luogo di villeggiatura dei ricchi signori che si recavano a Pompei in cerca di relax. Sono in mostra anfore, ampolle, gioielli e altri oggetti d'uso quotidiani, belli e raffinati che restituiscono una recisa fotografia delle abitudini degli antichi villeggianti strappati alla vita da una delle catastrofi più terrificanti della storia. |
Post n°1768 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Dai dati resi disponibili dal radar SHARAD, risulta una formazione caratteristica con strati di ghiaccio ricchi di polveri e di altri materiali, alternati a strati più puri astronomiaplanetologiaPer decenni i planetologi hanno ipotizzato che la sbalorditiva stratificazione geologica di Marte fosse dovuta alla innata instabilità dell'orbita del pianeta, che cambia il suo clima in modo ciclico. Ma finora è stato praticamente impossibile per i ricercatori fornire una ragionevole datazione degli strati collegata a particolari variazioni dell'eccentricità dell'orbita e dell'inclinazione dell'asse di rotazione.
di Marte come frutto di fenomeni periodici e non del caso è un'attività controversa. Sulla terra i paleooceanografi devono fare un lavoro di analisi molto dettagliata sulle carote di sedimenti recuperate in fondo all'oceano, ricorrendo a metodi di datazione molto precisi. Per quanto riguarda Marte, i ricercatori devono fare affidamento, gioco forza, soltanto sulle immagini riprese da centinaia di chilometri. sull'ultimo numero della rivista "Science", i geofisici J. Taylor Perron e Peter Huybers della Harvard University e colleghi di un'ampia collaborazione internazionale guidata da Roger Phillips del Southwest Research Institute di Boulder, in Colorado - che ha visto la partecipazione di studiosi italiani delle Università "la Sapienza" e Roma Tre e dell'Università d'Annunzio di Pescara, nonché dell'Istituto Nazionale di Astrofisica sempre di Roma - hanno combinato le Immagini e le topografie relative ai cosiddetti North Polar Layered Deposits (NPLD) ottenute grazie alla sonda Mars Reconnaissance Orbiter della NASA. Dai dati resi disponibili dal radar denominato SHARAD, si evidenzia una stratificazione caratteristica in cui a strati di ghiaccio ricchi di altri materiali e di polveri, si alternano strati di ghiaccio più puri. stratificazione può essere spiegata con i cicli di variazione dell'inclinazione dell'asse marziano e dell'eccentricità della sua orbita. |
Post n°1767 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Gli omega-3 non proteggono dai disturbi cardiovascolariLa revisione di studi effettuati su oltre 112.000 pazienti smentisce la convinzione che le capsule oleose assunte per la salute del cuore facciano una qualche differenza. EQUIVOCO DI VECCHIA DATA. Piccole quantità di omega-3, acidi grassi essenziali contenuti soprattutto in pesci come salmone, merluzzo, sgombro e acciughe e in alimenti vegetali come noci, semi di girasole o avocado, sono parte integrante di un'alimentazione sana. Tuttavia molte persone assumono capsule di integratori a base di omega-3 per anni, ritenendole valide alleate contro ictus e infarti. Questa convinzione è stata supportata in passato da almeno due studi condotti tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90, ma smentita da molte ricerche successive. PER TUTTI I GUSTI. Gli studi controllati e randomizzati (in cui cioè i fattori da controllare sono assegnati in modo casuale ai pazienti coinvolti) hanno interessato donne e uomini di Europa, Nord America, Asia e Australia, in salute o con varie patologie, che hanno assunto integratori a base di omega-3 per almeno un anno - o che non ne hanno assunti affatto. Alcuni trial - pochi - controllavano invece gli effetti dell'assunzione di dosi extra di pesce grasso. I RISULTATI. Gli integratori a base di olio di pesce - gli omega-3 a catena lunga, come l 'acido eicosapentaenoico (EPA) e l'acido docosaesaenoico (DHA) - non hanno dimostrato alcun effetto protettivo sulla salute cardiovascolare. Una piccola riduzione di eventi cardiovascolari (molto contenuta) si è registrata con l'assunzione di un altro tipo di omega-3 - l'acido alfa- linolenico (ALA), contenuto in alcuni oli di semi come quelli di colza e di noci. Non ci sono invece sufficienti evidenze per dire che l'assunzione di quantità extra di pesce protegga da ictus e infarti, anche se indirettamente potrebbe essere così, se non altro perché nutrirsi di questo alimento fa sì che non si scelgano proteine meno salutari. Inoltre con il pesce non si assumono solo omega-3 ma anche iodio, calcio, selenio e vitamina D. Insomma una dieta bilanciata è - ancora una volta - un'opzione migliore del ricorso indiscriminato o non informato agli integratori. |
Post n°1766 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
ARCHEOASTRONOMIA.
Preoccupati per il 2012 e per la fine della nostra amata Terra? Niente paura, ecco spiegato il calendario Maya e il perchè la fantomatica data del 21 dicembre 2012 sia in realtà un giorno come un altro... Nella prima parte di questo articolo ho esposto un metodo scientifico per rappresentare una data e facilitarne le comparazioni. Quanto scritto, all'apparenza privo di connessioni, serve per poter introdurre senza traumi il $calendario$ Maya, strumento ideato da una popolazione che sappiamo abitava nel Sudamerica, ma che è misteriosamentescomparsa all'improvviso nel pieno fulgore della propria civiltà. Da parecchie parti si legge che i Maya avevano raggiunto un alto grado di precisione nei calcoli astronomici, nella computazione del $calendario$ ed in altre attività della vita quotidiana. Vediamo dunque un modo che avevano i Maya di rappresentare una data: praticamente è simile al metodo "matematico" che ho indicato nelprecedente appuntamento, più complesso solo in apparenza. Ad esempio il giorno 22 dicembre 2008( 20081222, che magari per leggibilità possiamo indicare con 2008.12.22) per i Maya era il "12.19.15.16.18", che matematicamente potremmo scrivere 1219151618. Ma vediamo quale logica si cela dietro questi numeri all'apparenza così arcani. Riferendoci alla data di esempio, e procedendo da sinistra, andiamo dal "12", che è la parte più significativa (quella che per noi sarebbe l'anno) fino al "18" più a destra che è la parte meno significativa. Questi 5 numeri hanno tra loro un formato differente, così come abbiamo visto per una data comune: procedendo da sinistra a destra abbiamo che il primo numero può andare da 1 a 13, il secondo ed il terzo numero sono compresi tra 0 e 19, il quarto tra 0 e 17, mentre l'ultimo (quello più a destra) ancora tra 0 e 19. Detto così sembra assolutamente astruso, ma vi invito a rivederequal é La regola per il nostro giorno: ricordo che nel nostro caso il valore minimo è 1, ma il massimo non è a priori conosciuto, dipendendo dal valore del mese ed in più dall'anno, nel caso che sia bisestile ed il mese minore di 3... Siete ancora convinti che i Maya avessero un $calendario$ complicato? Vediamo un'importante differenza tra il nostro $calendario$ e quello Maya. Sappiamo benissimo che, col passare dei giorni, il numero di questi ultimi si incrementa di 1 unità. Ma nel nostro $calendario$, arrivato al massimo (31, 30, 29 o 28) viene resettato ad 1, si deve quindi incrementare di 1 il mese (fino al massimo che è 12), dopodichè si incrementa l'anno, senza limiti. E' questo un semplice meccanismo di riporto: ogni volta che per un numero superiamo il massimo valore consentito, il numero fa "wrap around" , ovvero viene riportato al minimo consentito, mentre viene aumentato di 1 il numero "superiore", più significativo, seguendo lo stesso meccanismo. Noi facciamo tutto questo in modo automatico ed inconscio e siamo facilitati dal fatto che abbiamo a che fare con 3 soli numeri. Per i Maya invece le quantità sono 5: partiamo dalla prima a destra (la meno significativa) che va da 0 a 19: supponiamo che in una certa data valga proprio19. Il giorno successivo questo numero varrà dunque 0 e bisognerà incrementare di 1 unità il numero immediatamente a sinistra, con l'avvertenza che se supera 17 va azzerato, incrementando poi il successivo più a sinistra e così via innescando una "reazione a catena". Qual é il giorno successivo a 5.19.19.17.19? Facile! E' il 6.0.0.0.0: infatti a partire da destra aumentando di un giorno, i numeri successivi fanno tutti wrap around ed alla fine il 5 più a sinistra diventa 6. Come sempre a spiegarlo sembra difficile, ma provandolo con carta e penna risulterà senz'altro molto più intuitivo. Ma, un momento... Ho detto prima che il numero più a sinistra va da 1 a 13: questo significa che, quando per effetto dei riporti precedenti questo numero supera il valore 13, deve fare wrap around e ritornare ad 1 invece di continuare con 14, 15, ecc. Detto questo, il giorno successivo al13.19.19.17.19 sarà semplicemente 1.0.0.0.0. Trovate qualcosa di strano in tutto questo? Si tratta di una semplice regoletta matematica! Cosa facevano i Maya quando la cifra più a sinistra cambiava? Festeggiavano, dato che per loro era come una specie di capodanno! E se fossero ancora in vita pensate farebbero diversamente quando la prima cifra da 13 ritornerà ad 1? No! Sarebbe un qualunque altro capodanno, forse paragonabile all'ingresso nel XXI secolo del nostro capodanno del 2001 e nulla più. In questo caso si è infatti resettato un intero ciclo. Ma di quale data stiamo parlando? Qual é la prossima data che i Maya avrebbero rappresentato con 1.0.0.0.0? Scommetto che già ve la state immaginando! Eh si, guarda caso questa data coincide proprio con il 21 dicembre 2012! Ebbene, vedete voi una connessione tra questo evento e la presunta fine del mondo? Per favore, non facciamo come quelli che arrivati al capodanno dell'anno 1000 credevano che in tale data sarebbe finito il mondo... Allora si era in pieno Medio Evo. |
Post n°1765 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INYERNET 27 luglio 2018Un gene all'origine delle caste nella società delle formiche Sono i livelli cerebrali di un ormone simile all'insulina a determinare il comportamento delle formiche. Se sono alti viene stimolato il comportamento riproduttivo, tipico delle regine; se sono bassi, viene innescato il comportamento di cura della prole proprio delle operaie. La scoperta permette di spiegare l'evoluzione del sistema di caste che caratterizza la struttura sociale di questi insetti(red) I fattori epigenetici che determinano il comportamento delle formicheo La vita segreta delle formiche operaie animalievoluzionegeneticaLa capacità di riprodursi delle formiche è legato al livello di espressione nel loro cervello di un unico gene (ILP2, insulin-like peptide 2), che codifica per l'ormone proteico che negli insetti equivale all'insulina. La scoperta, frutto del lavoro di ricercatori della Rockefeller University a New York e pubblicata su "Science", permette di spiegare come si è evoluta la suddivisione in caste con compiti specializzati che caratterizza la società di questi insetti. da formiche operaie che si prendono cura anche delle uova (in bianco). Per comprendere i meccanismi molecolari che rendono fertili le regine e sterili le operaie, Daniel J. C. Kronauer e colleghi hanno misurato le differenze di espressione a livello cerebrale di regine e operaie appartenenti a sette diverse specie di formiche. Hanno così scoperto che solo un gene, ILP2, era costantemente espresso ad alti livelli nelle regine e sotto-espresso nelle operaie. La proteina ILP2, osservano i ricercatori, regola le capacità metaboliche delle formiche, proprio come avviene per l'insulina nell'essere umano: "Se lo stato nutrizionale è decisamente basso, non ci si può permettere di produrre prole", dice Kronauer. I ricercatori hanno quindi controllato il ruolo dell'ormone insulino-simile sul comportamento di una specie di formiche, Ooceraea biroi, nelle cui colonie non ci sono caste rigide e tutte le formiche alternano fasi di riproduzione e di cura delle larve, sincronizzate in tutta la colonia. Hanno così scoperto che rimuovendo le larve durante la fase di cura della prole, la produzione di ILP2 cerebrale aumentava, riportando gli esemplari alla fase riproduttiva, mentre l'introduzione di larve nella colonia durante la fase riproduttiva diminuiva drasticamente i livelli dell'ormone, inducendole a un comportamento di cura. In un altro esperimento, i ricercatori hanno iniettato nelle formiche insulina sintetica nella fase di cura, provocando l'inizio della fase riproduttiva anche se erano presenti le larve. In gran parte delle specie di formiche le operaie sono molto più piccole della regina. (Cortesia Daniel Kronauer) Secondo Kronauer e colleghi, nel corso dell'evoluzione le naturali variazioni individuali nell'espressione di ILP2 negli individui di una colonia hanno fatto sì che i soggetti con livelli più elevati di espressione ignorassero lo stimolo "di cura" rappresentato dalle larve e continuassero a riprodursi, mentre i soggetti con una ridotta produzione di ILP2 diventassero via via più sensibili alla presenza di larve e quindi più propensi a concentrarsi sulla cura della prole. "Una volta che in una colonia si ha questo tipo di asimmetria, e la colonia funziona bene, la selezione porterà i livelli di insulina a distanziarsi sempre più", dice Kronauer. "Il risultato finale sarà la formazione di due caste di formiche operaie e regine". |
Post n°1764 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Doris Lessing secondo Laura Lilli
ed esperta di letteratura inglese e americana, racconta Doris Lessing, premio Nobel per la Letteratura nel 2007 con la seguente motivazione: «Cantrice dell'esperienza femminile che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa». Negli anni lei ha avuto diverse occasioni di incontrare la scrittrice Lessing, che idea si è fatta di questa donna che ha dedicato la sua vita alla letteratura, all'amata Africa e alla passione civile contro ogni forma di razzismo e discriminazione? L'ho intervistata sei o sette volte fra l'83 (The FifthChild, Il quinto figlio) e il 2008 (The Cleft, Una comunità perduta). Mi è parsa una donna molto forte e molto creativa, convinta del proprio talento e della propria grandezza, decisa ad esprimerli, e a far riconoscere i propri meriti. E ci è riuscita, vincendoun'infinità di premi nazionali e internazionali, fino al tardivo Nobel (In Italia ha vinto ilMondello e il Grinzane Cavour alla carriera). Nella vita ha avuto molte traversie sia private sia pubbliche, cominciando da quando a vent'anni venne cacciata dalla Rhodesia del Sud -oggi Zimbabwe - perché comunista e contraria all'apartheid che anche lì si praticava) ma ha sempre saputo tenervi testa. In lei sono molto forti il sentimento di essere inglese, del primato dell'Inghilterra fino a tempi recenti, ma anche l'amore per l'Africa, sul cui avvenire peraltro ha molti dubbi . Questo per colpe sia occidentali, sia locali (corruzione, burocrazie - vedi in proposito The Sweetest Dream, Il Sogno più Dolce, del 2001, sul fallimento del comunismo e della decolonizzazione). Doris Lessing è anche uno spirito aperto e libero. Una volta ebbe a dirmi che gli scrittori sono "dei contatori Geiger della cultura", cioè avvertono le cose in anticipo. Lei certamente lo è stata. Nell'introduzione al fantascientifico Shikasta (1979) scrive: "Credo sia possibile - non solo per i romanzieri . inserire la spina in una sorta di Uhrmente-mente, o mente superiore, o inconscio o quant'altro, e questo spiega un gran numero di "coincidenze" o "avvenimenti improbabili" che si verificano". Non conformista anche nella arcigna repubblica delle lettere inglesi. Nell''83-84 ha scritto due libri molto importanti: The Diary of a Good Neighbour, Il diario di Jane Somers - malinconica e realistica storia di decadenza e vecchiaia (naturalmente al femminile) - seguito da If the Old could, Se gioventù sapesse, firmandoli con lo pseudonimo di Jane Somers. Nessun critico ha riconosciuto il suo stile e, anzi, sono stati stroncati salvo poi impapocchiare scuse quando poi l'inganno è stato rivelato. Diffida dei giornalisti e non ama essere contraddetta. Questa la motivazione del Nobel: "Narratrice epica dell'esperienza femminile, che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa". La Lessing alla notizia del premio non sembra aver reagito come ci si aspetterebbe da una signora della sua età. Il suo carattere, forte e diretto non è cambiato nonostante i suoi 89 anni... Senza dubbio. Lei è sempre la stessa. La notizia arrivò alla sua agenzia in tarda mattinata, quando lei era a fare la spesa. Cellulare spento, come al solito. Quando tornò alla sua casa di Hampstead, carica di frutta e carciofi, trovò una folla di giornalisti ad aspettarla e lo seppe da loro. "Cristo!" Le scappò detto. E subito dopo: "Erano trent'anni che lo aspettavo. Ho vinto tutti premi che ci sono, tutti i dannati premi. Mi mancava solo quello". Le chiesero se non ritenesse di dover rifiutare per ragioni politiche. Rispose, candidamente. "Non ci avevo pensato. Dovrei? Beh, ci penserò seriamente, va bene?". Lo accettò. Pochi mesi dopo la intervistai su The Cleft. Le chiesi in che modo il Nobel avesse cambiato la sua vita - a parte il denaro. "Oh, in meglio!" mi rispose. "Mi ha rimesso sulla scena, mi permette di parlare, di dire la mia " Lei ha sempre parlato e detto la sua, risposi. "Mah... ultimamente non più tanto, sa?". Di recente, invece, ha dichiarato ai giornali che questo "maledetto Nobel", tenendola sempre sulla scena, le impedisce di raccogliersi, di avere tempo e spazio interiore per pensare in pace ai prossimi libri. Tutte queste risposte sono vere. Una delle caratteristiche di Doris Lessing è di buttare sempre fuori, nei romanzi o in dichiarazioni pubbliche, quello che pensa in quel momento o in quel periodo. Così andò con la dichiarazione, che fece da Stoccolma, che Obama se fosse stato eletto, sarebbe stato ucciso. Quando la incontrai, le chiesi se pensasse questo davvero, mi disse che in quella circostanza il suo pensiero era stato riportato male (sempre i giornalisti!). Ma Lei cosa pensa? Insistei. "Obama mi piace molto, ma credo che se fosse eletto, certo sarebbe a rischio. Non sarebbe la prima volta, negli Usa. Di recente, basta pensare ai due Kennedy..." Quindi lo pensa, e lo penserà almeno fino alle elezioni. E con i suoi romanzi come si comporta, che genesi hanno? Lo stesso vale per i libri. Se le viene un'idea (di solito geniale) non esita a scriverla e a servirla, come nuova provocazione, a critici e lettori. Lo fa con tanta foga e partecipazione, che a volte i suoi libri sono troppo lunghi, e in certe parti paiono scritti in fretta. Avrebbero bisogno di un po' di editing, e mi sono sempre chiesta se l'editore non osi o lei non lo permetta (o, semplicemente, gli editors siano scomparsi...). Poi c'è la questione della motivazione sul suo avere sempre scritto dell'esperienza femminile nel nostro tempo. E' assolutamente vero, ed è forse anche la ragione per cui la commissione del Nobel ha esitato tanto prima di premiarla. La sua grandezza consiste non solo nell'aver sempre messo a fuoco temi scottanti, controversi, trasgressivi, non-conformisti, avveniristici se non addirittura e profetici, ma nell'averlo sempre fatto dal punto di vista delle donne. Fin dal suo primo romanzo, L'erba canta (1950), col manoscritto del quale lasciò nel '49 la allora Rhodesia del Sud (oggi Zimbabwe), cacciata per ragioni politiche. In quelle pagine racconta di una donna bianca che in pieno regime segregazionista osa amare un domestico nero. Tutto questo però ha un "ma". Quello che ha scritto ha fatto di Doris Lessing, già da molti anni, una bandiera del femminismo internazionale. La cosa non le è mai piaciuta, perché il suo timore principale è di venire racchiusa in un'etichetta di "genere", mentre, giustamente, lei difende la sua unicità e universalità. Non vuole essere definita "femminista" ma nemmeno "di fantascienza", o altro. Per il femminismo, così, ha concepito un autentico odio. Nell'82 disse al New York Times: "Quello che le femministe vogliono da me è qualcosa che loro non hanno preso in considerazione perché proviene dalla religione.. Quello che veramente vorrebbero dirmi è: 'Sorella, starò al tuo fianco nella lotta per il giorno in cui quegli uomini bestiali non ci saranno più'. Con grande rammarico sono arrivata a questa conclusione". E quello che disse nell'82 vale ancora oggi. Nella sua sterminata produzione, la Lessing spazia attraverso molti generi senza troppa difficoltà. Dal fantascientifico al memorialistico. È possibile secondo lei intravedere un fattore comune, di stile, di contenuto, un filo rosso che lega i suoi romanzi? Sì, penso di sì. Certamente Doris Lessing ha scritto anche di uomini, ma una parte della sua originalità e la grandezza -lo pensano anche i saggi di Stoccolma - sono senz'altro i viaggi, mai gratuiti, all'interno della condizione femminile - soprattutto colta, di media intelligenza e medio- borghese - della nostra epoca, e questo è un primo legame fra i suoi scritti. Ma non basta. I suoi libri nascono, insieme, dall'osservazione della realtà e da un'idea. Questa può essere tesi, denuncia, confessione mascherata. Ma anche satira, utopia (positiva o negativa), invenzione pura, invenzione di altri mondi, sensibilità per l'invisibile o l'apparentemente impossibile.E' un mondo votato all'autodistruzione, che forse si può evitare con un profondo tuffo nel misticismo (vedi sufismo). Altri, come i genitori di The Fifth Child, dell'83, non sono in grado di capire questo ragazzino decisamente malvagio, che magari in un universo differente sarebbe "normale". Così, la loro famiglia va in pezzi. Anche su questo libro la intervistai e le chiesi se dietro la favola ci fosse una morale. Mi rispose, indignata, che "aveva semplicemente raccontato una storia". Forse anche Aldous Huxley, a chi gli avesse chiesto se Brave New World avesse una sua morale, avrebbe risposto così. C'è un libro in particolare a cui lei è legata? Il libro che consiglierebbe a chi non conosce ancora Doris Lessing? E' difficile dare una risposta. Ma, se proprio fossi costretta a scegliere prenderei Le memorie di Jane Somers. Non per via dello scherzo ai critici, ma per il suo contenuto. E' una grande, e fin qui unica, esplorazione dell'invecchiare al femminile. E' un libro molto realistico, molto dettagliato, sul venire meno delle forze, della memoria, e cosa questo comporti nel modo di vivere, mangiare, vestirsi. Non per caso un critico (maschio), grande ammiratore di Doris Lessing, mi ha detto di averlo trovato "molto sgradevole". C'è un limite a quello che gli uomini vogliono sapere delle donne. Ha qualche ricordo personale, qualche aneddoto curioso che vuole raccontarci? Ne ho moltissimi, ma penso che il ricordo che ho della mia prima intervista, nell'83, sia il più eloquente. Riguarda i l femminismo. Effettivamente mi presentai a casa sua con grande emozione, come se davvero stessi per conoscere una "sorella". Ero entusiasta dei suoi libri e racconti, a cominciare da Il taccuino d'oro (1962), che parla, con enorme anticipo rispetto alla realtà italiana, di donne intelligenti e autoconsapevoli, logorate da una fatica quotidiana che restava invisibile ai maschi In realtà avrei dovuto sospettare qualcosa, quando il suo agente, con cui concordai l'intervista, mi chiese se per caso "la Repubblica" non fosse un giornale femminista. Esterrefatta, negai con forza. Ciò malgrado, l'agente mi impose di mostrare alla scrittrice la trascrizione dal registratore prima di scrivere. Non sospettai nulla e mal me ne incolse. Trepidando le chiesi se non si ritenesse una scrittrice femminista. Mi rispose con sussiego che "almeno in questo paese non sono considerata una scrittrice per sole donne "Poi fece una breve pausa, e pensò di doversi spiegare meglio, in tutte lettere. Aggiunse:"Vuol sapere cosa penso del femminismo?", e senza darmi il tempo di fiatare: "Sì, le dirò che cosa ne penso. Penso che le femministe si siano autocastrate, e messe da sole in un ghetto, limitandosi ai discorsi fra loro. E che, dichiarando guerra agli uo mini, hanno perso una importante, molto importante occasione per cambiare il mondo. Ecco cosa ne penso, del femminismo, io " Era seduta, di fronte a me, con un cuscino sulla pancia, su un divano della sua casa accogliente, in un atteggiamento che sembrava amichevole. Ma mi guardò da distanze siderali con occhio di sfida. *Laura Lilli (1937-2014) è stata scrittrice e giornalista letteraria, specializzata in Studi Americani alla Yale University (New Haven, Connecticut), ha poi collaborato con La Stampa, il Corriere della sera e Panorama. Ha fatto parte della redazione "Cultura" de la Repubblica fin dalla fondazione (dicembre 1975). |
Post n°1763 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: LIBERI DI SCRIVERE, RECENSIONI & INTERVISTE Il quinto figlio è una storia che inizia come una favola idilliaca, con una giovane coppia che sembra essere destinata a stare insieme fin dal primo sguardo, due giovani testardamente convinti che avranno la felicità che vogliono per la sola forza del loro volerlo, ma il cui sviluppo rasenta la letteratura horror dal momento in cui il sogno verrà a scontrarsi con una forza violenta ed estranea, incarnata in un figlio che sembra essere la punizione alla loro arroganza.
Alla festa i due giovani restano in disparte, con un'espressione guardinga, specchio di quella dell'alto, fino a che nello stesso istante si staccano dal loro angolo per andarsi incontro. Un sorriso nervoso, una lunga conversazione e subito decidono di dividere tutta una vita assieme. Harriet e David sono una coppia di ragazzi "all'antica", legati ad un sistema di valori diverso rispetto a quello dei libertari anni '60 in cui è ambientata la storia, decisi a creare una famiglia numerosa: una decina di figli e una famiglia allargata, in un'enorme villa a tre piani nella campagna inglese, dove ad ogni festa possano riunirsi tutti i parenti. E nonostante il biasimo dei parenti vanno avanti: riescono ad acquistare la casa, poco importa se dovrà intervenire finanziariamente il ricco padre di David, e in sei anni mettono al mondo quattro figli, anche se Harriet è ormai stremata e solo grazie all'aiuto di sua madre, che si trasferisce a vivere da loro, riesce a badare ai bambini. Il sogno della giovane coppia riesce a contagiare tutti e il tempo della vita familiare scorre scandito dalle festività (Natale, Pasqua e i mesi estivi), dalle riunioni con genitori, fratelli, cugini e amici nella grande casa e dalla nascita dei figli, in un'atmosfera di felicità assurda, fortissima, quasi un'euforia folle, che presagisce già la sua fine. Harriet infatti è sempre più provata dalle gravidanze, che non sono mai facili e che la lasciano sfinita e nervosa, ma pur volendo assecondare le pressioni della madre e delle sorelle affinché si prenda una pausa prima del prossimo figlio, resta di nuovo i mmediatamente incinta. minacciosa per l'equilibrio della famiglia: il nuovo feto è forte, violento e si contorce scalciando dentro Harriet lasciandola a pezzi, dolorante e impossibilitata a seguire gli altri quattro bambini e la casa; solo con i tranquillanti riesce a tenere a bada il bambino abbastanza a lungo da sembrare almeno normale di fronte ai figli la sera. nato, è un bambino giallastro, grosso, muscoloso, forte, intransigente e duro, un bambino spaventoso, capace di mettere a disagio chiunque lo guardi, se non a scatenare vero e proprio terrore. Ben è violento, incomprensibile, sembra provare felicità solo nel distruggere e nel fare del male, non impara nulla dal contatto coi fratelli e non è in grado di provare affetto nei confronti della madre; è una creatura preistorica, un abitante di un mondo antico e violento che per uno scherzo della genetica è rinato in una famiglia inglese che non è preparata a confrontarsi con lui. Parenti e amici smettono di visitare la casa mentre la famiglia va in pezzi a causa delle tensioni, della paura e delle decisioni spietate prese per gestire il bambino. Soprattutto quando Harriet si rifiuterà di lasciare il piccolo Ben nell'orrendo istituto dove vengono rinchiusi i figli anormali delle famiglie ricche e che il padre di David aveva deciso di pagare per loro. Con la sua scelta la madre condanna la famiglia: nega il suo tempo agli altri figli e crea una frattura insanabile col marito, che non riesce ad accettare Ben come "suo" figlio. Harriet sceglie insomma il bene del singolo contro quello della comunità e per questo non sarà perdonata da sua madre, che lascia la famiglia per andare a vivere con un'altra figlia, da suo marito che svanirà inghiottito dal lavoro e dai suoi stessi figli, che fuggiranno a studiare lontano o in altre famiglie. Ma allo stesso tempo non riesce a salvare nemmeno il suo quintogenito che a malapena riesce a inserirsi nella società, se non come parte di un branco di piccoli criminali, che vivono di furti, stupri, risse e violenza. Doris Lessing è nata a Kermanshah, nel 1919, figlia di un reduce di guerra britannico che voleva vivere il sogno vittoriano delle "terre sevagge" e ha vissuto fino a trent'anni nella Rhodesia meridionale, nel 1949 si è trasferita definitivamente in Inghilterra, dove è morta nel 2013 all'età di 94 anni. Ha vissuto il colonialismo britannico, il nazismo, il fascismo e il comunismo dell'Unione Sovietica, attraversando le grandi tappe della storia mondiale contemporanea. Viene da molti considerata una delle più grandi scrittrici femministe, ma curiosamente non si è mai riconosciuta in questa definizione, preferendo invece porre l'attenzione sulla sua produzione fantascientifica, ovvero il ciclo di Canopus in Argos dove ha condensato i temi fondamentali della sua produzione, molto legata ai temi del sufismo. Ha vinto il premio internazionale Grinzane Cavour "Una vita per la letteratura" nel 2001 e il premio Nobel per la letteratura nel 2007. |
Post n°1762 pubblicato il 13 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: RISORSE INTERNET
è un film del 1981 diSteven Spielberg, capostipite della tetralogia cinematografica di Indiana Jones. Nel 2008, in occasione dell'uscita sul mercato home video della versione definitiva in DVD, il film è stato rititolato Indiana Jones e i predatori dell'arca perduta (Indiana Jones and the Raiders of the Lost Ark), seguendo la denominazione degli altri capitoli della serie. Perù, 1936. Il professore di archeologia Henry "Indiana" Jones Junior è sulle tracce di un antico idolo della fertilità, conservato in un tempio immerso nella giungla. Superati i molti trabocchetti ed ostacoli insieme alla sua guida Satipo, riesce finalmente a impossessarsi della statuetta. Satipo si rivela però indegno della fiducia del professore, poiché ruba l'idolo per tenerselo tutto per sé, ma muore nel tentativo di scappare, trafitto da una delle tante trappole. Indy, appena uscito dalla grotta con l'oggetto tra le mani, viene sorpreso dal rivaleRené Belloq, che riesce ad impossessarsene, mentre Jones è costretto alla fuga, inseguito dai pericolosi indios Hovitos, alleati dello stesso Belloq. Tornato all'Università di Princeton, Jones, unitamente al collega ed amicoMarcus Brody, riceve la visita di due agenti dell'Intelligence, che spiegano loro che i nazisti sono ad un passo dal recuperare la mitica Arca dell'Alleanza, contenente frammenti delle tavole dei dieci comandamenti dettati da Dio aMosè. I tedeschi sono convinti dell'immenso potere che essa può conferire, ma per raggiungerla devono mettere le mani sull'amuleto di Ra, custodito daAbner Ravenwood, vecchio amico nonché professore di archeologia di Jones ora sparito in Nepal. L'oggetto, posto su di una speciale asta (l'Asta di Ra) in un plastico nella città di Tani,scomparsa da secoli sotto una tempesta di sabbia durata un anno, avrebbe riflesso la luce mattutina rivelando l'ubicazione del "Pozzo delle Anime", la sala dove giace l'Arca. Raggiunto il paese asiatico, Jones incontra Marion, la figlia di Ravenwood (con la quale in passato ha avuto una relazione), che convince a cedergli il medaglione. Interviene però un gruppo di nazisti, capeggiati dal sinistro Arnold Ernst Toth, pezzo grosso della Gestapo, che cerca di rubare il medaglione e incendia la locanda di Marion la quale decide così di seguire Indiana nella sua ricerca. Giunti in Egitto, scoprono dall'amico Sallah che la città Tanis è stata riportata alla luce da Belloq, ora collega dei nazisti comandati dal sadico ColonnelloHerman Dietrich e dal già nominato Toth. Marion viene poi rapita da un gruppo di nazisti, che muoiono dopo l'esplosione del loro camion. Indiana crede che Marion sia morta, ma ella è stata invece consegnata a Belloq dai nazisti quale ricompensa. Jones nel frattempo s'infiltra negli scavi in corso , riuscendo a scoprire il luogo dove è sepolto il Pozzo delle Anime. Sceso nel pozzo, lo scopre pieno zeppo di serpenti e di cadaveri. Sul punto di recuperare l'Arca, intervengono ancora i nazisti che gliela sottraggono, e Toth getta Marion nel Pozzo delle Anime su richiesta di Dietrich e contro la volontà di Belloq. Jones e Marion non s'arrendono e riescono a scappare prima che l'Arca venga trasportata via con un aereo, distruggendolo e costringendo i nazisti a ricorrere a un trasporto su ruota. Indy riesce ad eludere di nuovo i soldati nazisti che scortano l'Arca su di un camion, e dopo un interminabile inseguimento s'impossessa dell'Arca. Una volta che ne ha preso possesso, Indiana riesce ad imbarcarsi su una nave di pirati comandati dal capitano Simon Katanga, amico di Sallah, che però l'indomani viene abbordata ed ispezionata dall'equipaggio di un U-Boot tedesco. I nazisti riprendono così possesso dell'Arca e consegnano Marion a Belloq. Indiana invece si è infatti nascosto, ma Katanga, per salvarlo, dichiara di averlo ucciso. Indiana riesce così ad imbarcarsi sul sommergibile che trasporta l'Arca, camuffandosi da soldato nazista e raggiungendo infine un'isoletta al nord di Creta, dove Belloq è intenzionato a compiere un rituale ebraico per controllare la veridicità della reliquia, prima di portarla al cospetto di Hitler. Catturati e legati a un palo, Jones e Marion assistono all'apertura dell'Arca, che rivela il suo contenuto, ossia della polvere. Improvvisamente l'Arca libera tuttavia una forza ultraterrena che fa esplodere le munizioni delle armi e mette fuori uso le apparecchiature elettriche dei tedeschi. Belloq viene avvolto dal "fuoco divino" che fulmina tutti i soldati e uccide orribilmente Toth, Dietrich e lo stesso Belloq, che si disintegra. Indiana e Marion si salvano chiudendo gli occhi. Il cielo sopra all'isola si spalanca, risucchiando tutti i nazisti e il "fuoco divino" per poi rientrare dentro l'arca che si richiude. Quando il cielo si richiude, Jones e Marion si ritrovano liberi dalle corde che li imprigionavano. Tornato a Washington con Marion, Jones è furibondo per come l'esercito neghi loro l'Arca e la possibilità di studiarla, in quanto già nelle mani di "qualificati studiosi", mentre in realtà viene rinchiusa in una cassa, marchiata e inserita tra migliaia di altre casse identiche, in uno sconfinato magazzino che raccoglie il materiale .Indiana Jones prende il nome dal cane di razza alaskan malamute di George Lucas. Nel terzo film si scoprirà che anche il cane del dottor Jones si chiamava Indiana. Per il personaggio di Indiana Jones originariamente George Lucas propose di chiamarlo "Indiana Smith", tuttavia Steven Spielberg detestava questo nome, pensava suonasse davvero male, allora Lucas disse: «Chiamalo Indiana Jones o come ti pare, il film è tuo ora». Tom Selleck fu il primo attore scelto per il ruolo di Indiana Jones, ma dovette rifiutare poiché aveva firmato un contratto in esclusiva per la serie televisiva Magnum, P.I.. Per il ruolo di Marion erano state inizialmente pensate Amy Irving e Debra Winger. Per il ruolo di Belloq Steven Spielberg avrebbe invece voluto o Giancarlo Giannini oJacques Dutronc, ma poiché nessuno dei due sapeva parlare in inglese il ruolo fu affidato a Paul Freeman. Nel cast compaiono, in piccoli cameo, il responsabile degli effetti speciali Dennis Muren (che lavorerà ancora, in futuro, con Spielberg) nei panni della spia nazista che insegue Indy in aereo (sta leggendo la rivista Life) e il produttore Frank Marshall(regista di Alive e di Aracnofobia) come pilota dell'Ala Volante tedesca. DistribuzioneData di uscita Esce nelle sale cinematografiche statunitensi il 12 giugno 1981 in 1 078 copie, mentre in Italia per il 22 ottobre dello stesso anno. Doppiaggio italiano Il doppiaggio italiano originale venne diretto da Renato Izzo su dialoghi di Alberto Piferi Il 2 ottobre 2009 è stata trasmessa, per la prima volta su Sky, una nuova versione italiana del film con un nuovo doppiaggio (affidato a Massimiliano Alto). Questa versione è presente nelle nuove edizioni in Blu-ray Disc del film, insieme al doppiaggio originale del 1981. Accoglienza Il film è stato il maggior incasso stagionale negli Stati Uniti, con 209 562 121 $ (a fronte di un costo di produzione di 18.000.000$), eguagliando il miglior incasso dell'anno precedente, L'Impero colpisce ancora. Distribuito nuovamente nelle sale il 16 luglio 1982, in una stagione dominata dal successivo film di Spielberg, E.T. l'extra -terrestre, ha incassato altri 21 437 879 $e ha avuto un'ulteriore uscita il 25 marzo 1983, per altri 11 374 454 $, raggiungendo un incasso totale in patria di 242-245 milioni di dollari, a seconda delle fonti. A livello mondiale ha incassato complessivamente 384 140 454 $. Critica Su Rotten Tomatoes il film ha una percentuale di gradimento del 94% con un voto medio di 9,2 su 10 basato su 71 recensioni. Il National Board of Review l'ha inserito fra i migliori dieci film del 1981, ma come miglior film i n assoluto sono stati preferiti ex aequo gli altri due film sopracitati. Il New York Times lo ha inserito nella sua lista dei 1000 migliori film di sempre. Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito al sessantesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è sceso al sessantaseiesimo posto.Nel 2001 l'ha inserito al 10º posto nella sua lista dei cento migliori film thriller statunitensi di tutti i tempi (che comprende film d'azione, noir, horror e di fantascienza). Nel 1999 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. |
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