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Messaggi del 27/05/2020

Progetto italiano.

Post n°2979 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

L'orto spaziale per coltivare le verdure su Marte

L'orto spaziale per coltivare le verdure su Marte

Marta FrigerioMARTA FRIGERIO27 DIC 2017

C'è anche il dipartimento di Fisica dell'Università Statale

di Milano tra i partecipanti all'esperimento di biologia

HortExtreme, selezionato per la missione Amadee-18 e

realizzato in sinergia con l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI),

Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo

sviluppo economico sostenibile (ENEA).

Il progetto è stato selezionato perché in grado di sviluppare

ecosistemi chiusi per la produzione in situ delle risorse necessarie

alle missioni umane di esplorazione del Sistema Solare.

I ricercatori del dipartimento di Fisica dell'Università Statale di

Milano sono impegnati da anni a realizzare esperimenti in

Antartide, sulle Alpi e nello Spazio.

«Grazie all'esperienza maturata svolgendo esperimenti scientifici

in ambienti estremi e ostili e alla necessità di sistemi di soprav-

vivenza sia degli umani che della strumentazione, forniremo il

contributo necessario all'installazione dei sistemi di coltivazione

idroponica - hanno spiegato Francesco Cavaliere e Marco Potenza

del dipartimento di Fisica dell'ateneo lombardo -.

Questo è il naturale proseguimento dello sviluppo di moduli abitativi

resistenti fino a -80°C e a venti oltre i 100 km/h, che porterà allo

sviluppo di serre gonfiabili dotate di una rete di sensoristica avanzata

per tutti i parametri indispensabili alla vita umana e vegetale su Marte».

Garantire una dieta equilibrata anche nello spazio

L'obiettivo dell'orto maziano è quello di garantire un corretto apporto

nutrizionale ai membri dell'equipaggio, assicurando un'alimentazione

di alta qualità grazie a un sistema di coltivazione idroponica e senza

l'uso di pesticidi e agrofarmaci.

Per la missione sono state scelte piantine di cavolo rosso e radicchio,

verdure che completano il loro ciclo vitale in sole due settimane.

Dal deserto allo spazio

Il prototipo dell'orto spaziale sarà spedito il prossimo 15 gennaio

da Innsbruck al campo base allestito in Oman, dove a partire da

l mese di febbraio e per quattro settimane, l'astronauta Claudia

Kobald, insieme ad altri quattro colleghi, porterà avanti la sua

missione di simulazione coltivando le verdure.

L'orto marziano sarà posizionato nel deserto del Dhofar, scelto

come sito per la missione per via di alcune caratteristiche che

lo accomunano al Pianeta Rosso.

Tra queste ci sono le strutture sedimentarie risalenti al Paleocene

e all'Eocene, le cupole saline del South Oman Salt Basin e le

antiche aiuole fluviali, le superfici sabbiose e rocciose con grande

variabilità nell'inclinazione e un clima tropicale-desertico, con

temperature previste a febbraio che variano tipicamente tra 16

e 27 °C. Le precipitazioni sono scarse e in quel periodo

raggiungono i 10 mm.

Gli scopi della missione Amadee-18

La missione Amadee-18, che è giunta alla sua dodicesima edizione,

punta a studiare e validare gli equipaggiamenti che potranno essere

impiegati nel corso delle future missioni umane su Marte; inoltre, si

occupa di fornire piattaforme per tecniche di geofisica e per

l'identificazione di tracce di vita, nonché valutare la mobilità di rover

su un terreno analogo a quello marziano e in una condizione di supporto

del team da remoto.

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RIPRODUZIONE CONSENTITA CON LINK A ORIGINALE E

CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM

 
 
 

I roghi in Siberia.

Post n°2978 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

La Siberia sta bruciando più

dell'anno scorso

A causa del caldo torrido gli incendi in Siberia sono tornati e,

rispetto al 2019, sono ancora più diffusi.

SiberiaUn incendio in Siberia, nella regione del Transbajkal (foto del 2019) |

 LUYAGO / SHUTTERSTOCK  

L'anno scorso, nei mesi di luglio e agosto, la Siberia è andata a fuoco,

con incendi devastanti che, il 31 luglio, coprivano circa 30.000 km2 di

territorio, un'area grande quanto l'intero Belgio.

Un disastro ambientale di dimensioni incalcolabili, che si è portato via una

quantità di alberi pari alla superficie della Grecia e che è stato causato da un

clima insolitamente secco e caldo, conseguenza dei cambiamenti climatici

che rischiano di trasformare irrimediabilmente la regione russa.

Quest'anno, anche se siamo ancora a maggio, pare che la situazione sia ancora

peggiore: stando a quanto rivelano le autorità russe e alle immagini satellitari

della NASA, gli incendi sono cominciati prima e hanno già bruciato centinaia

di migliaia di ettari di foresta.


NovosibirskFoto satellitare della regione di Novosibirsk scattata dalla NASA il 27 aprile 2020.

Le macchie rosse sono gli incendi. | NASA

DIECI VOLTE TANTO. 

Le prime notizie sui nuovi incendi in Siberia sono arrivate dalle autorità russe:

secondo il Siberian Times, il ministro per le emergenze Evgeny Zinichev ha

dichiarato che nella sola regione del Krasnojarsk gli incendi stanno coprendo

un'area dieci volte superiore rispetto a quanto stessero facendo un anno fa, quando

la crisi non era ancora scoppiata in tutta la sua violenza.

Un'altra delle regioni più colpite nel 2019, il Transbajkal, gli incendi sono il t

riplo dell'anno scorso, e coprono 2.000 km2 di superficie.

Complici il vento e l'estensione degli incendi, i loro effetti si sentono già fino a

Novosibirsk, a 800 km dalla città di Krasnojarsk.

E LA COVID-19 NON AIUTA... La "colpa" di questi incendi è in parte attribuibile

alle condizioni climatiche estreme della Siberia: in alcune aree la temperatura ha

già superato i 30 °C, e il caldo secco facilita la diffusione dei fuochi.

La responsabilità principale, però, è ovviamente umana: la gran parte degli incendi

sono stati causati da fuochi agricoli, e soprattutto da fuochi da campo sfuggiti al

controllo dei campeggiatori.

In piena crisi Covid-19, infatti, molti russi hanno deciso di "auto-isolarsi" all'aperto,

in mezzo ai boschi, e il mancato rispetto delle norme di sicurezza ha favorito la

nascita e il diffondersi di questi incendi.

 
 
 

La formazione della Via Lattea.

Post n°2977 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

25 maggio 2020Comunicato stampa

Così la galassia nana del Sagittario ha modellato la Via Lattea

Fonte: Inaf

Un'illustrazione dei successivi passaggi della galassia nana del Sagittario

mentre orbita intorno alla nostra galassia della Via Lattea e il suo impatto

sull'attività di formazione stellare della Via Lattea, come suggerito dai dati

della missione Gaia dell'ESA.© ESA

  Un team internazionale di ricerca, composto da scienziati dell'Istituto

Astrofisico delle Canarie e di cui fa parte anche Santi Cassisi dell'INAF, ha

realizzato uno studio che mostra prove inconfutabili del ruolo cruciale avuto

dalla galassia nana Sagittario nel processo di evoluzione della Via Lattea.

Lo studio, realizzato grazie ai dati della missione spaziale Gaia dell'Agenzia

Spaziale Europea, è stato pubblicato oggi sulla rivista "Nature Astronomy" e

sembrerebbe indicare che uno degli eventi di formazione stellare associati alle

interazioni tra la galassia del Sagittario e la nostra Galassia potrebbe aver dato

vita al nostro stesso Sole

 Il disco della Via Lattea, quella sorta di 'striscia' luminescente ben visibile

anche a occhio nudo nei cieli estivi ed invernali, rappresenta la regione più densa

della nostra galassia, ed è proprio lungo tale striscia che si trova il Sistema Solare.

Tuttavia tale porzione della Galassia non ha avuto sempre lo stesso aspetto, e

comprendere come essa si sia evoluta dalla sua formazione ad oggi è da sempre

uno dei temi di maggior rilievo dell'astrofisica.

Per indagare i processi di formazione ed evoluzione della Via Lattea la missione

Gaia dell'ESA sta effettuando misure sulla luminosità, la posizione, i moti propri e

la composizione chimica di un numero enorme di stelle, permettendo così di

ottenere una tomografia estremamente accurata della nostra Galassia. Gaia è una

missione che vede una importante partecipazione scientifica dell'Italia, con l'Istituto

Nazionale di Astrofisica (INAF) e l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) che partecipano

al Data Processing and Analysis Consortium (DPAC).

Combinando insieme la luminosità apparente con le distanze misurate da Gaia,

Santi Cassisi, in forze all'INAF, e i ricercatori dell'Istituto Astrofisico delle Canarie,

hanno stimato la luminosità intrinseca di oltre 24 milioni di stelle, all'interno di

una sfera dal diametro di 6.500 anni luce intorno al Sole.

Il confronto tra le osservazioni e accurati modelli stellari elaborati dai ricercatori

dell'INAF ha permesso di ricostruire la storia evolutiva della Via Lattea con una

precisione mai raggiunta fino ad ora.

"Si pensava che il processo di formazione stellare all'interno della Via Lattea non

fosse stato costante nel corso della sua vita, ma sarebbe stato difficile ipotizzare

l'esistenza di periodi molto intensi e ben definiti di formazione stellare", dice Santi

Cassisi dell'INAF di Teramo, e prosegue: "Lo studio ha invece mostrato che la Via

Lattea ha sperimentato circa 13 miliardi di anni fa un processo di formazione stellare

molto violento, la cui intensità è andata progressivamente a diminuire nel corso del

tempo.

Sovrapposto a questo andamento, lo studio ha identificato l'esistenza di alcuni eventi

estremante intensi di formazione stellare.

Il primo sarebbe avvenuto circa 5-6 miliardi di anni fa, seguito da altri eventi avvenuti

rispettivamente 2 miliardi e 1 miliardo di anni fa, per arrivare all'ultimo, 'vecchio' solo

100 milioni di anni".

La domanda a cui si è cercato di rispondere è stata quindi cosa fosse accaduto durant

e quelle epoche tale da riuscire a innescare eventi così violenti in una galassia così

grande.

Per risolvere questo enigma si deve ricordare che la Via Lattea non è sola, ma intorno

ad essa orbitano altre galassie come Andromeda (M31), le Nubi di Magellano e decine

di galassie più piccole, note come galassie nane, che formano insieme il cosiddetto

'Gruppo Locale'.

Tra queste galassie nane, quella del Sagittario ha un ruolo molto importante, sia per la

sua massa sia per il fatto che essa è in fase di interazione dinamica molto forte con la

Via Lattea.

La Via Lattea sta letteralmente 'cannibalizzando' la galassia del Sagittario.

Questo processo di interazione non sta avvenendo solo in tempi recenti, ma complesse

simulazioni suggeriscono che tali interazioni dinamiche siano avvenute circa 5-6 miliardi

di anni, fa quando Sagittario si è avvicinata per la prima volta alla Via Lattea.

Tale forte interazione si è ripetuta ancora 2 miliardi di anni fa e un miliardo di anni fa.

La coincidenza tra i picchi di formazione stellare nel disco galattico, evidenziati dallo

studio e questi eventi di interazione gravitazionale tra le due galassie, nonché la

coincidenza con la posizione temporale di picchi di formazione stellare nella galassia

Sagittario, portano a dedurre che Sagittario abbia avuto, e stia ancora avendo,

un ruolo fondamentale nel determinare la storia evolutiva della Via Lattea.

Potremmo definire la galassia Sagittario uno degli architetti principali nel determinare

la morfologia della nostra Galassia.

I risultati della ricerca mettono in discussione alcuni dei modelli di formazione

galattica e offrono spunti importanti per i futuri studi teorici.

È interessante osservare come il nostro Sole, che si è formato circa 4.6 miliardi di anni fa

a seguito del collasso di una grande nube di gas e polvere, potrebbe essere una delle stelle

nate circa 5 miliardi di anni fa a causa della prima interazione mareale tra la Via

Lattea e Sagittario: quindi noi potremmo essere i testimoni di uno dei principali

eventi astronomici che ha generato la nostra stella e quindi il nostro sistema

planetario come noi oggi li conosciamo.

 
 
 

Kelt-9b

Post n°2976 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

06 maggio 2020Comunicato stampa

Il pianeta che voleva essere una stella: la ferrosa atmosfera di KELT-9b

Rappresentazione artistica del pianeta KELT-9b e della sua stella

  © NASA/JPL-Caltech Un gruppo di ricercatori italiani, olandesi e

svizzeri ha rivelato per la prima volta tracce di ferro neutro in emissione

nella caldissima atmosfera di un pianeta extrasolare.

Questa scoperta è un importante passo avanti verso studi comparativi di pianeti

e stelle ospiti, che favorirà una migliore comprensione di come i pianeti stessi

si formino

È caldo come una stella ma non è una stella, è un pianeta extrasolare.

La sua sigla è KELT-9b e si trova a 650 anni luce da noi, in direzione della

costellazione del Cigno.

Un nuovo, accurato studio realizzato da un gruppo di ricercatori dell'Istituto Nazionale

di Astrofisica (INAF) insieme a colleghi di Università ed Enti di ricerca italiani,

olandesi e svizzeri ha permesso di rivelare per la prima volta l'emissione di radiazione

da atomi di ferro neutro presenti nell'atmosfera di KELT-9b.

I risultati, in corso di pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal Letters

sono stati ottenuti grazie alle misure dello spettrografo HARPS-N installato al Telescopio

Nazionale Galileo dell'INAF sulle Isole Canarie.

Questo studio permetterà di comprendere meglio le relazioni tra gli esopianeti e le loro

stelle madri ma anche come i pianeti estremi simili a KELT-9b possano formarsi ed evolvere.

KELT-9b è al momento il pianeta gigante più caldo in orbita sincrona che si conosca nella

nostra Galassia, un "gioviano caldo" secondo la classificazione degli astronomi.

Il suo lato perennemente illuminato raggiunge una temperatura di oltre 4 mila gradi.

Tale temperatura è quella tipica di stelle classificate come "nane di tipo K" o "nane arancioni",

dal colore della luce che emettono.

La differenza fondamentale è però nella massa: le stelle hanno una massa abbastanza

grande da riuscire a innescare reazioni nucleari nel loro interno, a cui si deve l'origine

delle loro alte temperature superficiali; KELT-9b invece è un pianeta centinaia di volte

meno massiccio di una stella, e quindi raggiunge un'elevata temperatura atmosferica

semplicemente perché viene irradiato da vicino dalla sua stella ospite, una stella bianca

di tipo A, la cui temperatura in superficie  tocca i 10 mila gradi.

"Il nostro lavoro parte dalla domanda di quali sarebbero le differenze tra l'atmosfera di

KELT-9b e quella che avrebbe una stella con la stessa temperatura" spiega Lorenzo Pino,

dell'INAF di Firenze e ora in forza all'Università di Amsterdam, nei Paesi Bassi, primo

autore dell'articolo che descrive la scoperta.

"Per rispondere a questa domanda è necessario analizzare la luce emessa dal pianeta,

ma è una cosa molto difficile in generale, perché - dal nostro punto di vista - la luce

del pianeta è una piccolissima frazione della luce emessa dalla stella madre.

Eppure ci siamo riusciti, osservando il sistema KELT-9 con lo spettrografo ad alta

risoluzione HARPS-N, montato al Telescopio Nazionale Galileo".

 Queste osservazioni spettroscopiche di alta precisione consentono di identificare i

segnali relativi a diversi elementi chimici nell'atmosfera del pianeta.

In particolare, migliaia di minuscole "righe spettrali" possono essere riconosciute e

sommate utilizzando una tecnica di "correlazione incrociata", applicata per la prima

volta allo studio di pianeti extrasolari da astronomi olandesi.  

I ricercatori italiani, olandesi e svizzeri che hanno collaborato alla ricerca, hanno scoperto

che il pianeta assorbe parte della luce della stella madre grazie alla presenza di atomi

di ferro nella sua atmosfera, proprio come se si trattasse di una stella "nana arancione".

"Diversamente da una stella però, l'atmosfera gassosa del pianeta mostra una 'inversione

termica', ovvero un aumento della temperatura piuttosto che una diminuzione, salendo

sopra una certa altezza" prosegue Pino.

"Ciò è dovuto proprio all'assorbimento della luce della stella e al conseguente

riscaldamento degli strati atmosferici più esterni".

Qualcosa di simile in pratica succede anche nell'atmosfera della Terra, dove gli atomi di

ozono hanno un effetto simile a quelli di ferro in KELT-9b: tale fenomeno determina

la formazione della stratosfera terrestre.

 
 
 

Una grande scoperta....

Post n°2975 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Gli antenati di beluga e narvalo vivevano nel caldo Mediterraneo

Gli antenati di beluga e narvalo vivevano nel caldo MediterraneoRicostruzione di Casatia termophila (disegno di Alberto Gennari)

Marta FrigerioMARTA FRIGERIO3 SET 2019

Gli antenati del beluga e del narvalo, odierni "signori dei ghiacci",

vivevano nelle acque tropicali del Mediterraneo: a rivelarlo, un

fossile risalente a cinque milioni di anni fa e scoperto vicino a

Grosseto dai paleontologi dell'Università di Pisa.

Lo studio, che è stato recentemente pubblicato sulla rivista

internazionale Journal of Paleontology, è stato condotto da Giovanni

Bianucci e Alberto Collareta, paleontologi del dipartimento di Scienze

della Terra dell'Università di Pisa, oltre a Fabio Pesci e Chiara Tinelli 

nell'ambito delle loro attività di tesi, rispettivamente di laurea

magistrale e di dottorato.

Dalle acque tropicali ai ghiacci

Il beluga (Delphinapterus leucas) e il narvalo (Monodon monoceros)

sono due affascinanti cetacei che vivono esclusivamente nelle gelide

acque artiche, senza mai allontanarsene, e sono gli unici rappresentanti

attuali della famiglia dei Monodontidi.

«Oggi è impossibile vederli nelle calde acque del Mediterraneo e ancora

più assurdo, o almeno così si pensava, che potessero essere vissuti in

questo mare all'inizio del Pliocene, quando il nostro clima era tropicale -

spiega Giovanni Bianucci -.

Mentre sulla biologia dei Monodontidi si sa moltissimo, si hanno invece

scarse informazioni sull'evoluzione di questi cetacei, dal momento che le

testimonianze fossili sono estremamente scarse».

La scoperta fatta in Toscana, dunque, assume un'importanza storica.

«Il cranio che abbiamo trovato ad Arcille, vicino a Grosseto, è di

straordinaria importanza non solo perché si tratta del primo di

Monodontide scoperto nell'area Mediterranea, ma anche perché ci ha

permesso di descrivere la quarta specie fossile al mondo di questa

famiglia» aggiunge il ricercatore.

Come è stato possibile, dunque, che dalle calde acque del Mediterraneo

le specie migrassero verso Nord?

«È probabile che le due specie attuali di Monodontidi abbiano evoluto

i loro straordinari adattamenti alle acque fredde in tempi geologicamente

molto recenti, durante il Quaternario (da circa 2,6 milioni di anni fa a

oggi), quando l'emisfero settentrionale fu interessato da ripetute glaciazioni

e da un trend di progressivo irrigidimento climatico» spiega Alberto

Collareta.

Distribuzione geografica dei Monodontidi attuali e fossili

(disegno di G. Bianucci).

In cerca di una nuova casa

Se oggi i Monodontidi non vivono nel Mediterraneo il motivo è molto

semplice: le acque sono troppo calde e non adatte per dei cetacei

che hanno nel Polo Nord il loro habitat e che non si spingono mai

oltre l'oceano glaciale artico.

«Ma l'aspetto ancora più incredibile è che circa cinque milioni di anni

fa il Mediterraneo era addirittura più caldo di adesso, con temperature

vicine a quelle tropicali - precisa Collareta -.

Che durante il Pliocene inferiore il Mediterraneo fosse un mare caldo

si sapeva da tempo, ma altri fossili straordinari che abbiamo trovato

nella cava di Arcille supportano il fatto che Casatia thermophila nuotasse

insieme ad animali marini di acque tropicali, come per esempio il temibile

 squalo zambesi (Carcharhinus leucas), il vorace squalo tigre

 (Galeocerdo cuvier) e l'enorme marlin (Makaira nigricans), tutte forme

oggi assenti dal Mediterraneo».

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In Africa...

Post n°2974 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet.

Traffico illegale: le uova di gufo valgono più dell'avorio

Traffico illegale: le uova di gufo valgono più dell'avorioIl Gufo latteo, diffuso in Africa (foto di Francesco Veronesi).

In Africa ha preso piede un nuovo traffico illegale,

strano quanto delittuoso: quello delle uova di gufo che,

vendute a peso d'oro, valgono più dell'avorio.

Una novità, perché in questi anni abbiamo associato il

traffico illegale di animali alle stragi di tigri, elefanti, pangolini,

rinoceronti bianchi - sull'orlo dell'estinzione - e ippopotami,

che sono la nuova frontiera dell'avorio.

In Kenya e Tanzania si è, infatti, creato un nuovo problema

di conservazione della biodiversità che incide direttamente sulle

popolazioni dei gufi di quelle aree.

Nonostante la maggior parte dei paesi abbia adottato leggi a

tutela delle specie selvatiche, occorre notare che raramente le

violazioni vengono rigorosamente sanzionate; e in alcuni stati

africani sono ampiamente ignorate.

I fondi sono pochi e le risorse di uomini per contrastare il bracconag-

gio anche, pertanto non c'è da stupirsi se tutte le attenzioni,

nemmeno sufficienti, siano destinate alla protezione dei grandi

mammiferi africani (Elefanti, rinoceronti, leoni ..).

In questo quadro, i gufi risultano totalmente dimenticati e attivarsi

per prelevare le uova è facile e poco pericoloso.

Nel suo ultimo libro Il volo rapito, in uscita in questi giorni, Marco

Mastrorilli, naturalista e grande esperto di rapaci notturni, porta

alla luce le scomode verità sui traffici illegali degli animali e in

particolare dei gufi.

 Un problema che, nel giro di pochi anni potrebbe portare a un

ulteriore decremento delle popolazioni di rapaci notturni che fino

a un solo decennio fa sembravano floride.

Ma perché vengono trafficate le uova?

All'interno del libro, in un'intervista concessa in esclusiva, lo spiega

 David H. Johnson, direttore del Global Owl Project, l'organizzazione

mondiale più importante al mondo per la conservazione dei gufi.

Johnson racconta che nell'ultimo decennio gli ambientalisti hanno

trovato sempre meno gufi in Kenya.

Si è scoperto, così, che la razzia delle loro uova è legata ai consigli

degli stregoni dei villaggi, che le raccomandano come cura per

l'HIV-AIDS o il cancro.
Le fluttuazioni dei prezzi sul mercato nero rendono difficile una

valutazione reale del loro costo.

Tuttavia, il quadro generale è chiaro: le uova di gufo al chilo possono

costare più del doppio del prezzo di un corno di rinoceronte e circa

80 volte il prezzo dell'avorio.

Il problema è davvero serio se pensiamo che per le organizzazioni

criminose di bracconieri il prelievo di uova dai nidi è molto meno

rischioso rispetto ad andare a caccia di elefanti o ippopotami.

Non solo. Le uova avrebbero anche funzione propiziatoria.

Sarebbero infatti ritenute di buon auspicio da parte dei politici neo eletti

che ricevendo un uovo di gufo in regalo potranno godere di favorevole

sorte politica.

L'appuntamento con Mastrorilli sul web

Per chi fosse interessato ad approfondire questa triste realtà poco

conosciuta e i problemi di conservazione legati al traffico di centinaia

di milioni di animali, l'appuntamento è con il Live streaming sul

canale YOU TUBE GUFO TUBE che Marco Mastrorilli organizzerà

durante tutta la giornata di venerdì 1 maggio a partire dalle 11.30 in

occasione dell'uscita del suo ultimo libro realizzato con Raffaella

Maniero "Il Volo rapito. Le scomode verità sul traffico illegale dei

gufi e altri animali".

 L'iniziativa vedrà la partecipazione di diversi ospiti che parteciperan-

no al dibattito su questo tema.

 
 
 

L'animale più vecchio del mondo

Post n°2973 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Ecco come ha potuto lo squalo della Groenlandia vivere 400 anni

Ecco come ha potuto lo squalo della Groenlandia vivere 400 anniLo squalo coetaneo di William Shakespeare

Gianluca GrossiGIANLUCA GROSSI14 AGO 2016

Animali longevi capaci di vivere fino a 400 anni.

Solo nei fumetti o nei film di fantascienza.

Era vero fino a ieri. Perché al largo delle coste della Groenlandia è

avvenuta una scoperta sensazionale: uno squalo nato quando in Italia

imperversavano gli spagnoli e William Shakespeare aveva appena

pubblicato i Sonetti.

Lo rivela uno studio pubblicato su Science da esperti dell'Università

di Copenaghen.

Si tratta di un animale appartenente alla specie Somniosus microcephalus,

che raramente entra a contatto con l'uomo perché abita le profondità

oceaniche dell'Artico.

La sua scoperta è stata del tutto accidentale.

Un esemplare di squalo Somniosus microcephalus è infatti finito per errore

nella rete di un pescatore, che, disinteressato al suo impiego a livello

commerciale (non è commestibile), ha permesso alla scienza di fare luce

sull'animale più vecchio del mondo.

Le analisi al radiocarbonio - relativo a una proteina specifica - hanno consentito

ai ricercatori di far risalire la sua nascita all'inizio del Seicento.

Il suo segreto? Vivere dove le acque sono costantemente intorno agli zero gradi

centigradi.

Il grande freddo di quelle latitudini ha preservato lo squalo per secoli.

Peraltro, la sua pubertà dura almeno 150 anni.

Gli scienziati hanno infatti messo in luce che la sua attività sessuale comincia

dopo più di un secolo.

Si stima che l'esemplare di squalo cresca di un centimetro all'anno e possa

raggiungere i cinque metri di lunghezza.

Non è certo come i suoi parenti dei tropici: si muove con grande lentezza e

forse è anche questa una prerogativa della sua longevità; non è un caso che

anche altri animali molto longevi spicchino per la loro indolenza.

Lo squalo di 400 anni batte i record precedentemente ottenuti da altre specie

come la balena artica (Balena mysticetus) che arriva a 211 anni e la tartaruga

delle Galapagos, che campa fino a 177 anni.

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CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM

 
 
 

Stelle pulsanti news....

Post n°2972 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Decifrato il ritmo delle enigmatiche stelle pulsanti

Illustrazione della stella di tipo delta Scuti

denominata HD 31901 (©Chris Boshuizen/Simon

Murphy/Tim Bedding) I dati del satellite TESS e del

telescopio spaziale Kepler della NASA hanno permesso

di ricostruire il ritmo di vibrazione di una particolare

sottoclasse di stelle pulsanti, aprendo la strada allo

studio della loro struttura interna Delta (δ) Scuti: per la

maggior parte delle persone questo nome oscuro non

vorrà dire molto, ma per gli astrofisici è sinonimo di uno

dei misteri meglio custoditi del cosmo.

Si tratta del nome di una classe di stelle pulsanti di massa

intermedia, il cui ritmo sembrava sfuggire a ogni

comprensione.

 Almeno fino alla pubblicazione sull'ultimo numero di "Nature"

 di uno studio firmato da Timothy R. Bedding del Sydney

Institute for Astronomy (SifA), in Australia e colleghi, che

hanno scoperto la chiave per risolvere l'enigma. 


Le pulsazioni sono una caratteristica comune delle stelle:

sono onde che le fanno vibrare e risuonare, un po' come

fanno le onde sonore con la cassa di risonanza di una

chitarra.

L'ampiezza e la frequenza delle singole oscillazioni dipendono

dallo stato fisico dei differenti strati attraversati.

I diversi spettri di oscillazione meccanica sono legati a cicli

termodinamici della stella, che a loro volta fanno espandere

e contrarre le stelle, e influenzano la radiazione stellare con

periodici red shift (spostamenti verso il rosso) e blue shift 

(spostamenti verso il blu) dovuti all'effetto Doppler.

Dall'osservazione dei cicli della luce stellare si possono così

ricostruire gli spettri vibrazionali, parametri preziosi per studiare

l'interno delle stelle che è nata un'apposita branca di ricerca,

l'astrosismologia.

Nel caso delle stelle delta (δ) Scuti, gli schemi di pulsazione sono

apparentemente casuali e perciò molto difficili da interpretare

le per ricavare indizi sulle strutture stellari.

Analizzando i dati del Transiting Exoplanet Survey Satellite

(TESS) e della missione Kepler della NASA, Bedding e colleghi

hanno osservato una sottoclasse di 60 stelle delta (δ) Scuti

piuttosto giovani, distanti da noi tra 60 e 1400 anni luce, e

caratterizzate da spettri di pulsazione molto più semplici,

ordinati e comprensibili.

È da questi spettri ordinati i ricercatori sperano di poter

trovare lo spunto per capire anche quelli apparentemente

casuali delle stelle più vecchie, e di riuscire così a studiare

moltissime stelle di questo tipo presenti nel cosmo.

"La scoperta è coerente con l'ipotesi che gli spettri delle

pulsazioni tendono a diventare più complicati via via che

le stelle invecchiano",  ha spiegato Warrick Ball, ricercatore

dell'Università di Birmingham, nel Regno Unito, coautore

dell'articolo.

"Le stelle più giovani ci danno quindi la possibilità di trovare

gli spettri ordinati".

"Ora siamo in grado di iniziare a sondare queste stelle, e di

usarle come punti di riferimento per aiutarci a interpretare

l'enorme numero di altre stelle del gruppo che presentano

spettri di pulsazione più complicati", ha aggiunto Bill Chaplin,

collega di Ball a Birmingham e coautore dello studio. (red)

 
 
 

L'origine della vita umana dal Cosmo?

Post n°2971 pubblicato il 27 Maggio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet.

2010-2019: le 10 rivoluzioni scientifiche del decennio

Dalla nascita di un modo inedito di osservare il cosmo

alle scoperte sulle prime specie umane: la scienza che

ha segnato la decade 2010-2019.

onde-gravitazionali-coalescenza-tra-stelle-di-neutroniLo scontro tra due stelle di neutroni dà origine a una

nuova stella: un'illustrazione artistica. | UNIVERSITY

OF WARWICK/MARK GARLICK  

Il 31 dicembre 2019 si chiuderà un decennio particolarmente

brillante per la ricerca scientifica: dai balzi in avanti

dell'astronomia ai progressi nella scienza medica, ripercorriamo

insieme le conquiste più significative che abbiamo celebrato negli

ultimi anni (anche dalle pagine di questo sito).

L'AVVENTO DELLA CRISPR. Il potenziale dell'ingegneria genetica

per la cura delle malattie è finito sotto gli occhi di tutti nel 2012,

con la scoperta e l'utilizzo di forbici molecolari ad elevata precisione

per modifiche "chirurgiche" del DNA: la tecnica CRISPR e le sue

derivazioni hanno spalancato prospettive fino a poco tempo fa

nimmaginabili nella prevenzione di patologie ereditarie e nel campo

della ricerca alimentare, ma anche rivelato effetti inattesi,

 lati oscuri e limiti necessari da fissare nel campo della bioetica.

IL BOSONE DI HIGGS. Nel luglio 2012, dopo quattro anni di

collisioni tra protoni nel Large Hadron Collider di Ginevra, e a quasi

50 anni dalla sua teorizzazione, la particella più elusiva e cercata

della fisica moderna è stata finalmente trovata: gli scienziati del

CERN hanno annunciato la scoperta del Bosone di Higgs, il tassello

mancante del Modello Standard che aiuta a spiegare perché tutte

le altre particelle sono dotate di massa. Nel 2013 Peter Higgs,

il primo ad ipotizzare l'esistenza della "Particella di Dio" nel 1964,

 ha vinto insieme al fisico François Englert il Premio Nobel

per la Fisica

 

L'evento che rende possibile la misurazione è uno scontro di stelle di neutroni.

L'evento che rende possibile la misurazione è uno scontro di

stelle di neutroni, qui in una rappresentazione artistica.

 Per approfondire: onde gravitazionali e stelle di neutroni

 | ESLE ONDE GRAVITAZIONALI. Era il 1916 quando Albert

Einstein ipotizzò che il tessuto dello spazio-tempo fosse

disturbato da "increspature", stiracchiamenti e compressioni

le onde gravitazionali. Esattamente cento anni dopo,

l'11 febbraio 2016, gli scienziati della collaborazione LIGO

(Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory)

hanno annunciato di aver trovato le prove sperimentali

dell'esistenza delle onde gravitazionali causate dalla fusione

di due buchi neri, di massa equivalente a circa 29 e 36 masse solari.

Nel 2017, gli interferometri di LIGO e Virgo hanno annunciato 

di aver osservato la nascita "in diretta" di una stella dovuta dalla

coalescenza tra due stelle di neutroni: un evento che ha sancito

 la nascita dell'astronomia multi-messaggio.

O/L. CALÇADA/M. KORNMESSER

NUOVI RAMI DELL'ALBERO GENEALOGICO. 

Nel 2010, la scoperta dell'osso di un dito umano geneticamente

distinto dall'uomo moderno e dai Neanderthal rivelò al mondo

l'esistenza di una nuova specie arcaica profondamente legata alla

nostra, quella dei Denisoviani, dal nome della grotta di Denisova

in Siberia dove fu trovato il reperto.

Nel 2018, è arrivato l'annuncio della scoperta di un individuo ibrido,

 una bambina con madre Neanderthal e padre denisoviano.

Oggi sappiamo che parte della moderna popolazione umana ospita

geni denisoviani nel proprio DNA.

Nel 2015, in un sistema di grotte sudafricane sono venuti alla luce

i fossili di una nuova specie umana: l'Homo naledi, un ominide vissuto

tra i 236 mila e i 335 mila anni fa, la cui anatomia ha caratteristiche

miste, che ricordano tanto l'uomo moderno quanto i suoi più arcaici

"cugini".buchi neri, dimensioni a confronto

Il Sole, l'orbita di Plutone, la posizione della Voyager 1... in relazione

alla dimensione del buco nero nella galassia M87 che adesso

conosciamo "in foto". 

LA PRIMA IMMAGINE DI UN BUCO NERO.

 La comune percezione dei buchi neri come entità invisibili è cambiata

con l'annuncio, nell'aprile 2019, della prima "foto" della silhouette

di un buco nero, ottenuta dalla rete di telescopi Event Horizon Telescope

 che ha osservato l'orizzonte degli eventi del mostro situato nel cuore

della galassia M87, a 55 milioni di anni luce da noi.

Il primo buco nero di cui si possa vedere l'ombra ha una massa pari

a 6,5 miliardi di volte quella del Sole - molto maggiore di quella di

Sagittarius A*, il buco nero al centro della Via Lattea, prossimo sorvegliato

speciale degli scienziati.

NUOVI MONDI. All'inizio del decennio conoscevamo circa 450 pianeti

extrasolari.

Oggi quelli noti sono oltre 4000 e tra questi c'è Proxima Centauri b,

un esopianeta terrestre individuato nel 2016 in orbita attorno alla

stella Proxima Centauri, a soli 4,2 anni luce dalla Terra.

Nel 2017, la famiglia di esopianeti noti si è arricchita ulteriormente

 con la scoperta del sistema stellare TRAPPIST-1, con sette pianeti

di dimensione terrestre a soli 39 anni luce dalla Terra.

UN TRATTAMENTO PER LA PREVENZIONE DELL'HIV. 

Nel 2011, un ampio studio clinico su un farmaco basato sull'associa-

zione di due antiretrovirali dimostrò che il trattamento preveniva la

trasmissione dell'HIV tra partner infetti e non nel 96% dei casi.

Nel 2012, la FDA americana approvò il farmaco (dal nome

commerciale Truvada) per la prevenzione dell'HIV nei soggetti sani.

La scoperta che fu nominata da Science "Breakthrough of the year,"

fu la prima dal 1994 a mostrare un nuovo modo di prevenire la

trasmissione dell'infezione da una persona all'altra.

Nel 1994 era stata dimostrata la possibilità di prevenire il contagio

tra madre sieropositiva e feto.

Un momento della sfida tra il computer AlphaGo e Fan Hui,

campione europeo di Go. Vedi anche: dieci applicazioni di intelligenza

artificiale che forse già utilizzi |

LE VITTORIE DELL'AI. In un decennio dominato dallo sviluppo

dell'intelligenza artificiale, più volte hanno fatto notizia le performance

di AlphaGo.

Nel 2016 il software della DeepMind ha dimostrato per la prima volta

di poter battere l'uomo nel Go, uno dei giochi strategici più complessi

di sempre in termini di tattica e strategia. Una successiva versione

del programma di reti neurali profonde, nel 2017, è riuscita addirittura 

ad istruirsi da sola, con la tecnica dell'apprendimento per rinforzo,

senza bisogno dell'aiuto dell'uomo.

VIAGGI DENTRO E FUORI DAL SISTEMA. 

Mai come in questo decennio abbiamo esplorato i corpi più piccoli

del nostro sistema planetario: dagli asteroidi Ryugu e Bennu,

mete recenti delle sonde Hayabusa2 e OSIRIS-REx, a Plutone,

che abbiamo osservato in tutto il suo splendore nel luglio 2015,

grazie alla sonda della NASA New Horizons che ha mostrato al

mondo la sua superficie.

Dopo aver osservato l'asteroide Vesta, nel 2011, la sonda della

NASA Dawn ha mappato il pianeta nano Cerere.

Altre sonde si sono spinte oltre i confini del nostro Sistema: nel 2013,

gli scienziati della NASA hanno annunciato che la Voyager 1 aveva

ufficialmente abbandonato il Sistema Solare nell'agosto 2012,

dopo 35 anni di viaggio ininterrotto.

Nel 2018 abbiamo saputo che anche la Voyager 2 si trova nello

Spazio interstellare.

UNA NUOVA COSCIENZA CLIMATICA. 

Nell'ultimo decennio la concentrazione di CO2 atmosferica ha raggiunto

livelli ineguagliabili per i tempi moderni, oltrepassando nel maggio 2013

il tetto delle 400 parti per milione.

Per effetto del riscaldamento globale di origine antropica, il 2015, 2016,

2017, 2018 e 2019 sono stati i cinque anni più caldi dal 1880.

Nel 2014 è iniziato il più drammatico evento di sbiancamento delle

barriere coralline che si ricordi.

La crisi climatica ha però avuto anche l'effetto di intensificare il grido

di allarme di scienziati, attivisti e società civile sull'esigenza di proposte

politiche volte a contrastarla.

Il 2015 è stato l'anno degli Accordi di Parigi.

Il decennio dell'azione sarà - ci auguriamo - il prossimo.

 
 
 

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