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Messaggi del 10/01/2019
Post n°1817 pubblicato il 10 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Science, citazioni riportate integralmente. 11 luglio 2018 Tante culle africane per l'umanità I primi uomini moderni si sono evoluti in Africa, ma non deriverebbero da un'unica popolazione ancestrale, bensì da diversi gruppi di popolazioni affini evolutesi in regioni ecologicamente differenti e con tratti fisici e culturali alquanto diversi. Le nostre origini sarebbero cioè multiregionali e multiculturali(red La nostra specie ha avuto origine in Africa, ma non ha avuto un'unica culla. È invece il frutto del rimescolamento di popolazioni affini che, rimaste separate per lungo tempo in una molteplicità di regioni del continente africano hanno sviluppato caratteri fisici e culturali diversi per poi dar vita a una varietà di meticciati. È la conclusione a cui è giunto un consorzio internazionale di ricercatori che ha effettuato una metanalisi sul complesso di dati paleoantropologici, genetici, archeologici raccolti dalle diverse discipline interessate all'origine della nostra specie. Lo studio è stato pubblicato su "Trends in Ecology and Evolution".
controversa, ma molti ricercatori hanno ipotizzato che i primi esseri umani moderni abbiano avuto origine da un'unica popolazione ancestrale relativamente numerosa, al cui interno sarebbe avvenuto un continuo e intenso scambio di geni e tecnologie, come quelle per la produzione di manufatti in pietra. Manufatti in pietra provenienti dall'Africa settentrionale e meridionale. (Cortesia Eleanor Scerri/Francesco Le tipologie degli strumenti in pietra e di altri artefatti, la cosiddetta cultura materiale, formano raggruppamenti ampiamente distribuiti nello spazio e nel tempo", osserva Eleanor Scerri, del Max-Planck-Institut per la storia dell'essere umano e dell'Università di Oxford, coautrice dello studio. "Anche se si osserva una tendenza a livello continentale verso una cultura materiale più sofisticata, questa 'modernizzazione' non ha origine in una regione o in un periodo determinati". corso degli ultimi 300.000 anni "in tutto il continente vediamo una tendenza alla forma umana moderna, ma diverse caratteristiche moderne appaiono in luoghi diversi in tempi diversi,e alcune caratteristiche arcaiche erano presenti ancora poco tempo fa", aggiunge Scerri. del cranio all'interno del lignaggio di Homo sapiens. (Cortesia Philipp Gunz, Max-Planck-Institut per l'antropologia evolutiva)Infine, anche il confronto fra i modelli genetici che si osservano nelle popolazioni africane attuali, e nel DNA estratto da ossa di africani vissuto negli ultimi 10.000 anni, non depone a favore dell'esistenza di un'unica popolazione umana ancestrale; al contrario, suggerisce collegamenti molto ridotti fra le popolazioni del passato più remoto, con la presenza di "alcuni lignaggi genetici molto antichi e livelli di diversità generale che difficilmente si sarebbero potuti conservare in una singola popolazione ancestrale", conclude Mark Thomas, dello University College London e co-autore della ricerca. cambiamenti che hanno caratterizzato le condizioni ambientali del continente africano nel passato avrebbero fatto in modo che le popolazioni umane attraversassero molti cicli di isolamento - con un conseguente adattamento l ocale e lo sviluppo di una cultura materiale propria - a cui avrebbero fatto seguito periodi di mescolamento genetico e culturale. Africa è stata multiregionale. I nostri antenati erano multietnici. |
Post n°1816 pubblicato il 10 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli
30 marzo 2018 Un milione di antichi abitanti nell'Amazzonia "disabitata" Migliaia di antichi villaggi fortificati e di strutture in terra sono stati scoperti in un'area dell'Amazzonia che si pensava fosse sempre stata disabitata. Secondo gli archeologi, fra il 1250 e il 1500 nella zona sarebbero vissute almeno un milione di persone, smentendo ancora una volta l'immagine di una foresta amazzonica incontaminata(red) archeologiaUn'ampia regione nel cuore dell'Amazzonia che si pensava fosse stata abitata solo da piccoli gruppi di indigeni, in realtà ha visto fiorire per secoli migliaia di villaggi i cui abitanti, che raggiungevano complessivamente il milione di persone, hanno avuto un impatto significativo sull'ambiente circostante. dell'Università di Exeter, in Gran Bretagna, in collaborazione con ricercatori dell'Università del Pará a Belem e dell'Università statale del Mato Grosso a Nova Xavantina, in Brasile, che firmano un articolo su "Nature Communications". finora è stata trascurata dagli archeologi, che erano convinti che gli insediamenti di una certa dimensione si concentrassero in prossimità dei grandi corsi d'acqua. Nel decennio scorso, però, la scoperta di insediamenti significativi in aree a savana in Bolivia e nello stato di Arce, in Brasile, ha fatto ricredere diversi studiosi.
hanno trovato resti di villaggi fortificati ed enigmatiche strutture in terra, dette geoglifi: fossati di forma a volte quadrata e a volte circolare o esagonale. E' possibile che questi lavori di sterro, alcuni dei quali non mostrano segni di un'occupazione stabile nelle immediate vicinanze, fossero destinate a particolari cerimonie rituali.
insediamenti abitativi e 104 geoglifi che testimoniano come quella parte dell'Amazzonia meridionale, nell'attuale stato del Mato Grosso, sia stata abitata continuativamente almeno dal 1250 al 1500. hanno poi individuato altre aree della regione in cui si distinguevano caratteristiche e strutture simili a quelle dei siti che avevano iniziato a scavare. Hanno così trovato che la regione considerata, che si estende per circa 400.000 chilometri quadrati, doveva ospitare fra i 1200 e i 1500 villaggi fortificati, individuando anche circa 1300 geoglifi. strade rialzate, la cui realizzazione in molti casi aveva richiesto anni di lavoro. Il rialzamento doveva essere stato intrapreso per assicurare un percorso rapido e sicuro anche nella stagione delle piogge, che trasformavano in un insidioso acquitrino i terreni circostanti. "E' un malinteso diffuso che l'Amazzonia sia un paesaggio incontaminato, sede di comunità disperse e nomadi. Non è così. Abbiamo scoperto che alcune popolazioni lontane dai grandi fiumi erano molto più grandi di quanto si pensasse, e queste genti hanno avuto un impatto sull'ambiente visibile ancora oggi", afferma Jonas Gregorio de Souza, che ha fatto parte del team di archeologi. |
Post n°1815 pubblicato il 10 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Science 1L'abitato mesolitico di Al Khiday era costituito da capanne semi interrate e pozzetti utilizzati come focolari e come depositi per i rifiuti (Credit: CSSeS) Già diecimila anni fa i pescatori che vivevano lungo le rive del Nilo, all'altezza dell'attuale Sudan centrale, praticavano la salatura del pesce a scopo di conservazione. di sodio è stata effettuata nel sito di Al Khiday da Donatella Usai e Sandro Salvatori del Centro Studi Sudanesi e Sub-Sahariani, in collaborazione con le Università di Milano, Padova e Parma, e rappresenta la più antica testimonianza dell'uso del sale per la conservazione del cibo. Il risultato suggerisce che la capacità di stoccare gli alimenti abbia favorito il passaggio da una vita nomade a una più stanziale, con importanti riflessi sull'organizzazione sociale e la crescita demografica delle comunità. di un insediamento delle popolazioni che vissero nella regione di Al Khiday durante il Mesolitico. Nel sito sono stati ritrovati i resti di un villaggio di capanne, un cimitero con oltre 200 sepolture e vari pozzetti usati come focolari, discariche di rifiuti e altro. rinvenuto lische e altri resti di pesci, ma anche significative tracce di cloruro di sodio, tali da suggerire che quel sale fosse stato aggiunto appositamente per conservare il pesce nei contenitori di ceramica dalle elaborate decorazioni prodotti da queste popolazioni. Il pesce conservato poteva così essere usato nei mesi di magra del fiume, per integrare l'alimentazione durante la stagione della caccia, o in occasione di attività sociali o rituali. sul "Journal of Archaeological Science". |
Post n°1814 pubblicato il 10 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli
Una tecnica innovativa è riuscita a identificare DNA di specie umane estinte da sedimenti di siti archeologici in cui erano assenti resti fossili. Il risultato permetterà di individuare la presenza di antichi gruppi umani dove non è possibile stabilirla con le tecniche attuali(red DNA di uomini di Neanderthal e di Denisova è stato rinvenuto nei sedimenti di quattro siti archeologici contenenti reperti attribuibili a questi nostri antichi cugini, dei quali però non c'è traccia sotto forma di resti fossili. La scoperta è opera di ricercatori del Max-Planck-Institut per l'antropologia evolutiva a Lipsia in collaborazione con studiosi di altri centri di ricerca, ed è contengono strumenti e altri manufatti sono numerosi, tuttavia i resti scheletrici degli antichi umani sono rari, rendendo difficile e lacunosa la ricostruzione dei loro spostamenti e delle relazioni fra i diversi gruppi. L ricerca del DNA antico aiuterà quindi a completare la mappa degli insediamenti umani del remoto passato, e a identificare le regioni in cui le diverse specie umane possono avere convissuto, e interagito. Questa opportunità potrebbe essere particolarmente importante per l'uomo di Denisova, finora identificato in una sola grotta sui Monti Altai, nella Siberia meridionale, ma di cui persistono tracce genetiche in popolazioni odierne, suggerendo che un tempo questa specie fosse diffusa in molte regioni dell'Asia. Ma non si sa esattamente dove e quando. La capacità del DNA di resistere, almeno in tracce, nei sedimenti antichi è nota dal 2003, quando il genetista danese Eske Willerslev è riuscito a sequenziare parte dei genomi di antichi mammut, cavalli e piante rilevati in sedimenti prelevati non solo dal freddo permafrost, ma anche in grotte situate in regioni dal clima temperato. Finora tuttavia non si era riusciti a trovare il modo per distinguere le sequenze umane antiche dalle possibili contaminazioni dei campioni con materiale biologico umano moderno. Viviane Slon, Svante Pääbo, Matthias Meyer e colleghi sono riusciti a sviluppare una "sonda" genetica costruita su frammenti di DNA mitocondriale, ovvero il DNA che è presente solo negli organelli mitocondri delle cellule, che permette di filtrare i possibili contaminanti attribuibili a esseri umani odierni e isolare così i frammenti antichi. I ricercatori hanno quindi raccolto 85 campioni in sette siti archeologici in Belgio, Croazia, Francia, Russia e Spagna, che coprono un intervallo di tempo compreso fra 14.000 e 550.000 anni fa. Otto di questi campioni - provenienti dai quattro siti di Trou Al'Wesse in Belgio, El Sidrón in Spagna, Chagyrskaya in Russia e Denisova, sempre in Russia - contenevano DNA mitocondriale di uno o più Neanderthal, specie umana scomparsa circa 40.000 anni fa, mentre uno conteneva DNA dell'uomo di Denisova, vissuto tra 70.000 e 40.000 anni fa, per quel poco che ne sanno i ricercatori. "Ricavando il DNA dai sedimenti, possiamo individuare la presenza di gruppi di antichi umani nei siti e nelle aree in cui non è possibile stabilirla con altri metodi", ha detto Pääbo, coautore dello studio. "Questo dimostra che l 'analisi dei DNA dei sedimenti è una procedura archeologica molto utile, che in futuro potrà diventare di routine". 22 febbraio 2018 Una "valanga" di DNA antico chiarisce il popolamento dell'Europa Il più grande studio sul DNA antico finora realizzato, condotto su 625 genomi, getta nuova luce sulla storia del popolamento dell'Europa e testimonia gli enormi progressi di questa branca della genetica, che in appena otto anni è passata da un solo genoma sequenziato a un totale di oltre 1300(red archeologiageneticaantropologia Due grandi migrazioni attraverso l'Europa e un significativo rimescolamento fra le popolazioni autoctone di cacciatori-raccoglitori e i primi gruppi di agricoltori giunti sul continente sono state confermate da due studi archeologia genetica appena pubblicati su "Nature". degli enormi passi in avanti fatti negli ultimissimi anni nel campo dell'analisi del DNA antico. I n appena otto anni, infatti, si è passati da un unico genoma antico sequenziato a oltre 1300, 625 dei quali proprio in occasione degli studi ora pubblicati, che hanno visto impegnati più di cento archeologi e genetisti cooordinati da David Reich, della Harvard Medical School. Uno dei due studi ha dimostrato che circa 5300 anni fa le culture di cacciatori-raccoglitori che vivevano in Europa furono sostituite in molti luoghi da pastori nomadi, soprannominati Yamnaya, arrivati dalle steppe dell'Asia centrale, a nord del Mar Nero e del Caspio, e che riuscirono a espandersi rapidamente sfruttando i cavalli e la nuova invenzione del carrello.
utilizzate dai Yamnaya si erano poi diffuse in Europa, ma l'analisi del DNA antico ha dimostrato che che non fu solo un contagio culturale, ma il frutto di una vera migrazione. genomica dell'Europa sud-orientale rivelando un'ulteriore migrazione, avvenuta in due fasi. "L'evidenza archeologica mostra che quando i contadini si sono diffusi per la prima volta nell' Europa settentrionale, si sono fermati a una latitudine dove i loro raccolti non crescevano bene", ha detto Reich. "Di conseguenza, la separazione tra agricoltori e cacciatori-raccoglitori resistette per circa duemila anni". dinamica sociale o di potere le donne dei cacciatori-raccoglitori iniziarono a essere integrate nelle comunità degli agricoltori. In seguito, la tendenza si invertì e le donne contadine tendevano ad essere integrate in comunità di cacciatori-raccoglitori. sempre più l'opinione dei paleoantropologi che fin dalla più remota antichità le popolazioni umane si muovono e si mescolano in continuazione. |
Post n°1813 pubblicato il 10 Gennaio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet Buongiorno, gli assaggiatori di vino, gli albergatori e gli amanti di questa antichissima bevanda, aprano bene le orecchie: Un giorno forse potremo bere il vino di Marte Un team di scienziati in Georgia sta cercando di capire come produrre il vino su Marte, e pare che ci stia riuscendo. A chi non piace il vino? Forse solo agli astemi, ma chi lo ama non potrà non apprezzare questa novità che viene da Marte. Nel nostro secolo il pianeta forse più chiacchierato è proprio Marte. La corsa allo spazio sta vedendo scienziati - della NASA e non solo - alle prese con ricerche e missioni per scoprire i segreti del suo territorio e, soprattutto, eventuali forme di vita aliena. E c'è chi sta andando già oltre, provando a capire quali tipi di viti da vino possano essere coltivate sul pianeta rosso. Il paese in questione è la Georgia, che spesso si vanta dell'alta qualità delle sue bevanda: e proprio per questo motivo ha ideato il progetto IX Millennium. Non si tratta però di una ricerca senza senso: lo studio, infatti, aiuterà a rispondere a tante domande che ancora oggi non hanno risposta: ossia quali sono i limiti che un eventuale lavoro di agricoltura potrebbe incontrare a causa di radiazioni, polveri o altro. «Se vivremo su Marte un giorno, la Georgia deve dare il suo contribuito. I nostri antenati hanno portato il vino sulla Terra, così noi dobbiamo fare lo stesso con Marte ", ha detto Nikoloz Doborjginidze, fondatore dell'agenzia di ricerca spaziale della Georgia e consulente del Ministero dell'Istruzione e della Scienza in un'intervista rilasciata al al The Washington Post. Fa ovviamente parte del cosiddetto "progetto del vino". In questo studio è coinvolto anche un consorzio di imprenditori e accademici: il IX Millennium tiene in considerazione la millenaria tradizione della viticoltura in Georgia e sta cercando di capire quale sia la soluzione migliore per produrre il vino anche su Marte. In effetti, se un domani l'umanità si trasferisse sul pianeta, non è possibile pensare che lo si faccia senza una delle cose più buone del mondo. La ricerca di "un'uva marziana" è iniziata nel 2016, quando Elon Musk ha annunciato al mondo che SpaceX avrebbe mandato - per prima nella storia - una missione con equipaggio su Marte entro il 2024. Ben dieci anni prima della stima della NASA. Ed è allora che la Georgia ha deciso di iniziare a pensare a un possibile vino da produrre sul pianeta rosso. Che, ironia della sorte, dovrebbe però essere bianco. OFFERTA DEGUSTAZIONE DEL VINO MARZIANO DELLA CASA. |
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