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Messaggi del 17/06/2019

La diffusione dei Denisova sull'altopiano del Tibet

Post n°2240 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

La diffusione dei Denisova sull'altopiano del Tibet

La diffusione dei Denisova sull'altopiano del Tibet

Una mandibola fossile scoperta nella grotta di Xiahe,

nel Tibet, risalente a 160.000 anni fa, apparteneva a

un uomo di Denisova.

Il fossile, il più antico relativo a un ominide mai

ritrovato nella regione, è la prima prova diretta della

presenza di questi nostri cugini estinti lontano dalla

grotta siberiana in cui sono stati scoperti originariamente.

antropologiapaleontologia

L'uomo di Denisova, parente stretto dell'uomo di Neanderthal,

è vissuto in tutta l'Asia, e non solo nella regione siberiana

in cui è stato scoperto originariamente.

La prima conferma diretta della sua diffusione al di là della

Siberia arriva da una mandibola fossile scoperta nella grotta

di Baishiya Karst, nella regione cinese dello Xiahe,

sull'altopiano del Tibet, a una quota di 3280 metri.

Il reperto - risalente a 160.000 anni fa - è anche la più

antica documentazione fossile di un ominide mai

trovata in Tibet.

A descrivere i preziosi resti è un articolo pubblicato 

sulla rivista "Nature"da Jean-Jacques Hublin del Max-

Planck-Institut per l'Antropologia evoluzionistica a

Lipsia, e colleghi di un'ampia collaborazione internazionale.

Si va così completando con nuovi tasselli il complesso

puzzle di dati su questi nostri antichi cugini estinti.

La diffusione dei Denisova sull'altopiano del Tibet

La mandibola di Xiahe (Il primo ritrovamento risale al

2008, quando la grotta di Denisova, sui monti Altaj,

in Siberia, ha restituito un frammento osseo di dito

mignolo di un giovane individuo del genere Homo vissuto

tra 70.000 e 40.000 anni fa.

Nel 2010 le analisi del DNA mitocondriale, che si trasmette

solo per via materna, ricavato dal reperto, hanno delineato

l'identikit della nuova specie umana, l'uomo di Denisova,

strettamente imparentato con l'uomo di Neanderthal.

Numerosi depositi di sedimenti della grotta, hanno poi

indicato la presenza di Denisoviani nella regione tra 287.000

e 55.000 anni fa, definendo un quadro filogenetico del genere

umano nel Paleolitico molto più complesso di quello ritenuto

valido per decenni.

Ora arriva lo studio della mandibola di Xiahe, grazie a una

collaborazione tra l'Università di Lanzhou, in Cina, e il Max-Planck-Institut.

Il reperto si presenta in buono stato di conservazione,

ma gli autori non sono riusciti a ricavarne DNA utile alle analisi.

Hanno perciò studiato le proteine estratte dai molari, che hanno

determinato la stretta parentela del reperto con quelli siberiani.

Le tecniche di datazione hanno poi stabilito che il fossile risale

a circa 160.000 anni fa, coerentemente con i ritrovamenti più

antichi della grotta di Denisova.

La mandibola è quindi una documentazione diretta della diffusione

dell'uomo di Denisova in Asia, già ipotizzata sulla base del fatto

che i tibetani e altre popolazioni della zona conservano nel proprio

genoma varianti geniche, derivate proprio dai Denisoviani, che

permettono loro di sopravvivere ad alta quota.

La diffusione dei Denisova sull'altopiano del Tibet

Ricostruzione digitale della mandibola di Xiahe

"Gli ominidi arcaici che occupavano l'Altopiano nel

medio Pleistocene, tra 780.000 e 126.000 anni fa, si

sono adattati con successo agli ambienti a quote elevate,

dove scarseggiava l'ossigeno, molto prima dell'arrivo nella

regione di Homo sapiens", ha spiegato Dongju Zhang,

coautore dell'articolo.

Inoltre, secondo gli autori, sono molte le somiglianze con

altri reperti cinesi.

"Le nostre analisi aprono la strada a una migliore comprensione

della storia evoluzionistica del medio Plesistocene nell'Asia

orientale", ha concluso Hublin. (red)

 
 
 

Scoperta la "prima figlia" di padre Denisova e madre Neanderthal

Post n°2239 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli


22 agosto 2018

Scoperta la "prima figlia" di padre

Denisova e madre Neanderthal

Scoperta la

Aveva una madre neanderthaliana e un padre

Denisova l'adolescente vissuta 90.000 anni fa

in Siberia, dei cui resti è appena stata pubblicata

una serie di approfondite analisi.

L'analisi genetica, in particolare, indica inoltre che

il padre denisovano aveva anch'egli una lontana

ascendenza Neanderthal, dimostrando quindi che

le due popolazioni si incrociarono non una, ma

almeno due volte, a distanza di decine di migliaia

di anni(red)

antropologiapaleontologiageneticaNeanderthal

Una ragazzina di 13 anni vissuta 90.000 anni fa in

Siberia ha fornito la prova che uomini Neanderthal

e uomini di Denisova si incrociarono tra loro.

La scoperta è di un gruppo di ricercatori del Max

Planck Institut per l'antropologia evolutiva a Lipsia,

in collaborazione con l'Università di Novosibirsk,

in Russia, che illustrano la loro ricerca in 

un articolo su "Nature".

Scoperta la

I frammenti ossei di Denisova 11.L'incrocio fra Neanderthal

e uomini moderni è ben noto, e ricerche recenti hanno

dimostrato che la nostra specie si incrociò anche con i

denisovani, del cui genoma sono state trovate tracce nelle

attuali popolazioni dell'Estremo Oriente e di Papua.

Mancava però una prova certa anche di un incrocio fra

uomini di Denisova e neanderthaliani - le cui linee

evolutive si separarono circa 390.000 anni fa - anche

se gli antropologi ne sospettavano la possibilità: tracce

della presenza di Neanderthal sono infatti emerse anche

nelle regioni abitate dai denisovani, dei quali invece sono

stati trovati resti fossili - circa 2000 frammenti - soltanto

nella grotta di Denisova, nelle montagne dell'Altai, in Siberia.

Scoperta la

La valle su cui si affaccia la grotta di Denisova.

(Cortesia Bence Viola, Max Planck Institute for

Evolutionary Anthropology)L'analisi morfologica,

radiologica, densitometrica e delle proteine del collagene

di uno di questi frammenti - denominato Denisova 11

- ha rivelato che apparteneva a un soggetto morto all'età

di 13 anni circa. L'analisi genetica ha poi mostrato che

si trattava di una femmina, figlia di un padre denisovano

e di una madre neanderthaliana.

"Sapevamo da studi precedenti che Neanderthal e

denisovani dovevano avere occasionalmente avuto figli

insieme", ha detto Viviane Slon, coautrice dello studio.

"Ma non avrei mai pensato che saremmo stati così fortunati

da trovare una discendente diretta dei due gruppi".

Ma le sorprese non sono finite qui.

Approfondendo le analisi, i ricercatori hanno scoperto

che anche nella genealogia del padre di Denisova 11 vi

erano antenati Neanderthal.

La componente genetica neanderthaliana del padre risaliva

però a un periodo molto precedente, stimato in circa 300-

600 generazioni.

Il genoma materno, invece, è risultato più simile a quello

dei Neanderthal vissuti in Europa occidentale in un'epoca

più recente rispetto ai neanderthaliani insediati in tempi

remoti nella regione di Denisova.

Ciò significa, concludono i ricercatori, che ci devono essere

state due distinte migrazioni di Neanderthal: una molto antica,

che ha portato ai denisovani la componente genetica

neanderthaliana riscontrata nel padre di Denisova 11;

l'altra, molto più recente, che ha condotto in Siberia il gruppo

a cui appartenevano la madre o i suoi recenti antenati.

"Un aspetto interessante di questo genoma - ha detto

Fabrizio Mafessoni, coautore dello studio - è che ci

permette di conoscere meglio due popolazioni: i neanderthaliani

da parte della madre e i denisovani da parte del padre."

 
 
 

In Melanesia le tracce viventi della terza specie di Homo

Post n°2238 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

23 dicembre 2010

In Melanesia le tracce viventi della terza specie di Homo

In Melanesia le tracce viventi della terza specie di Homo

Il DNA dell'uomo di Denisova, diferente sia da

quello di Neanderthal sia da quello dell'uomo

moderno, condivide tuttavia un elevato numero

di varianti geniche con le moderne popolazioni

melanesiane

antropologiageneticaevoluzionepaleontologia

Il sequenziamento del genoma nucleare tratto da

un dito risalente ad almeno 30.000 anni fa e appartenuto

a un ominino estinto dimostra definitivamente che,

oltre ai Neanderthal, l'uomo moderno aveva un'altra

specie "cugina".

L'analisi genetica è stata realizzata dal gruppo di

ricerca del Max-Planck-Institut per l'antropologia

evolutiva a Lipsia, diretto da Svante Pääbo, che

all'inizio di quest'anno aveva già proceduto a sequenziarne

il DNA mitocondriale giungendo a una prima conclusione

in tal senso.

Anche un dente di questi antichi "cugini" ritrovato insieme

al dito mostra una morfologia che li distingue sia dai

Neanderthal, sia dagli umani moderni, ricordando molto

i denti dei più antichi ominini, come Homo habilis e 

Homo erectus.

"Il dente è sorprendente e ci permette di collegare le

informazioni genetiche e morfologiche", ha osservato

Bence Viola, uno dei ricercatori.

Ma, come è riferito in un articolo pubblicato su Nature i

n cui si illustra la scoperta, l'analisi del genoma nucleare di

questo reperto, scoperto nella grotta siberiana di Denisova

nel 2008, ha portato a un'altra, ancor più sorprendente scoperta.

Il DNA della nuova specie condivide infatti un elevato numero

di varianti geniche con le moderne popolazioni di Papua

Nuova Guinea, indicando un incrocio fra l'antica popolazione

di Denidova e gli antenati dei melanesiani.

L'analisi comparativa dei genomi, che comprendeva campioni

delle popolazioni della Nuova Guinea e dell'isola di Bougainville,

ha infatti rivelato che almeno dal 4 al 6 per cento del genoma di

quelle popolazioni melanesiane deriva da quello dell'antica

popolazione siberiana. 

Questa constatazione induce a ipotizzare che questa popolazione

possa essersi diffusa in Asia nel corso del tardo Pleistocene.

Alla luce di queste nuove analisi genetiche sembra emergere un

quadro dell'evoluzione dell'uomo moderno e dei suoi più stretti

parenti più complesso di quanto finora ritenuto.

Secondo i ricercatori è probabile che un gruppo ancestrale

abbia lasciato l'Africa fra i 300.000 e i 400.000 anni fa,

divergendo rapidamente nella specie dei Neanderthal, che si

diffuse in Europa, e una popolazione che, direttasi più a est,

divenne l'uomo denisoviano.

Quando gli umani moderni abbandonarono il continente

africano fra 70.000 e 80.000 anni fa, incontrarono dapprima

i Neandertal, con un interazione che ha lasciato tracce

genetiche in tutte le popolazioni non africane.

Successivamente nel corso delle migrazioni un gruppo dei

umani moderni, venne quindi in contatto con le popolazioni

di Denisova, un incontro le cui tracce si ritrovano nelle

popolazioni melanesiane.

 
 
 

La sfortuna dei Neanderthal: uno studio molto contestato

Post n°2237 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

L'uomo di Neanderthal sarebbe stato

vittima dell'inversione del campo magnetico

della Terra: una nuova, bizzarra (e contestata)

ipotesi sull'estinzione dei nostri sfortunati

cugini europei, uccisi dall'eccesso di raggi UV.

Una riproduzione dell'Uomo di Neanderthal

esposta al MUSE di Trento. Sapiens e

Neanderthal: quando si sono separate

le due specie?

La scomparsa di una specie umana a noi così

vicina, quella dell'uomo di Neanderthal (Homo

neanderthalensis), alimenta da sempre la ricerca

scientifica per cercare di capire quanto accadde

poco meno di 40.000 anni fa.

Le certezze non ci sono, ma si va dalla

 persecuzione diretta da parte della nostra specie,

sapiens, al cambiamento climatico (e quindi

ambientale) che avrebbe decimato le prede

di cui i neandertaliani si nutrivano, fino alla l

enta sostituzione ecologica da parte dei 

sapiens, più fertili del cugino europeo.

Un'altra ipotesi ancora attribuisce la scomparsa

dei neanderthal alla maggior complessità culturale

dell'Homo sapiens, che già aveva una

comunicazione più efficace e società più

ampie e complesse.

Insomma, ai paleoantropologi non è mancata

la fantasia, accompagnata sempre da prove

scientifiche solide, benché mai definitive.

L'IPOTESI GEOMAGNETICA.

 Alla serie di note teorie si aggiunge ora una

spiegazione in chiave geochimica ad opera

di due paleomagnetisti, Jim Channell e Luigi

Vigliotti: i due ricercatori (che ammettono di

non avere esperienza di paleoantropologia)

hanno esposto la loro tesi su Reviews of

Geophysics.

L'idea di Channell e Vigliotti prende avvio

da alcuni eventi delle ultime centinaia di migliaia

di anni, quando il campo magnetico della Terra

si è indebolito e a volte invertito: in quelle

occasioni, la relativa minore intensità del

campo magnetico ha esposto il pianeta a

un maggiore flusso di radiazioni ultraviolette

(UV) solari.

L'eccesso di radiazioni UV può favorire

mutazioni e sbilanciare l'equilibrio fisiologico,

ma, in particolare, un gene (che codifica per

un cosiddetto recettore arilico), mutato nei

neanderthal, avrebbe svolto solamente sui

 sapiens un'azione protettiva dalle

conseguenze dell'eccesso di UV.

Uno dei questi momenti di indebolimento del

campo magnetico, chiamato evento di Laschamp,

avvenne circa 41.000 anni, quando gli ultimi

neanderthal si trovavano in Europa e in Asia

occidentale.

Da questo, i due ricercatori hanno dedotto che

i neanderthal, geneticamente meno protetti

dei sapiens dai raggi UV, subirono uno stress

ossidativo che li estinse in breve tempo.

LE CRITICHE. 

Lo studio ha suscitato una diffusa perplessità.

Come fanno notare molti paleoantropologi,

una correlazione non implica necessariamente

una causa: il fatto che l'evento di Laschamp

sia avvenuto nell'intervallo temporale in cui i

nostri cugini si sono estinti, non significa che

sia stato la causa della loro scomparsa.

Servono prove più solide, si afferma da più parti.

Nonostante lo studio sia stato pubblicato da

un'autorevole rivista scientifica, e nonostante

l'enfasi posta sulla ricerca dal nostro CNR,

altri esperti hanno fatto rilevare che difficilmente

una sola causa può avere innescato

un'estinzione che, per di più, è durata millenni.

 
 
 

16 GIU 2019 UN VULCANO DI FANGO SU CERERE

Post n°2236 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli

16 GIU 2019 UN VULCANO
DI FANGO SU CERERE

Un nuovo studio effettuato da scienziati dell'agenzia

spaziale tedesca (DLR) ha permesso di risolvere il

mistero della formazione di Ahuna Mons, la misteriosa

montagna che si innalza per un'altezza di oltre 4.000

metri al di sopra della superficie di Cerere cosparsa di crateri.

Sembra che il "magma" fuoriuscito dall'interno del

pianeta nano sia composto da un miscuglio di acqua

salata, fango e particelle rocciose.

Cerere è un mondo complesso e dinamico, che potrebbe

avere ospitato molta acqua liquida in passato e potrebbe

ancora averne nel sottosuolo.

Secondo i ricercatori una bolla composta da una miscela

di acqua salata, fango e roccia si è innalzata dall'interno

del pianeta nano, spingendo verso l'alto la crosta ghiacciata,

solidificandosi una volta esposta alla gelida temperatura

esterna e accumulandosi via via in depositi stratificati,

fino a formare una montagna.

In definitiva Ahuna Mons sarebbe in realtà un enorme

vulcano di fango.

"In questa regione l'interno di Cerere non è solido e rigido,

ma si muove ed è almeno parzialmente fluido", spiega

Wladimir Neumann, tra gli autori dello studio pubblicato

su Nature Geoscience.

"Questa bolla si è formata nel mantello di Cerere al di sotto

di Ahuna Mons ed è una miscela di acqua salata e

componenti rocciosi".

Ahuna Mons Credit NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Cerere è il corpo celeste più grande nella Fascia degli

Asteroidi, situata tra Marte e Giove e popolata da

oggetti minori, composti principalmente da rocce silicee

e da ghiaccio.

Secondo gli scienziati oltre un quarto della massa di

Cerere potrebbe essere costituita da ghiaccio o acqua.

La sonda Dawn ha orbitato attorno al pianeta nano

dal Marzo 2015 all'Ottobre 2018, raccogliendo

una quantità di dati, che hanno permesso di mappare

la superficie di Cerere e analizzare la sua composizione.

L'interno del piccolo pianeta non è omogeneo, ma

parzialmente differenziato: le componenti con una

proporzione più elevata di elementi pesanti, come

ferro e magnesio, sono sprofondate al centro del corpo

celeste, mentre le componenti più leggere come rocce

con elevato contenuto di materiali silicati o acqua sono

rimaste più in superficie. Bolle e cupole si formano a

causa del calore generato ancora oggi su Cerere per

effetto del decadimento di elementi radioattivi.

Le misteriose macchie brillanti immortalate su Cerere,

che hanno affascinato sia il team di Dawn che il grande

pubblico, rivelano evidenze di un antico oceano sotto

la superficie e indicano che, ben lontano da essere un

mondo morto, il pianeta nano è sorprendentemente attivo.

Queste aree brillanti sono state create da processi

geologici e ancora oggi sono in grado di cambiare la

faccia del corpo celeste. Ahuna Mons si è formato

in un passato geologico recente, forse poche decine

di milioni di anni fa. Con una base del diametro di

20 chilometri e un'altezza superiore a 4.000 metri,

ha dimensioni simili al Monte Bianco.

"Per spiegare l'origine di Ahuna Mons dobbiamo

utilizzare un nuovo modello geofisico, ideato

specificamente per Cerere, per ottenere così l'informazione

'nascosta' nei dati della sonda", spiega Antonio Genova

dell'Università La Sapienza, Roma.

L'attività criovulcanica è diffusa nel Sistema Solare

esterno: ne sono state trovate tracce sulle lune di Giove

e Saturno, e persino su Plutone.

Cerere è il primo oggetto celeste nella Fascia degli Asteroidi

in cui è stata individuata questo tipo di eruzione, e sembra

proprio che il "magma" eruttato dalle profondità del pianeta

nano sia composto da un miscuglio di acqua salata, fango

e particelle rocciose.

Nell'immagine Cerere in falsi colori, in cui sono evidenziati

elementi morfologici differenti.

Le aree bluastre sono generalmente associate a crateri giovani.

Le aree brillanti sono identificate come composte da

materiale ricco di sali.

 
 
 

su Marte enormi quantità di ghiaccio sotto la sabbia

Post n°2235 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli


su Marte enormi quantità di ghiaccio sotto la sabbia

Trovate su Marte enormi quantità di ghiaccio sotto la

sabbia: ecco come il Pianeta ha protetto l'acqua

Trovate su Marte enormi quantità di ghiaccio sotto

la sabbia: ecco come il Pianeta ha protetto l'acqua

Gli scienziati hanno scoperto che Marte ha protetto

il suo ghiaccio con strati di sabbia per non farlo

'sciogliere' al sole. Le enormi quantità trovate

potrebbero essere i resti di antiche calotte polari

grazie alla quali potremmo capire se e come ci sia

stata vita sul Pianeta Rosso

Vediamo insieme i dettagli di questa ricerca.
di Zeina Ayache

tSotto la superficie di Marte sono sepolti strati

di ghiaccio che sono i resti di antiche calotte polari

che potrebbero essere stati uno dei più brandi bacini

di acqua del Pianeta, grazie ai quali potremmo capire

come sia stata la vita in passato.

Questo è quanto fanno sapere gli scienziati che,

attraverso il loro studio, ci svelano qualche dettaglio

in più sull'affascinante Pianeta Rosso, nuova meta

dei prossimi viaggi spaziali.

Ghiaccio su Marte.

Gli esperti hanno sfruttato i dati raccolti da SHARAD,

Shallow Radar, il radar montato sulla sonda spaziale

Mars Reconnaissance Orbiter della NASA che, con

le onde che emette, riesce a penetrare fino a 2,5

chilometri sotto la superficie del Pianeta Rosso.

Grazie a queste analisi, gli scienziati sono riusciti

a scoprire la presenza di strati di ghiaccio sepolti

che potrebbero essere i resti delle calotte polari antiche,

questi strati sono coperti dalla sabbia e, nel 90% dei casi,

il ghiaccio si trovava sotto forma di acqua.

"Non ci aspettavamo di trovare così tanto ghiaccio qui"

ha dichiarato l'autore Stefano Nerozzi, "si tratta della

terza riserva più grande trovata su Marte dopo le

calotte polari".

Cosa c'è da sapere.

Questi strati si pensa si siano formati quando il ghiaccio

si è accumulato ai poli durante le passare ere glaciali che

hanno colpito Marte.

In pratica, sostengono gli scienziati, ogni volta che il

pianeta si riscaldava, un residuo delle calotte di ghiaccio

veniva ricoperto da sabbia, questo permetteva al ghiaccio

stesso di essere protetto dalle radiazioni solari e di non

disperdersi nell'atmosfera.

Le ere glaciali di Marte. Le ere glaciali di Marte sono note

agli esperti secondo i quali sono la conseguenza

dell'inclinazione del pianeta che comporta una maggiore

o minore esposizione al sole.

Quando Marte ruota verticalmente, il suo equatore si trova

di fronte al sole e le calotte polari crescono, quando invece

è inclinato, le calotte si ritirano.

A cosa serve lo studio.

Lo studio della geometria e della composizione di questi

strati potrebbe dire agli scienziati se le condizioni climatiche

fossero in precedenza favorevoli alla vita su Marte.

Comprendere la quantità di acqua disponibile a livello

globale rispetto a quella intrappolata nei poli è importante

per capire quale fosse la disponibilità di acqua liquida sul

Pianeta, questo perché per avere le condizioni ideali perché

si sviluppi la vita, è necessaria una sufficiente quantità di

acqua liquida vicino all'equatore.

Lo studio, intitolato "Buried ice and sand caps at the north

pole of Mars: revealing a record of climate change in the

cavi unit with SHARAD", è stato pubblicato su

Geophysical Research Letters.

 
 
 

Trovate le prove di una "Atlantide" britannica nei fondali del Mare del Nord

Post n°2234 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

lunedì, giugno 17TRENDING

archeologia e misteri

Trovate le prove di una "Atlantide"

britannica nei fondali del Mare del Nord

Gli archeologi ritengono di aver scoperto

un antico insediamento dell'età della pietra,

una volta dimora di migliaia di persone

almeno 8000 anni fa.

 Oggi si trova sul fondo del Mare del Nord

dopo essere stato sommerso dall'innalzamento

del livello del mare dopo l'ultima era glaciale.

iflscience.com

Per decenni, i pescatori e i tecnici che

effettuavano esplorazioni petrolifere hanno

segnalato che i ritrovamenti di resti di ossa,

pietra e resti umani nella zona di Brown

Bank, un ecosistema marino situato 80

chilometri a ovest della costa olandese.

 La quantità di materiale trovato nella

zona, la terra sommersa, ora denominata

Doggerlan, ha a confermato per diverse

volte che ci potrebbe essere stato un

insediamento preistorico.

 Per la prima volta, i ricercatori hanno

confermato due potenziali insediamenti

preistorici situati in quello che gli archeologi

ritengono posaa essere stato una volta

sulle rive di un antico fiume.

Per determinare le migliori posizioni per

l'esplorazione, i ricercatori hanno ricreato

il paesaggio sottomarino usando i dati

forniti da compagnie petrolifere e del gas,

costruttori di parchi eolici ed estrattori di

carbone che operano in questa zona di

mare molto trafficata. 

Collettivamente, sono stati in grado di

determinare le aree che avevano maggiori

probabilità di essere state sede di attività

umane in passato. 

Utilizzando tecniche acustiche ed estraendo

campioni fisici dei fondali marini, i ricercatori

hanno trovato tre siti che hanno il potenziale

per il significato archeologico e geologico.

"Questo è un progetto molto eccitante in

cui essere coinvolti", ha detto Martin Bates

geoarcheologo della University of Wales

Trinity Saint David in una dichiarazione . 

"Il nostro compito è esaminare tutti i siti

che sono stati perforati nei fondali marini

e ricostruire la geologia dell'ambiente in

evoluzione negli ultimi 100.000 anni.

 Da queste informazioni, possiamo individuare

i luoghi probabili sui fondali marini che

potrebbero avere prove di attività da parte

dei nostri antenati che vivevano in questo

paesaggio ormai perduto.

"L'area probabilmente costituiva la principale

confluenza di un antico sistema fluviale che

consentiva il drenaggio centrale dell'area

quando le calotte polari si scioglievano e il

livello del mare saliva circa 10.000 anni fa. 

Si ritiene che una seconda area fosse una

valle fluviale preistorica, mentre l'ultima

regione, nota come Brown Bank, è formata

da una cresta di sabbia di 30 chilometri. 

Qui hanno trovato due manufatti in pietra

dove si ritiene abbiano realizzato strumenti,

uno dei quali era un piccolo pezzo di selce e

un altro un pezzo più grande rotto dal bordo

di un martello di pietra. 

Ulteriori campioni mostrano torba e legno

antico e indicano che l'area era una volta sede

di un antico bosco che, analizzato nel contesto

degli antichi strumenti, suggerisce che l'area

ospitasse un'antica civiltà prima di essere sommersa.

I ricercatori sperano di utilizzare queste informazioni

per comprendere meglio la regione in un contesto

più ampio e pianificare future spedizioni di

campionamento per dipingere un'immagine

della vita antica nella Gran Bretagna preistorica.

I ricercatori hanno trovato due manufatti in

pietra che si ritiene abbiano realizzato strumenti,

uno dei quali era un piccolo pezzo di selce e

un altro un pezzo più grande rotto dal bordo

di un martello di pietra. Università di Bradford

 
 
 

I melanesiani, unici eredi dell'uomo di Denisova

Post n°2233 pubblicato il 17 Giugno 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

18 marzo 2016

I melanesiani, unici eredi dell'uomo di Denisova

I melanesiani, unici eredi dell'uomo di DenisovaANSA

Le popolazioni attuali della Melanesia sono le uniche

in cui si trova una traccia dell'incrocio fra la nostra specie

e la specie umana arcaica dell'uomo di Denisova.

La mescolanza con i denisoviani deve essere avvenuta

una sola volta, e oggi dal 2 al 3,4 per cento circa del

genoma dei melanesiani deriva da questa specie umana

estinta(red)

geneticaantropologia

Una parte piccola ma significativa del genoma dei

melanesiani moderni deriva da quello dell'uomo di Denisova,

la specie "cugina" della nostra e dei Neanderthal di cui solo

nel 2008 furono scoperti resti fossili in una grotta della

regione dei Monti Altai, nella Siberia meridionale.

A stabilirlo, confermando indizi già rilevati da precedenti

studi, è stata una ricerca effettuata da genetisti dell'Università

di Washington a Seattle, in collaborazione con il Max-

Planck-Institut per l'antropologia evoluzionistica di Lipsia,

(e a cui ha contribuito anche Serena Tucci dell'Università di

Ferrara) che illustrano la scoperta in un articolo pubblicato

su "Science".

I melanesiani, unici eredi dell'uomo di DenisovaANSAPer arrivare a questa conclusione Benjamin Vernot e colleghi

hanno analizzato il genoma di 1523 persone provenienti da

tutto il mondo, 35 delle quali erano abitanti dell'Arcipelago

di Bismarck, nella Melanesia settentrionale, e di Papua Nuova Guinea.

I risultati di questa analisi hanno mostrato che, mentre tutte le

popolazioni non africane hanno ereditato dall'1,5 al 4 per cento

del genoma dei Neanderthal, i melanesiani erano l'unica popolazione

in cui tra l'1,9 e il 3,4 per cento del genoma proveniva dall'uomo

di Denisova.

I melanesiani, unici eredi dell'uomo di DenisovaSchema dei flussi

genici fra denisoviani, Neanderthal e gli antenati delle popolazioni

europee (EUR), dell'Asia orientale e meridionale (EAS) e della

Melanesia (MEL).

Questi flussi non hanno invece interessato le popolazioni africane

(AFR). (Cortesia B. Vernot e altri/Science)I ricercatori hanno anche

potuto stabilire che mentre la mescolanza fra l'uomo moderno e i

Neanderthal si è verificata in almeno tre momenti distinti, quella

con l'uomo di Denisova è avvenuta solo una volta.

L'aspetto più misterioso di questa scoperta, osservano i ricercatori,

è la distanza che separa Denisova dalla Melanesia: "Sappiamo che

questa regione è stata popolata per almeno 48.000 anni, perché vi

sono resti umani che risalgono a quell'epoca, ma non si era riusciti

a collegarli a qualsiasi altro posto. Se si confronta la maggior parte

delle loro sequenze genomiche con quelle di qualsiasi altro gruppo

si scopre che i melanesiani sono rimasti isolati per moltissimo

tempo", osserva David A. Merriwether, uno degli autori della

ricerca, che conclude: "Possiamo pensare che agli uomini di

Neanderthal e di Denisova piacesse vagare in lungo e in largo".

Peraltro è ancora da scoprire dove gli antenati dei moderni

esseri umani potrebbero essere entrati in contatto con

l'uomo di Denisova.

L'ipotesi migliore, dicono i ricercatori, è che i denisoviani

avessero un'areale di distribuzione molto ampio che si estendeva

su tutta l'Asia orientale.

I primi esseri umani moderni e i Neanderthal potrebbero aver

viaggiato verso il Sudest asiatico insieme ai denisoviani.

E alla fine, alcuni dei loro discendenti devono essere arrivati

sulle isole a nord dell'Australia.

Ma la cosa singolare è che "i denisoviani sono l'unica specie

di esseri umani arcaici di cui si sa assai poco grazie alle prove

fossili e molto di più dai loro geni".

 
 
 

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